lunedì 7 luglio 2014

Leonardo Dudreville: la pittura dalle Idee chiare chiaramente espresse di Massimo Capuozzo

Leonardo Dudreville (1885-1975) è stato un protagonista, sebbene anomalo, tra i più indicativi dell'arte italiana della prima metà del Novecento: vicino a tanti movimenti del suo tempo il suo percorso espressivo si è, infatti, svolto dal divisionismo al futurismo, dal Novecento Italiano – di cui è stato sempre un esponente inquieto, eretico, e forse per questo il valore della sua opera è stato a lungo trascurato – fino a giungere al realismo fiammingo.
Pur non essendo tra i pittori più noti al grande pubblico, il suo nome è ben noto ai frequentatori di musei e, soprattutto, ai collezionisti di pittura moderna, che sono disposti a spendere per le sue opere anche cifre importanti.
Dudreville è una vera e propria finestra sulla pittura del Novecento, che Dudreville ha attraversato con grande eclettismo e con una particolare capacità di interpretare, talvolta di anticipare, i mutamenti del clima culturale.
Leonardo Dudreville nacque a Venezia, 4 aprile 1885 da genitori veneziani di lontana origine francese – il nome della famiglia Dudreuil era stato italianizzato nell'Ottocento in Dudreville. Nonostante una menomazione fisica, aveva, infatti, perduto un occhio giocando con una balestra all'età di nove anni, Dudreville si dedicò comunque precocemente alla pittura. Si trasferì ben presto a Milano, dove compì i suoi studi presso l'Accademia di Brera: qui, Dudreville, entrò in contatto con l'ambiente divisionista lombardo che influenzò fortemente la sua opera lungo il corso del suo primo periodo artistico.
Nel 1905 strinse amicizia con Anselmo Bucci, con il quale affittò uno studio e realizzarono, con Luigi Arrigoni, Eugenio Bajoni, Guido Caprotti e ad altri, al Coenobium monzese, un vivace cenacolo culturale frequentato da pittori, scultori e letterati unito nella difesa e nell’affermazione dei valori fondamentali dell’arte.
Nel 1906 si recò a Parigi con Anselmo Bucci e lo scrittore Mario Bugelli.
Nella capitale francese restò solo per pochi mesi, prima di tornare in Italia.
Nel 1907 si presentò ad Alberto e Vittore Grubicy de Dragon con le sue prime opere, segantiniane e divisioniste: i due noti galleristi, ma anche virtuosi talent-scout, erano i maggiori sostenitori del divisionismo, apprezzarono i suoi dipinti e lo accettarono tra gli artisti della galleria quando aveva poco più di vent’anni; questo diede a Dudreville la possibilità di esporre con loro a Parigi.
Particolare emozione suscita la prima produzione di Dudreville, quella divisionista o comunque influenzata da questa tendenza. La Trilogia Campestre – un monumentale trittico di tre pannelli che Dudreville nel 1912 presentò alla Permanente di Milano ritenuto a lungo disperso e ora conservato a Lugano nei Civici Musei – è certamente il punto più elevato di questa fase pittorica che ha come tema l’armonia della natura.
La “Trilogia campestre” è ancora un lavoro giovanile, ma fondamentale per capire il pensiero di Dudreville, animato da un profondo naturalismo.
La trilogia composta da pannelli laterali che appartengono a una stagione ancora divisionista e rappresentano rispettivamente un paesaggio notturno un prato invaso dalle lucciole Le voci del Silenzio e uno solare, una campagna lavorata dai contadini con le nubi pastose segantiniane di Terra-Madre grande. Nella tela centrale, Quando le campane martellano, è raffigurata una giornata domenicale: una sagra paesana, illuminata dai vestiti delle persone che sfilano in processione sia verso la chiesa sia verso l’osteria. Alla commozione della visione della natura corrisponde l’ironia con cui è ritratto l’uomo.: è una pittura non più fondata su una semplice osservazione della realtà esterna, ma orientata dal ritmo interiore delle cose.
