sabato 21 giugno 2014

Marinetti: il detonatore del nuovo corso dell'arte italiana Di Alessandro Somma

Il Futurismo è stato il primo movimento artistico legato a un’ideologia globale che ha coinvolto tutti i settori dell’esistenza: arte, politica, costume, morale, progresso scientifico, divenendo nel giro di pochi anni uno dei più importanti fenomeni artistico-letterari sviluppatisi in età moderna, sia in Italia sia nel mondo. I Futuristi ebbero il merito di percepire per primi la necessità di un rinnovamento culturale profondo e radicale, all’altezza dei nuovi tempi. 
«La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno»F. T. Marinetti, Il manifesto del Futurismo.
Filippo Tommaso Marinetti – il cui vero nome è Emilio Angelo Carlo Marinetti – nacque ad Alessandria d'Egitto il 22 dicembre 1876. Marinetti rappresentò una sorta di icona nel clima d’avanguardia novecentesco. Egli raccontò così il momento del suo incontro col mondo: «Cominciai in rosa e in nero, pupo fiorente e sano fra le braccia e le mammelle color coke della mia nutrice sudanese. Ciò spiega forse la mia concezione un po' negra dell'amore e la mia franca antipatia per le politiche e le diplomazie al lattemiele».
Il padre Enrico era uno stimato avvocato civilista del vogherese, che decise di trasferirsi in Africa per pura avventura; la madre, Amalia Grolli, era milanese, figlia di un professore di lettere.
Due anni prima di Filippo Tommaso, Amalia aveva concepito Leone. Entrambi i ragazzi dimostravano un evidente amore per le lettere e un temperamento esuberante del quale restò vittima Leone.
Afflitto da un'artrite con complicazioni cardiache, Leone non si risparmiò nell'attività fisica e nel 1897, a ventidue anni, morì in seguito agli effetti dei ripetuti tuffi e delle infinite nuotate che si concedeva nel lago di Como, anche sotto piogge torrenziali. La famiglia, dopo aver fatto ritorno in Italia, si era trasferita a Milano.
Marinetti, tre anni prima di quella tragedia, conseguì il baccalaureato a Parigi, quindi, si iscrisse, come Leone, alla facoltà di Giurisprudenza dell'università di Pavia. La morte del fratello ne alimentò un cupo pessimismo, venato da profondi sensi di colpa. In seguito, però, su quel cupo pessimismo prevalse un ottimismo tutto fondato sull'uomo meccanizzato e quindi invincibile e immortale.
Dopo un trasferimento all'università di Genova, terminati gli studi di Giurisprudenza nel 1899, Marinetti si dedicò completamente alla poesia. Ma già l'anno che precedette la laurea fu, per lui, denso di soddisfazioni: collaborò all'Anthologie Revue de France et d'Italie, una rivista milanese stampata in italiano e in francese e, soprattutto grazie al poemetto Le vieux marins, vinse il concorso parigino dei Samedis populaires, diretto da Catulle Mendès e Gustave Kahn.
Se Parigi fu il suo primo palcoscenico – le collaborazioni alle riviste della città aumentarono sempre di più –, Milano fu invece l'officina delle sue idee. Il capoluogo lombardo si stava trasformando, lasciandosi alle spalle la sua natura di centro artigianale e agricolo, per diventare una metropoli industriale. Marinetti che, nonostante gli anni di Parigi, aveva ancora negli occhi il deserto e le piramidi di Alessandria d'Egitto, fu affascinato dall'evoluzione tecnologica che si affermò a Milano.
L'estetica del Futurismo nacque proprio in questi anni e, con essa, quell’ammirazione, come scrisse nel Manifesto del 1909, per «...le grandi folle agitate al lavoro, dal piacere o dalla sommossa... », che gli venne dai tumulti del maggio del 1898, repressi dai cannoni del generale Bava Beccaris. Ma la riflessione politica era ancora lontana dal compiersi, mentre, in quell’anno, fu portato a termine il suo primo libro in versi.
Nel 1902 quando Marinetti pubblicò La conquete des étoiles, poema in versi liberi dedicato a Gustave Kahn.
Di questo poema non è errato parlare di protofuturismo infatti Martinetti, in quest’opera, raffigura un sogno in cui il mare va alla conquista delle stelle ingaggiando con esse una lotta di tifoni e di ondate.
In questo poema si possono notare accenni al dinamismo e forza, in un vortice di parole in libertà che diventeranno il segno distintivo della poetica futurista.
La conquete des étoiles fu il primo di tre lavori che avevano annunciato la nascita del movimento: ad esso seguirono Destruction nel 1904 e La ville charnelle nel 1908, nei quali trovarono spazio altri simboli: l'automobile, la locomotiva, la città.
Marinetti si incamminò definitivamente verso il suo futuro. Fu un cammino lento che ebbe il suo inizio dalla poesia e si diresse alla vita sociale e politica.
Nel primo decennio del secolo, il movimento socialista era dinamico, come dimostravano da un lato il successo degli scioperi dei primi del secolo e dall'altro il dialogo continuo tra il governo di Giovanni Giolitti e quella parte dei socialisti guidati da Filippo Turati (1857-1932).
Ma all'interno del partito non c'era unità di intenti. I dibattiti, spesso violenti, tra il riformista Turati e il rivoluzionario Antonio Labriola  (1843 – 1904), erano frequentissimi. Proprio uno di questi dibattiti, cui Marinetti assisté nel 1904, fece da spunto per una riflessione politica in forma satirica. Nacque così Re Baldoria, pubblicato in Francia nel 1905 e tradotto in italiano da Decio Cinti ( ) con la revisione dello stesso Marinetti con il titolo di Re Baldoria o Re Gozzoviglia, nel quale la dialettica tra i due personaggi principali (Besciamella e Famone, alter ego di Turati e Labriola) portò ad un cupo pessimismo, dovuto alla constatazione dell'impossibilità di cambiare le sorti di un mondo condannato all'alternanza di vita e morte.
Re Baldoria piacque soprattutto a Labriola che ne pubblicò un'entusiastica recensione sull'Avanti! e che rafforzò i contatti sempre più frequenti di Marinetti con la sinistra.
La pubblicazione del Re Baldoria, segna contemporaneamente un punto d'arrivo nella formazione di Marinetti poeta e un punto di partenza nella sua attività drammaturgica.
Tuttavia, il suo patriottismo esasperato che gli derivava dal difetto di essere nato in Egitto e dal contatto con la cultura francese, e l'ammirazione per lo scrittore Umberto Notari  (1878 – 1950), campione nella denuncia della corruzione politica, lo allontanarono dall'area del Partito Socialista.
Il 1905 fu anche l'anno della nascita di Poesia, rivista internazionale fondata con Sem Benelli (1877 – 1949) e Vitaliano Ponti e della quale Marinetti divenne, l'anno dopo, direttore unico.
Graficamente la rivista si presentava ai lettori con un formato rettangolare. La lussuosa copertina riportava il motto “Ma qui la morta poesia risorga”.
Dopo quattro anni di eclettismo argomentativo, nei quali il rotocalco si impegnò soprattutto a dare visibilità a poeti simbolisti francesi e belgi – sulla rivista furono infatti pubblicati solo inediti dei grandi nomi della letteratura italiana e francese di quegli anni, tra i quali Kahn, Mendès, Laforgue, Pascoli, D'Annunzio, Gozzano.
