Chiunque abbia sfogliato un libro di Storia o
ancor meglio uno di Storia dell’Arte al Liceo si sarà sicuramente imbattuto nel
dipinto La Madonna del Cancelliere Rolin e avrà notato la perizia tecnica e i
dettagli di quest’opera straordinaria.
Naturalmente pochi, se non i più interessati,
si saranno chiesti chi è quel signore con quella strana acconciatura “a
scodella” che campeggia sul lato sinistro della tavola.
Nel titolo si legge il “Cancelliere Rolin”.
Ma chi era mai questo cancelliere, che ‘Jan
van Eyck’ ha reso immortale col suo dipinto?
Ebbene, questo personaggio non era uno
scappato di casa, capitato per caso lì a far da modello a un Jan van Eyck,
diventato ormai una celebrità nelle terre del Nord.
‘Nicolas Rolin’, signore di Autun e di
Beauchamp, era uno degli uomini più ricchi e potenti del suo tempo, era il Cancelliere
di Borgogna, all’epoca uno degli stati ‘di fatto’ più potenti d’Europa, e la
sua carica equivarrebbe oggi a quella di un primo ministro. Si potrebbe dire
che dopo il duca Filippo III di Borgogna, era l’uomo più importante nei suoi Stati
ed era quindi quello che oggi definiremmo un’eminenza grigia.
Abile e scaltro, nutrito fin da giovanissimo
di studi giuridici profondi, Rolin era un uomo pienamente dedito alla sua
importante carica della quale si occupava con passione: fu il principale
artefice delle riforme che consolidarono lo stato borgognone e fu uno dei membri
più riconosciuti della corte ducale dal 1422 al 1462.
Il suo “cursus honorum” era incominciato nel 1408, al
servizio del duca di Borgogna Giovanni senza Paura dapprima come giurista presso
il Parlamento di Parigi, ma fu presto nominato consigliere capo del suo ‘entourage’
e quindi ambasciatore del duca.
Nel 1419, dopo l'assassinio di Giovanni, suo
figlio Filippo III diventò duca e tre anni dopo, nel 1422, nominò Nicolas Rolin
cancelliere, carica che conservò per quarant’anni: Rolin continuò la sua ascesa
politica e diventò molto rapidamente uno dei diplomatici più importanti e
ascoltati nella scena politica europea. Era inoltre responsabile dei conti
ducali, oggi diremmo delle finanze dello ‘stato’, poi custode del sigillo del
duca, il che significava che ogni legge emanata dal duca passava al suo attento
e competente vaglio. Insomma si può dire che tutti i più importanti affari
statali, “nazionali” ed esteri, passassero per le sue mani.
Nel 1423, per ordine di Filippo il Buono,
fondò l'Università di Dole e nel 1425 collaborò alla fondazione dell’Università
di Lovanio. Nel 1435 fu uno dei redattori della “pace di Arras” con
la quale, com’è noto, Carlo VII di Francia faceva pubblica ammenda
per l’assassinio del duca Giovanni senza Paura, riconosceva l'indipendenza della
Borgogna a condizione che questo ducato riconoscesse la sua regalità sulla
Francia e che sospendesse l'alleanza con l'Inghilterra nella “Guerra dei Cent'anni”,
sebbene quest’alleanza si fosse ormai logorata da tempo.
Fu in questa circostanza che Rolin commissionò
a ‘Jan van Eyck’ la celebre tavola.
Osserviamola ora con attenzione.
fig. 1
Il dipinto Il Cancelliere Rolin in preghiera
davanti alla Vergine è un olio su tavola noto anche come La Vergine del
Cancelliere Rolin o anche come la Vergine di Autun, per la sua collocazione
originaria.
Jan van Eyck dipinse questa tavola intorno
al 1435 per Rolin che la commissionò come ex voto da esporre
nella Cappella di San Sebastiano della Chiesa di Notre-Dame du Châtel,
che egli stesso aveva fondato nel 1432 e che era frequentata dai membri
della sua famiglia.
Durante la Rivoluzione, la chiesa fu
distrutta e nel 1794 l'opera fu trasferita alla Chiesa
di Notre Dame di Autun. Due anni dopo, in ottemperanza di una decisione
emanata dal Direttorio, l’opera fu nazionalizzata. Nel 1805, nonostante la
resistenza dei cittadini di Autun e i loro interventi dapprima presso Luciano
Bonaparte, ex studente del famoso collegio cittadino, e poi presso Talleyrand,
il dipinto fu trasferito nel Museo Napoleone, l'attuale Museo Nazionale del Louvre a Parigi. In seguito a questi numerosi spostamenti, la cornice originale
che doveva recare data e firma del pittore andò perduta.
Il dipinto raffigura una stanza dal soffitto molto
alto che domina un panorama cittadino con il cancelliere Rolin di fronte
a Maria con il Bambino e un angelo.