Non volendo rimanere un epigono della pennellata divisa, già nel 1912 maturò un nuovo stile, infatti, si accostò all'avanguardia futurista, anche perché lo spinse in tal senso la vecchia amicizia con Boccioni e Severini che aveva già conosciuto a Parigi con Bucci nel 1908; conobbe Bonzagni e i futuristi, ma non fu incluso tra i firmatari del Manifesto, ma la sua pittura, dal 1912, si volse ad un’astrazione di ascendenza simbolista.
Dal 1912-13 Dudreville praticò una pittura che aveva punti di contatto col futurismo, ma polemizzò radicalmente col movimento di Marinetti, di cui non condivise l’entusiasmo per la città moderna, il mito della velocità e della macchina, la mistica eroica ed interventista della guerra.
Pur non aderendo del tutto al movimento futurista, si interessò al concetto di ritmo e al suo rapporto con il colore.
La sua pittura, che intorno al 1913 maturò una singolare forma di astrazione di matrice simbolica, mostrò comunque alcuni punti di contatto col futurismo, soprattutto nella ricerca del ritmo dell'immagine.
Nel 1913, per chiarire la sua posizione, fondò con il critico Ugo Nebbia il gruppo Nuove Tendenze, comprendendo precocemente il valore di artisti allora sconosciuti come Carlo Erba, Achille Funi, Antonio Sant’Elia e Mario Chiattone, che chiamò a farne parte e intuendo ancor più precocemente le potenzialità dell’astrazione. La sua dichiarazione di poetica, pubblicata nel catalogo dell’unica mostra del gruppo, tenuta nel 1914 a Milano alla Famiglia Artistica, è in realtà il primo manifesto dell’astrazione in Italia: una primogenitura scomoda, che prima gli causò l’accusa di copiare Kandinsky, poi non gli fu più riconosciuta, né in bene né in male.
Il gruppo Nuove Tendenze ebbe, però, vita breve e si sciolse dopo l'unica mostra milanese.
Capolavori di questo periodo sono le grandi composizioni delle quattro stagioni la Primavera del 1912, l'Estate, l'Autunno, l'Inverno del 1913 tutti alla Civica Galleria Giannoni di Novara, che interpretano il tema delle stagioni alla luce della sensibilità astratto-futurista dell’epoca.

La Primavera fu realizzato in un periodo in cui Dudreville, in polemica con l'iconografia futurista incentrata sul mondo moderno, cittadino e industriale, ha affrontato un soggetto naturalistico volutamente tradizionale. Come scrisse lo stesso Dudreville: «Ho voluto scegliere di proposito un tema banale e comune: Le quattro stagioni, figurati! Ma voglio dimostrare che non è la stranezza o la modernità dei temi quella che conta, ma il modo di vedere, poiché lì soltanto può esistere originalità vera».
Sono di questo periodo anche gli affascinanti Ritmi emananti da Antonio Sant'Elia del 1913; il profetico Eroismo, tragedia, follia… del 1914, che si oppone all’interventismo allora dominante e denuncia l’assurdità della guerra; il lirico Nel bosco dei castagni ora alla Galleria Civica Aroldo Bonzagni di Cento, che diede scandalo alla Biennale di Brera del 1916; il monumentale Aspirazione del 1917, che simboleggia la nevrosi della metropoli moderna; e infine Senso, un nudo di donna che, alla Mostra Nazionale Futurista del 1919, fu molto ammirato da D’Annunzio.
Nel 1919 Dudreville maturò un personale Ritorno all’ordine, decidendo di abbandonare l'astrattismo per ritornare ad una figurazione classica e realista: da questo momento il suo motto divenne "Idee chiare, chiaramente espresse".
Alla base di questo radicale cambiamento ci fu la parentesi di guerra vissuta tra il 1915 e il 1918, cui Dudreville però non partecipò perché riformato, ma che rappresentò per il pittore una crisi artistica destinata a rivoluzionare il suo modo di concepire l'arte.
