Praticando una pittura più impegnativa rispetto ai suoi predecessori, Ruisdael riesce a conferire al fogliame una qualità più ricca, trasmettendo la sensazione della linfa che scorre attraverso rami e foglie. La resa accurata degli alberi non aveva precedenti all'epoca: i suoi alberi sono i primi ad essere inequivocabilmente riconoscibili dai botanici moderni.
I suoi primi schizzi introducono motivi che sarebbero tornati in tutte le sue opere: un senso di spaziosità e di luminosità ed un’atmosfera ariosa ottenuta attraverso tocchi di gesso simili a quelli dei puntinisti.
Le sue prime opere note sono, circa tredici oli, generalmente datati al 1646.
Un esempio del primo stile di Ruisdael è Paesaggio di Dune[1], una delle prime opere, datata 1646. Van Ruisdael rompe con la classica tradizione olandese di rappresentare ampie vedute di dune che includono case e alberi fiancheggiate da panorami lontani e pone invece, le dune ricoperte di alberi in primo piano al centro della scena, con un paesaggio nuvoloso che concentra una forte luce su un sentiero sabbioso. L'effetto solenne che ne deriva è esaltato dalle grandi dimensioni della tela, inaspettate nell'opera di un pittore ancora inesperto tanto che lo storico dell'Arte Hofstede de Groot scrisse che sembrava incredibile che questa fosse l’opera di un diciassettenne.
Si osservino a confronto la Veduta di Egmond aan Zee [2] del 1640 di Salomon van Ruysdael, zio di Jacob, e la stessa Veduta di Egmond aan Zee [3] di Jacob realizzata un decennio dopo intorno al 1650. E ancora una Veduta del Castello di Bentheim[4] del 1650 di Jacob van Ruisdael e la stessa veduta[5] del pittore di Haarlem “Nicolaas Berchem” (1622 - 1683), del 1656. Il primo paesaggio panoramico di Ruisdael, la “Veduta di Naarden con la chiesa di Muiderberg in lontananza”[1], risale al 1647. Il tema di un cielo vorticoso e di una città lontana, in questo caso il luogo di nascita di suo padre, è quello a cui tornò ancora negli ultimi anni.
Dopo il suo viaggio in Germania, i paesaggi di van Ruisdael assunsero un carattere più epico, con forme sempre più grandi e rilevanti.
Una “Veduta del castello di Bentheim”[1], datata 1653, è solo una delle dozzine di raffigurazioni che van Ruisdael realizzò di questo particolare castello tedesco, e quasi tutte evidenziano la sua posizione su una collina. Significativamente, van Ruisdael apportò numerose modifiche all'impostazione del castello, che nella realtà si trova su una collina bassa e poco imponente, e culmina in questa versione del 1653 che lo mostra su una montagna boscosa. “Il castello di Bentheim” è un dipinto ad olio su tela di 110 x 144 cm oggi conservato a Dublino nella “National Gallery of Ireland”.
Questa è considerata la più solenne delle raffigurazioni che Ruisdael realizzò del castello di Bentheim. All'inizio degli anni Cinquanta del Seicento aveva viaggiato proprio con “Nicolaas Berchem” a Bentheim, nella Germania occidentale, appena oltre il confine. Quest'opera, denominata versione dublinese per distinguerla dalle altre, tutte con titoli simili e tutte raffiguranti il castello a varie altezze della sommità della collina, è la più significativa della serie perché colloca il castello in cima a una montagna boscosa.
In realtà il castello si trova su un poggio modesto. Queste variazioni sono giustamente considerate dagli storici dell'Arte come una prova delle capacità compositive e del potere creativo di van Ruisdael.
Nonostante l'alto realismo dei suoi paesaggi, essi sono spesso vere e proprie composizioni, piuttosto che copie esatte del mondo reale.
Durante il suo viaggio in Germania, Ruisdael incontrò spesso i mulini ad acqua che trasformò in un soggetto importante per la pittura e fu il primo artista a rappresentarli.I “Due mulini ad acqua con chiusa a cielo aperto”[2], datati 1653, ne sono un ottimo esempio: uno si trova alla “National Gallery” di Londra, l’altro al “Paul Getty Museum” di Los Angeles. Il dipinto mostra due mulini ad acqua ribassati, di cui il maggiore è a graticcio con una costruzione di facciate in pannocchia, travi di collegamento e timpano in assi verticali. Questo è caratteristico dei mulini ad acqua nell'area di Bentheim in Germania, dove Ruisdael si era recato all'inizio degli anni Cinquanta del Seicento. Ne realizzò due esemplari di cui uno alla “National Gallery” di Londra un altro al “Getty Museum” di Los Angeles.
