domenica 6 luglio 2014

Il mito della seconda guerra mondiale di Mark Weber

La Seconda Guerra Mondiale non fu solo il più grande conflitto militare della storia, ma anche la più importante guerra americana del ventesimo secolo. Essa portò cambiamenti sociali, governativi e culturali profondi e permanenti negli Stati Uniti, ed ebbe un grande impatto sul modo in cui gli Americani vedono loro stessi e la posizione della loro nazione nel mondo.
Questo scontro globale è ritratto normalmente negli Stati Uniti come la ‘guerra giusta’, un conflitto moralmente ben definito tra il Bene e il Male.
Dal punto di vista dello scrittore e storico britannico Paul Addison, “la guerra servì ad una generazione di britannici e americani come un mito che rappresentasse la loro purezza essenziale, una parabola del bene e del male”. Dwight Eisenhower denominò il combattimento contro i nazisti ‘la Grande Crociata’.
Il presidente Bill Clinton disse che nella Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti “salvarono il mondo dalla tirannia”. Agli americani è raccontato che essa fu una guerra necessaria e inevitabile, che gli Usa dovettero dichiarare per evitare di farsi schiavizzare da crudeli e spietati dittatori.
Quantunque gli americani possano aver avuto dubbi o timori riguardo il ruolo della loro nazione in Iraq, Vietnam, o altri conflitti oltremare, la maggior parte accetta il fatto che i sacrifici fatti dagli USA nella Seconda Guerra Mondiale, specialmente nello sconfiggere la Germania di Hitler, fossero interamente giustificati e lodevoli.
Per più di sessant’anni, tale visione è stata rinforzata tramite un’infinità di film, la televisione, gli insegnanti, i libri di testo, e dai leader politici. La maniera riverente con cui il ruolo degli Stati Uniti è stato disegnato ha indotto Bruce Russett, professore di Scienze politiche all’Università di Yale, a scrivere: “La partecipazione alla guerra contro Hitler rimane quasi interamente sacrosanta, quasi nel campo della teologia… Nonostante critiche alla politica americana nel ventesimo secolo vengano messe in circolazione, la partecipazione degli Stati Uniti alla Seconda Guerra Mondiale rimane quasi interamente immune. Secondo la nostra mitologia nazionale, quella fu una ‘guerra giusta’, una delle poche in cui i benefici ebbero chiaramente maggior peso rispetto ai costi. Tranne che per pochi libri pubblicati subito dopo la guerra e velocemente dimenticati, tale ortodossia sostanzialmente non è stata sfidata”.
Quanto è accurata questo venerata rappresentazione del ruolo americano nella Seconda Guerra Mondiale? Come possiamo vedere, non regge se sottoposta ad un esame ravvicinato.
Prima di tutto, diamo uno sguardo allo scoppio della guerra in Europa.
Quando i leader della Gran Bretagna e della Francia dichiararono guerra alla Germania il 3 settembre 1939, essi annunciarono che lo stavano facendo perché le forze militari tedesche avevano attaccato la Polonia, minacciando così l’indipendenza polacca. Nell’andare in guerra contro la Germania, i leader francesi e inglesi trasformarono ciò che era un conflitto, limitato geograficamente e della durata di due giorni, tra Germania e Polonia, in un conflitto esteso in tutta Europa.
Divenne presto ovvio che la giustificazione anglo-francese per andare in guerra non fosse sincera. Quando le forze sovietiche attaccarono la Polonia dall’est due settimane più tardi, occupando sostanzialmente un territorio più grande rispetto a quanto aveva fatto la Germania, i capi britannici e francesi non dichiararono guerra all’Unione Sovietica. E nonostante la Gran Bretagna e la Francia fossero entrate in guerra per proteggere, in teoria, l’indipendenza polacca, alla fine del conflitto nel 1945 la Polonia non era ancora libera, ma si trovava invece sotto il dominio brutale della Unione Sovietica.
Sir Basil Liddell Hart, un eminente storico militare inglese del ventesimo secolo, pone la questione in questo modo: “Gli alleati occidentali entrarono in guerra con un doppio obiettivo. Lo scopo immediato era di mantenere la loro promessa di preservare l’indipendenza della Polonia. Lo scopo finale consisteva nel rimuovere una potenziale minaccia per loro stessi, e garantire perciò la loro sicurezza. In fin dei conti, essi fallirono entrambi gli obiettivi. In primo luogo, non solo non ebbero successo nel prevenire che la Polonia venisse sopraffatta, e divisa tra Russia e Germania, ma dopo sei anni di guerra che terminò con un’apparente vittoria furono forzati a riconoscere la dominazione russa sulla Polonia – abbandonando le promesse fatte ai polacchi che avevano combattuto dalla loro parte”.