Nel 1909 scelse un prestigioso giornale parigino, Le Figaro per lanciare il Manifesto del Futurismo che costituisce l’atto ufficiale della fondazione del gruppo: in esso Marinetti espose i principi ispiratori del movimento, basati su un rifiuto radicale del passato e proiettati verso l’edificazione di una cultura completamente rinnovata che guardasse al futuro ed al progresso.
Sempre nel 1909 pubblicò l’Enquete internationale sur le vers libre e la rivista Poesia diventò l’organo istituzionale del Futurismo italiano, ufficialmente con la pubblicazione, nel numero 1-2, febbraio-marzo 1909 del Manifesto futurista, precedentemente apparso come editoriale sul quotidiano francese Le Figaro del 20 febbraio scorso.
Nel numero 7/8/9, agosto-settembre-ottobre 1909 Marinetti divulgò un secondo manifesto futurista, dal titolo Uccidiamo il Chiaro di Luna!
Tra i collaboratori più stretti della rivista citiamo Paolo Buzzi, Auro d’Alba, Federico De Maria, Luciano Folgore, Corrado Govoni ed Aldo Palazzeschi.
L’esperienza di Poesia si esaurì nel 1909. Ecco quel che scrisse il fondatore sedici anni dopo, nel 1925, nell’Introduzione all’antologia I nuovi poeti futuristi: «Fondai Poesia, rivista internazionale che, prima fra tutti i fogli d’Italia, portò il nome e le poesie di Paul Claudel, accanto alle prime poesie di Buzzi, di Cavacchioli, Folgore, Palazzeschi, Govoni. Nasceva così il movimento futurista, con un largo e frenetico amore per l’arte nuova e per molti ingegni lirici italiani soffocati dallo scetticismo misoneista. Nasceva il movimento futurista antiscuola, antiaccademia, che doveva sgomberare l’Italia dal passatismo ruderomane, dal professoralismo pessimista e preparare l’attuale rinascenza italiana…»
Alla guida di Poesia, Marinetti affinò quelle doti che, in seguito, gli consentirono di far spaziare il movimento futurista anche nel campo delle arti figurative, della musica e dell'architettura.
Marinetti era un maestro nel farsi pubblicità: a Natale inviò, come omaggio, panettoni confezionati con la carta intestata di Poesia, attirandosi le critiche da parte dell'ambiente letterario che giudicò troppo sfrontati i suoi modi di fare. Ma non fu con questi che Marinetti dovette confrontarsi, bensì con i tre grandi nomi della poesia italiana: Carducci, Pascoli, D'Annunzio (gli ultimi due suoi collaboratori).
Le sue simpatie erano per i due toscani, dei quali tradusse alcuni lavori per riviste francesi. Nei confronti di D'Annunzio, invece, cambiava spesso atteggiamento: dapprima favorevole, poi sempre più ironico e sarcastico, soprattutto quando, in seguito alla morte di Carducci, il poeta pescarese si autoproclamò Vate nazionale.
Tramite la rivista Poesia, Marinetti continuò la battaglia in favore del verso libero, che però incontrò un'ostilità diffusa. Pascoli, cauto, indicò, come limite, l'endecasillabo sciolto; D'Annunzio non si pronunciò. Ad ogni modo, le dispute sul verso libero furono il sintomo di un'inquietudine che animò Marinetti. Consapevole che il mondo stava diventando un immenso spettacolo, egli comprese che il poeta non poteva limitarsi a comporre versi, ma doveva trovare un suo ruolo nella società.
Il fermento di quegli anni generò, in ambito letterario, una crisi che sfociò in due direzioni: quella dei Crepuscolari, chiusi in un pessimismo che li relegava ai margini della società; quella, opposta, di D'Annunzio, tutto azione e protagonismo.
Marinetti cercò invece una terza via e la trovò creando un movimento rivolto a quelle masse di uomini che sentivano i cambiamenti di una società sempre più industrializzata.
A ciò si aggiunsero tre episodi personali: prima la morte della madre nel 1902, poi del padre nel 1907, infine un incidente automobilistico che gli occorse nel 1908. Se i primi due episodi gli rinnovarono quella paura della morte che lo aveva assalito in occasione della prematura scomparsa del fratello, il terzo episodio, invece, agì da trauma liberatorio: Marinetti visse l'incidente come un viaggio all'inferno, dal quale però riuscì a far ritorno.
Strettamente a contatto con la cultura parigina del periodo, Marinetti orientò la propria attività letteraria verso un’edificazione della cultura rinnovata. Così, nel febbraio del 1908, Le Figaro pubblicò il Manifesto del Futurismo che sancisce in modo ufficiale la nascita del movimento stesso (già in precedenza, però, Marinetti, sfruttando le sue indiscusse capacità pubblicitarie, inviò il programma a intellettuali, giornalisti, politici).
«Esaltazione del progresso tecnico e scientifico e delle prospettive affatto nuove che esso apre, passione per il nuovo valore, la velocità, corsa verso il futuro e bisogno di liberarsi dei limiti, dei retaggi che la vecchia cultura impone».
Erano questi gli elementi base del Manifesto del futurismo, esasperati in asserzioni dogmatiche quanto quelle della cultura che si voleva distruggere, tanto che dalla letteratura nuova il Manifesto passò ad appoggiare l'interventismo, il nazionalismo, la guerra, intesi come valori e come realizzazione dell'uomo nuovo. Così le giuste istanze contro una letteratura accademica, noiosa, immobile, furono fuorviate, strumentalizzate dal Fascismo cui, il Futurismo, si era associato in un progetto politico che ne raccoglieva le immagini e le forze superficiali.
L'ideologia futurista fu animata da una concezione vitalistica dell'esistenza che congiunse strettamente arte e vita. L’estetica futurista mirava all'elaborazione di modi espressivi, capaci di adattarsi alle nuove realtà della civiltà industriale e determinate da una evoluzione tecnica accelerata. Spinti da una forte esigenza di rinnovamento, i futuristi esaltarono il progresso in violenta polemica con il tradizionalismo accademico e con il passatismo benpensante della cultura borghese.
Nel 1909 fu scritto e pubblicato per la prima volta il romanzo di Mafarka. Marinetti ne preannunciò l’uscita nel 1902 prima con il titolo le Porteurs du soleil, poi le Roi Chaudes infine Mafarka le futuriste roman africain, tradotto in italiano da Decio Cinti.
Questo romanzo fu dedicato da Marinetti ai poeti incendiari come Gian Pietro Lucini, Enrico Cavacchioli, Federico De Maria, Paolo Buzzi, Corrado Govoni, Libero Altomare, Aldo Palazzeschi. In Italia Mafarka fu sequestrato per oltraggio al pudore.
Il libro inizia con un episodio che Mafarka e suo fratello hanno assistito spiacevolmente, una soldataglia di drogati di haschish stupra quattromila negre. Questa è la parte meno delirante del romanzo che si presenta come un miscuglio di esibizionismo e priapismo che atterrirono intellettuali e borghesi. In questo libro non mancava nulla, dalla follia all’uxoricidio, passando per l’antropofagia. Ma il culmine del romanzo è la creazione del figlio che Mafarka partorisce senza il concorso della donna, Mafarka gli dona la vita baciandolo sulla bocca e muore felicemente.
