Marcello Cervini fu un papa del primo Cinquecento che
per tutta la sua vita fu conservatore e che
voleva mantenere nella Chiesa tutte le antiche tradizioni, ma l’impresa non gli
riuscì perché il suo pontificato durò solo 21 giorni.
Marcello Cervini nacque a Montefano, presso Macerata, il 6
maggio del 1501 da una nobile famiglia toscana e ricevette la sua prima
educazione dal padre. Fin dalla sua giovinezza, egli coltivò studi umanistici,
mettendosi in contatto con importanti intellettuali dell’epoca come Giovanni
Della Casa, celebre autore del Galateo.
Cervini fu una figura importantissima del primo Cinquecento,
non tanto per il suo pontificato, peraltro brevissimo, quanto per la sua lucida
opinione rispetto alla sua epoca nella quale assistette agli eventi cruciali e
alle forti tensioni che segnarono la politica ecclesiastica del primo Cinquecento.
Dal 1520 al 1539 passò dagli ambienti accademici senesi alla
corte di Paolo III Farnese: l’Accademia degli Intronati di cui Cervini fece
parte dal 1528 fu un’esperienza importante e i personaggi che egli vi frequentò
rappresentano un tassello di particolare rilevanza per cogliere la ricchezza e
la complessità del personaggio.
Dopo la morte del padre nel 1534, Marcello Cervini si
stabilì a Roma e nel 1538 fu nominato cardinale del titolo di Santa Croce in
Gerusalemme.
Nei primi anni presso la Curia, l’azione di Cervini fu
rivolta a sostenere la politica di Paolo III e successivamente diventò un
autorevole membro del Sant’Uffizio.
Appassionato umanista, Cervini in ogni caso egli neppure a Roma trascurò le sue
attività culturali: fin dagli anni quaranta, infatti, al centro dei suoi
interessi ci fu la cura della Biblioteca vaticana, di cui nel 1550 fu nominato cardinale
bibliotecario. Questi interessi culturali non rappresentarono per lui una fuga
dal mondo, anzi egli fu molto abile nello sfruttare l’evoluzione delle tecniche
tipografiche anche in funzione anti-ereticale.
Giunto ai vertici della sua carriera curiale, Cervini fu
chiamato a confrontarsi con i grandi nodi teologici ed ecclesiastici sollevati
dalla Riforma Protestante. L’indizione del Concilio di Trento nel 1542 e
l’istituzione del Sant’Uffizio, costituirono due vie opposte per fronteggiare
la crisi religiosa e questi due organismi intrecciarono reciproci rapporti
d’influenza in seno ai quali Cervini fu sempre protagonista.
L’apertura del Concilio di Trento segnò l’inizio di una
nuova fase della vita del cardinale Cervini, che caratterizzò le fitte
relazioni tra concilio ed inquisizione.
Eletto papa, Marcello Cervini conservò il suo nome e per il Concilio
di Trento, assunse come collaboratori Giovanni Maria Del Monte (1487-1555) e Reginald
Pole (1500-1558). Comunicò ai propri familiari di non trasferirsi a Roma quindi
il nuovo pontefice rifiutava le pratiche nepotiste ed i favoritismi di qualsiasi
genere verso i propri consanguinei.
Nei primi giorni di di pontificato Marcello II decise di
organizzare un summit tra Francia e Spagna per ravvicinare i due Stati: a
questo scopo scrisse una serie di lettere a Carlo V, al principe Filippo e
alla regina Maria I d'Inghilterra.
Marcello si allontanò dalle direttive originarie, mostrando
una palese avversione nei confronti della
politica familiare di Paolo III.
La sua ascesa al soglio papale sancì una politica
d’inquisizione più flessibile rispetto ai due precedenti papi.
Marcello II, nel corso del suo pur breve pontificato, segnò
una netta censura con il passato, rinunciando ai consueti fasti della cerimonia
di consacrazione, alla scelta di non assegnare cariche familiari, abolì ogni
forma di nepotismo e decise di non cambiare il proprio nome di battesimo. Tutti
questi elementi fanno capire che egli assunse in questo periodo un ruolo
conservatore nei confronti dei veri e propri ideali della Sacra Romana Chiesa.
Ciò significa che egli mirava a conservare le strutture sociali e politiche
tradizionali.
Marcello morì per apoplessia il 1 maggio 1555. Per lui, Giovanni
Pierluigi da Palestrina (1525-1594) compose, una famosa messa, che fu poi detta
Missa Papae Marcelli.
La scomparsa improvvisa di Marcello II spense gli entusiasmi
e le speranze di molti e suonò per i contemporanei come un sinistro
avvertimento quasi come fosse stata l’ultima possibilità di sanare la frattura
religiosa che a quel punto si aggravò per sempre e in modo irreversibile.
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