Nel 1940, subito dopo essere stato nominato Primo Ministro, Winston Churchill spiegò, in due discorsi spesso riportati, le sue ragioni per continuare la guerra contro la Germania. Nel suo famoso discorso ‘Sangue, sudore e lacrime’, il grande leader britannico affermò che a meno che la Germania non fosse stata sconfitta, “non ci sarebbe stata possibilità di sopravvivenza per l’impero britannico, nessuna possibilità di sopravvivenza per tutto ciò che l’impero britannico aveva significato…”.
Poche settimane dopo, nel suo discorso sulla ‘Ora migliore’, Churchill disse: “Da questa battaglia dipende la sopravvivenza della civiltà cristiana. Da essa dipendono la nostra vita e la continuità delle nostre istituzioni e del nostro Impero”.
Come suonano strane oggi queste parole. Nonostante la Gran Bretagna abbia in teoria ‘vinto’, o almeno stesse dalla parte dei vincitori, l’allora potente impero britannico è svanito nella storia. Nessun leader britannico oggi oserebbe difendere la spesso brutale documentazione dell’imperialismo britannico, che comprende uccisioni e bombardamenti allo scopo di mantenere uno stato di sfruttamento coloniale su milioni di persone in Africa e Asia. Nessun leader britannico oserebbe neppure giustificare le uccisioni allo scopo di sostenere la ‘civiltà cristiana’, non ultimo per paura di offendere la grande e crescente popolazione non cristiana della Gran Bretagna.
Gli americani amano credere che i ‘bravi ragazzi’ vincono, e i ‘cattivi ragazzi’ perdono e, negli affari internazionali, che le nazioni ‘buone’ vincono le guerre, e le nazioni ‘cattive’ le perdono. Mantenendo tale visione, gli americani vengono incoraggiati a credere che il ruolo avuto dagli USA nella sconfitta della Germania e del Giappone dimostrò la correttezza del ‘modello americano’, e la superiorità della nostra forma di governo e società.
Tuttavia, se tale visione avesse una qualche validità, sarebbe molto più accurato affermare che il risultato della guerra mostrò la correttezza del ‘modello sovietico’, e la superiorità della forma di governo e società del comunismo sovietico. Infatti, tale fu per decenni un’orgogliosa richiesta dei leader di Mosca. Come afferma un libro di storia ufficiale sovietico, pubblicato nel 1970:
“La guerra dimostrò la superiorità del sistema sociale e statale sovietico… La guerra dimostrò inoltre l’unità politica e sociale del popolo sovietico… Ancora una volta essa sottolinea il significato del ruolo avuto dal partito comunista nell’organizzare e guidare la società. Il partito comunista compattò milioni di persone nel combattimento contro gli aggressori fascisti… La dedizione altruistica dimostrata dal partito comunista durante gli anni della guerra solidificò ulteriormente la fiducia, il rispetto e l’amore nel popolo sovietico”.
Infatti, la Germania di Hitler fu sconfitta, prima di tutto, dall’Unione Sovietica. Circa il 70-80 percento delle forze tedesche fu sconfitto dall’esercito sovietico sul fronte orientale. Lo sbarco del D-Day in Francia effettuato dalle forze americane e britanniche, che viene spesso ritratto negli Stati Uniti come un importante colpo militare contro la Germania nazista, fu lanciato nel giugno 1944 – cioè, meno di un anno prima della fine della guerra in Europa, e mesi dopo le grandi vittorie dell’esercito sovietico a Stalingrado e Kursk, che furono decisive per la sconfitta della Germania. Quali erano gli obiettivi nella Seconda Guerra Mondiale, e quanto successo ebbero gli USA nel raggiungerli? Nel 1941 il presidente Franklin Roosevelt, insieme al primo ministro britannico Winston Churchill, pubblicò una formale dichiarazione degli obiettivi di guerra degli Alleati, la tanto pubblicizzata ‘Carta Atlantica’. In essa, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna dichiaravano di non ricercare “nessun cambiamento territoriale che non si accordi con i desideri liberamente espressi dalle persone coinvolte”, che essi avrebbero “ rispettato il diritto di tutti i popoli a scegliere le forme di governo sotto le quali essi avrebbero vissuto”, e che si sarebbero sforzati “di vedere restaurati i diritti di sovranità e di autogoverno per coloro che ne erano stati privati con la forza”.