Si tratta di un tema tipico dell'iconografia cristiana,
la sacra conversazione, un’opera cioè che riunisce nella stessa scena
personaggi divini e umani che sembrano conversare tra loro condividendo uno
spazio comune, nonostante essi appartengano a epoche diverse, come appare dai
loro rispettivi abiti. Di solito, naturalmente non in questo caso, in una sacra
conversazione sono presenti anche dei santi in funzione di intercessori presso
il divino.
A causa di una prospettiva non geometrica, ma
ancora empirica – le linee di fuga non convergono verso un unico punto –, la
composizione rivela che van Eyck non conoscesse ancora tutte le norme
formulate da Leon Battista Alberti e pubblicate nel De pictura del 1436,
ma ne conoscesse solo alcune: va tuttavia ricordato che la pittura fiamminga
non ha mai mostrato sommo interesse per la prospettiva geometrica, preferendo
a essa la prospettiva aerea.
Nel dipinto i personaggi sono rivolti l’uno
verso l’altro.
Fig.2
A destra c’è un gruppo composto da tre
figure. La Vergine, avvolta in un mantello rosso tempestato di perle e di preziosi
gioielli, è seduta di tre quarti su un cuscino decorato con motivi floreali e collocato
su una panca di marmo che reca invece motivi geometrici. Come ‘Vergine della
saggezza’ o ‘Sedes sapientiae’, secondo l’archetipo iconografico cui si
riferisce, il Bambino siede sulle ginocchia della Madre e dalla Madre è
presentato e “offerto” a quanti lo ricercano. In questo caso tiene il Bambino seduto
su un ginocchio su un panno bianco, presagio del sudario che un giorno lo
avrebbe avvolto. Dietro, un angelo giganteggia su di lei e sostiene una corona
sopra la sua testa.
Il Bambino regge in mano un globo sormontato
da una croce, simbolo dell'Universo e fa un gesto di benedizione verso il
Cancelliere, la Vergine guarda il globo con la croce in mano al figlio, come se
volesse indicare il supplizio che lo attende.
Fig. 3
A sinistra c’è il cancelliere Rolin con la
tipica acconciatura a scodella, una moda lanciata dal duca Filippo il Buono: è
vestito con un abito di broccato d'oro e una pelliccia, abbigliamento
abitualmente riservato ai grandi di Borgogna. Appare genuflesso su un
inginocchiatoio, con le mani giunte in adorazione e con un libro di preghiere aperto
davanti a sé. Rolin guarda indistintamente l'intero gruppo divino, ma senza
fissare in particolare nessuna delle figure sacre.
Dietro di loro, al di fuori di quest’ampia
sala si apre la scena di un paesaggio urbano, visibile oltre la finestra, che
include tutti i dettagli della vita terrena: attività, architettura, città,
ponte su un fiume e personaggi, diversi animali raffigurati dettagliatamente:
una gazza, un pavone, e dei conigli che si riferiscono ai vizi umani.
In fondo a sinistra nella stanza, al di
sopra dei capitelli compositi di elegante fattura che sormontano le colonne, in
una fascia che simula un bassorilievo, si distinguono scene dell'Antico Testamento:
la ‘Cacciata dal Paradiso’, il ‘Sacrificio di Caino e Abele’, ‘Dio riceve
l'offerta di Abele’, l'’Omicidio di Caino’, ‘Noè nell'arca’ e ‘Noè
coperto da uno dei suoi figli’.
Sono state avanzate varie proposte per identificare
la città sullo sfondo, ma l’ipotesi più spesso accolta è quella di una città immaginaria,
ideale, tipica sintesi cittadina dell’epoca, piuttosto che una località ben
precisa. Un processo di questo tipo era abbastanza frequente nella pittura
contemporanea di van Eyck, e non solo nelle Fiandre, si ricordino a tal
proposito anche i capricci italiani del Quattrocento con le celebri città ideali.
Secondo un’altra ipotesi, anch’essa abbastanza
proponibile, la città potrebbe essere la rappresentazione della Gerusalemme celeste.
La rigorosa simmetria fra l'impianto architettonico-urbanistico
e i personaggi della scena è un affascinante gioco di contrapposizione di sacro
e di profano: la Madonna col Bambino e il Cancelliere Rolin. Questa
opposizione corrisponde anche nell'arredamento dell’interno della grande sala e
ancora negli edifici che compongono l’esterno del paesaggio urbano: dietro il Cancelliere,
le case e un municipio sono simbolo del potere politico, e, dietro la Vergine
col Bambino, una cattedrale e le chiese sono simbolo della Città di Dio.
Allo stesso modo il significato del giardino
recintato è ambivalente: se da un lato può richiamare la purezza della Vergine come
metafora dell’hortus conclusus’ dall’altro può anche evocare la ricchezza e la
vanità per la presenza del pavone.
