mercoledì 4 maggio 2016

L'iconografia geronimina di Pasquale D'amora

L’iconografia di San Girolamo è una delle più ricorrenti dell’arte cristiana e spesso grandi artisti si sono cimentati nel rappresentarlo lasciando evolvere la sua iconografia a seconda della sensibilità dell’artista nella lettura della sua agiografia.
Sofronio Eusebio Girolamo, nato a Stridone (l’odierna Croazia) verso il 341 da una ricca famiglia cristiana che gli assicurò un’accurata formazione inviandolo a Roma a perfezionare i suoi studi, è venerato come santo, padre della chiesa, monaco e dottore della Chiesa. A Roma provò i piaceri della vita mondana, ma ricevuto il battesimo verso il 366, crebbe il desiderio e l'interesse per la vita ascetica e, recatosi ad Aquileia, si inserì in un gruppo di ferventi cristiani riunito attorno al Vescovo Valeriano.
Studiò per tutta la vita, viaggiando dall’Europa all’Oriente con la sua biblioteca di classici antichi, trascrivendo codici e opere dei Padri della Chiesa.
Nel 375, dopo una malattia, Gerolamo passò alla lettura della Bibbia e, convinto che per interpretarla fosse necessario passare attraverso la lingua in cui fu scritta e tradotta per la prima volta, studiò il greco ad Antiochia, poi, si dedicò all’ebraico.
Ad Antiochia nel 379 Gerolamo ricevette il sacerdozio e qualche anno dopo si trasferì a Roma, dove Papa Damaso I, lo assunse come segretario e consigliere e lo incaricò di riscrivere in latino il testo di una diffusa versione della Bibbia, detta Itala, realizzata non sull’originale ebraico, ma sulla versione greca detta dei Settanta.
Per fare questo lavoro Gerolamo rimase a Roma dove avvertì il contrasto tra mentalità pagana e vita cristiana e presto si scontrò e polemizzò con i nuovi cristiani, stigmatizzandone vizi e ipocrisie, dopo che l’imperatore Teodosio ebbe fatto del cristianesimo la religione di Stato. Nel 384, intraprese un pellegrinaggio, dapprima in Terra Santa, poi in Egitto, fermandosi per costruire un monastero a Betlemme di Giuda, per continuare a scrivere testi storici, dottrinali, educativi, corrispondendo con gli amici di Roma e proseguendo il lavoro sulla Bibbia, traducendola e commentandola nelle sue opere, per il resto della vita. La Bibbia di San Gerolamo, detta Vulgata, fu accolta e usata da tutta la Chiesa.
Nonostante il carattere difficile, San Gerolamo si  impegnò concretamente nella fede cristiana anche attraverso le polemiche dottrinali, perfino con sant’Agostino. Gli ultimi suoi anni sono rattristati dalla morte di molti amici e dal saccheggio di Roma compiuto da Alarico nel 410; un evento che angosciò la sua vecchiaia.
Esistono due iconografie principali di San Girolamo: una con l'abito cardinalizio e con il libro della Vulgata in mano, oppure intento alla scrittura e un'altra nel deserto, o nella grotta di Betlemme, senza l'abito e con il cappello cardinalizio gettato in terra a simbolo della sua rinuncia agli onori.
Spesso è raffigurato un leone simbolo della forza bruta vinta con la pietà. Si trova anche un crocifisso a cui rivolgere l'adorazione o con un teschio, segno di penitenza. La fortuna iconografica di Girolamo fu assicurata da una serie di quattro vite composte e diffuse tra il sec. VI e il XII come: il Chronicon Marcellini (sec. VI), che descrive dettagliatamente l'ambiente familiare di Girolamo, la sua formazione intellettuale, l'insediamento a Betlemme e le opere principali; la Vita Hieronymus noster (secoli VI - VII), che descrive il sogno in cui Cristo lo apostrofò chiedendogli se fosse cristiano o ciceroniano e lo condannò a essere frustato dagli angeli, facendogli giurare di non leggere più libri profani, e tra tanti altre rappresentazioni  troviamo l'episodio leggendario del leone ammansito dopo che Gerolamo gli aveva tolto una spina dalla zampa ferita. L'iconografia geronimiana si ricollega all'antica raffigurazione dell'evangelista seduto a uno scrittoio o di fronte a un leggio in un interno e sullo sfondo di un paesaggio. Nel secolo XIII il tipo iconografico si arricchì di altri apporti. Sulla base dello Hieronymianus di Giovanni d'Andrea, si venne elaborando una nuova iconografia: Girolamo divenne Dottore e Padre della Chiesa latina, rivestito della porpora cardinalizia e con il capo coperto dal cappello a larghe falde, con presso di sé come attributo un piccolo leone.
La figura di San Girolamo nel corso degli anni è stato raffigurata in modi differenti da molti artisti tra cui personaggi molto importanti come: Colantonio, Antonello, Van Eyck, Leonardo da Vinci, Michael Pasher, Ambrogio da Fossano e Caravaggio.

