martedì 1 settembre 2020

La deposizione di Cristo di Pontormo di Massimo Capuozzo

Dedicato al Professor Philippe Daverio
dalle cui opere ho tratto, nei miei limiti,
la capacità di comunicare la Storia dell'Arte,
cercando di accattivare con ironia i lettori.
Mi mancheranno i suoi voli, testimoni della
sua inusitata competenza.
Grazie Prof. di tutto quello che, pur
non conoscendomi, mi ha dato! 

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Quel Trasporto di Gesù, passato poi nei manuali di Storia dell’Arte come la Deposizione, è uno dei massimi capolavori del Manierismo, una pala sorprendente, eseguita per la “Cappella Capponi”, nella piccola “Chiesa di Santa Felicita” a Firenze.


Il giudizio negativo sull’opera espresso da Vasari è una delle cantonate che spesso prendono i critici d’arte, quando non si attengono a una lettura oggettiva su tutti i livelli, ma si fanno vincere dai loro preconcetti di natura estetica. A Vasari non piacque questo dipinto, con cui invece Pontormo sembrava aver voluto sfidare se stesso, molto probabilmente perché il Maestro aveva rotto del tutto gli schemi con il passato ossia la Maniera che lui invece amava tanto.
Con quest’opera, Pontormo sembra essere saltato a piè pari in un'altra epoca, ancora lontana da quel 1528, e preannuncia l’inizio dei tempi nuovi del “Barocco”. Osservando il dipinto, la norma rinascimentale, logorata dal suo stesso interno, si disfa davanti ai nostri occhi come si disfaceva davanti a quelli di Vasari.
Molti avvenimenti erano trascorsi: grandi mutamenti politici, forti sconvolgimenti sociali e una crisi religiosa devastante senza pari avevano infranto tutte le certezze su cui si era poggiato il Rinascimento. Questo clima di incertezza non poteva non riflettersi su un animo sensibile come quello di Pontormo e tantomeno non lasciare, dentro di lui, lacerazioni e ferite profonde. Nella sua vita c'era stata inoltre un'esperienza artistica fondamentale: la visione della volta della Cappella Sistina nel 1512 durante il suo viaggio a Roma - precipitoso come una fuga. Per lui, come per molti artisti della sua generazione, era stata una rivelazione destinata a lasciare tracce profonde.
Di quella realizzazione titanica, Pontormo aveva colto proprio l'elemento inquieto, irrazionale: le sproporzioni delle figure, l'uso complesso e scomposto della prospettiva, l'introduzione di figure e di iconografie complesse, i colori freddi e innaturali. Ma il giovane pittore aveva anche dolorosamente assimilato che il tempo dell'equilibrio classico e dell'armonia era finito per sempre, rivedendo in sé il tormento di Michelangelo e il suo stesso carattere schivo e scontroso.
Fra i mille aneddoti che ci riferisce, Vasari racconta che il Pontormo si era imposto una sorta di autoisolamento di tre anni nella cappella Capponi, cui interdisse l’accesso a tutti, perfino agli stessi committenti, chiudendo il vano con un tramezzo di legno, prima di svelare al mondo, nel 1528, questo capolavoro “con stupore di tutta Firenze”.
Ed è davvero stupefacente questa Deposizione che ci racconta di un tormento, di un'inquietudine e soprattutto dell'emergere di un'incertezza, che non è solo quella di Pontormo, ma di una generazione intera di intellettuali che avevano posto fede nella centralità dell’uomo e della sua onnipotenza come per esempio Ariosto, che giunge ad affermare che il giudizio umano spesso erra, o come Machiavelli, che si rende tristemente conto di come la virtù sia spesso ostaggio della fortuna.
Prima di realizzare il dipinto, Pontormo lo studiò a lungo, tanto che esistono numerosi disegni preparatori non solo della tavola, ma anche della cappella Capponi più in generale. Per realizzare la pala non disegnò a mano libera, ma si servì del metodo del trasporto dal cartone disegnato a carbone sul verso e ricalcato direttamente sulla tavola ingessata.
La struttura dell’opera e il tipo d’impaginazione adottati danno alla scena un accentuato verticalismo che altera audacemente il più stabile e tranquillo schema piramidale di solito utilizzato: Pontormo concepì, infatti, il dipinto completamente proiettato verso l’alto, secondo il punto di vista dal quale lo spettatore lo poteva guardare, per questo i personaggi sono collocati su un rilievo artificiale dal sapore teatrale.
L’articolazione spaziale è complessa, movimentata, e in essa lo spettatore prende parte all’intreccio del dipinto e alla narrazione di quest’ultima scena della Passione, che ruota tutta intorno ad una sorta di cardine invisibile.
La mancanza di ogni riferimento prospettico sublima la ricostruzione scenica, affollata dai corpi degli undici personaggi che, tranne i due in primo piano, sembrano sospesi nel vuoto davanti a una sorta di scena teatrale, realizzata anche grazie alla scelta attenta dei colori. A causa della mancanza di riferimenti prospettici, dell’equilibrio instabile delle figure in primo piano e delle figure più in alto, che sembrano fluttuare nel vuoto, non è, infatti, chiaro se essi stanno portando Gesù dalla Madonna o se lo stanno portando al sepolcro.
La mancanza di un punto fermo fa assomigliare la composizione a un moto perpetuo, a un divenire continuo, messo in evidenza dalla curva del corpo abbandonato di Gesù cui corrisponde, quasi specularmente, il ritrarsi della Vergine colta da malore.

