mercoledì 26 maggio 2010

La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato

Il grande sviluppo dei quotidiani, dalla seconda metà dell'Ottocento e la diffusione dei nuovi mezzi di informazione nel Novecento, è indissolubilmente legato all'opera delle Agenzie di Stampa.
La loro data di nascita era coincisa con l'affermazione del telegrafo: quando nel 1850 il governo francese aveva concesso l'uso del telegrafo ai privati, Charles Louis Havas, fondatore dell'omonima agenzia, la prima al mondo, ne era stato il precursore. Due allievi di Havas, Julius Reuter e Bernhard Wolff, avevano fondato dopo poco a Londra e a Berlino altre due agenzie, che avevano portato il loro nome. Le tre organizzazioni, con una serie di accordi, si erano spartite il globo come zone di influenza: ne era rimasto fuori il continente nordamericano.
In Italia, la prima agenzia di stampa fu la Stefani. Era nata a Torino il 26 gennaio 1853, accompagnando la nascita del primo "Notiziario telegrafico Stefani", proprio una settimana dopo l'inaugurazione della linea telegrafica Torino-Chambery, che permetteva il collegamento diretto con Parigi.
La Stefani prese il nome dal suo fondatore, Guglielmo Stefani (1819-1861), direttore della Gazzetta Piemontese; con il consenso di Cavour, aveva fondato a Torino l’agenzia nel 1853, si affermò con l'appoggio di Crispi e diventò nel ventennio fascista un’agenzia di rilievo internazionale, rimanendo attiva fino al secondo dopoguerra. La proprietà della testata rimane oggi all’ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna e dà il nome al settimanale della scuola di giornalismo di Bologna.
Guglielmo Stefani, coadiuvato da Cavour, che egli ebbe modo di conoscere dopo essere diventato direttore della “Gazzetta Piemontese”, diede origine alla prima forma di agenzia di stampa; la battezzò “Agenzia Stefani – Telegrafia Privata”. Come lo stesso nome suggerisce, l’agenzia, pur essendo di proprietà dello stesso Stefani, svolgeva la sua attività fruendo dei sovvenzionamenti offerti dallo stato sabaudo. Col passare del tempo, però, la Stefani uscì dall’ambito ristretto del regno, impiantandosi negli altri Stati italiani, tra cui Firenze, Milano, Parma, Bologna e Roma.
Quando Guglielmo Stefani morì nel 1861, l’agenzia riuscì a superare le difficoltà intervenute, allacciando rapporti con l’Havas e la Reuter. La quasi totalità delle informazioni provenienti dall’estero giungevano alla Stefani attraverso la Havas che, intorno al 1865, entrò nella proprietà con una quota del 50 per cento. La Stefani trasferì la sua sede, seguendo la capitale d’Italia, prima a Firenze e poi, nel 1881, a Roma.
Francesco Crispi fu un personaggio di spicco nell’ambito del processo di evoluzione della Stefani. Egli, infatti, ebbe l’idea di servirsi della stessa agenzia per dar vita ad un circuito informativo che osteggiasse la Havas e la Reuter, due autentici colossi che controllavano, attraverso la creazione di agenzie di stampa nazionali, la circolazione di notizie nei paesi in questione. Trovatasi al centro dell’operazione di potenziamento della Triplice Alleanza, la Stefani si svincolò dall’agenzia francese, al termine di estenuanti trattative. Sforzo inutile, poiché la stessa agenzia strinse un accordo di collaborazione con la Reuter, succursale della Havas, con la tedesca “Continentalen” e con l’austriaca “Correspendenz-Bureau”.
Nonostante il sostegno economico del Governo, la Stefani ai primi del Novecento aveva ancora una dimensione ridotta, con abbonati solo in trentanove città. I corrispondenti erano pochi, le province poco servite: molte prefetture erano abbonate, ma spesso non ricevevano il servizio. In Italia, infatti, le agenzie erano strettamente legate allo Stato per quanto riguardava i finanziamenti. Solo nel mondo anglosassone, dove era più sviluppata l'industria giornalistica, le agenzie nacquero come struttura industriale, sotto forma di cooperativa o come proprietà diretta di gruppi di giornali.
Nella Stefani, divenuta società per azioni, entreranno personaggi famosi, come il triestino Teodoro Mayer, editore del “Piccolo” e in seguito primo presidente dell'IMI, che possedette la metà del capitale dal 1900 al 1920 ed il finanziere Giuseppe Volpi di Misurata.
