lunedì 24 ottobre 2016

Il possibilismo del Fascismo: politicizzazione dell’estetica o estetizzazione della politica. Intrecci fra Futurismo e Fascismo II capitolo

Esiste nella Storia qualcosa peggiore della damnatio memoriae ed è il tentativo di svincolare ciò che è positivo di un’epoca damnata dalla damnatio generale della stessa, falsificando o ignorando gli intrecci con quella parte di passato che si era condannato.
È questo il caso del Futurismo che, dagli anni Ottanta del Novecento è stato oggetto di importanti studi e di altrettanto fondamentali mostre a partire da quella importantissima Ricostruzione futurista dell’universo curata da Enrico Crispolti e tenuta a Torino nel 1980, fino a giungere a quella del 2014 Italian Futurism, 1909–1944: Reconstructing the Universe, curata da Vivien Greene al Museo Guggenheim di New York, in cui si tenta di sdoganare dal Fascismo il Futurismo successivo alla Prima guerra mondiale.
La questione rilevante non è tanto dimostrare fino a che punto il Futurismo sia stato o meno un movimento artistico al servizio del regime, aspetto inequivocabile e innegabile nella sua seconda fase, quanto capire come esso abbia nutrito in sé quel sostrato culturale – la definizione di un rinnovato stile di vita, l’ossessione per virilità e per la fisicità, l’insistenza sull’interventismo – che il regime fascista condivise.
Lo storico inglese Adrian Lyttelton scrive in un’opera fondamentale: “Il Fascismo non sarebbe potuto esistere senza Futurismo o per lo meno sarebbe stato qualcosa di molto diverso[1]. Consapevole del dubbio alla base di un ricongiungimento del Fascismo con l’arte futurista, è doveroso non cadere nell’operazione disonesta di accantonare – con una forma depotenziata di negazionismo – il ruolo che la politica ha giocato nella sua costituzione, ma rintracciare l’energia che il Futurismo ha dato al Fascismo.
Siccome il Futurismo ha avuto una lunga parabola è opportuno individuarne le scansioni. Si può affermare che il primo Futurismo entra in crisi quando Umberto Boccioni muore improvvisamente, nel 1916, mentre Carlo Carrà e Gino Severini sono in una fase di evoluzione verso il Cubismo, pertanto il gruppo milanese si scioglie ed il cuore pulsante del movimento futurista diventa Roma, con la conseguente nascita del Secondo Futurismo.
Il secondo Futurismo, si può suddividere in due fasi: la prima fase dal 1918 al 1928 è caratterizzata dallo scioglimento del gruppo di futuristi milanesi che si ricompattano a Roma intorno a Marinetti e in questa fase i pittori futuristi sono impegnati nel superamento del Divisionismo 
evolvendosi in forme astratto-geometriche, mediate dalla conoscenza del Cubismo, delle prime intuizioni post cubiste e costruttiviste Enrico Prampolini, Fortunato Depero, Francesco Cangiullo, Rougena Zatkova e ancora Giacomo Balla.
Nel 1929 i Futuristi entrarono nella seconda fase del secondo Futurismo (1929-38) e firmarono il Manifesto della Aeropittura, che proponeva uno stile pittorico capace di dare al pubblico sensazioni collegate al volo con il risultato di avvicinare gli artisti alle idee suggerite dal surrealismo: fra questi emerse l'attività del gruppo torinese (Luigi Colombo Fillia, Medardo Rosso, Nicolay Diulgheroff, P. Oriani, Farfa e altri). Momenti di adesione alla poetica futurista sono rilevabili nell'opera anche di altri artisti, come Mario Sironi, Ardengo Soffici, Ottone Rosai, Arturo Martini, Giorgio Morandi, Achille Funi, e altri.
Le  responsabilità politiche del Futurismo rispetto all’avanguardia sono legate all’esaltazione dell’avanguardia stessa, non dei suoi temi: l’estetica del Futurismo dopo la Prima guerra mondiale fu un’estetica dell’avanguardismo, più che un’avanguardia artistica. Quest’ideologia della rottura fine a se stessa creò l’humus culturale perfetto per la diffusione del Fascismo: basterebbe il solo famosissimo slogan sulla guerra, come sola igiene del mondo, della guerra come unica forza generatrice. Per quanto lo si voglia contestualizzare, calarlo nel suo tempo, non si può dimenticare che questo slogan ha avuto delle responsabilità influenti sulle sorti della gente, giustificando culturalmente una politica di morte. L’amore della morte degli squadristi e tutte le altre simbologie macabre che hanno nutrito la peggiore cultura fascista, non sono per nulla estranee a quegli atteggiamenti del Futurismo.
* * *
Il Fascismo come sistema totalitario, confrontato con il totalitarismo nazista e con quello sovietico, presenta moltissime smagliature nel suo progetto – se ve ne fu uno – di una politicizzazione dell’estetica a causa della sua imperfezione[2] leggibile anche come una sua debolezza rispetto ad altri regimi totalitari.