Il simbolismo si affaccia ancora insistente e
ambiguo con l’immagine della gazza associata da un lato alla
maldicenza, dall’altro alla morte, con quella del pavone, da un lato simbolo
di Cristo, perché la carne di questo volatile impiega tempo per putrefarsi dopo
la morte, ma dall’altro anche simbolo della vanità delle cose terrene, e infine
con l’immagine del coniglio, da un lato simbolo della lussuria sopraffatta
dalla Religione, perché, essendo il coniglio e la lepre animali
molto prolifici, sono tradizionalmente considerati simbolo di eccesso
erotico e spesso di lascivia, ma dall’altro lato mutando essi il pelo in
primavera sono anche simbolo della Resurrezione.
Le stelle a otto punte delle piastrelle rievocano
la Stella Matutina, uno dei titoli conferiti alla Vergine nelle litanie
a lei dedicate, perché, come la stella del mattino dà origine al giorno così la
Vergine genera Cristo, alba di una vita rinnovata dalla redenzione.
Il Bambino rivolge la sua benedizione al
cancelliere, ma non guarda direttamente verso di lui come aveva originariamente
realizzato il maestro e come è stato dimostrato da una recente analisi del dipinto
eseguita con i raggi infrarossi: il committente volle invece che la realizzazione
finale fosse come appare ora per mostrare la sua umiltà.
Questa benedizione, il momento più saliente
della tavola, è messa in scena da un'abile composizione che articola i vari piani
dello spazio reale e quelli dello spazio suggerito da van Eyck: la mano di
Cristo è posta infatti sulla linea compositiva che presenta un ponte, un elemento
simbolico che indica la comunicazione, il collegamento.
Per comprendere a fondo questo dipinto ci si
deve porre qualche domanda. Qual era il motivo di realizzazione dell’opera?
Perché Rolin l’aveva commissionata?
Quest’opera è un ex voto – come tutti sanno
un ex voto è un dono per ringraziare il destinatario (Dio, la Madonna, un
santo) di aver esaudito una preghiera –, attraverso questo dono Rolin vuole
ringraziare Dio della buona riuscita della sua azione politica svolta a favore
del ducato di Borgogna.
Il dipinto acquista così un preciso
riferimento politico.
Ma quale?
Per capire l’opera bisogna conoscere il
retroscena.
Con le sue abili trattative diplomatiche, il cancelliere
aveva indotto il Regno di Francia a firmare il Trattato di Arras che,
oltre alla concessione di numerosi possedimenti territoriali alla Borgogna, portava
soprattutto alla riparazione dell’onta dell’assassinio di Giovanni senza Paura subita
dalla famiglia di Borgogna con la richiesta formale di perdono da parte di re Carlo
VII di Francia nei confronti del duca Filippo e questa richiesta di perdono era
attestata dalla costruzione di una croce in perenne memoria dell’oltraggio che
l’allora delfino Carlo, ora re di Francia, aveva commesso nei confronti del
duca di Borgogna per essere stato il mandante dell’assassinio di Giovanni senza
Paura, padre dell’attuale duca Filippo III.
Nel dipinto sul ponte che si vede sullo
sfondo – un rimando al luogo dove era stato perpetrato l’assassinio – è infatti
rappresentata una piccola croce a memoria di quel delitto.
Jan van Eyck, ponendo il gesto benedicente di
Gesù davanti al ponte, crea un'associazione di idee molto simbolica: la croce
posta sull'asse centrale è il fulcro della composizione e raffigura la
comunicazione tra il cancelliere e Cristo, e mette così in evidenza che l'azione
politica di Rolin è posta sotto il patronato divino da cui il suo successo è derivato.
La complessità simbolica e impaginativa della
tavola sviluppa quindi un significato ben più profondo che va di conseguenza oltre
la semplice commissione di un'opera di devozione.
Le due figure di spalle sono il pittore e suo
fratello Hubert che, guardando il paesaggio, incardinano il mondo divino e
quello terreno.
Tecnicamente, quest'opera rispetta molte
delle innovazioni introdotte dai pittori italiani del periodo
prerinascimentale come il senso di umanità dei personaggi – per esempio il
Cancelliere e la Vergine hanno le stesse dimensioni –, come ancora l'introduzione
del paesaggio e dei suoi elementi terreni in un'opera sacra, e infine come l'aspetto
pittorico, rivelazione della complessità architettonica attraverso una
prospettiva coerente – per esempio colonne, sculture, edifici in lontananza ed
altro.
Ritornando sull'allegoria suggerita dal
paesaggio e sulla netta separazione tra il potere politico del Cancelliere,
rappresentato dalla città degli uomini, e dall'altro la purezza nonché la
grandiosità della “civitas Dei”, verso la quale ognuno deve tendere, si vede il
desiderio di van Eyck di sminuire in un certo senso il prestigio del suo
committente, perché è ovvio che la città degli uomini, che egli rappresenta,
non raggiungerà mai la città di Dio e che da quel momento l’uomo Rolin deve
tendere sempre verso questo modello.
