Della ‘Natura morta con vasi’, di olio su tela di 46 x 84 cm. del 1633, di Francisco de Zurbarán esistono due versioni identiche, una conservata al “Museo Nazionale del Prado” di Madrid e l’altra, in uno stato di conservazione leggermente migliore, al “Museo Nazionale d’Arte della Catalogna” di Barcellona e, curiosamente, entrambi donati a questi complessi museali dallo stesso collezionista, il politico catalano “Francesc Cambó i Batlle”.
Anche questa natura morta nella sua austerità contrasta con le contemporanee nature morte delle Fiandre e dell’Olanda, come quelle di Claesz o Heda. Le due opere di Zurbarán colpiscono per la loro originalità.Si tratta di una composizione semplice, ma esemplare. Su un piano di legno – tavolo o mensola – sono disposti, da sinistra a destra, vari contenitori di materiali, forme e usi diversi: quattro tradizionali stoviglie allineate su un unico piano, individualmente studiate e autonome l'una dall'altra.
La luce scura e intensa, contrastante e dura, fa risaltare drasticamente gli oggetti sullo sfondo scuro, per cui luce e colore si armonizzano senza sforzo, facendo del silenzio il vero protagonista.
I quattro vasetti sono allineati in modo quasi cerimoniale: due di essi, di cui una tazza di metallo dorato, poggiano alle due estremità su vassoi anch'essi di metallo. Gli altri tre sono di terracotta. Dei tre pezzi di ceramica, due bianchi, del tipo a brocca di “alcarraza” – vasi per mantenere fresca l’acqua – e poi un vaso di argilla rossastra, citazione van der Hamen.
Il pittore sembra sedotto dalla pura tecnica pittorica, dalla qualità delle superfici che gli consentono di sperimentare i diversi modi con cui ogni pezzo risponde all'illuminazione e ai riflessi e infine dal piacere estetico con cui ha collocato gli oggetti sul piano scaffale, bene allineati e incorniciati da uno sfondo neutro.
Quest’opera – considerata esemplare – oscilla tra una magistrale combinazione di crudo realismo e la tenerezza per le piccole e semplici cose quotidiane, misticamente rustiche e solide.
Nonostante quest’apparente semplicità, il dipinto è una galleria di forme, di dimensioni e di materiali vari, ognuno dei quali è lavorato con cura, dal tocco della ceramica, alla sensazione ruvida dell'argilla cotta, passando poi attraverso la levigata freddezza del metallo.
La luce è la vera regista dell'opera.
Fa emergere questi oggetti dal buio e ne esalta tinte e volumetria, ma sinesteticamente crea il suo effetto più importante, un silenzio quasi palpabile. In questo modo il maestro realizza una pittura senza tempo e gli elementi descritti, danno vita a un'opera che ha ispirato critici, studiosi e poeti.
Lo spettatore ha di fronte a sé una delle nature morte più iconiche del “siglo de or” spagnolo, che spesso è utilizzata dagli storici dell'Arte per riflettere sulla sapienza compositiva di Zurbarán, sul suo gusto per l'essenziale e talvolta sulla sua tendenza al rigore geometrico.
Nessuna fantasia distrae la sua attenzione e nessuna simmetria lo stanca.
Quantunque dietro quegli oggetti non ci sia nulla, ma soltanto uno sfondo scuro, da esso emerge l'impressione della semplicità, non del vuoto: la sensazione di un’ascesi senza severità, di un rigore senza rigidità.
La colorazione, in armonia con l'austerità del dipinto, è ridotta a vari toni del bruno, ma l’illuminazione la rende vibrante, creando equilibrio di forme e toni.
Paradossalmente quest’opera nella sua semplicità è profondamente barocca: è un vero e proprio “campionario” delle linee curve, uno “studio” sui volumi, sul sottile percorso compiuto dalla luce e infine sul suo diverso modo di agire su ciascun materiale.
Ma ciò che rende quest'opera diversa diverso dal resto delle nature morte spagnole è la assenza di tempo, uno degli elementi che servono a dare un'unità di contenuto ad altre opere di questo tipo.
Frequentemente, le allusioni al tempo si realizzano attraverso fiori o alimentari e, quando questi oggetti legati al mondo naturale non compaiono, non mancano teschi che annunciano il destino ineludibile dell'essere umano e, per estensione, di tutte le cose, oppure ci sono cose che ci ricordano che tutto cambia per tutti e che nulla di materiale rimane immutato.
Nella natura morta di Zurbarán, l'unico riferimento temporale è la luce – d'altra parte protagonista – con la sua relativa ombra. Il suo avvicinamento all'archetipo della natura morta spagnola è senza dubbio dovuto alla sua alta qualità, alla adesione a uno stile universalmente noto alla tradizione storiografica che identifica la natura morta spagnola con la nuda retorica e con la ricerca dell'essenziale, una cifra che contrasta con l'opulenza e la sensualità della natura morta italiana o fiamminga, con la sontuosità contenuta degli olandesi e con la decoratività dei francesi, ma tralascia anche la relativa varietà di formule e di tendenze che già esistevano nella natura morta nella penisola iberica.
Sicuramente Zurbarán, senza fretta nel dipingere questa tela, eseguì ogni elemento calcolatamente – uno per uno e nell'ordine – il che spiega, in alcuni oggetti, l'assenza di ombre proiettate, e in altri, la loro potente presenza. Rifiutando la pura frontalità, gli oggetti sembrano alquanto deviati dal loro asse naturale e, ovviamente, tale soluzione serve a favorire i giochi di luce e a creare più volumi plausibili e forti.
Massimo Capuozzo
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