In questo dipinto il vento sembra inseguire le nuvole, lasciando passare per un attimo il sole che illuminare l'acqua che cade.
In un altro sparisce per poi posarsi sulle pecore che pascolano sul ripido pendio attraverso la valle o compare ancora sul lontano mulino a vento e sul campanile della chiesa più in là.
L'uomo sul ponte della chiusa sta per chiudere la cateratta per fermare l'acqua che scorre.
Il vento sembra fermarsi, forse solo per raccogliere le sue forze, forse solo per riflettere sulla luce tremolante sul torrente impetuoso.
Il mulino è vecchio e semiabbandonato, con il tetto di paglia rinforzato da fasci di canne.
In questo luogo il suono dell'acqua sarebbe incessante: a volte la cascata, o un dolce ruscello quando le cateratte erano chiuse, a volte pioggia o, quando cessa, forse solo il rumore dell'acqua che gocciola dal tetto.
Nel “Museum Boijmans Van Beuningen” di Rotterdam, c'è un dipinto di van Ruisdael intitolato “Una casa dal tetto di paglia con un mulino ad acqua”, noto anche come “Mulino ad acqua vicino a una fattoria.
Il dipinto di 36 x 42 cm. è monogrammato in basso a sinistra.
Non è datato, ma databile intorno al 1653, secondo Slive. Il monogramma utilizza due diverse tonalità per dare un effetto tridimensionale, una tecnica che Ruisdael applicò in pochi altri dipinti che erano effettivamente datati 1652 e 1653. Il “Museo Boijmans van Beuningen” lo data invece intorno al 1660. È stato restaurato nel 1997.
Si pensa che mostri lo stesso mulino visto dal retro, ma con colori più caldi rispetto ai freddi blu e grigio-verdi di questo dipinto.
Nel 1826, dopo aver visto il quadro di Rotterdam, il grande paesaggista inglese “John Constable”, uno dei padri del Romanticismo, scrisse al suo amico J. C. Fisher: «Ho visto un quadro commovente di Ruisdael. Mi ossessiona la mente e si aggrappa al mio cuore - un uomo e un ragazzo stanno tagliando le canne in un ruscello che scorre - l'acqua così limpida e fresca - frizzante come champagne».
L’ambientazione del mulino è interamente un'invenzione di van Ruisdael. Van Ruisdael viaggiò molto, realizzando schizzi e disegni che usava con fantasia nei suoi paesaggi.
Si servì anche di disegni di “Allart van Everdingen”, che era stato in Scandinavia e tornò con vedute montuose del tutto nuove ed eccitanti nella loro ruvida grandezza.
È improbabile che le immagini più drammatiche di van Ruisdael siano prese dal vero, ma il pittore vi dona un'atmosfera romantica che ha attirato i collezionisti che vivono nel piatto paesaggio olandese.
Questo dipinto è una delle sei varianti conosciute su questo tema e l'unica datata. Sebbene altri artisti occidentali avessero già raffigurato mulini ad acqua, van Ruisdael fu il primo a farne il soggetto fondamentale in un dipinto.
Meindert Hobbema, allievo di Ruisdael, iniziò a lavorare sul soggetto dei mulini ad acqua negli anni Sessanta del Seicento e oggi è associato ai mulini ad acqua più del suo maestro.
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Le “rovine” del castello di Egmont vicino ad Alkmaar erano un altro soggetto preferito di Ruisdael e sono presenti anche nel “Cimitero ebraico”, di cui dipinse due versioni.
Con quest’opera, Ruisdael vuole contrapporre il mondo naturale all'ambiente costruito dall’uomo che è stato invaso dagli alberi e dagli arbusti che circondano il cimitero.
Il “Cimitero ebraico” del 1650 circa è un dipinto ad olio su tela e si trova ora nella collezione dell’”Institute of Arts” di Detroit.