In una lettera del 23 agosto 1910 indirizzata a Luigi Bertolotti, Marinetti scrive:
«Vi mando ‘Mafarka il Futurista’, la mia opera capitale, la più sincera e la più ispirata che io abbia scritto, ed anche la più significativa, come ebbero a giudicare parecchi illustri critici di Parigi, dove l'edizione francese (originale) non sequestrata è giunta in sei mesi al dodicesimo migliaio. Vi sarò infinitamente grato se vorrete consacrare un vostro articolo a questo romanzo, tanto più che fra due o tre mesi si svolgerà a Milano il processo, con un formidabile collegio di difesa e di perizie».
In Italia il romanzo fu sequestrato e Marinetti processato per oltraggio al pudore: dopo il sequestro e prima del processo d'appello Marinetti pubblica in italiano e francese un volantino che riproduce l'articolo di Rachilde su Mafarka, pubblicato  il 1° luglio 1910 sul «Mercure de France»: «Vi ripeto che ho trovato veramente bello questo romanzo perché F.T. Marinetti è veramente riuscito a farmi vedere il suo enorme sogno. Ora, se uno scrittore mi fa vedere realmente un'esistenza pazza, riesce realmente a darmi la visione dello stravagante, io non domando di più per trovare in lui del genio...». Ma l'Italia non era la Francia e l'8 ottobre 1910 iniziò il processo d'appello. Perito della difesa era Luigi Capuana che tenne «un discorso sulla libertà letteraria, citando i Promessi Sposi, la letteratura classica e il verismo. Conclude sostenendo che l'opera di Marinetti è forse sovrabbondante ma morale. Fra il pubblico sono presenti molti futuristi, che alla sentenza di assoluzione inscenano una manifestazione».
Marinetti fu assolto e per l'occasione pubblicò il volantino La Clamorosa assoluzione di Marinetti che faceva la cronaca del processo.
Il testo delle arringhe e della sentenza invece furono pubblicati nel gennaio 1911 col titolo Il processo e l'assoluzione di Mafarka il Futurista col discorso di F.T. Marinetti, la perizia di Luigi Capuana e le arringhe dell'On. Salvatore Barzili, di Innocenzo Cappa e dell'Avv. Cesare Sarfatti, nella prima edizione italiana di Distruzione.
Ma poco dopo, il 29 gennaio 1911, l'opera verrà definitivamente condannata in Cassazione, come documenta un altro volantino: Un procès contre le Futurisme. Le Poète Marinetti condamné à deux mois de prison, in cui si invitano gli intellettuali a scrivere sulle riviste a proposito del processo per Mafarka, e sottoscritto da una lunga lista di poetes, peintres e musiciens futuristes.
Saranno numerose le traduzioni all'estero, in Russia (1916 e 1917), Spagna (1921), Argentina (1927), Messico (1927) ecc. In Italia verrà ristampato solo nove anni dopo ma con numerosi tagli: Mafarka il Futurista. Romanzo processato. Nuova edizione, Milano, Casa Editrice Sonzogno, s.d. (1920).
«Ricordati di amare te stesso più di ogni cosa al mondo. Serba sempre il tuo ardore, non già per le gioie future, ma per lo splendore del momento che passa. Ama te stesso profondamente, tanto da darti alla morte per colorarti di una bellezza più intensa, in un solo gesto. Ama te stesso al punto di darti ad uno spasimo qualunque, per uccidere il passato ad ogni istante e per render vana l'attesa dell'avvenire che devi sorpassare. Fa in modo che la realtà di oggi sia più bella del sogno realizzabile di domani...»
In questo romanzo, di futurista non c'è ancora lo stile tipico, ma c'è l'ostentata deformazione, ci sono invenzioni fantastiche e paradossali che non potevano non scandalizzare il gusto del lettore medio, abituato a immergersi nelle atmosfere  sensuali dei romanzi dannunziani. Eppure c'era molto in Mafarka che ricordava un certo D'Annunzio: linguaggio immaginifico, esaltazione superomistica dell'aggressività e dell'audacia, il tutto però stravolto in chiave grottesca.
Dopo il 1909 Marinetti fu impegnatissimo nella  realizzazione di eventi spettacolari e diede il meglio di sé come scrittore nella stesura dei manifesti del Movimento.
Il Futurismo godette di una rapida diffusione in Italia ed i suoi maggiori centri propulsori furono Milano, Roma e Firenze, ma anche all'estero grazie soprattutto alle esposizioni presentate a Parigi ed a Berlino.
Del Futurismo, Marinetti disse: «È un movimento anticulturale, antifilosofico, di idee, di intuiti, di istinti, di schiaffi, pugni purificatori e velocizzatori. I futuristi combattono la prudenza diplomatica, il tradizionalismo, il neutralismo, i musei, il culto del libro».
Della scultura, Marinetti disse: «La scultura nei monumenti e nelle esposizioni di tutte le città d'Europa offre uno spettacolo così compassionevole di barbarie, di goffaggine e di monotona imitazione, che il mio occhio futurista se ne ritrae con profondo disgusto! Nella scultura d'ogni paese domina l'imitazione cieca e balorda delle formule ereditate dal passato, imitazione che viene incoraggiata dalla doppia vigliaccheria della facilità. Nei paesi latini abbiamo il peso obbrobrioso della Grecia e di Michelangelo...».
Marinetti propose un rifiuto radicale del passato, servendosi delle tecniche più evolute come la réclame, la diffusione editoriale, facendo appello, in alcuni casi, a provocazioni e scandali. Il clima nel quale fu partorito il programma futurista era certamente stimolante: nello stesso anno fu pubblicato il primo Manifesto del Raggismo, una corrente di avanguardia dell'arte russa che si sviluppò nel secondo decennio del Novecento (1912-16) ed ebbe come punti di riferimento parte delle caratteristiche del Futurismo russo, particolarmente affermato in quel periodo a Mosca e nato sulla scia di quello italiano: si pensi ai soggiorni russi di Boccioni che certamente giovarono allo sviluppo di un Futurismo simile al nostro di cui ne ebbe conferma, nel 1914, Filippo Tommaso Marinetti nei suoi viaggi a San Pietroburgo e nella stessa Mosca.
Il Raggismo aveva come fine l'integrazione delle istanze futuriste con quelle del movimento neoprimitivista. La nuova pittura acquisiva più forza nella rappresentazione della luce e dei suoi effetti, nel conglobamento dello spettro cromatico, nella diffusione, rifrazione e diffrazione dei raggi luminosi sui vari oggetti.
Sul Manifesto del movimento si legge: «lo stile raggista mira alle forme spaziali, che possono derivare dall’intersecazione dei raggi emessi dai vari oggetti, quali vengono rilevate dalla volontà dell’artista […] Il raggio viene convenzionalmente raffigurato in piano con una linea di colore».