Il centro della composizione è costituito dal viluppo di mani intrecciate delle figure, quasi aggrovigliate tra di loro, che sembrano confusamente accatastate l'una sull'altra: esse si accalcano intorno al corpo di Gesù e alla Madonna, senza più nulla di visibile che le sostenga, eccetto la potenza della tragedia che si sta consumando ed eccetto il dolore che avvolge e lega ogni personaggio.
Il loro gioco di sguardi è una continua epifania del dipinto che racconta una storia e poi, subito dopo, altre mille e, forse, tutta la Storia. Vari sentimenti, tutti della gamma del dolore, percorrono gli sguardi dei personaggi, dalla compassione, all’angoscia, alla desolazione. Ma più che un vero dolore, Pontormo mette in scena una sensazione di smarrimento, di una fissità e di un silenzio metafisico, di sospensione non solo del moto, ma del respiro stesso, tutto dovuto alla presa di coscienza dell'ineluttabilità della volontà divina.
Su tutto prevale lo sbigottimento Qualcuno guarda verso di noi con occhi spalancati, attoniti: sono gli occhi di chi è immerso in un dramma spaventoso e che la sofferenza ha reso coscienti dell’ineludibilità del dolore.

Dal dipinto scaturisce la sensazione di una disperazione profonda e sconfortata.


Le figure umane, allungate e sproporzionate, sembrano allucinate e sono il segno più tangibile della volontà del Pontormo di rompere con il passato in una contrapposizione forte e decisa che gli fa tagliare la composizione con linee geometriche, le stesse che si ritrovano nelle campiture piatte dei tessuti dalle variazioni minime di colore.
A questa Deposizione sembra mancare un elemento essenziale per questo genere di immagini: la Croce.


Essa però c’è, ma è sottintesa, forse ridotta a puro simbolo, la cui assenza quasi non si percepisce per il tumulto dei personaggi e delle vesti, o forse perché la posa della Madonna col suo manto azzurro inconsciamente ce la ricorda, o forse perché anche le altre figure in alto, tendono ad assumere una forma di croce nel complesso dei toni azzurri.


Entrando nel dipinto dalla parte centrale in basso, quella più vicina allo spettatore, un giovane ci guarda: i suoi occhi, l'espressione del suo viso, trasmettono lo sbigottimento e la disperata ricerca di una spiegazione di ciò che non può essere spiegato. La posizione del suo corpo dà l'idea di quanto grande debba essere la forza, necessaria per sostenere il peso della tragedia immane che gli grava addosso.
Su di lui, sullo sfondo di un cielo azzurro, ma che tende al grigiastro, 
un gruppo di dolenti sostiene il corpo di Gesù morto. Un altro gruppo circonda e sorregge quello dalla Madonna che sta per cadere svenuta. Siamo in un momento sospeso, al di là del tempo e dello spazio, in un’assenza quasi totale di gravità.
Di impatto colpiscono i colori così chiari e così innaturali: prevalgono i toni del celeste e dell’azzurro in cui l’azzurrite si mescola con la biacca, con il nero e con il lapislazzulo, soprattutto nell’impianto centrale in cui si evidenzia la Madonna e il dipanarsi della sua veste che si distende e si gonfia per gran parte del dipinto.
La maggior parte dei pigmenti è impastata con la biacca, per questo l’opera si illumina indipendentemente dalla provenienza della luce, sebbene Pontormo l’abbia organizzata derivante da destra, e crea degli effetti singolari come per esempio il volto della ancella alle spalle della Vergine che, colpito dalla luce radente, rende pallidamente cinereo il volto della donna perché in ombra e che le lambisce solo i capelli. Gli accostamenti cromatici passano continuamente da tonalità più calde e dolci a sfumature più fredde e acide.
L’insieme dei colori, quasi sfiorati da una luce straordinaria e soprannaturale, è chiaro, vivo intenso con la preponderanza di sfumature rosa e azzurre, alternate al verde e a tonalità di uno arancio smagliante.
Molti colori non sono nemmeno descrivibili: ci sono i rosa malva e salmone, i verdi smeraldini e terrosi, tanti azzurri diversi, il giallo arancio, il rosso vermiglio vivo, il rosa cangiante nell’azzurro, il verde cangiante nel giallo che danno effetti cromatici quasi "stupefacenti”.
Strettamente connesso al colore è l’uso della luce che insieme al colore, a Vasari parvero «senz'ombra», che non seguivano certo la rigida «maniera» del tempo, che poi era la forma mentis “accademica” vasariana. Pontormo stemperò i colori con toni più chiari che riducono le ombre al minimo, talvolta esse sono quasi inesistenti tanto che sempre Vasari diceva che le tinte impiegate erano talmente chiare e così simili nell'intensità fra di loro, che le parti in piena luce erano a stento distinguibili da quelle appena in ombra e che quelle in penombra da quelle completamente in ombra. Il corpo di Gesù e quello dei due giovani che lo sostengono sono colpiti da una luce forte, che lascia in penombra le altre figure, fino a perdersi nell’oscurità del fondo. Questa trasparenza delle ombre toglie qualsiasi consistenza ai volumi e quindi peso ai corpi. Gesù balza in primo piano, pallido quasi esangue: ha le labbra viola, la barba rossiccia, i riccioli tanto naturali quanto perfetti, i contorni sfumati di rosso delle palpebre che le rendono più vive. I due giovani in primo piano a sinistra, trasportano il suo corpo, procedono verso destra del dipinto: il primo tiene le gambe di Gesù ed è accovacciato, mentre il secondo che regge le spalle sta in piedi: entrambi rivolgono lo sguardo verso gli spettatori ed entrambi sembrano non percepire il vero peso del corpo, come dimostra il loro procedere in punta di piedi: alcuni studiosi hanno ipotizzato che queste due figure siano angeli, in attesa di spiccare il volo fuori dal dipinto, per portare Gesù nelle braccia di Dio Padre, che era originariamente raffigurato nella cupola della cappella.


