lunedì 17 maggio 2010

Augusto De Angelis: maestro dimenticato del giallo italiano. Di M. Sembrano, M. Di Martino, C. Donnarumma, P. Esposito, A. Liguori, S. Sorrentino.

“Ho voluto e voglio fare un romanzo poliziesco italiano. Dicono che da noi mancano i detectives, mancano i policeman e mancano i gangsters. Sarà, a ogni modo a me pare che non manchino i delitti. Non si dimentichi che questa è la terra dei Borgia, di da Romano, dei Papi e della Regina Giovanna... Il romanzo poliziesco è il frutto rosso di sangue della nostra epoca. È il frutto, il fiore, la pianta che il terreno poteva dare. Nulla è più vivo, e aggressivo della morte oggi. Nel romanzo poliziesco tutto partecipa al movimento, al dinamismo contemporaneo: persino i cadaveri che sono, anzi, i veri protagonisti dell’avventura. Nel romanzo poliziesco ci riconosciamo quali siamo: ognuno di noi può essere l’assassino o l’assassinato...”. Così, direttamente e dinamicamente, Augusto De Angelis, uno scrittore ed intellettuale di gran calibro, rivendicava la dignità di un genere letterario come il giallo sul finire degli anni Trenta. De Angelis in questo suo sfogo articolato, che doveva essere la base per una lunga conferenza pubblica dedicata alla difesa del thriller nazionale, condensa già tutti gli elementi che avrebbero caratterizzato in seguito polemiche e dibattiti sul valore della letteratura di genere, sulla qualità del giallo italiano e sull’originalità dei nostri giallisti.
Per anni, un po’ sulla falsa riga di quegli stessi argomenti proposti da De Angelis, critici e scrittori hanno discusso sull’importanza più o meno rilevante del poliziesco nella letteratura italiana, sul suo valore educativo e culturale, sull’eventuale sua inclusione nella letteratura o solo nella produzione di genere della nostra narrativa.
Quando De Angelis scrive questo, il romanzo poliziesco era già nato tempo prima, ma intorno al 1920 aveva cominciato ad ottenere consensi e ad attirare le masse: il Poirot di Agatha Christie, il Philo Vance di S.S. Van Dine, il signor Reeder di Edgar Wallace.
Anche nell’Italia fascista dei movimenti futuristi, delle trasvolate transoceaniche, delle grandi opere nazionali e degli assassini politici, il romanzo giallo era arrivato ed allora il successo che questo genere letterario riscuoteva in ogni parte d’Europa era stato tanto grande, che, anche in Italia, fu fondata la collana de “I Gialli Mondadori”, nel 1929 che appena quattro anni dopo, nel 1933 aveva già superato già il milione e mezzo di copie vendute.
Purtuttavia, l’Italia fascista, nonostante il successo che arrideva a Philo Vance, a Poirot e ad Ellery Queen, non amava questo nuovo genere, anche se inizialmente lo tollerò: il Fascismo guardava in maniera molto mirata alla comunicazione di massa, per la quale il mezzo principale, prima ancora della radio e del cinema, erano i libri, diffusi principalmente ed inizialmente tra le classi borghesi e nei centri urbani. Ma l’esplosione del poliziesco coinvolse ben presto anche le masse: il Fascismo non guardava di buon occhio questo tipo di letteratura, considerato immorale e deviante per contenuti, ma anche per provenienza, un prodotto della cultura anglo-sassone. Per questo allora più o meno alla metà degli anni ‘30 del Novecento, il Fascismo impose delle limitazioni politico culturali.
Difficile trovare nella letteratura italiana una città più gialla o nera di Milano, la città nella quale nel 1919 era nato il Fascismo: a Milano era nata la leggendaria collana, «I Libri Gialli» della Mondadori, una collana milanese per idea e per realizzazione, a Milano un precursore del genere come il ligure Alessandro Varaldo (1878-1953) che da Milano era passato di sguincio, aveva ambientato nel 1936 il suo “Il segreto della statua”, Giorgio Scerbanenco, dal “Duca Lamberti” a “Il cinquecentodelitti” negli anni Sessanta cosparse le strade di Milano di cinquecento e più delitti, di Milano è il milanesissimo commissario Ambrosio, un poliziotto introverso, anch'egli malinconico, amante del bello e conoscitore d'arte, di Renato Olivieri (1925), che iniziò ad indagare nella Milano plumbea e di piombo degli anni Settanta; dal duro e puro «investigatore non professionista» Lazzaro Sant’Andrea, uscito dalla penna visionaria di Andrea G. Pinketts (1961) lo scrittore noir «della Milano da bere», fino ai «casi» più recenti di Sandrone Dazieri, Gianni Biondillo, Piero Colaprico, Edoardo Montolli.