Nel 1919 Dudreville ritornò ad una pittura realista, avvicinandosi al cenacolo che gravitava intorno a Margherita Sarfatti e nel 1920 firmò con Mario Sironi, Achille Funi e Luigi Russolo il Manifesto contro tutti i ritorni in pittura. Di particolare intensità sono in questi anni paesaggi come Il cantiere del 1920, simbolo della ricostruzione dopo la guerra.
Nel 1921 realizzò il grande bassorilievo con Figura femminile, l’unica scultura realizzata dall’artista; i ritratti di familiari e conoscenti – il padre; il figlio Giacomino; la compagna Marcella; Studio di carattere della collezione Carima di Macerata –, dipinti senza abbellimenti, con una precisione da entomologo.
Dudreville fu uno dei più attivi nel percorso che portò alla fondazione del Novecento Italiano.
Nel 1922 fu tra i fondatori del gruppo Sette pittori del Novecento – comprendente Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig, Oppi, Sironi – ma come fu avanzato nell’adesione lo fu anche nel distacco: la sua partecipazione al gruppo fu breve, infatti, se ne distaccò nel 1924 e si espresse in un’oggettività fiamminga, vicina alla Neue Sachlichkeit, la Nuova oggettività, un movimento artistico sorto in Germania alla fine della prima guerra mondiale che coinvolse principalmente la pittura.
Il casus belli fu il dipinto Amore: discorso primo, esposto nel 1924 alla mostra dedicata ai Sei pittori del Novecento della XIV Biennale di Venezia che rappresenta un nodo importante per Leonardo Dudreville.
Il dipinto raffigura il prospetto notturno di un palazzo veneziano abitato da diversi gruppi di persone.
«Questo mio quadro figurativo e realistico – scrive Dudreville – venne dopo una parentesi astrattista di qualche anno (...) Esso rappresenta lo spaccato di un palazzo veneziano visto di notte, con le diverse famiglie e vari episodi riferentisi ai molteplici aspetti dell'amore (...) Questo quadro (...) è rimasto sul cavalletto, nel mio studio, per più di tre anni. Naturalmente non ho lavorato sempre ad esso esclusivamente, si capisce (...) Ma certamente, per la sua mole, le sue ventisette figure, le sue architetture e tutti gli studi preparatori che ho dovuto fare per eseguirlo, posso ben considerarlo ancor oggi l'opera di maggior lena e fatica da me realizzata».
Così, nelle sue memorie, Dudreville descriveva quest'opera, la sola con cui si presentò alla mostra Sei pittori del Novecento nell'ambito della Biennale del 1924. Amore: discorso primo rappresentava infatti il dipinto di maggior impegno dopo il ritorno ad una pittura realistica, inaugurato nel 1919 con Il caduto. E i molti studi e bozzetti preparatori lo testimoniano: eseguiti tanto per i personaggi sia per grandi e piccoli particolari. L'intento narrativo è chiaro, preciso. Ideato come un grande polittico, in ognuno dei sei scomparti è rappresentato uno o più aspetti dell'amore, in una sorta di tableau vivant d'altri tempi: l'amore coniugale e l'adulterio, l'amore animale e artistico, l'amore sacro, e quello profano, l'amore nelle varie età, da quella infantile a quella senile, l'amore desiderato, inappagato o dimenticato.
Probabilmente, per una maggior aderenza al vero, Dudreville ritrasse tra i personaggi se stesso, nel riquadro in alto a sinistra, con il bicchiere, come nello studio prima citato; suo padre, intento a leggere il giornale, in alto a destra; Marcella, la sua prima compagna, in alto al centro con il bimbo; protagonisti, questi ultimi, di due ritratti eseguiti nello stesso periodo. E un rimando autobiografico si legge anche nell'ambientazione, Venezia, città natale sua e dei suoi genitori, ai quali l'opera è dedicata.