Gerardo Dottori 1916 - Ritmi astrali
Di estetiche ve ne furono diverse. Alcune accomunate dalle categorie del disagio, altre dalla volontà politica di acquisire comunque potere, altre ancora dall’adesione eccessiva al Fascismo, altre infine dal disincanto e dall’ironia. Nei confronti di queste estetiche il Fascismo ebbe, sebbene con modalità e finalità differenti, sempre un atteggiamento possibilista, almeno fino al 1938.
Per comprendere l’atteggiamento del Fascismo nei confronti dell’arte in generale, vanno innanzitutto differenziati i periodi, distinguendo i due decenni l’uno dall’altro, e quindi ponendo attenzione alla geografia dell’arte, della quale è ancora necessario parlare, perché l’Italia – quell’Italietta da poco formata come entità nazionale – nonostante le tendenze omogeneizzatrici espresse dal Fascismo, continuava a mantenere fortissime eterogeneità e specifiche culturali.
Virgilio Marchi 1919 Edificio visto da un aeroplano virante
La politica del Fascismo nei confronti dell’arte fu inizialmente cioè dopo la marcia su Roma nel 1922 abbastanza flessibile e priva di esasperate ostinazioni. L’inizio era ancora un’occasione di ricerca, capace al momento di respirare l’aria dei grandi ingegni del primo quindicennio del secolo: a Milano il salotto cremisi della signora Sarfatti – vera musa della cultura milanese – continuava a riunire gli eredi delle istanze plastico costruttive dell’ultimo Boccioni, e Mussolini, non ancora consolidato al potere, aveva ancora bisogno di tenere buoni i giovani intellettuali delle avanguardie.
Giacomo Balla 1920 - Numeri innamorati - Balla ritrae dei numeri, che fanno parte della famosa serie di Fibonacci dove ogni numero rappresenta la somma dei due che lo precedono, al tempo stesso rappresentando anche le simmetrie della natura, come, per esempio, la distribuzione delle ramificazioni, dei semi, delle foglie, dei petali del mondo vegetale.
Sul piano dell'immagine e della retorica, Mussolini aveva fatto ampiamente tesoro della lezione del Futurismo e continuò a farne uso parlando fino all'ultimo di Rivoluzione fascista, reclamando i diritti dell'Italia proletaria e ostentando quel giovanilismo e quello stile dinamico, sprezzante, fiero e spregiudicato, quell’amore del rischio e della sfida che i futuristi avevano proposto fin da quando il Fascismo ancora non esisteva.
Per questi motivi, nel tribolato periodo dell’immediato primo dopoguerra, norme e metodi futuristi erano travasati nel Fascismo, senza traumatici cambiamenti. Per una certa comunione di intenti: le posizioni polemiche del Fascismo contro l’oscillante borghesia liberale giolittiana, senz’altro traducibili in atteggiamenti anticapitalistici – la demagogia populistica e l’azione sediziosa volevano significare coraggio rivoluzionario – coincidevano con quelle dei futuristi, come la polemica fascista agli estremi tentennamenti del vecchio liberalismo trasformista della borghesia postrisorgimentale coincideva con la polemica futurista. In questi attacchi si inseriva bene anche la battaglia estetica futurista contro la limitatezza e il vecchiume dei gusti artistici borghesi.
Rougena Zatkova - 1920 - Ritratto di Marinetti
Osservando più da vicino il fenomeno delle relazioni fra Fascismo e  Futurismo – che sono in sostanza le relazioni fra Mussolini e Marinetti – si nota che i futuristi e gli altri artisti d’avanguardia erano confluiti facilmente nel nascente Fascismo: Marinetti era stato al fianco di Mussolini negli anni dell’interventismo, durante e dopo il conflitto, ed era stato presente al discorso di piazza San Sepolcro del 23 marzo 1919 e alla relativa fondazione dei Fasci italiani di Combattimento.
Eppure, a ben guardare le dinamiche fra i due movimenti ci si accorge che fin dal principio Mussolini era in ritardo rispetto a Marinetti: nel 1918, immediatamente dopo la guerra quindi con un anno di anticipo su Mussolini, Marinetti aveva organizzato con decisione un partito politico futurista e aveva pubblicato su Lacerba il Manifesto del Partito politico futurista che voleva essere nettamente, per quanto possibile a un intellettuale come lui, distinto dal movimento artistico, ma più che un programma di partito esso era lo specchio dello spirito vitalistico ed estetico dell'avanguardia futurista.
Questo manifesto tuttavia alimentò per molti aspetti il movimento fascista.
Subito dopo, nel 1919, Marinetti sostenne la costituzione dei Fasci politici futuristi che nacquero in diverse città italiane e, solo dopo quelli futuristi, Mussolini organizzò i suoi fasci per la scalata al potere.