Inoltre, il fatto che la tavola sia così profondamente
segnata dalle colonne – triplice cesura fra l’interno della stanza e l’esterno
del paesaggio –, sembra suggerire che solo attraverso la Santissima Trinità si
può raggiungere un reale miglioramento dell'uomo e allontanarsi dal suo primordiale
stato di natura.
Ed è a questo scopo e solo ad esso che la
politica deve o almeno dovrebbe tendere.
Dopo questa pausa artistica è bene ritornare
al nostro protagonista Nicolas Rolin.
Nel 1438 Rolin accompagnò Filippo il Buono a
Bourges, capitale del Berry, per le discussioni preparatorie di una Prammatica
Sanzione che stabiliva le relazioni tra Chiesa e Stato e che fu proclamata in quello
stesso anno a Bourges da Carlo VII. Anche in questa circostanza la
sua partecipazione ebbe un ruolo decisivo.
Nel 1443, alla conclusione di fatto della Guerra
dei Cent'anni (anche se per un decennio ci furono altre scaramucce fra i due
Stati e la guerra si sarebbe conclusa ufficialmente nel 1453 con la battaglia
di Castillon uno scontro decisivo, che pose definitivamente fine
alla guerra), Nicolas Rolin e la sua terza moglie, la devota nobildonna Guigone
de Salins, fondarono a Beaune, un’antica città della Côte d’Or, gli Hospices,
un’opera caritativa che doveva prendersi cura gratuita dei poveri, degli
anziani, degli orfani, dei malati e dei pellegrini e, perché no, anche della salvezza
delle anime dei fondatori.
La causa prossima di questa iniziativa era
stata la carestia che aveva devastato la Borgogna nella prima metà del Quattrocento.
La nobile Guigone fu molto attivamente coinvolta nell'ospedale-ospizio, non
solo nella sua creazione, ma in seguito anche nel suo funzionamento e nella sua
amministrazione: del resto una parte importante degli costi di costruzione
erano stati sostenuti con i proventi delle miniere di sale di Salins, parte della
sua dote. Guigone, per sua esplicita volontà testamentaria, dopo la sua morte
nel 1470 sarebbe stata sepolta al centro della grande corsia dell'ospedale.
All'inizio ci furono dubbi sul luogo di
fondazione, se dovesse essere Autun o Beaune, ma alla fine fu scelta Beaune
perché lì non c'erano ordini religiosi che aiutassero i poveri e gli ammalati. Nel
1452 Rolin fondò anche un nuovo ordine monastico per la cura dei malati: le Suore
Ospedaliere di Beaune.
Fig. 1
Quest’ospedale-ospizio, oggi destinato a Museo,
è conservato quasi integralmente ed è ancora oggi considerato uno dei vanti dell’architettura
fiammingo-borgognona, riflesso dello stile architettonico tardo Gotico del Quattrocento.
Intorno al 1442 all’atto della fondazione
degli “Hospices”, Rolin commissionò anche una pala d'altare per la cappella
dell’istituto, il famoso “Polittico del Giudizio Universale di Rogier van der Weyden, pittore ufficiale
della città di Bruxelles e uno degli artisti più significativi del
Quattrocento fiammingo, che il maestro completò nel 1451, anno in cui la
cappella fu consacrata.
Osserviamo ora questo polittico, l'opera
più importante e di maggiori dimensioni realizzata da van der Weyden, e sicuramente
una delle sue opere più ambiziose, paragonabile per bellezza alla sua straordinaria Deposizione del Museo
Nazionale del Prado di Madrid.
Fig. 3
Come già L'Agnello mistico dei
fratelli van Eyck, questo è uno dei capolavori assoluti della scuola fiamminga
del Quattrocento e come il polittico dei van Eyck è un caso raro di pala
d'altare fiamminga rimasta nella sua collocazione originale e di cui siano
stati inoltre conservati tutti i documenti relativi alla commissione dell'opera:
il nome dell'artista, quello del committente, il luogo di installazione e la sua
data di completamento.
La macchina d'altare, un polittico
ad ante mobili, era stata prevista e progettata per la cappella in fondo all’aula
magna dell'ospedale, una vasta navata aperta, lunga settantadue metri, che poteva
contenere trenta letti doppi lungo le due pareti, ed era separata dalla navata con
un tramezzo di legno rimovibile attraverso il quale i pazienti potevano assistere
agli uffici divini dai loro letti: per questo l'opera richiedeva dimensioni
considerevoli affinché i malati allettati potessero vederla durante le funzioni
religiose.