Nel 1920 fu stipulato un accordo con il Governo, che affidava all’agenzia il compito di distribuire le informazioni ufficiali alla stampa, ai prefetti e agli uffici governativi: la nomina del direttore, da quel momento, fu sottoposta all’approvazione del governo.
Nel 1921 le difficoltà economiche costrinsero l’agenzia a stipulare un nuovo accordo con l’Havas, che dava a quest’ultima l’esclusiva sulla pubblicazione delle notizie della Stefani fuori dall’Italia. L’accordo con l’“Havas” rendeva anche possibile l’accesso alle notizie della “Associated Press”, che copriva gli Stati U Press, che copriva gli Stati uniti ed il Sud America, grazie ai cavi stesi nell'oceano, che collegavano New York a Parigi.
Con l’avvento del Fascismo, la direzione dell’agenzia fu affidata a “Manlio Morgagni” (1879 – 1943), ex direttore amministrativo de “Il Popolo d'Italia”, che la potenziò e la trasformò, rilanciandola anche sul piano internazionale: l’agenzia Stefani diventò la voce del regime, portavoce di Mussolini e della sua azione politica.
A questo punto, la storia della Stefani si intreccia indissolubilmente con la vicenda personale di Morgagni. Di ottima famiglia romagnola, Manlio Morgagni era fratello di un ufficiale pilota, morto in combattimento durante la prima guerra mondiale.
Uno dei cosiddetti "fascisti della prima ora", Morgagni, amico di Benito Mussolini fin dai tempi dell'interventismo, partecipò alle riunioni milanesi dalle quali scaturì il “Movimento dei Fasci italiani di combattimento” e pertanto fu uno dei "sansepolcristi", come furono definiti i partecipanti all'assemblea milanese in piazza San Sepolcro e come tale partecipò alla “Marcia su Roma”.
Uomo di grande valore morale e pratico, di specchiata onestà e di profonda dedizione, ma dal carattere schivo, Manlio Morgagni prestò la sua opera per lunghi anni all'ombra di Mussolini, che gli concesse sempre la più ampia fiducia, peraltro ampiamente meritata. Fu consigliere comunale (1923-1926) e vicepodestà di Milano (1927-1928), nonché presidente della Commissione per l'abbellimento della città di Milano. Dapprima collaboratore del giornale “Il Popolo d'Italia”, ne divenne direttore amministrativo (15 novembre 1914-1919). Fu co-fondatore e direttore della “Rivista illustrata del Popolo d'Italia”; fondò la rivista agraria "Natura" nel 1928.
L’incarico che lo condusse alla fama fu quello di presidente e direttore generale dell'Agenzia Stefani, che riuscì a potenziare, dandole importanza anche internazionale. Morgagni riuscì a conquistare una certa indipendenza dall’“Havas” ed a raggiungere con il notiziario italiano le comunità italiane in Sud America, attraverso un accordo con la “United Press”.
Nel 1925, il processo di assoggettamento della stampa alla causa fascista subì una notevole accelerazione. Le maggiori testate giornalistiche, in questo periodo, diventano di dominio di Mussolini: Il “Corriere della Sera” con Albertini si “fascistizzò”, “La Stampa”, edita da una società controllata dalla Fiat, con Frassati grazie all’attenzione di Mussolini alle richieste di Agnelli, “Il Messaggero” con i Perrone e poi con Pier Giulio Breschi, a Roma “La Tribuna” dei Perrone assorbì “L’Idea Nazionale” diretta da Roberto Forges Davanzati, a Venezia “Il Gazzettino” diretto da Salamini, “Il Resto del Carlino” diretto da Leandro Arpinati, passò poi a Missiroli, poi a Giorgio Pini, imposto da Mussolini, “Il Mattino” e il ‘Roma’ furono accollati al Banco di Roma e “fascistizzati” nel 1930, la prima volta che un ente possedeva due testate.
La stampa italiana fu sottoposta ad un sistema di controllo ispirato al concetto che «in un regime totalitario la stampa è un elemento di questo regime, una forza al suo servizio».
L’Agenzia Stefani, passata al servizio di Mussolini, cominciò ad assolvere alla funzione per la quale era stata concepita: filtrare le notizie e diramarle agli organi di diffusione della stampa. Con la nascita della radio nel 1930, tutte le notizie che pervenivano alle emittenti radiofoniche erano filtrate dalla Stefani.
L’ultimo periodo della vita di Manlio Morgagni fu tormentato da una chiusa crescente ansia per le condizioni del Paese.