Ma prima di tutto e di tutti, ci fu un commissario mite e silenzioso che da giovane voleva fare il poeta, così come voleva fare il drammaturgo il suo creatore, il giornalista e scrittore Augusto De Angelis (1888-1944), e che si ritrovò, “malgré lui”, a cominciare il romanzo poliziesco all’italiana.
Augusto De Angelis nacque a Roma nel 1888, scrittore e giornalista attivo soprattutto durante gli anni del Fascismo, nell'arco della sua breve carriera scrisse poco meno di una ventina di romanzi polizieschi.
A lui si deve la creazione del commissario De Vincenzi della Squadra Mobile milanese: le storie del commissario De Vincenzi, alter ego italiano del commissario Maigret, non ebbero grande successo anche per la nota ostilità del regime fascista al giallo.
Quando nel 1935 De Angelis pubblicò “Il banchiere assassinato”, romanzo in cui lo scrittore rivela la sua natura più profonda, attribuendo al suo personaggio il suo amore per la poesia e per la letteratura dava una svolta significativa nella storia del giallo italiano, intanto perché per la prima volta appare un investigatore seriale di impronta prettamente italiana. La maggior parte dei gialli di De Angelis ha come protagonista Carlo De Vincenzi, una figura anonima, un ragionatore rigoroso, che guarda con sguardo disincantato ed anche alquanto imperturbabile allo svolgersi della vita dietro cui egli nasconde un profondo e cupo pessimismo, un decadentismo quasi dannunziano, quasi nichilista, nel vedere il mondo non a colori, ma secondo varie sfumature di grigio. De Angelis conferisce al suo commissario, uomo d’impegnate letture e vero maestro nel calarsi nella psicologia dei suoi “pazienti” anche l’interesse per le idee e per le tesi freudiane, “l’intuizione psicologica e l’osservazione dell’involontario da cui emerge l’indizio segreto”.
Carlo De Vincenzi è un personaggio acuto, ma molto umano, attraverso il quale, l'autore si svincolò dai cliché dell'investigatore di stampo anglosassone, creando una sorta di Maigret italiano ante litteram cui De Angelis pare ispirarsi. Simenon più di altri aveva creato per la prima volta il romanzo poliziesco borghese, realizzando il tutto attraverso due caratteri, che diventeranno particolari caratteristiche di tutti i suoi romanzi con Maigret: l’umanità del commissario ed il realismo delle situazioni. Queste due caratteristiche, in opposizione al giallo del detective superuomo, dell’indagine puramente indiziaria e della conseguente logica abduttiva necessaria a rimettere ordine nel disordine del delitto, conquistarono gli scrittori italiani.
In questo stesso senso la creazione letteraria di De Angelis, fu innovativa per quell’epoca, in quanto, prima di allora, quasi tutti gli scrittori "noir” italiani traevano ispirazione dai modelli “hard boiled” americani, ovviamente riveduti e corretti per accontentare il regime fascista. Di contro De Angelis riuscì invece a creare, nonostante le strette maglie della censura fascista sul giallo, una figura di poliziotto svincolata sia dai modelli anglosassoni sia dai modelli che, in qualche modo, potevano richiamare le “maniere forti” care al regime. I tempi del floruit di De Angelis, un antifascista in pieno Fascismo, erano duri, fatti di regole e di censure, che lo scrittore seppe abilmente aggirare con la stessa ostinazione e con la stessa avvedutezza, con cui il suo commissario De Vincenzi veniva a capo degli enigmi investigativi, lasciando la politica sullo sfondo delle sue storie e dedicandosi pienamente al problema dell’uomo di fronte al Male.