Divenne presto chiaro, invece, che tale solenne dichiarazione di libertà e autogoverno per ‘tutti i popoli’ era poco più che vuota propaganda. Ciò difficilmente sorprende, considerato che i due alleati militari più importanti durante la guerra erano la Gran Bretagna e l’Unione sovietica – vale a dire il principale potere imperialista mondiale e la tirannia più crudele al mondo.
Allo scoppio della guerra nel 1939, la Gran Bretagna comandava il più grande impero coloniale della storia, contenente il maggior numero di persone (milioni) governate contro la loro volontà rispetto a qualsiasi altro regime mai esistito fino ad allora. Questo vasto impero includeva quelli che adesso sono l’India, il Pakistan, il Bangladesh, la Malesia, la Nigeria, il Ghana, il Kenya, l’Uganda, la Tanzania e il Sudafrica.
L’altro grande alleato dell’America in tempo di guerra, l’Unione Sovietica, fu, in misura obiettiva, il regime più tirannico e oppressivo del suo tempo, e un dispotismo largamente più crudele di quello della Germania di Hitler.
Come riconoscono gli storici, le vittime del dittatore sovietico Stalin superano largamente coloro che perirono grazie alle politiche di Hitler.
Robert Conquest, un importante studioso della storia della Russia nel ventesimo secolo, stima il numero di coloro che persero la vita in conseguenza delle politiche di Stalin come “non meno di venti milioni”.
Durante la guerra gli Stati Uniti contribuirono sostanzialmente a mantenere la tirannia di Stalin, e ad aiutare l’Unione Sovietica nell’oppressione di milioni di altri europei, e allo stesso tempo aiutarono la Gran Bretagna a mantenere o ristabilire il suo ordinamento imperiale nei confronti di milioni di persone in Africa e Asia.
Paul Fussell, un professore all’Università della Pennsylvania che partecipò alla Seconda Guerra Mondiale come luogotenente dell’esercito statunitense, scrisse nel suo acclamato libro ‘Wartime’ [Tempo di guerra, ndt] che “la guerra degli Alleati è stata ripulita e romanzaticizzata oltre ogni modo dai sentimentali, dai patriottici pazzi, dagli ignoranti e dai sanguinari”.
Una caratteristica importante di tale visione ‘ripulita’ è la credenza che mentre il regime nazista fu responsabile di molti crimini di guerra e atrocità terribili, gli Alleati, e specialmente gli Stati Uniti, condussero la guerra umanamente. Infatti, la documentazione dei misfatti compiuti dagli alleati è lunga, e include i bombardamenti anglo-americani delle città tedesche, una campagna terroristica che tolse la vita a più di mezzo milione di civili, la ‘pulizia etnica’ di milioni di civili in Europa centrale e orientale, e il maltrattamento su larga scala dei prigionieri tedeschi dopo la guerra.
Dopo “quaranta mesi di guerra e cinque grandi battaglie” in cui Edgar L. Jones fungeva da “autista d’ambulanza, marinaio commerciante, storico dell’esercito e corrispondente di guerra”, egli scrisse un articolo che dissipava alcuni miti riguardanti il ruolo degli americani nella guerra. “Che tipo di guerra suppongono i civili che combattessimo?” chiese mensilmente ai lettori di ‘The Atlantic’. “Sparavamo ai prigionieri a sangue freddo, distruggevamo gli ospedali, mitragliavamo le scialuppe, uccidevamo o maltrattavamo i civili nemici, finivamo i nemici feriti, gettavamo i moribondi in un buco con i morti, e nel Pacifico bollivamo la carne dai teschi nemici per fare ornamenti da tavolo per gli innamorati, o scolpivamo le loro ossa per farne dei tagliacarte”.