San Girolamo nello studio è un dipinto, tecnica mista su tavola (125x150 cm), del pittore napoletano Colantonio, un tempo parte di uno smembrato polittico per la chiesa di San Lorenzo Maggiore ed oggi conservato nel Museo nazionale di Capodimonte. L'opera è databile al 1444 circa. La ricostruzione grafica del polittico si deve al Prof. Ferdinando Bologna che già nel 1950 avanzò l’ipotesi, attualmente valida, che si arricchisce oggi di un contributo critico e storiografico, pubblicato nella famosa serie dei Quaderni di Capodimonte, nel quale lo stesso Bologna affronta le esperienze maturate a Napoli in campo artistico alla metà del Quattrocento.  In questo ambiente culturale, si inserisce proprio Colantonio che alla luce di questi recenti studi è considerato un protagonista della scena culturale napoletana di quegli anni e non solo il maestro del giovane Antonello Da Messina.
Colantonio operò a Napoli tra il 1440 e il 1460 circa, e visse sia la stagione di re Renato (1438-1442), il colto ammiratore dell'arte fiamminga, borgognona e provenzale, sia quella di Alfonso I d'Aragona (al trono dal 1444), legato agli altri territori della corona aragonese, in particolare la Catalogna, a sua volta ispirata ai modi fiamminghi.
Le diversità di questi due momenti di influenza franco-fiamminga sono visibili nei due pannelli principali dell’ancona per la chiesa francescana di San Lorenzo, dipinta tra il 1444 e il 1446 circa, in momenti diversi e completata in seguito da Antonello da Messina con le tavolette laterali dei Beati francescani. Il tema generale dell'ancona era la celebrazione del pensiero francescano, di cui san Girolamo era stato, secondo le teorie di san Bernardino da Siena, uno degli ispiratori alla radice.
San Girolamo è rappresentato nel suo studio, mentre con un coltellino toglie dal piede di un leone una spina, che tormentava l'animale. Secondo la leggenda la belva divenne poi suo compagno fedele. La stanza, è riempita di oggetti che testimoniano la vastità degli interessi culturali del santo-cardinale, il cui cappello è adagiato su un ripiano a sinistra. Uno degli aspetti più interessanti del dipinto è la straordinaria natura morta di libri e altri oggetti che riempiono gli scaffali, che dimostrano i riferimenti alla pittura fiamminga. La Legenda Aurea, di Jacopo da Varazze, narra, nel capitolo dedicato a San Girolamo, la leggenda del leone.
Un giorno un leone ferito si sarebbe presentato zoppicando nel monastero ove risiedeva San Girolamo. I confratelli fuggirono spaventati ma San Girolamo gli si avvicinò accogliendo l'animale ferito. Egli ordinò ai confratelli di lavare le zampe al leone e curarle. Essi scoprirono che i rovi gli avevano dilaniato le piante delle zampe. Quando il leone fu guarito, rimase nel monastero. Su di esso i monaci confidarono per garantirsi la custodia dell'asino del convento. Un giorno, mentre l'asino stava pascolando, il leone si addormentò. Alcuni mercanti, visto il quadrupede da soma privo di custodi, se ne appropriarono. Tornato solo al monastero, il leone fu accusato dai monaci di aver divorato l'asino, cosicché gli furono addossati tutti i lavori che normalmente erano svolti da quest'ultimo. Un giorno egli incrociò sul suo cammino la carovana dei mercanti che avevano portato via l'asino affidatogli in custodia dai monaci e riconobbe nella carovana il medesimo asino. Egli si precipitò verso di loro ruggendo terribilmente e mettendoli in fuga. Dopo di che condusse l'asino ed i cammelli, carichi di mercanzia, al convento. Quando i mercanti tornarono, si recarono al convento a chiedere a San Girolamo il perdono e la restituzione delle loro mercanzie, cosa che San Girolamo fece, raccomandando loro di non rubare più le proprietà altrui.
L’altro evento celebre San Gerolamo nello studio di Antonello che, formatosi sulla cultura fiamminga importata nel regno di Napoli da Renato d’Angiò e da Alfonso d’Aragona, ritorna dopo venticinque anni dalla sua formazione napoletana su un tema trattato dal suo maestro. Il dipinto è una delle opere più note del primo Rinascimento in Italia. L’artista messinese analizza meticolosamente i particolari della scena dello studio, costruisce prospetticamente uno spazio multiplo, unificato dalla luce, approdando quindi ad una matura sintesi prospettico-luminosa ben diversa dallo spazio limitato e ingombro del San Girolamo di Colantonio.