La chiarezza compositiva dell’opera era
quindi un prerequisito necessario perché i malati potessero vedere e
comprendere l'argomento, anche a distanza, almeno nelle sue grandi linee. Questo
spiega anche i forti accenti cromatici utilizzati e la particolare forma del
pannello centrale con una prospettiva vista dal basso che mette in risalto la fondamentale
figura di Cristo.
Queste esigenze pratiche incontravano felicemente
due caratteri sostanziali dell'arte di Rogier: la sua chiarezza espositiva e la
sua profonda religiosità.
L’opera fu realizzata nella sua bottega a
Bruxelles tra il 1443 e il 1451 molto probabilmente con
l’aiuto dei suoi allievi e raffigura il tema iconografico cristiano del Giorno del Giudizio.
Finché il polittico rimase nella cappella, era
solitamente chiuso nei giorni feriali e aperto la domenica e durante le feste solenni
del calendario liturgico. Dall’ultima citazione che la riguarda quest’opera nel 1503 di essa non si parlò più finché nel 1836 fu riscoperta interamente sommersa di fabbrica
proprio nella sede degli Hospices.
Nel 1875, gli allora amministratori dei
locali decisero di far restaurare dal Museo del Louvre il
pannello dell'Inferno che risultava il più danneggiato di tutti e in seguito fu
restaurato l’intero polittico, con un lavoro complessivo, fra l’altro non
eccezionale, durato tre anni e completato entro il 1878. In questa
circostanza i pannelli furono segati in verticale lungo lo spessore del legno
in modo tale che la parte anteriore e quella posteriore potessero essere esposte insieme e affiancate. Alcuni pannelli hanno conservato ancora le
cornici originali: l'opera, che era stata originariamente eseguita su pannelli
di rovere, in seguito al deterioramento di molti dei suoi pannelli fu trasferita
su tela, tranne il pannello centrale che si trova nel migliore stato di
conservazione.
Nel 1891 l'opera fu classificata come monumento
storico di interesse nazionale e dal 1975 è stata esposta in una sala del
museo appositamente attrezzata con temperatura e umidità costanti, per evitare ogni
ulteriore deterioramento dovuto alla luce solare e al calore prodotto dagli oltre
trecentomila visitatori che ogni anno le passano davanti.
In base alla sua datazione (1443 – 1451)
si tratta di un'opera della maturità del grande maestro, completata quando van
der Weyden, era appena ritornato dal suo viaggio in Italia in occasione del
giubileo del 1450.
Il polittico è la sua opera di più ampie dimensioni,
infatti privo di cornici misura 215 x 548 cm., e fu realizzato con un notevole
impegno sia nell'ideazione della struttura compositiva sia nell'accurata
esecuzione fin nei minimi dettagli, che ne fanno un'opera degna di rivaleggiare
con il meraviglioso Polittico dell'agnello mistico.
Il polittico è composto da nove pannelli di
diverse dimensioni (ora essi sono quindici per la separazione della parte
esterna e di quella interna, tranne la tavola centrale rimasta intatta che è
anche l’unica non trasferita su tela) in parte richiudibili per consentire la
chiusura delle ante sulla grande tavola centrale fissa.
Osserviamolo chiuso.
Fig. 3
Sul retro degli scomparti mobili si trovano sei
pannelli: nel registro superiore, come spesso accade in questo tipo di
polittici, ci sono un Angelo Annunciante e la Vergine Annunciata, nel
registro inferiore ci sono i due santi protettori degli Hospices: San
Sebastiano, al di sotto dell’Angelo, e Sant'Antonio Abate, al di sotto della
Vergine. Tutte le figure sacre sono dipinte a monocromo, come se fossero due statue
di marmo viventi ed eterne, mentre i donatori e fondatori degli Hospices,
Nicolas e sua moglie Guigone sono rappresentati nelle nicchie a sinistra e a
destra, ciascuno in preghiera di fronte al rispettivo santo nello splendore del
colore fiammingo.
Osserviamo ora l’opera a battenti aperti.
Fig. 4
Una volta aperto, il polittico svolgeva una duplice
funzione: confortava gli ammalati e ricordava loro esplicitamente la fine
mortale di ogni uomo, esortandoli così a ricordare loro la fede e a rivolgere gli
ultimi pensieri a Dio, unica fonte di salvezza eterna. Ancora più concretamente,
il dipinto ricordava al paziente – in linea con mentalità del tempo –, che la
cura spirituale è importante quanto la cura del proprio corpo, tanto più che
solo colui che si trovava in uno stato di grazia spirituale poteva riacquistare
la salute.
Questo messaggio visivo si può dedurre anche dalla
posizione del dipinto nella corsia dell'ospedale: Rolin aveva richiesto che trenta
letti doppi per pazienti allettati e terminali, due per letto, fossero
posizionati in modo che i malati potessero osservare il dipinto.