Lo spunto che dette origine al Raggismo era il bisogno russo di staccarsi dagli schemi occidentali, principalmente da quelli francesi, mantenendosi tuttavia ancorati alle varie forme dell'arte d'avanguardia. Il movimento era sostanzialmente basato su una serie di esperienze locali: si ricordano, per esempio, l'esposizione del 1910 ad Odessa e le Improvvisazioni di Vasilij Kandinsky.
Questa nuova corrente prese forza a Mosca nel 1912 quando un gruppo di artisti – tra i quali Marc Chagall – organizzarono una serie di manifestazioni pittoriche. Michail Fedorovich Larionov, animatore del gruppo e organizzatore delle mostre, fra tutti l'artista più sensibile alle teorie del futurismo e quindi al nuovo linguaggio pittorico, divenne il teorico del movimento. Nel 1913 furono pubblicati Manifesto ed il saggio Raggisti e Futuristi, entrambi scritti dallo stesso Larinov. Nel secondo erano proposte composizioni relative all'irradiazione di linee cromatiche basilari.
Anche le scienze furono messe a soqquadro dal saggio di Einstein "Elettrodinamica dei corpi in moto", del 1905. Da questo rinnovamento generale nacque nei futuristi quell'idea globalizzante che li portò ad occuparsi di ogni forma d'arte.
Contro Venezia, inesauribile fonte di romanticismo, si scatenò l'invettiva di Marinetti, che aspirò alla creazione di un uomo meccanizzato, «nel quale saranno aboliti il dolore morale, la bontà, l'affetto e l'amore, soli veleni corrosivi dell'inesauribile energia vitale».
L'anatema colpì anche la famiglia, officina di sentimenti destabilizzanti: a parere del letterato, con la donna era possibile solo una meccanica funzione riproduttiva
Tuttavia, le attenzioni per le donne non vennero meno: il personale di servizio, a casa Marinetti, fu tutto femminile e alle pareti c’erano fotografie che ritraevano belle signore. Un altro segno, questo, di un'ambiguità tipicamente marinettiana, confermata dal dichiarato «disprezzo della donna» che è uno dei punti del programma futurista.
Ma c’era un campo nel quale Marinetti si dimostrò tutt'altro che ambiguo: quello pubblicitario. Non è azzardato affermare che, con il Futurismo, nacque il moderno concetto di pubblicità.
Con qualche decennio di anticipo sul massimo teorico di comunicazioni sociali, Marshall McLuhan, Marinetti intuì che «il mezzo è il messaggio» e diede vita a metodi pubblicitari radicalmente innovativi. In passato, i futuristi lanciavano foglietti di carta rossa privi di testo, secondo un criterio che oggi i professionisti della pubblicità considerano tra i più sofisticati.
Fu però il teatro il veicolo principale per la diffusione del movimento, grazie a quelle serate futuriste che destarono scandalo. Solitamente gratuite, le serate si svolgevano in un teatro affittato; lo spettacolo comprendeva letture di poesie e di manifesti, musica, presentazione di quadri ed era preceduto da volantinaggi. Chi stava sul palco sfidava e provocava il pubblico, che, quasi sempre, reagiva con lancio di oggetti vari.
La situazione, quindi, degenerò con l'intervento delle forze dell'ordine e, il giorno successivo, i giornali riferirono dei tafferugli: un altro modo per farsi pubblicità.
Lo showman per eccellenza, inutile dirlo, fu proprio Marinetti. Con consumata abilità seppe dominare una platea estremamente variegata: aristocratica, borghese, proletaria.
In uno spettacolo tenutosi a Napoli, uno spettatore lanciò sul palco un'arancia: Marinetti la afferrò al volo e, flemmatico, cominciò a mangiarla, scatenando un uragano di applausi.
Le serate non erano però uno spettacolo fine a se stesso, ma avevano ogni volta un contenuto diverso. Si partiva dalle dichiarazioni patriottiche e si giungeva a quelle demolitrici del culto del passato, queste ultime recitate provocatoriamente in città affollate di monumenti quali Roma, Firenze e Venezia.
Dopo un anno durante il quale il Futurismo era appannaggio di soli poeti, un gruppo di pittori si affiancò a Marinetti: Carlo Carrà  (1881 – 1966), Umberto Boccioni  (1882 – 1916) e Luigi Russolo (1885 - 1947). A loro seguirono, poi, Gino Severini (1883 - 1966) e Giacomo Balla  (Torino 1871 - Roma 1958).
Dopo una fase di rodaggio, anche per i pittori giunse il momento di provocare. Durante un'esposizione a Milano, nel 1911, il dipinto La risata di Boccioni fu sfregiato da un visitatore. La stessa mostra fu violentemente attaccata da Ardengo Soffici sulle colonne de La voce: ciò fornì il pretesto per due risse tra futuristi e vociani che si conclusero al commissariato, ma che gettarono le basi per una futura collaborazione.
Il cammino del Futurismo era ormai inarrestabile: investì la musica, rappresentata nel gruppo dal maestro Francesco Balilla Pratella  (1880 –1955), e l'architettura, con Antonio Sant'Elia.
Non fu risparmiata neppure la politica.
Fin dagli esordi il futurismo è per sua natura politico: "Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore…"
Siamo nel 1909 e Marinetti lancia già il primo proclama politico ispirato al nazionalismo. Obiettivo: l'orgoglio, l'energia e l'espansione nazionale contro i vecchi e i preti, per una rappresentanza in Parlamento che deve essere "sgombra da mummie e libera da ogni viltà pacifista". Anche in questo caso il vitalismo irrazionale è il collante e la molla delle posizioni interventiste e irredentiste di Marinetti e i suoi. Un altro elemento politico del primo futurismo è la guerra al parlamentarismo: "Quasi tutti i Parlamenti d'Europa - scrive Marinetti - non sono che pollai rumorosi, greppie e fogne".
La campagna di Tripoli è l'occasione migliore per ribadire il panitalianismo: Marinetti dirà che "la parola Italia deve dominare sulla parola libertà" e proprio il nazionalismo costituirà il motivo di radicale disaccordo coi futuristi russi.
Nel 1913, Marinetti insieme a Boccioni stila il Programma politico futurista. 
Nel 1914 sono promosse manifestazioni interventiste dei futuristi contro l'Austria. La campagna interventista offre l'occasione per manifestazioni antiaustriache che esplodono in forme spettacolari. Il 15 settembre del '14, al Teatro Dal Verme di Milano, Marinetti sventola da un palco una grande bandiera tricolore mentre l'orchestra suona la Marcia Reale; devono intervenire i questurini per sedare il tumulto. Anche nei cosiddetti vestiti neutrali disegnati da Balla e indossati dai futuristi nelle manifestazioni negli atenei di Roma contro i professori definiti "tedescofili" c'è il gesto simbolico, importante, che caratterizza il futurismo.
Sempre nel 1914 si verificarono delle dimostrazioni interventiste a Milano: in piazza Duomo i futuristi bruciarono otto bandiere austriache, poi Marinetti venne arrestato e rimase cinque giorni nel carcere di S. Vittore.
Lo stesso Mussolini, appena cacciato dal Partito socialista, scrive a P. Buzzi ricordando di aver parlato con Boccioni delle sue simpatie per gli innovatori e per i demolitori, per i futuristi, ammettendo che i futuristi avevano manifestato prima di lui intenti rivoluzionari e interventisti.