Appena dopo la fine della guerra, i poteri vincitori processarono i capi tedeschi per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Facendo ciò, gli USA e gli alleati posero i capi tedeschi su un livello che essi stessi non avevano rispettato. Robert Jackson, membro della Corte Suprema di Giustizia statunitense, non fu l’unico ufficiale americano d’alto rango che riconobbe, almeno in privato, che la dichiarazione sulla correttezza degli Alleati fosse un mero pretesto. In una lettera al presidente, scritta mentre svolgeva la funzione di Pubblico Ministero al grande processo di Norimberga nel 1945-46, Jackson riconobbe che gli Alleati “hanno fatto o stanno facendo alcune delle cose per le quali stiamo processando i tedeschi. I Francesi stanno violando la convenzione di Ginevra nel trattare i prigionieri di guerra [tedeschi], che il nostro comando sta riprendendosi i prigionieri inviati loro [ai lavori forzati]. Stiamo processando i saccheggi e i nostri Alleati li praticano. Diciamo che la guerra aggressiva è un crimine e uno dei nostri alleati afferma la sua sovranità sugli stati baltici in base a nessun titolo, se non la conquista”.
Alla conclusione del processo di Norimberga del 1945-46, il rispettabile settimanale britannico ‘Economist’ citò i crimini sovietici e aggiunse poi “il mondo occidentale non dovrebbe consolarsi del fatto che solo i Russi vengano condannati alla sbarra della giustizia degli Alleati”. L’editoriale dell’ ‘Economist’ proseguiva: “… Tra i crimini contro l’umanità ci stanno anche i bombardamenti indiscriminati delle popolazioni civili. Possono gli americani che lanciarono la bomba atomica e i britannici che distrussero le città della Germania occidentale ritenersi ‘non colpevoli’? I crimini contro l’umanità comprendono anche le espulsioni di massa delle popolazioni. Possono i leader anglosassoni, che a Potsdam passarono sopra all’espulsione di milioni di tedeschi dalle loro case ritenersi completamente innocenti? … Le nazioni che giudicano [a Norimberga] si sono chiaramente proclamati esenti dalla legge che essi stessi hanno amministrato”.
Un altro assunto popolare in America consiste nel fatto che questi nemici della nazione nella Seconda Guerra Mondiale fossero tutte dittature non democratiche. In realtà, in ogni parte c’erano regimi repressivi o dittatoriali, così come governi che avevano un ampio supporto pubblico. Molte delle nazioni alleate degli USA erano capeggiate da governi che erano oppressivi, dittatoriali, o comunque non democratici. La Finlandia, una repubblica democratica, era un importante partner della Germania di Hitler.
Violando grossolanamente i loro principi proclamati solennemente, gli statisti statunitensi, britannici e sovietici si sbarazzarono di decine di milioni di persone senza considerare i loro desideri. L’inganno e il cinismo dei leader Alleati furono probabilmente mostrati più sfacciatamente nell’infame ‘accordo delle percentuali’ anglo-russo per dividersi il l’Europa sud-orientale. In un incontro con Stalin nel 1944, Churchill avanzò la proposta che in Romania i sovietici avessero il 90 percento di influenza o autorità e il 75 percento in Bulgaria, mentre la Gran Bretagna dovesse avere il 90 percento di influenza o controllo in Grecia. In Ungheria e Jugoslavia, suggerì il capo britannico, ognuno avrebbe dovuto avere il 50 percento. Churchill scrisse tutto ciò su un pezzo di carta, che passò a Stalin, il quale lo contrassegnò e lo ritornò al mittente. Churchill disse in seguito: “Non si potrebbe pensare che sia piuttosto cinico se sembrasse che ci siamo sbarazzati di tali problemi, fatidici per milioni di persone, in maniera così superficiale? Bruciamo la carta”. “No, tienila” replicò Stalin.
Per solidificare la coalizione alleata – che era formalmente conosciuta come le ‘Nazioni Unite’ – il presidente Roosevelt, il primo ministro britannico e il premier sovietico Stalin si incontrarono in due occasioni: nel novembre 1943 a Teheran, nell’Iran occupato, e nel febbraio 1945 a Yalta, in Crimea. I tre leader alleati realizzarono ciò di cui accusavano i leader dell’Asse di Germania, Italia e Giappone, di cospirare di voler raggiungere: la dominazione del mondo.
Durante un incontro nel 1942 a Washington il presidente Roosevelt raccontò candidamente al Ministro degli Esteri sovietico che “gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Russia, e forse la Cina, dovrebbero sorvegliare il mondo e rafforzare il disarmo [di tutti gli altri] compiendo delle ispezioni”.
Per consolidare il comando globale di poteri vittoriosi dopo la guerra, i ‘Tre Grandi’ leader degli Alleati fondarono l’ONU, perché fungesse da forza di polizia mondiale permanente. Una volta che la Germania e il Giappone furono sconfitti, però, gli USA e l’Unione Sovietica combatterono l’una contro l’altra, ciò che rese impossibile per le Nazioni Unite funzionare come il presidente Roosevelt aveva inteso. Mentre gli USA e l’Unione Sovietica cercarono per decenni di assicurare l’egemonia nelle rispettive sfere di influenza, i due ‘superpoteri’ furono anche rivali in una lotta decennale per la supremazia globale.