San Girolamo nello studio è un dipinto olio su tavola di tiglio (45,7 x 36,2 cm) di Antonello da Messina, databile al 1474-1475 circa e conservato nella National Gallery di Londra.
Nel dipinto di Antonello, sono presenti allusioni simboliche, assenti nell'opera di Colantonio: la Coturnice ed il Pavone simboli di purezza, il geranio simbolo di passione, il bosso di salvezza divina.  Straordinari le descrizioni degli interni del palazzo del dipinto di Antonello che raggiungono virtuosismi vertiginosi nel degradare della luce sul pavimento a piastrelle fino a raggiungere la penombra e di nuovo un potente filtro di luce proveniente dal finto portale: la luce ha una importanza fondamentale.
Ancora Antonello rappresenta il santo in uno studio a sua volta contenuto in un altro edificio di marca tardo-gotica, di cui vediamo la facciata esterna quasi in trompe l'oeil, un genere pittorico che, attraverso espedienti, induce nell'osservatore l'illusione di stare guardando oggetti reali e tridimensionali; anche questo un modello iconografico molto frequente nel Nord-Europa.
Dal punto di vista iconografico, in entrambi i dipinti il santo è rappresentato nel suo studio, secondo un motivo diffuso in tutta Europa; ma in quello di Antonello, secondo un modello non praticato in Italia, egli è intento alla lettura invece di scrivere, mentre Colantonio ha scelto il momento in cui il santo estrasse la spina al leone che gli rimase sempre fedele e lo seguì ovunque. Ma soprattutto essi sono differenti nell'impianto spaziale e luminoso: il San Girolamo di Antonello è descritto tramite una prospettiva di Brunelleschi, mentre nel dipinto di Colantonio le linee di fuga non convergono ad un unico punto centrale.
Questi due importanti dipinti sono una testimonianza dei rapporti fra pittura italiana e arte fiamminga: basterebbe a questo proposito osservare  il fatto che entrambi siano stati ripetutamente attribuiti nel passato ad artisti non italiani. Queste opere infatti presentano delle caratteristiche formali che li accomuna e che li pone in stretto rapporto con l'arte fiamminga: si tratta della meticolosa e raffinatissima descrizione degli oggetti conservati nella stanza, al punto che il dipinto di Colantonio è uno dei primi esempi di natura morta nella pittura italiana.
Il San Girolamo di Colantonio in particolare registra l'influenza dei modi della corte di Renato d'Angiò e di pittori come Barthélemy d'Eyck, come dimostrano l'attenzione alla resa dei volumi e la profondità spaziale realistica, nonostante negli spazi la prospettiva sia ancora incerta.
Barthélemy d'Eyck lavorò a Napoli presso la corte angioina, un grande artista fiammingo che presenta forti punti di contatto soprattutto con la pittura di Colantonio, basti confrontare la bellissima natura morta posta sopra il Geremia di Bruxelles del 1444 oppure l'identità della struttura compositiva.
Ma a Napoli erano conservate molte altre opere di artisti fiamminghi fra cui un San Gerolamo di Van Eyck: esso avrebbe potuto essere molto simile a questo conservato a Detroit del 1442. A Firenze è presente un dipinto di San Girolamo penitente in piedi, in logora veste bianca, che si batte il petto con un sasso. Purtroppo non sono riuscito a reperire  l’immagine di  questo dipinto.
Sebbene l'abito rosso da cardinale sia stato molto usato nelle rappresentazioni pittoriche del santo, non è storicamente possibile che egli sia stato cardinale, poiché l'istituzione è altomedievale.