Il ruolo dei futuristi nel distruggere le fondamenta della società borghese a cavallo tra i due secoli è riconosciuto peraltro anche da Antonio Gramsci: «I futuristi hanno svolto questo compito nella cultura borghese: hanno distrutto, distrutto, distrutto; hanno avuto la concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista, quando i socialisti non si occupavano neppure lontanamente di simile questione».
I proclami a sfondo patriottico di Marinetti rivelarono un nazionalismo che, negli anni immediatamente precedenti la grande guerra, si trasformarono in acceso interventismo. Ma agli inizi, il movimento era aperto a tutte le idee: i compagni di viaggio di Marinetti provenivano da un'area che andava dal socialismo umanitario all'anarchia.
Lo stesso Marinetti non si sentì troppo lontano da certi atteggiamenti della sinistra massimalista e irregolare, anche se imputò agli anarchici ed ai socialisti riformatori un'azione eccessivamente prudente. Egli, quindi, partorì un programma rivoluzionario diretto a tutto il mondo operaio, stimolandolo all'insurrezione, come scrisse nel 1910 su un giornale anarchico La demolizione, contro «il peso enorme della macchina sociale».
Nei suoi discorsi ricorreva il concetto di guerra come sola igiene del mondo, che diventò preponderante alla vigilia dell'impresa libica. Nel 1911, Marinetti partì per la Libia come corrispondente per il giornale parigino L'intransigeant; tuttavia, l'invito a trarre ispirazione0 direttamente dalla guerra non fu raccolto dagli altri futuristi che preferirono continuare ad ispirarsi altrove. Eppure, l'intuito di Marinetti diede i suoi frutti. Proprio dai campi di battaglia arrivò la definitiva consacrazione della parola in libertà come simbolo del futurismo.
Del 1912 è La battaglia di Tripoli, cantata in presa diretta dell'evento che presentava vistosi elementi di ciò che poi fu codificato: quest’opera è una raccolta di elzeviri, o meglio di reportage poetici dalla guerra di Libia, che Filippo Tommaso Marinetti scrisse nel 1911. Redatti in francese, i testi furono pubblicati dal 25 al 31 dicembre a cadenza quotidiana sulla rivista, e solo successivamente tradotti in italiano e raccolti in un volumetto delle marinettiane Edizioni futuriste di Poesia. Benché il nome del traduttore non sia citato, è probabile che la traduzione sia opera di Decio Cinti, segretario di Marinetti che, cresciuto in Egitto, aveva ancora scarsa dimestichezza con la lingua letteraria italiana, che cominciò a impiegare a partire dal 1913, con Zang Tumb Tumb, redatto in francese ma poi pubblicato in italiano nel 1914.
Sempre nel 1912, nel Manifesto tecnico della letteratura futurista, Marinetti enunciò i principi fondamentali della poetica futurista. Il suo scopo era essenzialmente quello di liberare la poesia dagli schemi e dai modelli arcaici e vincolanti della cultura tradizionale. Rinnegando il passato Marinetti intendeva rivolgere la poesia al futuro. Anche il linguaggio deve essere rivoluzionario, se si vuole condurre fino in fondo il processo di definitiva rottura con la tradizione: la parola deve essere foneticamente, graficamente e sintatticamente liberata. Di qui i punti cardine della poesia futurista: l'abolizione della sintassi, vista come una gabbia che impedisce la piena adesione della letteratura alla realtà, e come il grado zero dal quale partire per creare la nuova letteratura futurista, e la disposizione a caso dei sostantivi; il verbo all'infinito, per dare il senso della durata e della continuità della vita, evitando l'individualità dell'azione; l'abolizione dell'aggettivo e dell'avverbio, inutili ornamenti che limitano la visione dinamica del mondo, per lasciare intatto il significato essenziale del sostantivo; l'abolizione della punteggiatura, sostituita da segni matematici e musicali, che insistono sull'aspetto fisico e quindi dinamico dell'oggetto, mentre la pagina è vivacizzata da spazi bianchi, linee, cerchi, caratteri tipografici diversi disposti con una massima libertà e originalità; l'analogia, intesa come sostantivo-doppio, per cogliere la vita della materia ed esprimere le intuizioni senza i condizionamenti della logica.
Nascevano così le parole in libertà, cioè senza alcun legame grammaticale-sintattico fra loro, senza organizzarle in frasi e periodi, collocate a caso sulla pagina, così come nascono nella mente dello scrittore, il quale accosta le immagini non vincolate da alcun filo logico, dando vita alla scrittura analogica, all'immaginazione senza fili, mediante le quali veniva abolita ogni mediazione fra ispirazione ed espressione. Per questo il poeta futurista doveva usare i più disparati elementi linguistici (espressioni dialettali, neologismi, onomatopee di suoni animali e meccanici), per esprimere immediatamente il meccanicismo psichico dell'impressione.
All'ordine dell'arte tradizionale si contrappone un massimo di disordine, fino alla proclamazione di una vera e propria estetica del brutto. All'intelligenza, infine, è sostituita la divina intuizione.
Marinetti intende dare voce alla realtà della materia, nelle sue risonanze profonde: di qui il tentativo di riprodurre il rumore, il suono, l'odore, inserendoli in un processo sinestetico, in quanto le sensazioni, per il loro movimento e la loro mutevolezza, tendono a confondersi e a compenetrarsi le une nelle altre.
Nel Manifesto tecnico della Letteratura Futurista del 1912, le critiche erano rivolte ai valori tradizionali, alla poetica corrente, giudicata sentimentale e nostalgica. Questo manifesto tecnico, accluso alla prima antologia dei poeti futuristi pubblicata dalle edizioni di Poesia, propose di regolare l'intervento sulle forme letterarie.
I punti del programma erano sempre undici, cifra che Marinetti considerava scaramantica, il primo dei quali recita: «Bisogna distruggere la sintassi, disponendo i sostantivi a caso, come nascono».
La compiuta espressione di quanto il letterato si predisponeva, arrivò due anni più tardi con Zang tumb tumb... che è un'opera letteraria di Marinetti.
Venne pubblicata a Milano a cura delle Edizioni futuriste di Poesia, nel 1914. In questo poemetto, ispirato all'assedio di Adrianopoli durante la guerra bulgaro-turca, l'autore utilizza metodi di stampa particolari inserendo caratteri tipografici di varie dimensioni, nonché grassetto e corsivo creando in tal modo un effetto visivo in grado di riportare il lettore al centro della battaglia del 1912. Il testo, dal forte carattere visivo, si compone delle parole in libertà, tecnica di scrittura futurista che prevede l'abolizione dei nessi sintattici tradizionali, il rifiuto di articoli, avverbi e aggettivi e l'uso di termini onomatopeici per riprodurre i suoni della guerra.
Questo è il primo libro parolibero, che può essere considerato il punto di partenza di tutta la moderna sperimentazione. La fonte di ispirazione dell'opera era la guerra, in particolare, il conflitto bulgaro-turco del 1912, vissuto in prima persona dall'autore, il quale, però, nella sua ricerca di un segnale totalmente nuovo, si lasciò ispirare anche dall'estetica della pittura futurista, i cui esponenti lavoravano sulle tele cercando di esprimere la simultaneità degli stati d'animo.