I futuristi, durante il periodo antecedente la Prima guerra mondiale, erano stati espressione del malessere e della contestazione intellettuale che erano tuttavia tipici della società, lo stesso malessere che anche il Fascismo esprimeva. Da questo, dal dichiarato interventismo di Marinetti e dal suo incitamento alla guerra come “unica igiene del mondo”, nasce probabilmente l’equivoco di fondo dell’equivalenza delle due posizioni.
Enrico Prampolini - 1921 - Forme architettoniche di un paesaggio futurista
Dal 1909 al 1919 il Futurismo aveva svolto una funzione progressista, rivoluzionaria, perché fino alla Prima guerra mondiale quella continua provocazione culturale palingenetica poteva avere una sua raison d'être nel processo di emancipazione della borghesia, certamente in modo più efficace rispetto alla vecchia cultura cattolica e alla statica cultura idealistica e romantica, entrambe legate ancora a un passato rurale ed entrambe incapaci di riformarsi e di rinunciare a stili di vita obsoleti.
Per questo nel suo programma di critica anti-istituzionale, anti-accademica, anti-passatista, il Futurismo riuscì a trovare degli alleati anche nelle forze progressiste della sinistra, si pensi al seguito che ebbe perfino nella Russia bolscevica. Gramsci, in un celebre articolo su L’ordine nuovo, scrive: «I futuristi […] hanno avuto fiducia in se stessi, nella foga delle energie giovani, hanno avuto la concezione netta e chiara che l’epoca nostra, l’epoca della grande industria, della grande città operaia, della vita intensa e tumultuosa, doveva avere nuove forme, di arte, di filosofia, di costume, di linguaggio: hanno avuto questa concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista, quando i socialisti non si occupavano neppure lontanamente di simile questione, quando i socialisti certamente non avevano una concezione altrettanto precisa nel campo della politica e dell’economia, quando i socialisti si sarebbero spaventati (e si vede dallo spavento attuale di molti di essi) al pensiero che bisognava spezzare la macchina del potere borghese nello Stato e nella fabbrica. I futuristi, nel loro campo, nel campo della cultura, sono rivoluzionari; in questo campo, come opera creativa, è probabile che la classe operaia non riuscirà per molto tempo a fare di più di quanto hanno fatto i futuristi: quando sostenevano i futuristi, i gruppi operai dimostravano di non spaventarsi della distruzione, sicuri di potere, essi operai, fare poesia, pittura, dramma, come i futuristi, questi operai sostenevano la storicità, la possibilità di una cultura proletaria, creata dagli operai stessi»[3].  Lo stesso Gramsci in una lettera a Trotzky ricordò anche che a Torino e a Milano il Futurismo era stato talmente popolare tra i lavoratori che la rivista Lacerba, a prezzi ridotti, vendette quasi tutte le sue copie tra la classe operaia.
Ivo Pannaggi -1922 - Treno in corsa Macerata - Fondazione Carima
Purtuttavia, già nel Manifesto del 1909, Marinetti si mostra notevolmente militarista quando considera la guerra, il militarismo, il patriottismo, la retorica delle belle idee per cui si muore, il gesto distruttore dei libertari e persino il disprezzo della donna, come strumenti privilegiati per ripulire il presente dalle incrostazioni del passato. Già da questo primo Manifesto si possono scorgere elementi che anticipano alcune derive autoritarie e alcuni miti che saranno poi fatti propri dal Fascismo. Se si osserva poi con attenzione il programma del Partito politico futurista del 1918 si nota che esso ancora una volta anticipa molti punti del programma dei Fasci italiani di combattimento del 1919 tanto che la storiografia odierna ha rivalutato l'influenza dell'attività politica dei futuristi che, pur essendo una piccola élite, ebbero un ruolo notevole nella fase iniziale del movimento fascista.
Enrico Prampolini - 1923 - A
utoritratto simultaneo
Il rapporto fra Futurismo e Fascismo fu sempre un rapporto ambiguo e se ne osservino le ragioni. Il Futurismo era nato come reazione al culto per l'antichità e per la tradizione e anche in politica l’obiettivo futurista era rappresentato dalla critica alle istituzioni più tradizionali: Monarchia e Chiesa. Con la stessa foga i futuristi si opponevano però anche ai rivoluzionari socialisti o anarchici, che per loro erano colpevoli di non aver voluto la guerra, sola igiene del mondo. A questo punto l'alleanza politica con le organizzazioni di reduci come gli Arditi e con gli ex esponenti del socialismo interventista come Mussolini era un percorso obbligato.
Benedetta Cappa Marinetti - 1924 - Luce + rumori di treno notturno
Quest’alleanza coincise con l’apogeo dell’impegno politico futurista che vide la fondazione, alla fine del 1918, dei Fasci futuristi, la cui rapida diffusione in diverse città italiane fu prontamente testimoniata dagli articoli pubblicati su Roma futurista, il giornale del partito politico futurista.