Ruisdael dimostra qui la sua padronanza delle tecniche del paesaggio apprese attraverso un attento studio e una leggendaria tradizione artistica di famiglia. La sua applicazione di simboli allegorici all'interno della scena trasforma il cimitero in una variante paesaggistica di una “vanitas”, cioè ci quei dipinti di “natura morta” con oggetti che alludono all'inevitabilità della morte come orologi, candele e teschi, mescolando generi popolari con grande effetto. Il fascino duraturo del lavoro di van Ruisdael potrebbe risiedere, in parte, nella sua capacità di anticipare ciò che sarebbe successo nel suo genere. Oltre cento anni dopo la realizzazione del “Cimitero ebraico”, il “sublime” nell'arte diventò un argomento teorico sempre più diffuso e diventò anche una componente centrale dei paesaggi drammatici e dei dipinti marini creati dai Romantici, dalla “scuola di Barbizon”, dai paesaggisti britannici, dai membri della “Hudson River School” e da molti altri il cui lavoro incoraggia anche l'impegno emotivo attraverso la contemplazione della vita, della morte e della natura.
Sia che si goda nel paesaggio malinconico sia che si analizzino meticolosamente le sue componenti per il contenuto simbolico, il cimitero di van Ruisdael si comprende meglio permettendogli di rivelarsi attraverso ripetuti sguardi ravvicinati e contemplazioni.
Di fronte a quest’opera di “Jacob van Ruisdael”, si è ben lontani dalle opere condividano argomenti simili, dipinte da suo cugino Jacob, da suo padre Isaack e da suo zio Salomon e da qualsiasi altro paesaggista olandese.
La prima cosa che si nota in questo dipinto sono le sue dimensioni: si tratta di un olio su tela 142,2 x 189,2 cm quindi il doppio o il triplo delle dimensioni della maggior parte dei paesaggi del Seicento olandese.
La scala più ampia del solito, i giochi di luce e di oscurità insieme alle linee dinamiche che muovono lo sguardo intorno alla tela, richiamano composizioni barocche di altre aree d'Europa.
Jacob van Ruisdael è forse il più grande paesaggista olandese del Seicento, per la sua capacità di animare il suo lavoro attraverso convenzioni mutuate da altri generi di pittura come la “ritrattistica” e la “natura morta”.
L'impatto emotivo con questo dipinto si crea perché l’autore costringe lo spettatore a confrontarsi con poteri vasti e travolgenti come Dio, il tempo e la natura, suscitando sentimenti simultanei di orrore e fascino, in altri termini del “Sublime”: questo tipo di paura misto a stupore e ad attrazione irrefrenabile è un concetto che risale all'antichità, ma sarebbe stato reso popolare a metà Settecento da “Edmund Burke”.
Il successo del dipinto sta nella creazione di tensioni emotive: quest’opera è infatti molto spesso considerata la precorritrice delle successive immagini del “Sublime” nei paesaggi e nei dipinti marini del Seicento del Settecento e dell’Ottocento quasi senza soluzione di continuità.
Questo dipinto, grandioso e toccante, mostra le rovine di una chiesa e di un convento sulla sommità di una collina che catturano la luce che filtra attraverso il cielo nuvoloso, occupando l'intera estensione della veduta in secondo piano, il cui declivio presenta un cimitero, inframmezzato da grosse pietre: una piccola casa tra le rovine della chiesa, un gruppo di uccelli volteggia verso l'alto nel cielo.
In primo piano un albero spezzato è al di là di un rapido ruscello, una tomba di marmo nero, con un'iscrizione su di essa, una fila di tre sepolcri che si estendono lungo il prospetto mentre sulla sinistra si erge in lontananza si scorge un grappolo di grandi alberi ombrosi, le cui tinte verdeggianti del fogliame contrastano con il tronco spoglio e rinsecchito del faggio abbattuto in primo piano.
Sul lato della collina si vedono in lontananza tre figure umane in lutto vicino a una piccola tomba, che meditano tra le tombe bianche e fanno meditare l’osservatore.
Sembra che sia lo stesso van Ruisdael a guidare l'occhio dell’osservatore in basso, sulla pietra bianca brillante della tomba con una lastra rotta, ricoperta da un’epigrafe. Il centro del dipinto corrisponde anche al centro compositivo e al punto focale dell'opera a suggerire allo spettatore che il centro della tela è anche il punto in cui lo sguardo dello spettatore si posa per primo.