Era loro intenzione rappresentare «ciò che si ricorda e ciò che si vede»: su questa strada s'incamminò Marinetti, aiutato dalla roboante scenografia delle battaglie e deciso più che mai a scombinare i canoni del linguaggio tradizionale. L'impatto, ovviamente, non fu dei più morbidi: all'interno dello stesso movimento c'era chi ne era entusiasta e chi invece, scandalizzato, se ne andava.
Il 1912 fu anche l'anno del debutto internazionale dei pittori futuristi, con una mostra a Parigi che la stampa francese, complice il pubblicitario Marinetti, seguì con attenzione.
Le reazioni, anche qui, furono contrastanti: ad un Gustave Kahn favorevole si opposero i detrattori Guillaume Apollinaire e Andrè Salmon. L'effetto, comunque, era quello voluto: se ne parlava e la risonanza era forte. Nel 1913, due ex vociani, Giovanni Papini (1881 - 1956) e Ardengo Soffici  (1879 – 1964), protagonisti qualche anno prima della rissa con i futuristi, fondarono la rivista Lacerba (1913-1915).
Stanchi del rigorismo di Giuseppe Prezzolini (1882 - 1982) e favoriti dalla costante intermediazione di Palazzeschi, i due ex vociani abbracciarono le idee di Marinetti e, tramite la rivista, agitarono l'ambiente culturale fiorentino. Al di là dell’Italia, invece, la macchina futurista arrivò fino in Russia, dove già autonomamente si affermarono autori quali Majakovsij e Kamenskij. Su invito di Genrich Tasteven, studioso di passaggio a Parigi, Marinetti partì per un ciclo di conferenze tra Mosca e San Pietroburgo.
Il bilancio fu però deludente: egli giudicò negativamente le miriadi di correnti (cubofuturisti, egofuturisti e altro ancora) che caratterizzarono il movimento russo; dal canto loro, gli artisti locali considerarono Marinetti troppo borghese, distaccato da quel contatto con la terra che connotava la loro opera e la veste di eccessivo orgoglio etnico.
Tornato in Italia, Marinetti si dedicò alla promozione del futurismo musicale, favorendo le esibizioni di Balilla Pratella e dei suoi intonarumori, strumenti che producevano fischi, stridori, bisbigli, rombi e che accompagnavano l'orchestra.
Al solito, fischi e applausi: tra questi ultimi c'era quello di Igor Stravinskij che si dimostrò interessato alla novità. Insomma, cominciava a soffiare il vento del Futurismo, ma con esso anche altri venti e ben diversi: quelli del primo conflitto mondiale. Coerenti con l'idea che la guerra è la sola igiene del mondo, i futuristi pensavano che l’intervento era la cosa più giusta da fare. Essi indovinarono una forza in grado di spazzare, come scrive Marinetti, diplomatici, professori, filosofi, archeologi, (...) greco, latino, storia, senilismo, musei, biblioteche (...).
Nel mese di febbraio del 1915 venne ancora arrestato a Roma di fronte a Montecitorio. In quell’anno partecipò ad una manifestazione interventista con Mussolini e Balla. Scrive nelle sue memorie: "Il patriottismo milanese proiettato a Roma riunisce in Piazza di Trevi 150 repubblicani e 100 poeti pittori scultori musicisti futuristi. Sono frettolosi nell’insorgere quanto i duecento predisposti carabinieri in agguato con carrozzelle pronte. Crudo sussultante scambio di cazzotti legnate intorno ai due discorsi iniziati sui gradini della piccola vecchia chiesa che sotterfugia la messa. Noi agitatori siamo incarozzellati e portati in prigione cherubini ammanettati di raggi."
Convinti che il Futurismo abbia significato l'irrompere della guerra nell'arte, i futuristi si adoperarono affinché essa irrompesse anche nella società. Quindi, organizzarono comizi durante i quali lanciarono volantini che raffiguravano un cuneo che trapassava figure austro-tedesche, apportando un grande contributo all'entrata del Paese nel conflitto. Anche i futuristi andarono in trincea: Marinetti, Boccioni, Sironi ed altri compagni si arruolarono nel Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti e Automobilisti per poi passare nel settembre negli alpini. Partecipò a combattimenti sull’Altissimo e alla presa di Dosso Casina.
Nel 1918 il poeta, comandante di una blindata durante le operazioni militari di Vittorio Veneto, ottenne una medaglia al valore. Nello stesso anno fondò con Settimelli e Carli il giornale del partito politico futurista "Roma futurista".
L'esperienza del fronte, però, fu, per alcuni, di una tale violenza da indurli a ripensamenti.
Durante quegli anni, tuttavia, il movimento non si fermò e, nel 1916, nacque a Firenze la rivista L'Italia futurista, fucina di nuovi poeti paroliberi, tra i quali un giovane Salvatore Quasimodo.
L’Italia futurista fu una rivista letteraria uscita per la prima volta il 1° giugno 1916, sotto la direzione di Emilio Settimelli e Bruno Corra. Il giornale, che al suo interno annoverava personalità di spicco della cerchia futurista fiorentina, nacque dalla costola della rivista Lacerba. Tra gli argomenti maggiormente trattati, come ovvio del resto in quegli anni, la politica e la guerra. In questo senso, il maggior contributo non può che essere rappresentato dalle seguenti parole di Marinetti, pubblicate il 4 luglio 1916, sul numero quattro del rotocalco:
«La GUERRA è una grande e sacra legge della vita. Vita = aggressione. Pace universale = decrepitezza e agonia delle razze. Guerra = collaudo sanguinoso e necessario della forza di un popolo».
Parole nude, cruente, violente, tipiche del fondatore del Futurismo. Parole che rispecchiano alla perfezione la tendenza abbracciata dalla rivista, quella di un interventismo nazionalista che dimostrasse tutta la forza rampante della sacra patria italica.
Nel numero sei, del 25 maggio 1917, L’Italia futurista ripropone il Programma politico futurista già pubblicato quattro anni prima nelle colonne de Lacerba. Un modo per ribadire la forza e l’attualità delle proposte rivoluzionarie, a tratti dispotiche del movimento, che con l’adesione dell’Italia alla Grande Guerra, si illude di aver conquistato un consenso non solo artistico, ma anche, e soprattutto, politico a livello nazionale.
Sempre nel 1917, dopo la terribile disfatta di Caporetto, Filippo Tommaso Marinetti, Mario Carli ed Emilio Settinelli fondano una rivista di carattere del tutto politico, dal titolo Roma futurista, che dirigono direttamente dal fronte. Fondazione che, di fatto, segnò la fine del giornale L’Italia futurista.
Di seguito, proponiamo un passo estrapolato dalle pagine del giornale. Un passo intitolato No a Lacerba!, dal quale riusciamo a comprendere con grande chiarezza le distanze che divisero le due riviste, pur appartenenti entrambe al variopinto universo futurista.