Fig. 5
Nella rappresentazione del Giorno del Giudizio,
van der Weyden, pur richiamandosi a una tradizione iconografica ben consolidata
di un tema tanto in voga nel Medioevo e nel Quattrocento, lascia
comunque ampio spazio alla sua fantasia e alla sua originalità.
Nel pannello centrale il polittico mostra un Cristo
giudice” seduto su un arcobaleno, con i piedi appoggiati su un globo d'oro,
simbolo dell'universo.
Fig. 7
Con la mano destra benedice coloro che sono
salvati e con la sinistra maledice coloro che sono dannati, due gesti questi, sottolineati
da altri simboli scelti ad hoc.
Sotto di lui, sempre nello stesso pannello, si
trova San Michele arcangelo con in mano una bilancia a due piatti, la
tradizionale bilancia ad ago, mentre sta eseguendo una psicostasia cioè la pesatura
delle anime dei buoni e dei cattivi il cui peso varia in base alle loro azioni
buone e cattive. Il giudizio dei risorti è affidato simbolicamente a questa bilancia
ad ago a doppio piatto con cui San Michele arcangelo compie la psicostasia.
Le anime rappresentate nei due piatti sono
due piccole figure simboliche nude, che rappresentano Virtù e
"Vizi". Il personaggio che si trova sul piatto di sinistra, personificazione
delle virtù, è inginocchiato e felice ed eleva una preghiera di ringraziamento
al Signore, mentre l’altro che si trova sul piatto di destra, personificazione dei
peccati, ha un’espressione indimenticabile: condannato dal peso delle sue colpe,
è esterrefatto per la sentenza di condanna ricevuta e, terrorizzato dalla sorte
che lo attende, urla di orrore.
Tutto qui è simbolico.
A cominciare dal ruolo singolarmente
accentuato di San Michele arcangelo che si deve intendere come emanazione o
addirittura come personificazione della giustizia divina.
Il pannello centrale, naturalmente il più
grande degli altri e in verticale comprende tutta l’altezza dei due livelli dei
pannelli laterali, è dominato dalla figura di Gesù che, per giudicare l’umanità,
è sceso da un cielo sfolgorante di luce dorata, che si irradia dietro tutte le
figure di beati. Assiso sull’arcobaleno, simbolo della nuova alleanza tra Dio e
gli uomini, ricostituita grazie al suo sacrificio, Cristo ha sul capo un nimbo a
forma di croce, simbolo della sua immolazione, indossa un ampio mantello rosso,
baricentro di tutta la composizione e colore del martirio. Cristo poggia i
piedi sul globo terrestre, simbolo della sua signoria sul mondo e mostra i fori
dei chiodi sulle mani e sui piedi e la ferita sul costato provocata dal colpo
di lancia, così risplendenti da sembrare dei gioielli.
La sentenza di salvezza e di dannazione che
egli pronuncia è rappresentata in diversi modi: mentre con la mano destra Cristo
benedice e dal lato destro della sua bocca fuoriesce un giglio, simbolo di
misericordia e della purezza dell'ordine divino ripristinato dalla verginità
di Maria, priva del peccato originale, con la mano sinistra maledice invece i
dannati e dal lato sinistro della sua bocca fuoriesce una spada fiammeggiante, simbolo
della suprema giustizia. A ribadire il concetto, sempre a sinistra, un cartiglio
curvo cita la celebre formula di condanna nel latino della Vulgata: “Discedite a
me, maledicti, in ignem aeternum, qui praeparatus est Diabolo et angelis eius”.
Sotto di lui c’è San Michele arcangelo, principe
del giudizio celeste. San Michele è raffigurato giovane e bello (secondo
la concezione fiamminga di bellezza), perché immortale ed eterno, e perché
incarnazione della giustizia divina: è lui che ha infatti guidato prima di
tutti i tempi le schiere angeliche contro Lucifero e gli altri angeli ribelli
ricacciandoli nel baratro dell’Inferno.
Come Cristo, anche l'arcangelo fissa lo
spettatore, come per coinvolgere nel giudizio non solo i risorti che lo
circondano, ma anche ognuno che guarda il dipinto: per questo, il piede
sinistro in posizione avanzata sembra dirigersi verso lo spettatore, chiamandolo
ad entrare nell’opera e nel suo significato.
Gli ornamenti liturgici che indossa l’angelo sono
quelli sontuosi di un diacono. Il capo, privo di aureola, è circondato da un
diadema, un cerchietto nero ornato da un gioiello composto da un rubino,
simbolo della passione, circondato da cinque perle, simbolo di purezza nonché
di eterea e mistica bellezza. Sebbene i suoi gesti facciano eco a quelli di
Cristo, l'angelo non benedice né rimprovera, ma si dedica completamente
all'atto del giudizio.
San Michele è raffigurato nell’atto di sollevare
in alto la grande bilancia ad ago affinché tutti possano vederla e inoltre allontana
la mano sinistra dal manico, per mostrare l’assoluta imparzialità del giudizio.