Nel novembre del 1942 cominciarono le sue preoccupazioni: la salute di Mussolini era cagionevole e per Morgagni era una spina nel cuore, la guerra andava male e si sperava che, superato l’autunno, la situazione militare diventasse più favorevole per l’Italia.
La caduta di Tripoli segnò l’inizio del processo di abbattimento del regime. Le defezioni e gli intrighi orditi per far crollare il Fascismo cominciavano a produrre i loro effetti.
Morgagni intuì l’esistenza di forze occulte che cospiravano per la destabilizzazione del paese e del Partito. A causa della sua eccessiva ingenuità, però, non immaginò che una congiura fosse stata ordita anche ai suoi danni, al fine di sottrargli la Stefani, motore del fascismo e del paese intero. Nel frattempo, la salute di Morgagni andava deteriorandosi; celebri sono alcune sue frasi con le quali annunciava, indirettamente, il suo suicidio, qualora il Duce fosse crollato. Il 22 luglio, Morgagni riuscì nell’intento di allontanare la vecchia zia Cesira e la sua amata Bice, facendole trasferire a Gallignano, nel cremonese. Era insopportabile l’idea che alle donne della sua vita potesse accadere qualcosa.
Dall’apertura del Gran Consiglio, Morgagni visse in una spasmodica attesa. È sempre attaccato al telefono per avere notizie da Palazzo Venezia, dal Viminale. Cercava insistentemente notizie sugli esiti del Consiglio, sia in casa propria sia nella sede della Stefani, dove la ricerca delle notizie, nonché il collegamento con i Ministeri, risultavano essere notevolmente agevolati. Ma il Direttore politico, prototipo dell’italiano traditore di quel nebbioso periodo, lo tenne all’oscuro di tutto, mentre egli sapeva tutto.
La stabilità di Morgagni era ormai compromessa, al suo fianco aveva due amici che lo colmavano di attenzioni. Nei loro confronti, egli si mostrava sereno e pacato, quasi a volerli allontanare. Nel frattempo, però, egli si congedò da loro con fare solenne e, nella stessa giornata, fece in modo che sua moglie ricevesse, tramite una telefonata, la notizia che egli stava bene. La donna ignorava completamente della congiura ormai prossima, ai danni del Duce e dello stesso Morgagni.
Alle ventidue squillò il telefono: l’uomo di Badoglio, il Direttore politico, diede la notizia delle dimissioni di Mussolini e forse del suo arresto. Morgagni era solo, nella disperazione del crollo. La sua luce si era spenta. Tutto era finito per Morgagni, infatti le sue ultime parole furono queste: “Il Duce si è dimesso. Il Re ha dato il Governo a Badoglio. La mia vita è finita. Viva Mussolini”.
Prima del suicidio, però, Morgagni scrisse una lettera diretta a Mussolini, spiegando i motivi del suo atto estremo e dando un’ultima prova del suo attaccamento alla causa patriottica, oltre che della sua indiscutibile fede per Mussolini. La lettera recitava: «Mio Duce! L'esasperante dolore di italiano e di fascista mi ha vinto! Non è atto di viltà quello che compio: non ho più energia, non ho più vita. Da più di trenta anni tu, Duce, hai avuto tutta la mia fedeltà. La mia vita era tua. Ti ho servito, un tempo, come amico, ho proseguito a farlo, con passione di gregario sempre con devozione assoluta. Ti domando perdono se sparisco. Muoio col tuo nome sulle labbra e un'invocazione per la salvezza dell'Italia. Morgagni».
Il 15 ottobre del 1943, costituita che fu la Repubblica Sociale Italiana, il nuovo Guardasigilli, Antonino Tringali Casanuova, inviò a Mussolini l'ultima missiva a lui indirizzata dal Presidente della "Stefani" prima che si togliesse la vita, accompagnandola con tre righe, queste: «Duce, Vi trasmetto una lettera a Voi diretta, rinvenuta dal magistrato nella casa di Manlio Morgagni, in occasione del suo suicidio avvenuto la sera del 25 luglio u.s. ».
In seguito a ciò Benito Mussolini volle di persona scrivere l'epigrafe da apporre alla tomba di Morgagni.
QUI
NEL SONNO SENZA RISVEGLIO
RIPOSA
MANLIO MORGAGNI
GIORNALISTA
PRESIDENTE DELLA STEFANI
PER LUNGHI ANNI
UOMO DI SICURA INTEGRA FEDE
NE DIEDE MORENDO
TESTIMONIANZA
NEL TORBIDO 25 LUGLIO 1943
Dopo l’8 settembre 1943, l’agenzia Stefani si trasferì al Nord e divenne proprietà dello Stato. Con la Repubblica Sociale Italiana la sede fu spostata a Milano sotto la direzione di Luigi Barzini senior che dopo il suicidio di Morgagni, accettò la presidenza della Stefani, l'agenzia di stampa organo ufficiale della Repubblica di Salò. Dopo la liberazione ciò gli costerà l'isolamento. Trascorre gli ultimi anni di vita a Milano, dove morì nel 1947, indigente.