Nel suo libro, ‘Storia del popolo degli Stati Uniti’, lo storico Howard Zinn scrisse: “I vincitori furono l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti (anche Inghilterra, Francia e la Cina nazionalista, le quali erano però deboli). Entrambe queste nazioni ora lavoravano – senza svastiche o a passo d’oca, o razzismo dichiarato ufficialmente, ma sotto la copertura del ‘socialismo’ da un parte e della ‘democrazia’ dall’altra, per crearsi le loro zone d’influenza. Essi procedettero nel condividere e contestare l’uno contro l’altro il dominio del mondo, per costruire macchine militari molto più grandi di quanto non avessero fatto le nazioni fasciste, per controllare i destini di molte più nazioni di quanto Hitler, Mussolini e il Giappone fossero stati capaci. Essi agirono anche per controllare le loro stesse popolazioni, ciascuna nazione con le proprie tecniche – crude nell’Unione Sovietica, sofisticate negli Stati Uniti – per consolidare il loro comando”.
Gli Stati Uniti entrarono ufficialmente in guerra in seguito all’attacco giapponese alla base navale di Pearl Harbour nelle Hawaii, avvenuto il 7 dicembre 1941. Fino allora, gli USA erano ufficialmente una nazione neutra, e la maggior parte degli americani voleva starsene alla larga dalla guerra che stava allora imperversando in Europa e Asia. Nonostante lo status neutrale della nazione, il presidente Roosevelt e la sua amministrazione, insieme a molti media statunitensi, incitarono il popolo americano a supportare la guerra contro la Germania. Una campagna di propaganda su larga scala fu montata per persuadere gli americani che Hitler e i suoi ‘tirapiedi’ o ‘orde’ stavano facendo tutto ciò che era in loro potere per prendere il controllo e ‘schiavizzare’ l’intero mondo, e che la guerra contro la Germania di Hitler era inevitabile.
Come parte di tale sforzo, il presidente e altri ufficiali di alto rango americani diffusero fantastiche bugie riguardanti teorici piani di Hitler e del suo governo per attaccare gli Stati Uniti e imporre una dittatura globale.
La documentazione delle bugie del presidente Roosevelt è riconosciuta perfino dai suoi ammiratori. Tra coloro che hanno cercato di giustificare la sua politica c’è l’eminente storico americano Thomas A. Bailey, che scrisse: “Franklin Roosevelt ingannò ripetutamente il popolo americano nel periodo precedente Pearl Harbour… Si comportava come il medico che deve raccontare delle bugie al paziente per il suo bene… La nazione era decisamente non-interventista il giorno di Pearl Harbour, e un aperto tentativo di trascinare le persone in guerra sarebbe conseguito in un fallimento certo e in un quasi certo allontanamento di Roosevelt nel 1940, con una completa sconfitta dei suoi obiettivi finali”.
Il professor Bailey proseguì nell’offrire una visione cinica della democrazia americana: “Un presidente che non è capace di dare fiducia al popolo con la verità tradisce una certa mancanza di fede nei principi basilari della democrazia. Tuttavia, siccome le masse sono notoriamente miopi e generalmente non sono capaci di vedere il pericolo se non quando è arrivato alla loro gola, i nostri statisti sono costretti a ingannarli, nella consapevolezza dei loro interessi a lungo termine. Questo è ciò che Roosevelt dovette fare chiaramente, e chi dice che i posteri non lo ringrazieranno per questo?”
Come parte della campagna degli USA per incitare alla guerra, il presidente Roosevelt ordinò nel 1941 alla Marina statunitense di aiutare le forze britanniche ad attaccare le navi tedesche nell’oceano Atlantico. Ciò fu rinforzato dall’ordine presidenziale dato alla Marina di ‘sparare a vista’ contro le navi italiane e tedesche. L’obiettivo di Roosevelt era di provocare un ‘incidente’ che fornisse un pretesto per una guerra aperta. Hitler, dal canto suo, era ansioso di evitare il conflitto con gli Stati Uniti. Il leader tedesco rispose alle provocazioni sfrontatamente illegali del governo statunitense ordinando ai suoi comandanti delle navi di evitare scontri con le navi statunitensi.