Nella fase che immediatamente precedeva la fondazione dei Fasci di combattimento, il Fascismo era ancora un vago movimento che assorbiva molto dal nazionalismo rivoluzionario di Marinetti per una notevole convergenza ideologica e politica con il Partito futurista. E il debito del Fascismo nei confronti del Futurismo non si esauriva soltanto nella risolutezza violenta di imporre coi cazzotti le proprie idee, ma si estendeva a diversi atteggiamenti ideologici: il combattentismo, l’interventismo, l’anti egualitarismo, il nazionalismo, l’antisocialismo, il disprezzo per la democrazia parlamentare, le idee repubblicane e l’attenzione per il rapporto con le piazze. In altre parole un miscuglio fra idee di sinistra e di destra. I due movimenti condividevano inoltre una simile concezione della vita e un simile sistema di valori: il culto della giovinezza e della forza, l'irrazionalismo e il primato dell’azione, l'esaltazione della modernità e del mito dell’italianità. Marinetti a buon diritto disse nel 1924 che il fascismo nato dall'interventismo e dal futurismo si nutrì di principi futuristi. E, in effetti, i fasci di combattimento, si rifecero ampiamente al nazionalismo rivoluzionario di Marinetti, non solo per la risolutezza nell’imporre le proprie idee, ma anche scendendo in piazza, e per le filosofie d’azione e i sistemi organizzativi, che Mussolini certamente mutuò dai futuristi. Benedetto Croce, sulle pagine de La Critica spiegò: “Veramente per chi abbia senso delle connessioni storiche, l’origine ideale del fascismo si ritrova nel futurismo: in quella risolutezza a scendere in piazza, a imporre il proprio sentire, a turare la bocca ai dissidenti, a non temere tumulti e parapiglia, in quella sete del nuovo, in quell’ardore a rompere ogni tradizione, in quella esaltazione della giovinezza, che fu propria del futurismo»[4].
Giuseppe Prezzolini, in un articolo intitolato Fascismo e futurismo, pubblicato il 3 luglio del 1923, scrive: «Evidentemente nel Fascismo c'è stato del Futurismo e lo dico senza alcuna intenzione. Il futurismo ha rispecchiato fedelmente certi bisogni contemporanei e certo ambiente milanese. Il culto della velocità, l'amore per le soluzioni violente, il disprezzo per le masse e nello stesso tempo l'appello fascinatore alle medesime, la tendenza al dominio ipnotico delle folle, l'esaltazione di un sentimento nazionale esclusivista, l'antipatia per la burocrazia, sono tutte tendenze sentimentali passate senza tara nel fascismo dal futurismo".
Ugo Pozzo - 1926 - Cosmopolis
Nella fase del tormentato dopoguerra, il legame tra Futurismo e Fascismo si concretizzò dapprima con l’adesione di Marinetti alla proposta di Mussolini di creare una Costituente dell’interventismo nel dicembre del 1918, che si rivelò tuttavia fallimentare. Futuristi e fascisti furono ancora uniti nel gennaio del 1919, nella manifestazione al Teatro alla Scala contro Leonida Bissolati, poi ancora con la partecipazione di Marinetti e di altri futuristi alla fondazione dei Fasci di combattimento il 23 marzo 1919, il cui programma fu anche presentato sul numero del 16 aprile 1919 di Roma futurista.
Giacomo Balla - 1926 - Verginità
È ulteriormente indicativo che i futuristi fossero tra gli organizzatori e animatori di alcuni dei primi episodi di squadrismo fascista: l’assalto squadrista e l'incendio della redazione milanese dell'Avanti! il 15 aprile del 1919, la partecipazione di Marinetti all’assalto squadrista di un corteo socialista di Milano, l’attacco insieme a De Vecchi di un corteo di cattolici, i cui stendardi furono gettati nel Naviglio.
Gerardo Dottori - 1927 - Trittico della velocità: Il via, la corsa, l'arrivo
Nei delicati momenti del diciannovismo, Marinetti e Mussolini finirono insieme in carcere per connesse attività politiche sovversive ed è chiaro che Mussolini avesse accolto e riutilizzato nella mistica fascista molte delle istanze proprie dell'ideologia futurista: candidato nella lista fascista alle elezioni del 1919, Marinetti fu secondo solo a Mussolini per numero di preferenze.
Gerardo Dottori - 1928 - Autoritratto
Si è soliti considerare la connessione fra Futurismo e Fascismo sul terreno comune d’incontro dell'esaltazione dell'aggressività e della guerra: in realtà la questione è ben più complessa, per cui occorre tener presenti alcune questioni fondamentali. Si è visto che il Futurismo era stato sempre un passo avanti al Fascismo e che quest’ultimo ne utilizzò, nella sua fase rivoluzionaria diciannovista, idee ed energie. Marinetti dal canto suo si era convinto di poter trovare, nel nascente movimento fascista, il braccio politico del Futurismo, sebbene considerasse il Fascismo, solo una realizzazione minima e depotenziata del programma politico futurista che, di fatto, aveva preceduto il programma fascista del 1919.