Il San Girolamo penitente è un dipinto a olio su tavola (103×75 cm) di Leonardo da Vinci, databile al 1480 circa e conservato nella Pinacoteca Vaticana. Si tratta di un dipinto non portato a termine. Il dipinto viene datato agli ultimi anni del primo soggiorno fiorentino di Leonardo, per le stringenti affinità con l'Adorazione dei Magi. Il rocambolesco ritrovamento dell'opera è raccontato dal D'Archiardi in una ricostruzione ritenuta oggi poco credibile: appartenuto ad Angelica Kauffmann il dipinto sarebbe poi andato perduto, per essere ritrovato dal cardinale Joseph Fesch segato in due parti, una delle quali era usata da un rigattiere romano come coperchio per una panca, mentre l'altra (un quadrato con la testa, ancora visibile) faceva da sgabello per un calzolaio. In ogni modo è certo che il dipinto venne acquistato nel 1845 da Pio IX dagli eredi del cardinale per la somma di duemilacinquecento franchi e destinato da allora ai Musei Vaticani.
San Girolamo è raffigurato nell'iconografia dell'eremita penitente nel deserto.
Vestito di pochi stracci è inginocchiato con nella mano destra la pietra che usava per percuotersi il petto e con la sinistra che indica se stesso in atto di umiltà. Il volto è rivolto verso l'alto, tradizionalmente, verso un probabile crocifisso non ancora dipinto, dove si trova il paesaggio appena abbozzato nel quale alcuni studiosi hanno voluto vedere lo schizzo della facciata di Santa Maria Novella. La figura dell'eremita è studiata con attenzione all'anatomia, testimoniando il precoce interesse di Leonardo su questo settore, con muscoli asciutti ma scattanti, tendini a vista. Spiccano il busto inarcato e scuro dietro le clavicole, il gesto plastico del braccio disteso, che sembra indagare lo spazio circostante, o la gamba protesa in avanti, con un efficacissimo scorcio. La testa, scavata e ossuta, nonché scorciata nella sua torsione verso destra, è resa con espressività e ricorda alcuni busti antichi cosiddetti di "Seneca". La sua figura emerge con potenza anche per effetto dello sfondo scuro, composto da rocce dalle forme bizzarre che si ritroveranno anche nella prima versione della Vergine delle Rocce (1483-1486).
In basso si trova il fedele leone, appena disegnato, il cui corpo scattante crea giochi lineari rari in Leonardo, che probabilmente sarebbero poi stati attenuati dalla pittura atmosferica e dallo sfumato. L'animale è sulla diagonale che, attraverso il corpo del santo, finisce nel paesaggio dello sfondo a sinistra, con le tipiche rocce appuntite leonardesche. Un altro paesaggio, appena abbozzato, si trova sulla destra, in cui si distingue una sorta di disegno di chiesa. Sono presenti attributi quali il libro (ricordo della Vulgata e dei suoi scritti), la clessidra e il teschio (momento mori), il leone. In queste rappresentazioni vi è sempre un elemento che rimanda al (presunto) stato di cardinale del santo: o il galero, o un manto rosso cardinalizio.

"San Girolamo" (1605-1606) - misure 112 X 157 Galleria Borghese.
Questo quadro è stato dipinto durante la controriforma nel quale i protestanti volevano avere il diritto di poter leggere le scritture sacre senza, obbligatoriamente, l'interpretazione cristiana.
Caravaggio dipinse il quadro per il cardinale Scipione Borghese, per procurarsi la sua benevolenza nel giudizio riguardante l'aggressione a un notaio, di nome Pasqualoni, e ottenere la grazia.
Il vecchio San Gerolamo, coperto da un manto rosso, è raffigurato come un povero eremita, per il quale Caravaggio si servì di un modello reale ed è seduto a rozzo tavolo ingombro di libri. In realtà il manto rosso non gli si addice, poiché la porpora era molto preziosa e se la potevano permettere solo i ricchi. Probabilmente esso costituiva un omaggio al cardinale Borghese che era stato appena rivestito da quel manto in qualità di cardinale.
San Gerolamo è rappresentato mentre scrive la "vulgata". Sul tavolo, si può notare un teschio, simbolo della vanità del mondo, della morte, della precarietà della vita.
Il suo è uno studio molto concentrato, traspare ed emerge la meditazione, il pensiero.
È concentrato sul libro, e in particolare su un determinato punto; qui emerge una suggestione visiva, poiché l'osservatore crede di intravedere gli occhi del santo, nonostante l'inclinazione della testa, ma in realtà Caravaggio non ha dipinto gli occhi dunque è impossibile vederli. Mentre è concentrato sulla lettura, il suo braccio destro, la cui mano impugna uno strumento utilizzato per scrivere, è allungato quasi totalmente, con una leggera flessione. Questa sospensione data dalla mano alzata sembra far intendere all'osservatore che Gerolamo stia finendo una frase già iniziata.
San Gerolamo è immerso in una stanza oscura, con una luce molto forte che illumina da sinistra e mette in evidenza con gran realismo la consistenza dei libri, l'immagine vecchia e logorata dal santo stesso.
È un'immagine talmente realistica che sembra si svolga davanti ai nostri occhi: è raffigurato come un eremita vecchio, magro, una realtà drammatica tipica dello stile di Caravaggio. Il San Gerolamo di Caravaggio, così come altri suoi quadri, è stato  copiato da altri pittori. Ne esiste una copia, realizzata da Nicolas Tournier, pittore francese, dove il santo è impegnato nell'azione di scrittura della vulgata, prendendo però molta espressività e molti significati dell'originale.
Il santo infatti non è più perfettamente immerso nella concentrazione, ma è distratto: ha il braccio sollevato, ma non per dare l'idea di finire una frase già iniziata, ma perché altrimenti il braccio uscirebbe dalla tela; ha i capelli in ordine, non è più magrolino e trasandato, ma addirittura più muscoloso. Un piccolo saggio che pone l’attenzione ad un singolo episodio e offre la possibilità di soffermarsi sull’alto grado di civiltà raggiunto dalla città di Napoli nel Quattrocento.

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