De Angelis, che scriveva un genere proibito e censurato e, nonostante tutto, lo fa con scorrevolezza, naturalezza, aggirando le difficoltà con maestria fu, grazie al suo talento letterario, una notevole eccezione per le novità che apportò al genere giallo, sia in merito alla tecnica narrativa, sia per la modernità della figura del suo commissario De Vincenzi.
La lettura di questa saga, offre inoltre ai lettori il piacere di un buon giallo, di articolata struttura, dai vivi personaggi e dalle scenografie “tardo Déco”; ma c’è anche un interessante contorno storico, che rende più stimolante intellettualmente e complesso il processo dell’immedesimazione: i romanzi di De Angelis sono, infatti, innanzitutto “d’atmosfera” perché devono indicare gli ambienti di vita che sono alla base delle vicende delittuose.
Nel 1936, De Angelis scrisse “Giobbe “Tuama & C”, romanzo ambientato a Milano in una Fiera del Libro, il cui giorno d’inaugurazione è il 18 maggio 1934. Autori, librai, editori danno gli ultimi tocchi ai loro banconi e, in attesa delle autorità, i lettori sono già pronti a caccia di autografi e di dediche. Sotto la loggia del Palazzo della Ragione, il cielo minaccia pioggia, ma la cosa non scoraggia gli appassionati della lettura. Fra i banchi colmi di enciclopedie e di volumi d'ogni genere trova spazio anche la Lega Evangelica Cristiana, dove si vendono Bibbie in 62 volumetti per dieci lire, un vero affare. Giobbe Tuama è instancabile nel convincere i visitatori a comprare il Libro dei Libri. Poi uno strano incontro e il giorno seguente Giobbe è ancora lì, ma giace strangolato sotto il banco dei libri, ricomposto con le mani incrociate sul petto. La città non ha il tempo di riprendersi che è turbata da un nuovo delitto: un altro straniero è trovato ucciso in modo inquietante e simbolico che viene trovato in un hotel. il commissario De Vincenzi conduce le indagini, aiutato dal suo vice Sani. I colpi di scena si susseguono mentre il commissario interroga, osserva, ascolta e intuisce dove sta il bandolo “della matassa”.
Nel 1942, De Angelis scrisse “Il mistero delle tre orchidee”, ambientato a Milano, nella Casa di Mode O’Brian, un luogo “torbido, fuori luce”, dove si susseguono donne enigmatiche e gangster americani, modelle e dongiovanni, ricatti e cambi d’identità. E tre cadaveri accompagnati ognuno da un’orchidea. Il commissario De Vincenzi deve districarsi con ragione e sentimento fra indizi apparenti e reali, interrogatori e risoluzioni, oggetti determinanti e oggetti ingannatori capaci di depistare le indagini.
Dopo questo romanzo, Augusto De Angelis sparì dalla scena, inizialmente perchè nell’Ottobre del 1941 la pubblicazione dei romanzi polizieschi nella collana de I Gialli Mondadori era stata sospesa per volontà di Mussolini in seguito ad un banale fatto di cronaca, successivamente perché, l’8 settembre del 1943, De Angelis fu arrestato perché aveva pubblicato degli articoli sulla “Gazzetta del Popolo” e fu accusato di antifascismo, segregato nel carcere di Como, uscì solo dopo alcuni mesi assai malconcio e debilitato. Tornato a Bellagio, ebbe la sfortuna di incontrare la donna che lo aveva denunciato, la quale vedendo le condizioni morali dello scrittore, tentò di scusarsi. De Angelis le disse di lasciar perdere in quanto ormai era acqua passata, ma questo provocò il fraintendimento del fidanzato fascista della donna, che lo picchiò selvaggiamente con calci e pugni fino a provocarne la morte dopo pochi giorni il 18 luglio del 1944.
La tragica morte di Augusto De Angelis, fornisce una traccia per poter analizzare la sua opera: molto spesso si nota, anche nel consueto giro di luoghi comuni e di linguaggi acquisiti, una sua netta distanza dal regime fascista, molto pericolosa, tanto da essere preso di mira dalla censura; del resto, la creazione di un commissario per niente celebrativo del regime e così poco impegnato ad esaltarne le positive virtù italiche, tanto anonimo dal comparire nel suo primo romanzo naturalmente, come se fosse un amico già conosciuto, e non illustrandone per niente l’aspetto, ma solo virtù nascoste.
