Foscolo
compose i sonetti tra il 1798 ed il 1803 e furono pubblicati tra 1802 e il 1803.
In
tutto sono dodici, i sonetti sono stati divisi dalla critica in due gruppi: i sonetti
maggiori e i minori. La differenza tra i due gruppi di sonetti non consiste
soltanto nell’anno, nel luogo di composizione o in altri motivi occasionali che
li caratterizzano, bensì nell’ispirazione e nei temi che, pur sempre tipiche
della poesia foscoliana, assumono negli ultimi quattro sonetti una dimensione
meno autobiografica e più filosoficamente universale.
Nei
primi sonetti si può evidenziare ancora uno stile ortisiano a causa del
contrasto tra passione e riflessione mentre i sonetti successivi sono
stilisticamente più equilibrati.
I
temi dei dodici sonetti sono quelli dell’intera produzione di Foscolo: la
patria, la bellezza, l’esilio, gli affetti familiari, l’amore e il presagio
della tomba illacrimata. Il loro stile è simile allo stile dei Sepolcri, ossia,
costituisce una sintesi romantica e classica.
Nei
sonetti considerati maggiori dalla critica, ritroviamo la visione pessimista di
Foscolo. I sonetti maggiori sono quattro: Alla Musa, A Zacintio, Alla Sera e In
morte del fratello Giovanni, così come sono riportati i titoli dagli
antologisti, ma questi titoli non sono di Foscolo che invece li contrassegnava
con il primo verso di ognuno.
Possiamo
dire che Ugo Foscolo accomuna i temi della morte, della quiete e dell’eterno e tutti
e quattro i sonetti principali sono ancora percorsi dal pensiero materialista,
secondo la visione che il poeta aveva desunto dall’illuminismo.
Il
sonetto Alla Musa è una
considerazione sul destino umano che corre verso la riva muta della morte. Il
tema principale è quello dell’abbandono, perché il Poeta sente che le poche
righe faticosamente scritte non gli permettono di dimenticare il pianto del suo
cuore, deluso per l’amore contrastato.
Nelle
prime due quartine della poesia si evidenzia il tema della giovinezza che corre
via velocemente, mentre, nelle ultime due terzine si evidenzia l’amore che
porta alla quiete eterna. Il tema dell’abbandono è presente maggiormente nei
versi 9-14:
“E
tu fuggisti in compagnia dell’ore,
o
Dea! Tu pur mi lasci alle pensose
membranze,
e del futuro al timor cieco.
Però
mi accorgo, e mel ridice amore,
che
mal ponno sfogar rade, operose
rime
il dolor che deve albergar meco.”
Lo
stesso tema è ben espresso nel sonetto A
Zacinto, dedicato alla sua terra natia, l’isola nel Mar Ionio che Foscolo,
costretto all’esilio, non avrà mai più modo di rivedere e a cui dedica i suoi
versi.
Il
tema verte sulla nostalgia nei confronti della patria. La triplice negazione
iniziale esprime appunto la convinzione del poeta di non potervi far più
ritorno.
Ripensando
alla fanciullezza il poeta ricorda la bellezza del clima e della vegetazione
dell’isola, la dea Venere nata dalle acque del mare che lei rese fertile con il
suo primo sorriso. Ella rasserena tutto quello che guarda.
Nel
sonetto A Zacinto nei versi 5-11 il tema centrale è la nostalgia nei confronti
della patria:
“Né
più mai toccherò le tue sacre sponde
ove
il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto
mia, che te specchi nell’onde
del
greco mar da cui vergine nacque
Venere,
e fea quelle isole feconde
col
suo primo sorriso, onde non tacque
le
sue limpide nubi e le tue feconde
l’inclito
verso di colui che l’acque
cantò
fatali, ed il diverso esiglio
per
cui bello di fama e di sventura
baciò
la sua petrosa Itaca Ulisse.”
Foscolo
rappresenta la propria esperienza dell’esilio attraverso l’analogia tra la sua
figura e quella di Ulisse. Ulisse, infatti “bello di fama e di sventura”
rappresenta l’immagine del poeta, anch’egli esule magnanimo avversato dal
destino e dagli uomini; rappresenta il nuovo concetto dell’eroe romantico,
grande per la forza e per la dignità con cui sopporta le ingiurie della
sventura. L’esito dell’esilio, però, sarà diverso; Foscolo, a differenza di
Ulisse, sarà sepolto in terra straniera e nessuno verserà lacrime sulla sua
tomba.