L’attenzione è focalizzata poi sulla Vergine che occupa gran parte della parte centrale e destra col suo leggero manto azzurro. Ella ha il volto tormentato e leva un braccio verso Gesù, arretrando come prima di perdere i sensi, circondata da quattro donne, ma quasi tutti i personaggi partecipano più o meno emotivamente all’episodio del malore.
In primo piano a destra, Maria Maddalena vestita di rosa, è ritratta a figura intera, di spalle, che accorre verso la Madonna con un fazzoletto per asciugarle le lacrime. Le ciocche dei suoi capelli sembrano lingue serpentinate, volutamente lasciate così. Non esiste alcuno scollo sul petto, dal rosa confetto si passa alla pelle senza nessuno stacco: sono colori che appaiono tatuati sulla pelle come appare anche nel San Giovanni in alto. La continuità della forma non vuole essere interrotta, e per questo motivo non esistono polsini nelle vesti dei personaggi. È probabile che i nudi della Sistina abbiano influenzato la fantasia di Jacopo Pontormo.
L’effetto finale è quello di un pittore che non è mai semplice e più che dipingere sembra modulare il disegno quasi come uno scultore. Gli incarnati sono eseguiti con biacca, vermiglione e un po’ di ocra rossa, mentre i capelli ricci sono realizzati con biacca, ocra gialla e ocra rossa: l’osservatore di fronte a questi incarnati coglie una sensazione che la tavola e le figure siano state raffigurate durante un sogno.
Un insieme unico di sfumature cromatiche tiene ancora segreto l’enigma profondo, che rende la “Deposizione” del Pontormo un capolavoro di tutti i tempi.


Pontormo è un pittore modernissimo, infatti, quest’opera racconta il dolore di chi resta, la vera e propria cognizione del dolore e della sua ineluttabilità. Per questo è apparso così vicino alla sensibilità sperimentalista contemporanea: non si spiegherebbe altrimenti come abbia potuto interessare artisti come Carlo Emilio Gadda o Pier Paolo Pasolini, che ripropose la “Deposizione” di Santa Felicita come un tableau vivant nel suo film la “Ricotta”.
La “Deposizione” non ha prospettiva rigorosa, né tantomeno ricerca spasmodica di bellezza e di perfezione. Il suo autore è un uomo che aveva saputo guardare oltre, non fermandosi alle tendenze imposte dagli altri, un pittore che ha saputo osare e trovare la cifra artistica, infrangendo regole e provando a guardare dove gli altri non sapevano vedere.
L’opera, recentemente restaurata, ha ritrovato i suoi brillanti colori originali grazie all’intervento puntuale del restauratore Daniele Rossi, mentre il Pontormo nei panni di Nicodemo continua a guardarci con occhi dolcemente stralunati dall'estremità destra del dipinto, in un autoritratto che sembra una firma.
Innovatore, anticipatore piuttosto che seguace dello stile di “maniera” del suo tempo, esponente di una pittura colta, intensa, spesso incompreso dai suoi contemporanei, eppure nessuno, nemmeno Vasari, mise mai in dubbio la sua insita virtù pittorica.

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