Il suo ultimo direttore fu Ernesto Daquanno. Egli nacque a Roma il 7 gennaio 1897. Nazionalista e corrispondente a Roma di vari giornali, il 26 luglio 1943 fu rimosso da capo redattore del quotidiano torinese LA STAMPA. Aderì alla RSI e Mussolini ne apprezzò la professionalità al GIORNALE RADIO-EIAR. Dal 26 gennaio firmò IL LAVORO di Genova, una delle Aziende socializzate, e il 2 giugno 1944 fu sostituito da Gian Gino Pellegrini.
Dal 5 giugno 1944 avvicendò Orazio Marcheselli alla Direzione Generale della STEFANI. Ernesto Daquanno fu fucilato insieme a Mussolini e a Claretta Petacci ed altri gerarchi, a Dongo.
La RSI segnò una profonda svolta per la storia della Stefani che, con l’avvento della Repubblica, cessò di essere la voce del fascismo e, coerentemente al moderno principio di libertà della stampa, cominciò a svolgere le funzioni per le quali una normale agenzia di Stampa è preposta: fare informazione senza filtri né limitazioni da parte di alcun regime.
La STEFANI della RSI è pronta ad informare sui danni bellici al patrimonio artistico. Questi gli inizi di quattro messaggi Anno XCI: del n. 8 “Il Ministro dell’Educazione Nazionale Carlo Alberto Biggini si è incontrato recentemente a Firenze con i sovrintendenti ai monumenti e con esponenti degli istituti di cultura con i quali ha studiato nuovi e urgenti mezzi onde assicurare, per quanto possibile, le opere d’arte dalle offese nemiche”, del n. 10 “Tutto ciò mentre il sostituto del primo ministro Attlee pronunciava attraverso Radio Londra, le seguenti parole: il governo britannico, prendendo in considerazione una nota della CRI, fa presente che per l’esecuzione dei bombardamenti aerei ha dato precise disposizioni perché si eviti di danneggiare persone e cose non inerenti alla guerra.”, del n. 11 “Per la prima incursione, quella del 7 aprile, Radio Londra inventò, a giustificazione dell’orrendo misfatto, strane storie di convegni e di parate militari italo-germaniche. Per la seconda, quella di domenica scorsa, siamo ancora in attesa di notizie Ancora una volta il centro della città (Treviso) è stato letteralmente pettinato dalla furia distruttrice” e del n. 25 “ Dalla Genova medioevale gli incursori si sono spinti su nei quartieri del cinque-seicento, dovuti in gran parte alla genialità di Galeazzo Alessi e della sua scuola, e giunti intatti a noi a testimoniare la potenza imperiale della Superba”.
Il monopolio della Stefani durò in Italia quasi un secolo, fino al 1945, anche se dopo il 1900 sopravvisse qualche piccola agenzia specializzata.
Il vero scossone a questa situazione si ebbe alla fine della seconda guerra mondiale, quando in molti Paesi agenzie governative furono sostituite da nuovi organismi su base cooperativa; lo stesso è avvenuto nei paesi dell'Est europeo, dopo la caduta del muro di Berlino. Rimangono, però, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, molte "Agenzie di bandiera", che fanno sentire soltanto la voce dello Stato. Nell’Italia liberata nacque l’Ansa (Agenzia Nazionale Stampa Associata) da un accordo tra editori di varie tendenze politiche, prima solo del centro-sud e poi anche del nord. "L'ANSA - informa la NNU agenzia delle forze alleate nel renderne nota la nascita - sarà una cooperativa aperta a tutti i quotidiani e indipendente da qualsiasi forma di influenza estranea al giornalismo". Il 15 gennaio l’agenzia cominciò effettivamente ad entrare in attività: cominciarono, quindi, le prime trasmissioni, fatte con mezzi fortunosi avuti in prestito. Col passare del tempo nacquero poi altre agenzie, come l’Agi (Agenzia Giornalistica Italia), l’ADN Kronos, l’Asca e Radiocor. La Stefani cessò rapidamente le attività e divenne successivamente di proprietà dell'ordine dei giornalisti.
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