Nei
versi sono rappresentate anche altre immagini mitiche, come quella di Omero che
rappresenta la poesia eternatrice dell’eroismo e dei valori più alti. Infatti,
per Foscolo è molto importante rendere eterne le sue opere, così che, anche
quando egli non ci sarà più, le nuove generazioni potranno ricordarlo.
Un’altra
figura mitica è quella di Venere che rappresenta la bellezza e che, con il suo
sguardo, rasserena tutto ciò che ha intorno.
Il
tema basilare del sonetto “Alla Sera” è la meditazione sulla morte, anche la
morte, come la sera, è una promessa di pace dolce e definita. Questo sonetto è
diviso in due parti: le due quartine sono statiche, perché descrivono lo stato
d’animo del poeta di fronte alla sera, sia che si tratti di una sera d’estate
sia in una sera invernale.
In
entrambi i casi la sera porta con sé la tranquillità, la cessazione degli
affanni. Infatti:
“Forse
perché della fatal quiete
tu
sei l’immago a me sì cara vieni
o
Sera! E quando ti corteggian liete
le
nube estive e i zeffiri sereni,
e
quando dal nervoso aere inquiete
tenebre
e lunghe all’universo meni
sempre
scendi invocata, e le secrete
vie
del mio cor soavemente tieni.”
Il
classicismo di Foscolo è un classicismo romantico, ciò però sembra una
contraddizione siccome il classicismo è una corrente equilibrata e razionale,
mentre il romanticismo è fantasia e sentimento. Questo contrasto rispecchia
anche la personalità di Foscolo; egli, infatti, è dominato da un’instabilità
che lo porta continuamente “altrove”, perché egli è sempre alla ricerca di un
equilibrio che non trova.
Questa
ricerca dell’equilibrio provoca in Foscolo anche una profonda inquietudine,
alimentata anche dal fatto che egli non potrà mai più rivedere la sua amata
patria.
Nelle
due terzine finali, invece, si esprime il “nulla eterno” che è liberatorio,
poiché rappresentano l’annullamento totale delle sofferenze della vita,
infatti, i temi principali sono il fuggire del tempo e del pensiero che spinge
verso l’eterno che sono accumunati dal pensiero materialista di Foscolo.
“Vagar
mi fai co’ miei pensieri su l’orme
che
vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo
reo tempo, e van con lui le torme
delle
cure onde meco egli si strugge;
e
mentre io guardo la tua pace, dorme
quello
spirto guerrier che entro mi rugge.”
I
temi del sonetto “In morte del fratello Giovanni” sono temi molto cari al
poeta: innanzitutto il tema dell’esilio che viene collegato al soffio
dell’anima per far riposare le ossa in patria e avere il conforto del pianto
dei vivi, l’unica cosa che dura dopo la morte.
Questo
tema è affiancato a quello del tormento interiore per la tragica scomparsa del
fratello Giovanni che si suicidò nel 1801 a soli vent’anni, per debiti di
gioco, davanti a sua madre.
Nelle
prime due quartine del sonetto il tema principale è il tempo che fugge, e la
voce della madre che si perde nell’eterno:
“Un
dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di
gente in gente, me vedrai seduto
su
la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il
fior de’ tuoi gentili anni caduto.
La
Madre or sol suo dì tardo traendo
parla
di me col tuo cenere muto,
ma
io deluse a voi le palme tendo
e
sol da lunge i miei tetti saluto.”
Nelle
terzine del sonetto, invece, il tema principale è la fine della tempesta e
l’arrivo della quiete eterna:
“Sento
gli avversi numi, e le secrete
cure
che al viver tuo furon tempesta,
e
prego anch’io nel tuo porto quiete.
Questo
di tanta speme oggi mi resta!
Stranieri
genti, almen le ossa rendete
Allora
al petto della madre mesta.”
Secondo
Foscolo tra i morti e vivi si stabilisce una corrispondenza d’amorosi sensi, che,
pur essendo una corrispondenza univoca, spesso lascia vivere la persona estinta
nei ricordi dei suoi cari e i cari vivono con la persona estinta.
La
corrispondenza d’amorosi sensi si stabilisce quando una persona si reca sulla
tomba della persona estinta. Un esempio è quello che avviene alla madre di
Foscolo, Diamantina Spathis, la quale pur avendo quarant’anni, sembrava una
donna anziana siccome era lacerata dal dolore per la morte del figlio con il
quale parla sulla tomba del figlio lontano. Queste tematiche saranno
amplificate nel Carme de’ Sepolcri.
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