Gerardo Dottori - 1930 - Torino
La battaglia condotta da futuristi e fascisti per le vie di Milano costituì non soltanto uno degli eventi anticipatori di quel clima di violenza diffusa che avrebbe portato alla marcia su Roma, ma rese anche evidente la totale convergenza sul terreno dell’illegalità di due organizzazioni politiche che pure non rinunciavano a partecipare alla lotta parlamentare e alle competizioni elettorali, mescolando l’apparente rispetto delle regole del gioco democratico con il ricorso a pratiche illegali caratteristiche della tradizione antipolitica nazionale.
Ttato - 1930 - Paesaggio in velocità
Bisogna inoltre considerare che, fin dalla sua fondazione, il movimento futurista, al pari del Fascismo, presentava forti ambiguità che non si evidenziarono subito, ma solo gradualmente e quando i contrasti di fondo tra le varie forze in gioco si chiarirono, nel corso degli eventi storici della prima fase del Novecento.
Tato -1930 - Volando sul Colosseo
La relazione fra i due movimenti fu piuttosto ondeggiante e non sempre tranquilla.
In seguito all’accordo del 1919 e per poco più di un anno Marinetti procedette al fianco di Mussolini, ma dopo il secondo Congresso nazionale dei fasci di combattimento nel maggio 1920 uscì dai Fasci e voltò le spalle alla politica: Mussolini mirava ad una rivoluzione possibile mentre Marinetti insisteva sulla necessità di svaticanare l'Italia, di abolire la monarchia e di appoggiare gli scioperi giusti, a fronte di un Mussolini che, pur continuando a rivolgersi soprattutto ai ceti popolari, attenuava il proprio anticlericalismo, tranquillizzava la borghesia e si preparava a venire a patti con il re. Il poeta iniziò lentamente, ma decisamente a divergere dal Fascismo. Anche il Fascismo agli occhi di Marinetti aveva acquistato il sapore di passatismo e così insieme a tanti altri futuristi si dimise dai fasci prima della fine del 1920, attestandosi su posizioni di sinistra che gli valsero l’inimicizia del Fascismo ufficiale. Si racconta, infatti, che il duce in quell’occasione avrebbe affermato: «Marinetti è uno stravagante buffone che vuol fare della politica e che nessuno, nemmeno io, prende sul serio in Italia»[5]. In seguito al suo distacco dai Fasci, Marinetti non prese parte alla marcia su Roma, pur essendo era nella redazione del Popolo d'Italia, a Milano, quando Mussolini manteneva frenetici contatti telefonici con Roma che portarono poi alla sua convocazione al Quirinale, con il conseguente incarico di formare il Governo.
Giacomo Balla - 1931 - Balbo la trasvolata sull'Atlantico
Marinetti continuava ad essere dalla parte di Mussolini, come quasi tutti i futuristi risparmiati dalla guerra, ma aveva della rivoluzione un’idea più radicale, inframmezzata da utopistiche eccentricità, ben diversa da quella pragmatica, perfino cinica di Mussolini: se l'alleanza si era rotta, era stato soprattutto per il trasformismo di Mussolini.
Giacomo Balla - 1932 - La marcia su Roma
All’inizio degli anni Venti, l’atteggiamento del Fascismo, asceso al potere, ma non ancora affermato come regime – pertanto ancora privo di una sua immagine rappresentativa quindi non ancora costretto ad identificare le tendenze artistiche con un’ideologia di sistema – manifestava una certa apertura di fronte alle varie correnti artistiche. Tuttavia la concezione dell’arte o l’uso che il Fascismo ne fece andò progressivamente trasformandosi, seguendo le vicende politiche che la sua governance assunse nel corso del suo ventennio di potere.
Giacomo Balla - 1933 - Primo Carnara
Il Futurismo si muove da una parte parallelamente al Fascismo della fase diciannovista (dal quale poi si separa polemicamente nel momento in cui il movimento mussoliniano cominciò la sua virata verso destra), e dall’altra in consonanza con la sinistra anarchica e con il sindacalismo rivoluzionario. Quando nel 1922 il Fascismo aveva trasformato il suo empito rivoluzionario in un accomodamento, scendendo a patti con la Monarchia, Marinetti e i futuristi sentirono di essere stati traditi: tuttavia, anche quando Marinetti e Mussolini furono più lontani, la tensione nasceva dal rimprovero ai fascisti di essere troppo poco radicali, troppo poco spregiudicati, troppo poco aggressivi. Marinetti sognava un Fascismo perennemente immerso nell’effervescenza squadrista, che bastonasse, metaforicamente e non solo, tutti i residui dell’Italietta giolittiana. Indipendentemente dal fatto che queste aspirazioni fossero davvero traducibili in politica, di sicuro quello che voleva Marinetti era un Fascismo più fascista, più rivoluzionario. Ma l’allontanamento di Marinetti da Mussolini era dovuto anche alla sua delusione che il Duce non avesse riconosciuto il Futurismo come arte ufficiale del regime.