Se Nebbia la definì «ingeniosissima, greve di concetto», proprio la Sarfatti, corifea e critico di riferimento del gruppo di Novecento, mostrò di non apprezzare quest’opera la giudicò «troppo vasta (...) e narrativa e dimostrativa più che non pittoresca e plastica». La presenza di tanti minuziosi dettagli e l’assenza di una dimensione neo-classica, atemporale e sintetica, fu considerata dalla Sarfatti inopportuna.
Il motivo delle dimissioni, poco dopo l'inaugurazione della Biennale, di Dudreville da Novecento va ricercato più nel significato che queste parole assumono sul piano stilistico, che nei dissidi politici e fu il pretesto per Dudreville di allontanarsi dal gruppo del Novecento Italiano.
L’iconografia di questo dipinto ha molti elementi in comune con l’opera An die Schönheit dell’artista tedesco Otto Dix , conservata presso il Von der Heydt-Museum di Wuppertal, in Germania. Esposta alla medesima edizione della Biennale, l’opera sulla bellezza contiene tutte le caratteristiche della corrente più radicale della Nuova Oggettività, attenta al vero e alla critica sociale.
Il dipinto Amore: discorso primo ha anche una esplicita componente autobiografica: ambientato nella città natale di Dudreville, è dedicato ai genitori e comprende i ritratti dell’artista (con il bicchiere in mano), del padre (mentre legge il gior­nale) e della prima compagna Marcella (mentre lava il bambino). Dal quadro emerge una visione pessimista della famiglia, forse condizionata dai dissidi tra i genitori che avevano influito negativamente sulla crescita dell’artista.
Da allora Dudreville procedette isolato, tenendosi orgogliosamente lontano dal gruppo, anzi non risparmiando qualche battuta sarcastica sulla pittura monumentale, che costituisce l’ultima stagione novecentista.
Nel frattempo la sua pittura era approdata ad un realismo minuzioso che si esprime particolarmente nelle nature morte, oltre che nei paesaggi. L’esito più alto sono le piccole nature morte, caratterizzate da un disegno nitido e millimetrico, in cui si alternano animali, oggetti, elementi naturali: da Argento del 1927 a Cacciagione, esposto alla Quadriennale di Roma del 1935, a Natura morta con beccaccia, presente alla Biennale di Venezia del 1942.
Negli anni Trenta l'artista aveva proseguito la sua solitaria ricerca, esponendo alla Quadriennale di Roma e a due personali milanesi presso la Galleria Dedalo nel 1936 e presso la Galleria Gian Ferrari nel 1940.
Tale ricerca realistica proseguì anche dopo il 1942, anno in cui Dudreville si trasferì sul lago Maggiore, nel piccolo paese di Ghiffa, dove era sfollato nel 1942, dedicandosi fino agli ultimi giorni di vita alle nature morte – soprattutto cacciagione – ai paesaggi e ai ritratti. Anche la sua decisione di vivere per sempre sul Lago Maggiore, fu la conseguenza di un distacco dal sistema dell’arte che aveva maturato da tempo.
Nel 1959-60 un collezionista newyorchese, Richard Miller, acquistò le sue più espressive composizioni astratto-futuriste: Dissidio domestico quotidiano, Espansione della lirica, Urto del tragico, In treno attraverso la Pianura padana. Era un importante traguardo per l’artista, che poco dopo fu invitato all’importante mostra “Futurism”, aperta al MoMA nel 1961, ma purtroppo si tradusse in una dispersione delle sue opere, che andarono divise fra raccolte americane e australiane, essendo tutt’oggi di difficile reperimento.
La morte lo colse nel 1976.
Massimo Capuozzo

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1 commento:

  1. Bello e soprattutto ricco di notizie su Dudreville. Io sono stato, da bambino, a Ghiffa, negli anni 50-60, suo allievo privato. Ricordo che dei miei parenti avevano due vedute lacustri di Dudreville. Peccato che in questo post non ci siano illustrazioni relative a questo periodo.

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