Violando grossolanamente la legislazione internazionale, l’ufficialmente neutrale governo USA fornì massicci ‘aiuti’ ai nemici dei tedeschi, specialmente la Gran Bretagna e il suo impero, così come all’Unione Sovietica.
Due eminenti storici americani, Allan Nevins e Henry Steele Commager, hanno osservato che: “Questa misura [‘prestiti’ del 1941] era chiaramente non neutrale, ma gli Stati Uniti, impegnati ora nella sconfitta della Germania, non erano più intenzionati a rispettare la legislazione internazionale. Altre azioni egualmente non neutrali seguirono – la confisca di navi dell’Asse, il congelamento dei fondi dell’Asse, il trasferimento di navi cisterna in Gran Bretagna, l’occupazione della Groenlandia e, in seguito, dell’Islanda, l’estensione di prestiti al nuovo alleato, la Russia, e… l’ordine presidenziale di ‘sparare a vista’ ai sottomarini nemici”.
Secondo lo storico britannico J.F.C. Fuller, il presidente Roosevelt “non lasciò nessuna pietra al suo posto pur di provocare Hitler per dichiarare guerra proprio a quel popolo a cui aveva così ardentemente promesso la pace. Fornì la Gran Bretagna cacciatorpediniere americani, fece atterrare truppe americane in Islanda e dispose di pattugliare le vie marine dell’Atlantico allo scopo di salvaguardare i convogli britannici; tutti questi furono atti di guerra… In barba alle sue molteplici enunciazioni di tenere gli Stati Uniti fuori dalla guerra, fu costretto a provocare alcuni incidenti che li avrebbero coinvolti [nella guerra, ndt]”.
Le politiche amministrative di Roosevelt furono così belligeranti e illegali che l’ammiraglio Harold R. Stark, capo delle operazioni navali statunitensi, riconobbe in un promemoria confidenziale, rivolto al presidente, nel settembre 1941: “Egli [Hitler] avrebbe tutte le scuse del mondo per dichiararci guerra ora, se volesse”.
In Europa e in Asia, la Seconda Guerra Mondiale causò distruzioni di massa, la morte di decine di milioni di uomini, donne e bambini, e grandi sofferenze a molti altre persone. Agli americani, invece, furono risparmiati gli orrori dei bombardamenti su larga scala, i combattimenti sul proprio terreno o l’occupazione da parte di eserciti stranieri. Alla fine della guerra gli Stati Uniti erano la sola grande nazione che non fosse stata ridotta in frantumi dal conflitto globale. Emersero come il principale potere economico, militare e finanziario del mondo. Per gli Stati Uniti, il mezzo secolo che va dal 1945 alla metà degli anni novanta fu un era di spettacolare crescita economica e di incomparabile statura globale.
Lewis H. Lapham, autore e per anni editore della rivista ‘Harper’s’, la mette in questo modo: “Nel 1945 gli Stati Uniti ereditarono la Terra… alla fine della Seconda Guerra Mondiale, ciò che rimaneva della civiltà occidentale passò sul conto americano. La guerra aveva preparato anche la nazione ad inventare una macchina economica miracolosa che sembrava garantire tanti desideri quanti gliene venivano chiesti. Gli Stati Uniti continentali erano sfuggiti alla piaga della guerra, perciò fu abbastanza semplice per gli eredi credere di essere stati consacrati da Dio”.
Ma sarebbe stato realmente meglio se gli Americani fossero rimasti fuori dalla Seconda Guerra Mondiale? Tra coloro che non hanno pensato questo c’è il professor Bruce Russett, che ha scritto: “La partecipazione americana alla Seconda Guerra Mondiale ebbe un effetto molto ristretto sulla struttura essenziale della politica internazionale seguente, e probabilmente fece anche poco per far progredire il benessere materiale della maggior parte degli Americani o per rassicurare la nazione da minacce militari straniere… Infatti, la maggior parte degli Americani probabilmente non sarebbe stata peggio, e forse anche un po’ meglio, se gli Stati Uniti non fossero diventati belligeranti…”
“Personalmente trovo difficile sviluppare una preferenza empatica per la Russia stalinista rispetto alla Germania hitleriana… In termini realisti e a sangue freddo, il nazismo come ideologia fu quasi certamente meno pericoloso per gli Stati Uniti rispetto al comunismo”.