Gerardo Dottori - 1934 - polittico della rivoluzione fascista -
Tramontata l’ipotesi di un’alleanza a sinistra e constatata l’impossibilità di trovare per il Futurismo – nel contesto del nascente regime – un proprio spazio politico autonomo, Marinetti optò per un sostanziale disimpegno del suo movimento dalla sfera politica, assumendo il Fascismo quale «realizzazione del programma minimo futurista», pur continuando a mantenere viva la tensione rivoluzionaria della fase diciannovista.
Dopo la tiepida accoglienza che aveva avuto Parigi con il Tattilismo nel 1924 – quando ormai non era più considerato la caffeina d’Europa e il nuovo verbo delle avanguardie era recitato dai dada – si era avvicinato di nuovo al Fascismo: Mussolini, che ormai stava consolidando il suo potere e il regime, lo colmò di onorificenze, più formali che sostanziali come le Onoranze a Marinetti il 23 novembre.  Dal canto suo Marinetti col I Congresso Nazionale futurista, tenuto a Milano nel pomeriggio della stessa giornata, portò il movimento futurista di nuovo in seno al Fascismo, concedendo riconoscimenti al Fascismo che contribuirono a connettere sempre più il Futurismo al P.N.F. Sempre durante il congresso, Marinetti invitò Mussolini a tornare: «il Grande Mussolini, capace di restituire al Fascismo e all’Italia la meravigliosa anima diciannovista, disinteressata, ardita, antisocialista, anticlericale, antimonarchica».
L’evento fu ripreso nelle numerose cronache dell’epoca sia giornali sia volantini sia nella lucida analisi di Piero Gobetti che nell’articolo Marinetti il precursore sostenne che Marinetti aveva rinunciato alla politica solo per evitare lo sfascio del movimento.
In ogni caso se c’era stato un periodo in cui Marinetti aveva visto Mussolini come uno strumento positivo di svecchiamento dei costumi, la sua delusione prese il posto dell’illusione: la spinta dei futuristi alla rivoluzione creativa non poteva accordarsi con la filosofia conservatrice verso cui si volgeva il Fascismo. D’altro canto però l’irrequietezza, l’anarchismo, il ribellismo, le stesse polemiche dei futuristi non erano più utili, anzi apparivano eccessi che cominciavano a trasmettere un certo senso di disagio e di inquietudine.
Dopo il 1925, consolidata ormai la propria posizione di governo e instaurato definitivamente il regime, il Fascismo doveva presentarsi come il partito che avrebbe dovuto ricomporre l’armonia lacerata dalla crisi che ne aveva consentito la sua stessa ascesa, quindi era costretto ad elaborare una dottrina d’ordine che desse un’adeguata risposta a tale esigenza in tutti i campi, anche in quello delle arti e per questo continuò a guardare al Futurismo con perplessità, perché quell’audacia sfrontata contrastava con il principio fascista di quel momento di dare un’immagine di sé tranquilla e rassicurante. Il Futurismo, così irrequieto e violento, poteva essere tornato comodo negli anni dello squadrismo, ma una volta al potere Mussolini aveva certo bisogno di orientamenti sicuramente moderni, ma più moderati, che s'intonassero al clima romano e alla piena riconciliazione con la tradizione.
Del Futurismo rimasero solo alcuni motivi formali che però avevano già improntato non solo l'ideologia del regime, ma soprattutto lo stile e il linguaggio della dirigenza fascista, come l'estremismo verbale e il gusto per l'iperbole, la propensione per le imprese temerarie, l'esibizione di uno spirito gladiatorio. Di fatto, altri erano i cardini su cui il regime aveva edificato un nuovo ordine fascista.
L'organizzazione di un regime totalitario aveva comportato il ripudio sia di concezioni attivistiche elitarie, sia di atteggiamenti dissacranti, tipici del Futurismo e aveva imposto il controllo di un partito unico su ogni aspetto della vita individuale e collettiva.
I futuristi non presero più alcuna posizione politica, avallando in questo modo l’ipotesi di una loro adesione al Fascismo regime,  ma non è facile stabilire se la mancata dissociazione rappresenti una piena condivisione alla politica fascista.
Quello che è certo è che il Futurismo non fu proposto dal Fascismo come arte del regime e che fu, talvolta vezzeggiato da alcuni gerarchi, ma più spesso apertamente attaccato da altri. Al riguardo vale la pena ricordare l'episodio del 1924 quando i futuristi non erano stati ammessi alla Biennale di Venezia e Marinetti aveva inscenato una protesta all'inaugurazione della mostra alla presenza del re. Per i fascisti i futuristi continuavano a rappresentare personaggi inquieti e quindi non del tutto affidabili. Del resto il Fascismo non sviluppò una propria cultura, ma accettò via via diversi stili artistici e un’ampia parte dei suoi aderenti mostrava un'irriducibile avversione verso la modernità.
Nel 1925 Marinetti, pur dimostrando scarsa simpatia verso alcuni gerarchi fascisti, per la sua amicizia con Mussolini e, presumibilmente, per fornire supporti al movimento futurista appose la sua firma al “Manifesto degli intellettuali fascisti”.