Per questo motivo il Fascismo era rimasto sempre molto diffidente nei confronti della cultura letteraria, che si potrebbe per semplificare definire cultura d’elite, e quindi anche del Giallo, anche se non era proprio il prodotto che ci si sarebbe aspettato di difendere, finiva per essere pur sempre un prodotto di massa. Tuttavia, De Angelis avrebbe potuto evitare i guai successivi, dando al commissario De Vincenzi un’ “aurea più fascista”. Il suo sentimento non intimamente fascista si evidenzia soprattutto ne “Il Candeliere a sette fiamme” del 1936.
Il romanzo inizia con la scoperta di un cadavere di incerta nazionalità, sventrato in uno squallido albergo di Milano e nel “milieu” nel quale De Vincenzi deve investigare. I personaggi "implicati" sono personaggi intriganti ed inquietanti, dall'incerta nazionalità: arabi, inglesi, olandesi tutti stranieri e molto insoliti.
Un uomo ragno, un tipetto di inglesina, tedeschi-arabi ed un’organizzazione di ebrei personaggi scaltri e misteriosi sgusciano per i tetti, donne bellissime velate di tristezza ed un misterioso candelabro portano il commissario De Vincenzi ad attraversare il Mediterraneo nel seguito dell'inchiesta, che rapidamente volge in un'avventura di spionaggio che implica l'appena nata questione palestinese, con sprazzi tenebrosi e quasi gotici, come già il titolo fa presagire e che porta il commissario De Vincenzi ad un'amara e terribile verità, ricca di implicazioni religiose. In questa occasione accanto ai tradizionali elementi del giallo, si ritrovano gli elementi stranieri tipici della spy-story in cui elementi ebrei hanno un ruolo di primo piano nella neonata questione palestinese. Proprio nel tratteggiare gli ebrei, De Angelis rinuncia in certo modo alla propaganda di regime, anche se nei luoghi comuni, lo scrittore è dalla loro parte, infatti, egli fa degli ebrei gli eroi del suo romanzo.
“Il Candeliere a sette fiamme” suscita anche un interesse storico, infatti, non solo serve da esempio per illustrare la politica del Fascismo verso la narrativa criminale, una politica che imponeva per i protagonisti negativi nomi stranieri ed ambienti bizzarri e inusuali. De Angelis scrittore del Ventennio non sfugge alle regole, pur non essendo in nulla un entusiasta, anzi, dal commissario De Vincenzi irradia un pessimismo poco conforme. In secondo luogo, curiosità storica non meno importante, gli ebrei, se pur descritti fisicamente un paio di volte secondo lo stereotipo all'epoca imperante, al contrario di questo, moralmente sono gli eroi positivi, e De Vincenzi sta visibilmente e malinconicamente dalla loro parte. A riprova di quanto diceva Chesterton, che il romanzo poliziesco «si basa sul fatto che la moralità è il più oscuro e ardito dei complotti».
Le figure del commissario De Vincenzi e del suo autore sono finiti nel dimenticatoio della letteratura: dimenticati per molto tempo, i romanzi di De Angelis furono riscoperti da Oreste del Buono nel 1963, con la lodevole eccezione di una sua pubblicazione per i tipi di Feltrinelli, che presenta i tre titoli unanimemente ritenuti i migliori dalla critica (“L’albergo delle tre rose” del 1936, “Il Candeliere a sette fiamme” del 1936, “Il mistero delle tre orchidee” del 1942), volume antologico ripubblicato, con prefazione e cura di Oreste Del Buono, sempre a Milano da Feltrinelli nel 1974.
Dalla pubblicazione curata da Oreste Del Buono alla metà degli anni Settanta il commissario De Vincenzi è stato riproposto in due serie televisive della Rai. La prima serie articolata su tre storie ciascuna delle quali sviluppata in due episodi girati in bianco e nero, fu trasmessa fra il 24 marzo e il 9 aprile 1974 (Il candelabro a sette fiamme, L'albergo delle tre rose, Il mistero delle tre orchidee), mentre la seconda serie - pure basata su tre diverse storie - andò in onda a partire dal 1977 (Il mistero di Cinecittà, Il do tragico, La barchetta di cristallo), grazie all'interpretazione del commissario fatta da Paolo Stoppa, ma pochi lo ricordano perché, nemo profeta in patria, a differenza del commissario Maigret, non è stato più rimesso in onda.