Ai lati del pannello centrale la composizione
si sviluppa su due livelli.
Quello in alto è tutto circondato da una
nuvola dorata, sulla quale siedono gli apostoli, giudici del tribunale celeste,
oltre a un papa, un vescovo, un re, un monaco e tre sante donne.
Sotto di loro alla base dal polittico c'è la
terra, da cui emergono le anime risorte, per andare verso la maledizione o la beatitudine
eterna.
La suddivisione nei diversi pannelli non spezza
in ogni caso la continuità del racconto, piuttosto articolato e molto ricco di
personaggi, anzi l’opera mantiene sempre una struttura molto unitaria. Per affrontare
organicamente la suddivisione dei pannelli, van der Weyden ha dato infatti unitarietà
all'insieme, con molti elementi figurativi che continuano tra uno scomparto e
l'altro, come per esempio con il tema dell'arcobaleno che si estende dal
pannello centrale su entrambi i pannelli laterali con la Vergine Maria a
un'estremità dell'arco e San Giovanni Battista all'altra. E ancora con il fondo
oro, simbolo della luce eterna, di cui Cristo, “Lux mundi”, è l'incarnazione:
la nuvola dorata circonda tutta l'epifania celeste e tutti coloro che lo accompagnano
e che ne costituiscono la corte, anche se simbolicamente la nube perde di
intensità a mano a mano che si allontana da lui.
Nei due pannelli mobili più in alto volano degli
angeli che, rafforzando l’immagine dell’ostensione delle piaghe sul corpo di
Gesù, mostrano gli strumenti della sua passione: nelle loro mani, velate in
segno di rispetto, ci sono la grande croce, la canna, la corona di spine, la
spugna dell’aceto, la lancia di Longino, il flagello e la colonna della
flagellazione.
La parusia del Cristo, cioè la sua seconda venuta
in terra sulle nuvole del cielo, si arricchisce nel secondo livello di quattro pannelli
mobili, più grandi di quelli del livello superiore. Nella parte più alta di
questo secondo livello c’è la corte celeste, altre figure anch’esse circondate da
una nube di luce incandescente.
Osserviamo il lato sinistro
Fig. 7
E ora osserviamo il lato destro.
Fig. 8
Accanto all’arcobaleno siedono due figure
oranti: a sinistra c’è la Vergine Maria, la madre di Gesù, e a destra c’è San Giovanni
Battista, il precursore di Cristo e colui che per primo aveva avvertito la
presenza divina in lui: la loro funzione è quella di intercedere per l’umanità
risorta, cercando di placare l’ira del giudice, non per merito ma per pietà.
In seconda fila poi, sugli scranni di questo tribunale
celeste, siedono i dodici apostoli con i loro sgargianti mantelli, ma sono
quasi tutti indistinguibili essendo essi privi dei loro rispettivi attributi iconografici.
In terza fila siede poi una rappresentanza
selezionata di beati: a sinistra c’è il gruppo degli uomini a destra c’è il
gruppo delle donne.
Il primo beato è un papa col volto ancora
giovane, la tiara in testa, è vestito con i suoi ornamenti liturgici. Alla
sinistra del papa, un re, anch'egli giovane, porta una corona di gigli sui
capelli ricci. La sua sontuosa veste di broccato verde e oro è foderata di
pelliccia marrone, apparentemente di zibellino. Due personaggi, più in disparte
e appena visibili, sono un vescovo, riconoscibile dalla mitra decorata come la
tiara e la corona con picche, alternando rubini e zaffiri. Il quarto personaggio
forse un abate ha la carnagione più chiara e rosata rispetto agli altri,
capelli molto brizzolati abiti neri.
Sul lato femminile, i tre volti sono tutti e
giovani e idealizzati. I lunghi capelli sparsi sulle spalle indicano che siano sante
vergini.
Si può ipotizzare che si tratti di Santa
Margherita, Santa Caterina e Santa Barbara. Queste tre sante, vergini e martiri,
sono spesso associate e fanno parte dei quattordici grandi "intercessori"
NOTA[1].
Santa Caterina, come Santa Barbara, protegge
i moribondi, inoltre esse rappresentano la vita attiva e quella contemplativa
in cui le suore dell'ospedale potrebbero trovare la loro ispirazione.
La santa con il diadema è Santa Margherita: indossa
un mantello rosso vivo con risvolto verde la cui bordatura dorata è molto consumata.
L'abito blu completamente scurito è bordato ai polsi di pelliccia bianca. Dal
collo sporge una camicia bianca. I capelli castani sono trattenuti da una tiara
nera ornata di gioielli di perle e di pietre blu e rosse incastonate in oro.
Gli occhi sono chiari (con puntini rossi). Santa Caterina d'Alessandria è incoronata,
indossa un abito e un mantello intonati, grigio azzurro chiaro. Una camicia
bianca fuoriesce dalla la scollatura. Sui suoi capelli rossi porta una corona
d'oro guarnita di perle, rubini e zaffiri. Gli occhi sono castani.