La grandezza e la solennità della scena sono straordinariamente accresciute da nuvole scure e tempestose che si precipitano tumultuose le une sulle altre interrotte da un arcobaleno e in esse si possono percepire i colori evanescenti di un arcobaleno nebbioso.
I rami del faggio simili a fulmini puntano verso il cielo.
È difficile, contemplando questo quadro, non pensare a un dipinto di “Caspar David Friedrich”, nello specifico ad “Abazia nel querceto”, realizzato quasi un secolo e mezzo più tardi in pieno Romanticismo. Sicuramente si avverte la stessa nobiltà di sentimento.
L'architettura raffigurata da Van Ruisdael simboleggia due conviventi alla pari e accomunati dal medesimo dramma: sia il cimitero ebraico sia la chiesa medievale cristiana sono in rovina in un'ambientazione cupa del cielo.
Nel frattempo l'arcobaleno si assottiglia all'orizzonte, punta verso il fondo della composizione dove una grande tomba grigia in primo piano a sinistra dell’osservatore reca la firma dell'artista.
In questo straordinario dipinto, l'autore ha evidentemente voluto trasmettere una lezione morale della vita umana. Esso è infatti una palese allegoria, quindi oggetti o elementi specifici rappresentati hanno significati nascosti. Le allegorie sono però un tema tipico degli “interni olandesi” e delle “nature morte”, ma non dei paesaggi. Ma l'uso che fa invece van Ruisdael della metafora visiva in un paesaggio è una proposta forse unica. Il dipinto è infatti un “memento mori” che presenta però anche temi di speranza e di rinnovamento. Il ruscello pieno di acqua in movimento che cambia e si rigenera continuamente simboleggia il palpito della vita, mentre l'albero in disfacimento piegato sul ruscello simboleggia l'inevitabilità della morte. L'arcobaleno è generalmente considerato un'immagine di speranza e di promessa divina. Le tre persone in lutto vicino alle due tombe bianche riflettono simultaneamente la loro contemplazione della morte e quella dello spettatore. Come l'arcobaleno nella tempesta fornisce speranza e promessa divina in mezzo alla furia della natura, la presenza della persona in lutto porta la promessa di riparazione e di rinnovamento ai poveri sarcofagi trascurati.
La parziale distruzione delle tombe ebraiche si rispecchia nello stato della chiesa in rovina. Questo parallelo religioso ha portato a molte letture del dipinto come commento unificante sulla transitorietà dell'uomo e sull'inevitabilità di Dio, del tempo e della natura, indipendentemente dalla propria fede.
Il dipinto di Van Ruisdael raffigura un vero cimitero ebraico situato alla periferia di Amsterdam sul fiume Amstel. Il sito è ancora in uso oggi ed era il luogo di riposo per i membri della grande comunità ebraica portoghese di Amsterdam, nonché per personaggi importanti di religione ebraica giunti ad Amsterdam da tutta Europa.
Nonostante le libertà artistiche prese con il luogo, il cimitero di van Ruisdael è saldamente contestualizzato dalla sua rappresentazione accurata dei sarcofagi.
Van Ruisdael realizzò anche una seconda versione ora alla “Staatliche Kunstsammlungen” di Dresda, in Germania, dopo la versione di Detroit, ma di inferiori dimensioni e qualità, essendosi inoltre scurito nel tempo. In esso, van Ruisdael altera gran parte della topografia inventata, ma riproduce fedelmente i monumenti del cimitero di Ouderkerk.
Sono del tutto ignote le ragioni per cui l'artista scelse il “Cimitero ebraico” come ambientazione per queste due opere come ignota è qualsiasi relazione particolare che avesse con la comunità ebraica portoghese e infine come è ignota l’identità dei proprietari originali dei due dipinti.
Le prime vedute scandinave di Ruisdael contengono grandi abeti, aspre montagne, grandi massi e torrenti impetuosi. Sebbene siano convincentemente realistiche, si basano su opere d'arte precedenti, piuttosto che sull'esperienza diretta. Non esiste alcuna traccia infatti che van Ruisdael abbia compiuto un viaggio in Scandinavia, sebbene il pittore di Haarlem “Allaert van Everdingen”, vi si fosse recato nel 1644 e avesse già reso popolare questo sottogenere di paesaggio.