Fortunato Depero - 1935 - Esaltazione della bandiera nazionale
La riconciliazione con Mussolini[6] era avvenuta in prospettiva di una affermazione del Futurismo come unica arte innovatrice, cosa che gli riuscì soltanto in minima parte: il poeta infatti si tenne o fu tenuto lontano da ogni importante carica di partito o di governo, ma restò sempre un ascoltato amico di Mussolini, ben consapevole del prestigio internazionale goduto dal fondatore del Futurismo. I futuristi continuarono ad avere uno spazio: furono presenti con le loro opere alla terza Biennale di Roma del 1925 e poi a quella di Venezia del 1926 dove ebbero uno spazio tutto loro, ma sempre nello spirito della tolleranza che si riserva ad amici sostanzialmente troppo facinorosi.
Alessandro Bruschetti - 1935 - Sintesi fascista
Nella sua ambiguità il rapporto fra Futurismo e Fascismo fu fondamentalmente un rapporto basato da un lato sulla nostalgia del passato sansepolcrista, da un altro sul compromesso: se nel 1928 Marinetti accettò la nomina a Segretario del Sindacato Autori e Scrittori e se l'ex incendiario della cultura accademica nel 1929 accettò quella di membro dell’Accademia d’Italia – atto che ovviamente neutralizzò le spinte moderniste del Futurismo e che di certo cozzava con gli ideali antiaccademici professati dal movimento – fu per rimanere sempre fedele a quel Fascismo – quello rivoluzionario diciannovista – che lo aveva deluso, ma nei cui confronti continuava sempre a nutrire nostalgico affetto, ma fu anche per continuare a rinforzare il Futurismo rimanendo nel sistema. Su questo è fondamentale la testimonianza di Francesco Cangiullo, che così ricorda le parole di Marinetti: «Se non accettavo l’Accademia non vi potevo lanciare. Mussolini non vi accetta. E poi non è stato Mussolini a entrare nel futurismo ma è stato il futurismo a sfondare nel fascismo è il futurismo che entra nell’Accademia non è l’Accademia che entra nel futurismo”. Da queste parole si capisce che anche la componente opportunistica aveva giocato il suo ruolo nei rapporti tra artisti e politica: gli eventi, le mostre, gli spettacoli e la copiosa attività editoriale dei futuristi furono, infatti, finanziati dal regime fascista e lo stesso Marinetti era personalmente stipendiato dal duce. In cambio durante il regime i futuristi assecondarono il potere soprattutto con opere di propaganda celebrando le imprese e le iniziative del Fascismo.
Tullio Crali - 1936 - Aerocaccia 
L’incontro tra Futurismo e Fascismo produsse certamente alcuni tra i risultati artisticamente più deludenti del movimento. Giacomo Balla, Fortunato Depero, Tato, Corrado Forlin, Thayaht dipinsero e scolpirono Mussolini, le squadre d'azione, i legionari. Alcune opere futuriste sono un chiaro inno alle imprese fasciste[7], si pensi ad Alessandro Bruschetti e alla sua didascalica Sintesi fascista del 1935, ma anche ad artisti straordinariamente originali e centrali nella seconda fase del Futurismo come Fortunato Depero, nel cui bozzetto per un mosaico dedicato alla Proclamazione e trionfo della bandiera nazionale del 1935 non si ritrova altro che l'ideologia del Minculpop che stride per lo scontro modernismo e realismo sociale.
Corrado Forlin - 1938 - Nascita imperiale di Carbonia
Le pagine artisticamente più interessanti della fusione tra l’estetica futurista e la propaganda fascista bellica, totalitaria e colonialista del periodo tra le due guerre sono quelli della scoperta della dimensione del combattimento aereo. Dalla fine degli anni venti e per tutto il decennio successivo, alla dromolatria e al culto futurista della macchina si affianca la mitizzazione dell’aeroplano, un’immagine che domina tutta l’ultima produzione del movimento, dall’aeropittura all’aeropoesia, dall’architettura aerea – già anticipata
Tullio Crali - 1938 - Incuneandosi nell'abitato
da Virgilio Marchi con il suo Edificio visto da un aeroplano virante”. Le opere di Tullio Crali, Enrico Prampolini e Benedetta, i cui murali commissionati dal Palazzo delle Poste di Palermo rappresentano forse gli esempi più convincenti di quest’ultima fase.
A fronte degli aspetti propagandistici, in Italia la posizione del Fascismo nei confronti dell’avanguardia artistica fu molto più morbida e questo soprattutto grazie a Marinetti che, occupando un ruolo importante nella cultura italiana, fu costantemente in prima linea nel difendere la libertà espressiva non solo dei futuristi, ma di tutti gli artisti contemporanei.
Tullio Crali - 1939 - Prima che si apra il paracadute
Marinetti si oppose in prima persona all'Operazione arte degenerata con cui il regime, sulla scia di quanto accadeva nella Germania di Hitler, pretendeva di sbarazzarsi delle avanguardie, cancellando di fatto la nuova arte del Novecento, Futurismo compreso.