Sebbene il Terzo Reich tedesco e il Giappone imperiale siano stati distrutti, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna fallirono il raggiungimento degli obiettivi politici proclamati dai loro leader. Nell’agosto 1945, il prestigioso settimanale britannico, l’Economist, osservò: “Alla fine di una potente guerra combattuta per sconfiggere l’hitlerianesimo, gli Alleati stanno costruendo una pace hitleriana. Questa è la misura reale del loro fallimento”.
Tra coloro che non furono contenti del risultato della guerra ci fu lo storico britannico Basil Liddel Hart, che scrisse: “… Tutti gli sforzi profusi nella distruzione della Germania hitleriana ebbero come conseguenza un’Europa così devastata e indebolita che il suo potere di resistenza fu molto ridotto di fronte ad una fresca e più grande minaccia – e la Gran Bretagna, così come i suoi vicini europei, divenne una povera dipendente degli Stati Uniti. Questi sono i duri fatti sottolineanti la vittoria che era stata così speranzosamente perseguita e così dolorosamente raggiunta – dopo che il peso colossale di Russia e America era stato posto sulla bilancia contro la Germania. Il risultato fece svanire la persistente illusione popolare che la ‘vittoria’ scrivesse la pace. Esso confermò gli avvertimenti dell’esperienza passata secondo cui la vittoria è un ‘miraggio nel deserto’ – il deserto creato da una lunga guerra, quando viene condotta con armi moderne e metodi senza limiti”.
Perfino Winston Churchill ebbe dei dubbi riguardo il risultato della guerra.
Tre anni dopo la fine del combattimento, scrisse: “La tragedia umana [della guerra] raggiunge il suo climax nel fatto che, in seguito a tutti gli sforzi e i sacrifici compiuti da centinaia di milioni di persone e le vittorie della Giusta Causa, non abbiamo ancora trovato la Pace e la Sicurezza, e che ci troviamo nella morsa di pericoli perfino peggiori di quelli che abbiamo superato”.
Alla fine della guerra, l’Europa, per la prima volta nella sua storia, non era più padrona del suo destino, ma si trovava invece sotto la dominazione di due grandi poteri esterni, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, i quali per ragioni politiche ed economiche non avevano particolare interesse riguardo, o non c’entravano con, la cultura europea o la civiltà occidentale.
Secondo Charles A. Lindbergh, il famoso autore ed aviatore, la guerra fu una grande sconfitta per l’Occidente.
Venticinque anni dopo la fine del conflitto scrisse: “Vincemmo la guerra in senso militare; ma in un senso più ampio mi sembra che la perdemmo, perché la nostra civiltà occidentale è meno rispettata e meno sicura di quanto non fosse precedentemente. Allo scopo di sconfiggere la Germania e il Giappone supportammo le non meno grandi minacce di Russia e Cina – che ora ci affrontano nell’era delle armi nucleari. La Polonia non fu salvata… Gran parte della nostra cultura occidentale fu distrutta. Perdemmo l’eredità genetica formata attraverso milioni di anni con i milioni di vittime… E’ possibile, in maniera allarmante, che la Seconda Guerra Mondiale abbia segnato l’inizio del crollo della nostra civiltà occidentale, così come essa segna il crollo del più grande impero mai costruito dall’uomo”.
Il risultato del ruolo avuto da Stati Uniti e Gran Bretagna nella guerra ha indotto lo storico britannico J.F.C. Fuller a scrivere: “Che cosa li persuase [Roosevelt e Churchill] ad adottare un politica così fatale? Ci azzardiamo a rispondere – odio cieco! I loro cuori fuggirono con le loro teste e le loro emozioni annebbiarono la loro ragione. Per loro la guerra non fu un conflitto politico nel senso normale delle parole, ma una competizione manichea tra il Bene e il Male, e portando i loro popoli con loro essi scatenarono una propaganda al vetriolo contro il diavolo da loro invocato”.
Perfino a distanza di così tanti anni, tale odio è perdurato. Le scuole americane, i mass media statunitensi, le agenzie governative e i leader politici hanno portato avanti per decenni una campagna carica di emozioni, una propaganda a senso unico per sostenere la mitologia nazionale della Seconda Guerra Mondiale.