L’opera di van Ruisdael tuttavia superò ben presto anche i migliori sforzi di van Everdingen.
In totale Ruisdael produsse più di 150 vedute scandinave con cascate, di cui “Cascata in un paesaggio montuoso con un castello in rovina” della “National Gallery” di Londra, eseguito fra il 1665 e il 1670, è considerato il migliore.
Nuvole pesanti e scure di pioggia incombono su un paesaggio aspro di cespi di alberi e di dirupi; tre pini si stagliano drammaticamente a sfida contro il cielo. Proprio al centro dell'immagine, da una piega delle colline un fiume emerge nero e simile a uno specchio, si trasforma in un calderone ribollente mentre si infrange su una roccia sporgente. Nei massi sparsi e nei tronchi d'albero bagnati in opposizione alla riva in primo piano, si percepisce la potenza drammatica dei paesaggi di montagna, dove la pioggia gonfia i fiumi al punto renderli tanto forti da far rotolare la roccia e abbattere il legno. Van Ruisdael sembra contrapporre l'immensa energia dell'acqua tumultuosa alla forza eretta dei tre pini torreggianti con l'impatto dell’uomo su questo ambiente.
Sulla sinistra si intravede la fievole sagoma del campanile di una chiesa, mentre sulla destra, seminascosta dagli alberi e dai cespugli si intravede la grigia torretta di un edificio che sembra essere un castello in rovina. Ma se non si guarda attentamente, non si notano neppure questi edifici e le minuscole figure sul sentiero in primo piano perché in questa accidentata natura selvaggia, l'artista sembra suggerire a chi osserva quanto sproporzionate siano le forze in gioco: natura uomo.
Nonostante il suo apparente realismo, questo paesaggio non è stato osservato dal vero. Probabilmente risale al 1660, quando van Ruisdael compose molte di queste scene, visibilmente ispirate all’opera di “Allaert van Everdingen”, che aveva visitato la Scandinavia nel 1644 e aveva realizzato numerosi disegni di montagne rocciose con torrenti impetuosi e cascate.
Sebbene van Ruisdael non avesse mai visitato un paesaggio del genere, trascorse molto tempo ad osservare gli effetti dell'acqua che scorreva attraverso le chiuse ad Amsterdam, dove il livello dei canali era controllato da chiuse, ma realizzò anche molti dipinti dei mulini ad acqua di Singraven, al confine tra Olanda e Germania come i “Due mulini ad acqua e una chiusa aperta a Singraven” della “National Gallery” di Londra.
La raffigurazione dell’acqua che scorre velocemente in modo convincente è una delle più grandi sfide della pittura di paesaggio che sembra aver affascinato particolarmente van Ruisdael. Oltre ai suoi celebri dipinti dei mulini ad acqua, le cascate sono presenti in moltissimi suoi dipinti.
Quest’opera è un buon esempio dell'efficacia delle sue tecniche: l’uso di pennellate brevi ed estremamente varie: minuscoli vortici, macchie, striature e sbavature di tonalità leggermente diverse del bianco per evocare l'acqua turbolenta che cade sui diversi verdi, gialli e sui tanti neri dei massi.
È particolarmente riuscito il modo in cui l’artista ha punteggiato il colore con l'estremità del pennello per dare l'effetto del lieve spruzzo della schiuma quando colpisce la roccia, come nel primo piano al centro del dipinto.
Il “Paesaggio con castello in rovina” degli anni 1665\70 è un tipico esempio della pittura olandese del Seicento anch’esso si oggi custodito nella “National Gallery” di Londra.
Questo dipinto, uno dei più celebri di van Ruisdael, è una versione molto più grande di un suo paesaggio simile anch’esso nella “National Gallery” di Londra e di altre versioni più piccole. Ma questo è il più grande.
Non si sa quale di questi dipinti sia stato realizzato per primo, ma questo, di grandi dimensioni, fu quasi certamente realizzato su commissione e fu concepito per essere appeso in una stanza molto grande mentre gli altri erano destinati ad ambienti più modesti.
La dimensione di questo dipinto corrisponde al senso di grandezza che van Ruisdael ha voluto ed è riuscito a creare.
L‘ampiezza dominante del cielo è logicamente funzionale a questo: esso occupa circa due terzi del dipinto, una proporzione tipica nei paesaggi olandesi, ma il modo in cui le nuvole sembrano fluttuare verso l’osservatore contro un azzurro cielo estivo aggiunge forza alla grandezza.