Il primo agosto 1937 dalle pagine del periodico parigino Il merlo Marinetti attaccò duramente la politica culturale di Hitler e precisò che in Italia Mussolini non seguiva la stessa linea e dava spazio all’avanguardia futurista. Ma nel frattempo anche in Italia qualche critico abbracciava posizioni simili a quelle hitleriane. È il caso di Telesio Interlandi e di Roberto Farinacci, che attaccarono apertamente Marinetti e il Futurismo.
Nel novembre del 1938 dalle pagine de Il Tevere, Telesio Interlandi accusò di internazionalismo il Futurismo e Marinetti, ma il poeta non era disposto a subire l’affronto e con decisione respinse colpo su colpo le critiche: il 3 dicembre 1938 organizzò con successo una manifestazione di protesta al Teatro delle Arti di Roma nella quale Marinetti fu il grande protagonista della serata memorabile. In sala c’erano i rappresentanti di tutta l’arte moderna, futuristi, razionalisti come Giuseppe Terragni, astrattisti come Osvaldo Licini. Marinetti si presentò in sala con una mitragliatrice in spalla e pronunciò parole di fuoco contro Farinacci, Interlandi e gli altri critici filotedeschi e in difesa del futurismo e dell’arte moderna.
Gerardo Dottori - 1942 - Battaglia aerea sul golfo di Napoli
Marinetti, che pure in diverse circostanze dissentì dalle scelte di Mussolini, continuò sempre ad appoggiarlo: si arruolò volontario durante l'invasione d'Etiopia e lo appoggiò durante la guerra arruolandosi nella campagna di Russia forse nella speranza di finire martire, eroe della patria, come durante la Prima guerra mondiale Boccioni e Sant'Elia. Marinetti appoggiò Mussolini anche dopo la caduta del Regime, aderendo alla Repubblica di Salò nel cui seno, a Bellagio, trascorse gli ultimi anni della sua vita.
Marinetti scrisse opere dichiaratamente, sentitamente e spregiudicatamente fasciste, come Il poema africano della divisione '28 Ottobre' del 1936, Canto uomini e macchine della guerra mussoliniana del 1942 e Quarto d'ora di poesia della X Mas, in cui canta le lodi della più scellerata delle Brigate Nere.
Quando Marinetti morì nel 1944 volle essere sepolto in camicia nera: il funerale solenne di Stato, voluto da Mussolini, fu celebrato a Milano simbolicamente nella chiesa di San Sepolcro proprio in quella piazza dove era nato il Fascismo.
Quasi nessuno dei futuristi sopravvissuti a Marinetti è diventato antifascista.
In quanto artista e critico d'arte, Marinetti fu senza dubbio un grande innovatore, fondamentale per comprendere la letteratura e l’arte dell’Italia del Novecento, ma politicamente ebbe posizioni piuttosto discutibili: non solo perché s'illuse sull'effettiva carica rivoluzionaria del Fascismo, ma anche perché accettò di convivere pacificamente con il volto reazionario dello stesso Fascismo.




[1] Adrian Lyttelton: Futurism, Politics, and Society , 2004
[2] Sulle cause dell’imperfezione del fascismo come stato totalitari sono state, come è noto, avanzate varie teorie, ad esempio, Hannah Arendt la riferisce alla tradizionale bonarietà di fondo, per "struttura mentale" degli italiani, Steinberg la attribuisce invece all'incapacità del Fascismo di darsi regole ferree ed esecutori efficienti, altri ancora nella mai completa adesione al Fascismo da parte degli italiani.
In ogni caso, si tratta di semplificazioni e per lo più di luoghi comuni, perché se ci si addentra nello studio dell'apparato fascista si rilevano piuttosto altri motivi della sua mancata perfezione, a livello strutturale. La diarchia re-duce può essere prova di imperfezione, certo vi furono segnali palesi del tentativo di accentrare ulteriormente il potere nelle mani del Partito nazionale fascista e del suo capo. Incompleta fu l'influenza del Fascismo nell'economia, la cui gestione fu affidata ad enti parastatali, in cui la presenza dei privati rimase massiccia. La componente cattolica fu troppo moralmente potente perché il Fascismo potesse perfezionarsi come totalitarismo.
[3] Antonio Gramsci, Socialismo e fascismo, in L’Ordine Nuovo. 1921-1922, Einaudi, Torino, 1966.
[4] B. Croce: Fatti politici e interpretazioni storiche in La critica anno III n 20 maggio 1924
[5] Cfr. Claudia Salaris, Storia del futurismo, 1992
[6] Mussolini nel frattempo aveva ottenuto di fatto l'uscita dal movimento dei socialisti, dei comunisti, degli anarchici e di tutti gli altri antifascisti che vi avevano militato fino a quel momento.
[7] Aeropoema futurista dei legionari in Spagna (1941), Carlinga di aeropoeti futuristi di guerra (1941), Canzoniere futurista amoroso guerriero (1943)

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