Come una nazione vede il passato non è un mero o triviale esercizio accademico. La nostra prospettiva sulla storia forma profondamente le nostre azioni nel presente, spesso con gravi conseguenze per il futuro. Nel disegnare delle conclusioni partendo dal nostro modo di comprendere il passato supportiamo o adottiamo politiche che hanno un grande impatto su molte persone. La rappresentazione familiare dell’America della Seconda Guerra Mondiale, e la mitologia della ‘guerra giusta’ riguardante il ruolo che hanno avuto gli Stati Uniti, non rappresenta semplicemente cattiva storia. Essa ha contribuito ampiamente a supportare e giustificare una serie di arroganti avventure di politica estera statunitensi, con conseguenze dannose sia per l’America che per il mondo.
“La Seconda Guerra Mondiale ha distorto il nostro attuale modo di vedere le cose”, affermò l’ammiraglio di divisione della marina statunitense Gene R. La Roque, che prestò servizio in tredici grandi battaglie durante la guerra. “Vediamo le cose nei termini indicati da quella guerra, che in un senso fu una guerra giusta. Ma la memoria distorta riguardo tale guerra incoraggia gli uomini della mia generazione a volere, quasi ad essere ansiosi, di utilizzare la forza militare ovunque nel mondo”.
Sin dal 1945, i presidenti americani hanno ripetutamente cercato di giustificare le azioni dell’esercito statunitense nelle nazioni straniere richiamandosi alla ‘guerra giusta’ e, in particolare, al ruolo avuto dagli USA nella sconfitta della Germania. Negli anni sessanta, il presidente Lyndon Johnson cercò di ottenere il supporto per la sua politica di guerra nel Vietnam utilizzando interpretazioni storicamente false della Seconda Guerra Mondiale e della Germania di Hitler.
Ciò spinse lo storico Murray Rothbard scrivere nel 1968: “… Quello della Seconda Guerra Mondiale è l’ultimo mito di guerra rimasto, il mito a cui la Vecchia Sinistra si aggrappa con disperazione. Il mito che qui, almeno, ci fu una guerra giusta, qui c’era una guerra nel quale l’America stava nel giusto. La Seconda Guerra Mondiale è la guerra che ci è stata gettata in faccia dall’establishment costruttore di guerre il quale prova, in ogni guerra che affrontiamo, ad avvolgersi nel mantello della giusta Seconda Guerra Mondiale”. In anni recenti, i leader politici americani hanno tentato di guadagnare supporto per la guerra contro l’Iraq e l’Iran disegnando paralleli storici tra Hitler e i leader dei due stati mediorientali.
Molti americani sono comprensibilmente indignati dall’inganno e dalle falsità utilizzati dal presidente George W. Bush e della sua amministrazione nel cercare consenso pubblico per l’invasione dell’Iraq nel 2003. Ma, come abbiamo visto, gli inganni presidenziali per giustificare guerre non sono iniziati con loro. Gli americani che esprimono ammirazione per il ruolo degli USA nella Seconda Guerra Mondiale, e per la leadership presidenziale di Franklin Roosevelt, hanno ben poco diritto morale a lamentarsi quando i presidenti seguono il suo esempio e trascinano la nazione in guerra violando la legge, sovvertendo la Costituzione e mentendo al popolo.
Se la storia delle guerre e dei conflitti ci insegna qualcosa, ciò è rappresentato dal pericolo dell’arroganza – cioè il pericolo di andare in guerra perché i leader di una nazione sono convinti della loro correttezza, o hanno persuaso loro stessi e il pubblico che una nazione debba essere attaccata perché il suo governo o la sua società non sono semplicemente alieni, ostili o minacciosi, ma rappresentano il ‘Male’”.
Questa è probabilmente l’eredità più dannosa della mitologia nazionale riguardo la Seconda Guerra Mondiale – la nozione che guerre meritevoli o giustificabili vengono combattute contro nazioni capeggiate da supposti regimi ‘maligni’. Ed è proprio questa prospettiva che mosse il presidente George W. Bush a riferirsi alla sua ‘guerra al terrorismo’ come ad una ‘crociata’ e, in un famoso discorso, a proclamare la politica estera statunitense dedicata a “far terminare la tirannia nel mondo”.

Una nazione dovrebbe entrare in guerra solo in seguito a prudenti considerazioni, dopo aver attentamente valutato il peso delle possibili conseguenze, e solo per le ragioni più convincenti, solo dopo che le altre alternative si sono esaurite, e come ultima risorsa. Ciò risulta particolarmente vero considerato l’incredibile potere distruttivo della armi moderne, e perché – come attesta tragicamente la Seconda Guerra Mondiale, la ‘Guerra giusta’, - le guerre raramente vanno nella direzione che qualcuno si aspetta.

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