«L’ITALIA FUTURISTA non continua assolutamente “Lacerba” di Papini e Soffici. “Lacerba”, poco interessante e poco diffusa prima della conversione dei suoi fondatori al futurismo, acquistò grande valore e popolarità quando gli uomini come Marinetti, Boccioni, Russolo, Balla, Pratella, Buzzi, Cangiullo, ecc., le regalarono le loro stupende energie. Ma poi, essendosi ritirati questi vivificatori, Lacerba riprese la sua meschina vita fino alla morte che fu di tisi. L’iniezione futurista nel suo corpo fradicio di passatismo dette risultati per un certo tempo, poi il morbo congenito finì per trionfare».
Marinetti rivolse la sua attenzione al cinema: nel 1917 girò, con alcuni colleghi, il film Vita futurista. C'era quindi fermento, ma c'era anche un cambiamento all'interno del gruppo dei futuristi.
La guerra si portò via Boccioni e Sant'Elia, mentre Palazzeschi, Carrà e Severini abbandonarono il nucleo storico. Marinetti, tuttavia, continuò nella sua frenetica attività a tutto campo; solo con la fine del conflitto, concentrò le sue forze sulla politica.
Da questo momento iniziò un periodo di flessione dell'artista e dell'uomo, incapace di imprimere al movimento una precisa direzione, grazie anche alla confusione politica che regna nel triennio 1918-1922.
Nel gennaio del 1918 Marinetti elaborò l'idea di fondare un partito futurista che potesse razionalizzare i fermenti politici e sociali che animarono la fine del conflitto Nel 1918 esce il Manifesto del Partito politico futurista e il Partito politico futurista, che voleva essere nettamente distinto dal movimento artistico futurista.
Il programma era ambizioso e articolato in una miriade di temi che partivano dall'educazione patriottica del proletariato e giungevano a quella militare nelle scuole, dalla riduzione degli effettivi nell'esercito ad un parlamento formato di soli tecnici.
Il manifesto del partito futurista italiano mette a fuoco le coordinate politiche del movimento futurista. Al primo posto ci sono l'educazione patriottica del proletariato, la lotta all'analfabetismo, la lotta all'insegnamento classico, l'educazione sportiva, l'insegnamento tecnico obbligatorio nelle officine, la libertà di sciopero, di riunione, di organizzazione, l'abolizione della polizia politica, la giustizia gratuita, la trasformazione della beneficenza in assistenza e previdenza sociale. Il programma prevedeva anche una decisa rivalutazione della donna, ammessa al voto, parificata all'uomo nelle retribuzioni e non più soggetta all'autorizzazione maritale. Ciò significava anche la disgregazione della famiglia: Marinetti chiese il divorzio e la svalutazione graduale dell'istituzione matrimoniale per arrivare al libero amore.
Più che un programma di partito il Manifesto del Partito politico futurista era lo specchio dello spirito vitalistico ed estetico dell'avanguardia futurista che per molti aspetti alimentò il fascismo. Marinetti a buon diritto dirà nel '24 che "il fascismo nato dall'interventismo e dal futurismo si nutrì di principi futuristi". Benedetto Croce ribadì che "per chi abbia il senso delle connessioni storiche, l'origine ideale del fascismo si ritrova nel futurismo".
Nel 1919 Marinetti promuove la costituzione dei Fasci politici futuristi che nasceranno in diverse città italiane. La politica marinettiana oscilla tra nazionalismo ed anarchismo, libertarismo e socialismo, tanto che alcuni critici parlano, soprattutto tra i seguaci di Marinetti, di un futurismo di destra e di un futurismo di sinistra.
Gli intenti rivoluzionari marinettiani, diretti a colpire quegli ex neutralisti, socialisti e borghesi che, secondo l'autore, infettavano la politica italiana, catturarono l'attenzione di Benito Mussolini. Marinetti, dapprima, ne rimase affascinato, convinto che fosse pieno di idee futuriste. Ma dopo la nascita dei fasci futuristi, Mussolini organizzò i suoi fasci per la scalata al potere.
col tempo, Marinetti cambiò opinione, deluso dalla sete di potere e dal temperamento napoleonico che segnavano il carattere di Mussolini. Il legame iniziale tra i due, però, era forte e le collaudate capacità organizzative del futurista andavano tutte a vantaggio della formazione del Fascismo, grazie all'apporto della rivista Roma futurista, organo del partito marinettiano, fondata nel febbraio 1919. Marinetti partecipò all'adunata milanese di Piazza Sansepolcro durante la quale nacquero i fasci di combattimento, ma i metodi mussoliniani non gli piacevano. Nell'aprile dello stesso anno, Marinetti fu coinvolto nei tumulti che si conclusero con l'incendio della redazione dell'Avanti!, distinguendosi però per aver protetto un operaio socialista dalla violenza dei fascisti.
Nel 1920, Marinetti si allontanò dal Fascismo, accusandolo di reazionarismo e di passatismo, rimanendo comunque una personalità rispettata e piena di considerazione da parte di Mussolini. Fu inevitabile, a questo punto, l’unione con la fazione opposta, quella comunista, che però rimase allo stadio del tentativo.
Nell'estate del 1920, Amedeo Bordiga espresse interesse per gli elementi rivoluzionari dell'interventismo. Tuttavia, i punti di contatto tra i futuristi e i comunisti si limitarono a poche cose: nel testo Al di là del comunismo, pubblicato nel 1920 ma elaborato durante i ventuno giorni di carcere che Bordiga scontò a San Vittore all'indomani della sconfitta elettorale, in seguito ad una perquisizione della polizia nella sede del comitato elettorale fascista, nel quale era nascosto un deposito di armi, Marinetti, considerando il comunismo "un'esasperazione del cancro burocratico che ha sempre corroso l'umanità", disapprovò le aspirazioni di livellamento sociale bolsceviche, sostenendo che la rivoluzione russa era un fenomeno estraneo agli italiani, popolo inguaribilmente individualista.
Di contro Marinetti manifestava apprezzamento per l'apertura dei bolscevichi alle avanguardie artistiche. Al di là del comunismo era il punto di partenza di una revisione, all'interno del Futurismo, che non portò a risultati politici. Dopo alcune iniziative comuni, anche i rapporti con la sinistra si lacerarono: Antonio Gramsci da un lato ne identificò l'impatto distruttivo nei confronti della cultura borghese e al contempo rivoluzionario nell'arte, nel costume e nel linguaggio, dall'altro, con Bordiga, ne contestò l'inattività sul piano dell'azione politica.
Marinetti, quindi, si ritrovò da solo.
Nel 1920 i futuristi uscirono dal movimento fascista.
Nel 1922, quando Mussolini ricevette l'incarico di formare il governo e cominciò a trasformare la rivoluzione in "regime", i futuristi sentirono subito di essere stati traditi.
Giuseppe Prezzolini, in un articolo intitolato Fascismo e futurismo, pubblicato il 3 luglio del 1923, scrive: "Evidentemente nel Fascismo c'è stato del Futurismo e lo dico senza alcuna intenzione. Il futurismo ha rispecchiato fedelmente certi bisogni contemporanei e certo ambiente milanese. Il culto della velocità, l'amore per le soluzioni violente, il disprezzo per le masse e nello stesso tempo l'appello fascinatore alle medesime, la tendenza al dominio ipnotico delle folle, l'esaltazione di un sentimento nazionale esclusivista, l'antipatia per la burocrazia, sono tutte tendenze sentimentali passate senza tara nel fascismo dal futurismo". Ma lo stesso Prezzolini, più avanti, spiega che nello sviluppo del Fascismo non c'era più posto per il Futurismo. Il ribollire di forze per Prezzolini andava bene per la rivoluzione, ma "stona in un periodo di governo". "Se il fascismo vuol segnare una traccia in Italia - continuava Prezzolini - deve espellere ormai tutto ciò che vi rimane di futurista, ossia di indisciplinato e anticlassico. Sarei troppo seccante se ai miei conoscenti del movimento futurista chiedessi un franco giudizio sulle riforme classiciste del ministro Gentile?".