Il paesaggio è sostenuto da meccanismi di impaginazione sorprendenti per quell’epoca che guidano lo sguardo dell’osservatore all’interno del dipinto, come spesso accade nelle opera di van Ruisdael.
In primo piano a sinistra, ci sono due pastori dipinti da “Adriaen van der Velde”, un contemporaneo di van Ruisdael, che sono parte del progetto originale. Combinati con due figure molto più piccole sulla strada che scende verso la chiesa, aiutano a comprendere la dimensione del paesaggio e invitano a seguire il sentiero più tortuoso, oltre i casolari finché non la strada non si perde tra i campi.
Van Ruisdael ha utilizzato le luci dirette dal sole che ha in quel momento trapassato le nuvole, per rafforzare questi meccanismi ed aumentare il senso della profondità.
Il sole non illumina solo i pastori, ma anche una serie di elementi posti a diverse distanze dallo spettatore: prima il castello e i cigni in primo piano, poi i campi a sinistra e quelli che circondano il mulino a vento a media distanza, in seguito una sottile striscia di blu luccica all'orizzonte, suggerendo il brillio del sole sul mare lontano, infine, le più lontane dallo sguardo, le cime argentate della più alta delle nubi fluttuanti nel cielo.
Oltre ad apprezzare il senso della dimensione e della profondità che è in grado di evocare, gli acquirenti di van Ruisdael erano in grado di comprendere un'altra dimensione in questo quadro: si tratta dei pastori e delle rovine in primo piano che alludono a una tradizione prettamente italiana di rappresentare scene di vita di campagna arcadica tra le rovine dell'antica Roma.
Questo motivo era diventato popolare già alcuni decenni prima con gli artisti olandesi di ritorno dall'Italia: naturalmente questi dipinti non rappresentavano luoghi reali, ma un'idea del classico paesaggio italiano.
Lo stesso concetto vale anche per questo dipinto. Sebbene l’opera ricordi la campagna intorno ad Haarlem, dove van Ruisdael era cresciuto e si era formato da artista, nessuno è stato in grado di identificare la chiesa principale o una posizione esatta del panorama: si tratta di una visione idealizzata, che evoca e riflette le idee che lui e i suoi committenti o in generale la sua clientela avevano su come “doveva” apparire l'Olanda e che cosa era importante per loro: la natura produttiva del paesaggio è simboleggiata dai pastori, dal granoturco e dal mulino a vento, elementi che simboleggiavano l’instancabilità degli Olandesi, il castello in rovina simboleggia il senso del vissuto e della Storia, infine la chiesa che domina l'orizzonte simboleggia per questo popolo l’eterna certezza.
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[1] Jacob van Ruisdael è considerato il più grande paesaggista olandese del Seicento. Artista prolifico, ha rappresentato una vasta gamma di tipi di paesaggio nel corso della sua carriera: da panorami, dune, panorami marini, foreste, montagne, cascate e ruscelli impetuosi, che si trovano tutti spesso nelle sue opere. Il paesaggismo era uno dei generi più diffusi nell'Olanda del Seicento e Jacob van Ruisdael, nato in una famiglia di pittori famosi, ne fu senza dubbio il massimo esponente.
Nonostante la sua struttura compositiva mostri una grande maturità, questo paesaggio è stato realizzato all'inizio della carriera del pittore e riflette l'influenza di “Jan van Goyen”, “Hercules Pietersz Segers” e “Hendrick Goltzius” le cui opere includevano viste panoramiche in formato orizzontale in cui il cielo è un elemento particolarmente importante.
La prospettiva è perfetta e l’orizzonte più basso del solito dà grande risalto al cielo.
L'uso della luce e del chiaroscuro riecheggia anche nell'opera di “Rembrandt” negli anni Trenta e Quaranta del Seicento.
Le composizioni di Van Ruisdael combinano abilmente una concezione monumentale del paesaggio con un approccio dettagliato ai singoli elementi all'interno del mondo naturale.
Le sue vedute non sempre descrivono una specifica posizione geografica, sono volutamente adattate per ottenere un effetto eloquente e sorprendente senza distorcere la rappresentazione realistica dei vari elementi al loro interno.