Nel 2001 sono invece apparse le lodevoli ristampe curate dal critico Beppe Benvenuto per l'editore Sellerio, che ha recuperato intelligentemente la produzione letteraria di Augusto De Angelis, a partire da “Il mistero delle tre orchidee”, fino al recentissimo “L’impronta del gatto”. La Sellerio ha ripreso molte opere di De Angelis e pubblicando nel 2002 “Il mistero delle tre orchidee” e “L'Albergo delle Tre Rose”, nel 2003, “Il mistero di Cinecittà”, nel 2004, “La barchetta di cristallo”, nel 2005, “Il candeliere a sette fiamme”, nel 2008, “Giobbe Tuama & C.”, nel 2009, “Il banchiere assassinato”.

Ma molto meno dozzinali o “d’evasione” di quanto si è soliti bollare l’italica produzione poliziesca, e quella della prima meta del Novecento in particolare. De Angelis fu una notevole eccezione. Per il talento letterario, per le novità che apporto al genere giallo, per la tecnica narrativa (il poliziesco è “tutto azione, tesa, vibrante, frenetica, quanto più calcolata” teorizzò lo scrittore, diligentissimo a mettere la lezione in pratica) e per la modernità della figura del commissario De Vincenzi, ragionatore rigoroso, filosofo in pectore, uomo d’impegnate letture e vero maestro nel calarsi nella psicologia dei suoi “pazienti”: criminali vari, poco integerrimi mariti e lascive signore”.
Per la storia più in generale di quanto De Angelis ha pubblicato dal 1912, costituisce guida sicura la nota di Beppe Benvenuto che fa da postfazione all’edizione de “Il Mistero delle tre orchidee” della Sellerio.
Più di mezzo secolo dopo Augusto De Angelis Carlo Lucarelli ha pubblicato tre romanzi noir ambientati fra ventennio fascista e immediato dopoguerra, con protagonista il commissario Achille De Luca, Carta bianca del 1990, L'estate torbida del 1991 e Via delle oche del 1996, volumi raccolti una pregevole antologia “Il commissario De Luca” del 2008.
Il personaggio di Carlo Lucarelli, che si muove nel periodo a cavallo fra la Repubblica di Salò e la sua caduta oltre ad essere il protagonista dei tre romanzi pubblicati dalla Sellerio ispira anche quattro storie mandate in onda su Rai Uno a partire dal 27 aprile 2008 (segue il secondo episodio il 28 aprile, il terzo il 4 maggio e il quarto e ultimo l'11 maggio). Si tratta di 4 film TV che oltre a riprendere le tre avventure di De Luca letterario lo vedono in un quarto episodio tratto dal romanzo “Indagine non autorizzata”. In questo quarto episodio De Luca sostituisce il protagonista originale, l'ispettore Marino, che svolgeva anch’esso le proprie funzioni durante il fascismo.

Bibliografia:ROBIN AGENTE SEGRETO (1930)
IL BANCHIERE ASSASSINATO (1935)
SEI DONNE E UN LIBRO (1936)
GIOBBE TAUMA & C. (1936)
IL CANNOTTO INSANGUINATO (1936)
IL CANDELIERE A SETTE FIAMME (1936)
LA BARCHETTA DI CRISTALLO (1936)
L'ALBERGO DELLE TRE ROSE (1936)
IL DO TRAGICO (1937)
IL MISTERO DELLA "VERGINE" (1938)
LA GONDOLA DELLA MORTE (1936)
LA NOTTE FATALE (1940)
L'IMPRONTA DEL GATTO (1940)
LE SETTE PICCHE DOPPIATE (1940)
IL MISTERO DI CINECITTA' (1941)
IL MISTERO DELLE TRE ORCHIDEE (1942)
L'ISOLA DEI BRILLANTI (1943)
CURTI BO' E LA PICCOLA TIGRE BIONDA (1943)

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