Marinetti era un irregolare: contestava la pachidermica pigrizia politica e parlamentare di quegli anni, ma era lontano dalla protesta dei fasci e si allontanava sempre più da Mussolini, pur non distaccandosene completamente. Infatti, a novembre, Marinetti si candidò alle elezioni politiche nel listone del blocco fascista: non fu eletto e la sua delusione si manifestò prima con un ritorno all’arte, poi con la rottura con i fasci di combattimento.
Durante gli anni di rapporto con la sinistra comunista, comunque, non mancò lo slancio artistico: nel 1921 nacque il tattilismo, forma d'arte e di vita che permise di migliorare i rapporti interpersonali, favorendo la comunicazione del pensiero attraverso il tatto.
Un ruolo importante, in questo nuovo aspetto, giocò Benedetta Cappa, detta Beny, una ragazza conosciuta nello studio di Balla della quale Marinetti s’innamorò perdutamente. I due si sposarono nel 1921 e, grazie a quell'unione, dalla quale nacquero Vittoria nel 1927, Ala nel 1928 e Luce nel 1932, Marinetti abbandonò la concezione di un amore fatto solo di rapporti fisici, riscoprendo le virtù dei sentimenti. Gli amplessi con Beny, conditi però da robustissime dosi di romanticismo, convinsero Marinetti delle inesplorate capacità del tatto, in grado di aumentare la percezione di qualsiasi esperienza: «La stretta di mano, il bacio e l'accoppiamento sono forme di trasmissione del pensiero».
Nacque così l'opera d'arte da toccare, per meglio intendere l'idea del suo creatore: ma si trattò solo di un'impennata. La delusione politica fu intensa, ampiamente manifestata in due scritti del 1922: il romanzo Gli Indomabili e il manifesto L'inegualismo che ne segnarono l'abbandono per tornare all'arte. L'imporsi del Fascismo, però, indusse Marinetti a una svolta all'indietro per chiedere a Mussolini di considerare il futurismo come arte di regime. Mussolini lo appoggiò; tuttavia, la congenita irregolarità di Marinetti ne complicò la posizione in seno al Fascismo.
Il giornale L'impero diede spazio ai futuristi, ma proprio per questo fu criticato. Mussolini era però legato a Marinetti da una sincera amicizia e, proprio grazie ad essa, quest'ultimo si permetteva iniziative antifasciste, quali la liberazione di Ferruccio Parri dal confino di Lipari.
Durante i primi anni del regime, l'attività artistica rallentò, mentre quella pubblicitaria continuava a espandersi. Marinetti portò a termine continui viaggi all'estero, esportando il verbo futurista e influenzando numerose correnti d'avanguardia. Tra un viaggio e l'altro, però, Marinetti si inventò anche un nuovo tipo di teatro: lo spettacolo multiplo, regno del caos. L'orchestra era sparpagliata tra il pubblico in sala, alcuni suoi membri intonavano a voce il suono degli strumenti, sul palco, nella nicchia del suggeritore, c'era il dimenticatore, col ruolo di confondere gli attori e far loro sbagliare le battute.
Lo scandalo, questa volta, fu minore rispetto alle vecchie serate futuriste; ciò dimostrò, però, che l'inventiva marinettiana non si esauriva. Anzi, nuovi stimoli arrivarono dallo sviluppo dell'industria aeronautica. L'aeroplano incarnò un mito e Marinetti ne fu totalmente coinvolto.
Con la consueta indipendenza da tutto, nei primi anni del 1930, Marinetti propose il rivoluzionario Dizionario Aereo. Mentre il regime si adoperava alacremente per l'eliminazione dalla lingua italiana delle parole straniere, Marinetti, ispirato dagli apparecchi, propose l'adozione di termini che ne imitassero la velocità.
Marinetti, nel 1931, scrisse: «Distruggere il tempo mediante blocchi di parole fuse, mediante un'alogica miscela dei vari tempi dei verbi, esprimere la varietà delle posizioni dell'apparecchio».
Le ali sulle quali viaggiava il nuovo messaggio linguistico erano quelle della radio, che, appunto, con l'aereo, dominò la tarda stagione futurista. Una stagione durante la quale il movimento ebbe fama mondiale che incoraggiò il suo creatore a una continua sperimentazione: fotografia, danza, fino alla gastronomia con gli inconsueti accoppiamenti di sapore dei bocconi simultanei.
Nemmeno la moda riuscì a evitare il ciclone futurista e, anche in questo settore, Marinetti confermò il suo spirito innovatore, proponendo soluzioni che erano agli antipodi dei canoni fascisti del fez e dell'orbace. Erano trasgressioni che il regime gli perdonò, data la risonanza internazionale del movimento, che contribuì a esportare elementi italiani. Il clima politico, però, si fece via via più teso e condizionò la libertà di cui, in quel momento, godeva Marinetti.
Durante la metà del 1930, Marinetti si trovò tra due fuochi, l'Asse e i suoi avversari.
Da un lato, il Nazismo ne combatté l'avanguardia; dall'altro, gli ambienti internazionali, soprattutto quelli francesi, a lui molto vicini, ne contestarono l'appoggio al regime. E proprio dalle frange estremiste di quest'ultimo, arrivarono gli attacchi più dolorosi.
I contrasti, però, furono rimossi con l'inizio della guerra, che spostò l'attenzione su altri problemi. L'epoca del Futurismo, a questo punto, si deve considerare conclusa.
Marinetti visse gli anni del conflitto studiando, quasi da semiologo, nuovi sviluppi della parola in libertà e curandosi da ripetute crisi cardiache, una delle quali, il 2 dicembre 1944, gli fu fatale. Morì a Bellagio, sotto la Repubblica di Salò e fu tumulato del cimitero monumentale di Milano.
È difficile tracciare un bilancio sul futurismo e sulla figura di Filippo Tommaso Marinetti. La sua ambiguità, in particolare, causò una vera spaccatura in seno all'ambiente letterario.
Carlo Bo scrisse: «Quella che doveva essere l'illimitata libertà del futurismo è stata annullata da un sincero ma inutile patriottismo. Noi possiamo rendere omaggio a Marinetti, ma allo stesso tempo non possiamo dimenticare che egli ha sciupato una delle rare occasioni offerte alla letteratura italiana di lavorare fuori dei pregiudizi e delle regole morte».
Invece, Ezra Pound scrisse: «Marinetti e il futurismo hanno dato un grande impulso a tutta la letteratura europea. Il movimento al quale Joyce, Eliot, io stesso e altri abbiamo dato origine a Londra non sarebbe esistito senza il futurismo».
I posteri, che siamo noi, non hanno ancora dato l'ardua sentenza.
Alessandro Somma

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