La pennellata, precisa ed elegante, è applicata in modo vigoroso e pesantemente impastato, conferendo alle sue opere un dramma emotivo, non si ritrova in quelle dei suoi contemporanei.
Nella “Veduta di Naarden” Van Ruisdael potrebbe aver raffigurato una visione che aveva per lui particolari associazioni sentimentali, perché suo nonno si era trasferito a Naarden intorno al 1590 e lì erano nati suo padre e suo zio Salomon.
Questo piccolo dipinto di formato orizzontale è firmato e datato 1647, appartiene al primo periodo dell'artista quando Van Ruisdael aveva circa diciotto o diciannove anni. Nonostante la giovinezza dell'artista, il suo approccio alla struttura compositiva rivela una notevole maturità, essendo organizzata attorno a un'ampia veduta panoramica nonostante le ridotte dimensioni del pannello. Per ottenere questi effetti, Van Ruisdael ha abbassato la linea dell'orizzonte e ha posto gran parte dell'enfasi sul cielo, che occupa più della metà dello spazio pittorico, come troviamo in altre opere dell'artista. Compatte aree di nuvole con chiazze di cielo azzurro intenso sono disposte a zone alterne, attraverso una delle quali la luce filtra al suolo in un ritmico gioco di luci e ombre che crea la regressione spaziale dell'ampia pianura con i suoi vari campi, sentieri e ciuffi di alberi.
Questo paesaggio, attentamente pensato e organizzato, rivela l'influenza di altri pittori vicini a van Ruisdael il cui stile era importante per il suo in questa prima data.
L'uso della luce, che crea un bagliore intenso al centro, seguito da zone in ombra scura circondate da altre in penombra, come si vede in questo dipinto, era un metodo utilizzato da “Rembrandt”.
La forma della città all'orizzonte sembra essere influenzata dall'opera di “Hendrick Vroom”.
Al centro del dipinto, situata tra i campi coltivati e le case, con è la città di Naarden con lo “Zuider Zee” a destra e le rovine della chiesa di Muiderberg illuminate in lontananza.
Questo dipinto può essere considerato una “veduta” di un tipico cielo olandese con nubi cumuliformi.
Questo dipinto cui sono stati attribuiti vari titoli è un olio su tavola di 105 x 163 cm del 1646 di Jacob van Ruisdael ed appartiene alla collezione del “Museo dell'Ermitage” di San Pietroburgo.
Il dipinto mostra un paesaggio di piccole dune, con un contadino a lato della strada, con il suo fagotto e il bastone accanto a lui. A sinistra c'è una pozza d’acqua; su una sponda un operaio che conversa con due figure sedute; sulla sponda opposta ci sono alberi. C'è poco verde nel fogliame, che è stato molto lavorato con il pastello. Il primo piano sembra essere incompiuto.
Questo lavoro è uno dei primi conosciuti di Ruisdael: era solo un adolescente quando l'ha creato: le dimensioni sono notevolmente grandi per un artista principiante.
È firmato e datato 1646.
Non si sa chi abbia dipinto le figure: lo storico dell'arte Seymour Slive ipotizza dubita che il personale sia di mano del padre di Jacob, Isaack van Ruisdael.
Il dipinto è conosciuto con vari nomi.
[3]Questa è una delle almeno sei vedute di Ruisdael di Egmond aan Zee, un piccolo villaggio di pescatori sul Mare del Nord non lontano da Haarlem. Jacob divenne il più grande di tutti i paesaggisti olandesi.
Questo dipinto è notevole per la gestione precocemente brillante degli effetti di luce nel cielo, nel mare e nella danza sui tetti.
I dettagli del paesaggio, in particolare le figure, sono dipinti in modo abbastanza ampio, ma il senso dello spazio e dell'atmosfera è convincente. L'imponente chiesa fu vittima dell'erosione costiera. Il presbiterio era già crollato alla data di questo dipinto e gli ultimi resti della sua torre caddero nel 1743.
Il castello di Bentheim è ancora in piedi, nella zona di confine tedesco-olandese, ma qui non si trovano montagne alte come Ruisdael dipinge. Fantasia e realtà si fondono nell'opera del pittore. Ha realizzato più di una dozzina di dipinti del castello, ciascuno in un diverso paesaggio di montagna. Ruisdael fu giustamente chiamato poeta dal famoso scrittore tedesco Goethe nel 1816.
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