Santa Barbara con l’acconciatura a pieghe ha
i capelli castani con riflessi dorati. La sua carnagione è più scura. Il
mantello appena visibile sembra nero. All'altezza del collo si intravede il
bianco della camicia. Gli occhi sono chiari. Il corpetto, su fondo blu scuro, è
ricamato con due file, una di perle dai riflessi bluastri, l'altra di rubini
bordati su ciascun lato da perle d'oro.
Dall’atmosfera celeste circonfusa di luce
dorata si scende quindi sulla terra. Siamo nella valle di Giosafat e quattro
angeli in volo suonano le lunghe trombe, i cui squilli risvegliano i morti.
La scena della risurrezione dei corpi è impressionante
e l’intero registro inferiore è dedicato all'umanità giudicata: la crosta del
terreno si spacca e si frantuma sotto la spinta dei sepolti, alcuni sono appena
svegli, i corpi si riaffacciano all’aria aperta rompendo la superficie della
terra e, via via che essi escono dai loro sepolcri si rivolgono al giudice in
attesa della sentenza. Questi corpi nudi, vagando in attesa del giudizio, e si
separano, dapprima lentamente e distanziati, poi sempre più velocemente in
gruppi sempre più compatti, occupando tutta la fascia inferiore del polittico.
La dimensione è tutta terrena diversamente
dall’imperturbabilità della parte celeste. I gesti diversi rappresentano la
sorpresa, la preghiera, il terrore o la gioia. La divisione irrevocabile
avviene già in basso dell'asse centrale, cioè ai piedi di San Michele.
Il contrasto fra loro è marcato fin dal
centro: un uomo in alto, una donna in basso. Dietro di loro, ancora un uomo e
una donna, a mezzo busto, con le braccia alzate: l'autore sembra indulgere sulla
maledizione di Eva. Dopo due uomini soli, ai lati, vengono due coppie.
La simmetria è rotta dalle due ante mobili: in
esse prevale il pessimismo tipico di van der Weyden: gli eletti sono infatti più
rari, i dannati invece più numerosi.
Secondo l'Elucidarium di Onorio d'Autun, il
monaco teologo e filosofo vissuto tra gli ultimi decenni dell’XI
secolo e la prima metà del successivo, i morti sono tutti resuscitati
a trentatré anni, età ritenuta perfetta, come l’età della crocifissione di Cristo.
Anche la parte bassa dei cinque pannelli mostra
un paesaggio continuo in cui tutti i corpi dei risorti sono raffigurati nudi e,
avendo già ricevuto il loro giudizio contestualmente alla resurrezione dei
corpi, si muovono verso la loro destinazione finale.
I due gruppi di risorti sono raffigurati in
scala più piccola e più umana rispetto a quella dei santi che giganteggiano sopra
di loro e sono ineluttabilmente spinti verso il loro destino.
Sulla terra più ci si avvicina al Paradiso, più
i fiori abbondano. I destinati alla beatitudine si dirigono verso un giardino verdeggiante
e un angelo li indirizza verso le scale della Gerusalemme celeste, il Paradiso,
che ha la forma di una cattedrale gotica, con un ampio portale ad arco, due
guglie, un’alta terrazza e una torre, antitesi della torre di Babele. Il cielo
è raffigurato come un fiammeggiante portico gotico con una luce che conduce al
divino.
È curioso notare che sono solo due le figure
femminili del gruppo che sono sul punto di ascendere al Paradiso. Ma non deve
stupire perché ai tempi di van der Weyden, la donna era ancora considerata una
tentatrice e quindi per lei era più difficile salvarsi che per un uomo.
Sul lato opposto, si forma invece il corteo
dei dannati, accomunati dalle espressioni di terrore, di rabbia e di repulsione:
essi, schiacciati sotto il peso dei loro peccati, emergono dolorosamente dalla
terra secca e spaccata, circondati da scintille di fuoco e da scie di fumo.
Le figure dei dannati sono tormentate e
distorte dal loro stesso odio e i loro volti sono stravolti dalla follia della
cattiveria: presi dalla rabbia collettiva, essi non possono piangere, non
ne sono in grado, invece, urlano e si dimenano, perché la loro stessa insensatezza
li destina al castigo eterno.
L’Inferno che li divora ha l’aspetto di una
buia caverna, illuminata solo da sprazzi sinistri di livide fiamme e in questo
baratro i dannati precipitano, vanificando anche i loro ultimi tentativi di
resistenza.
L’Inferno di van der Weyden è un inferno
stranamente e insolitamente privo di diavoli che esercitino costrizione fisica
sui peccatori ed è rappresentato semplicemente da mucchi di rocce nere che
diffondono fiamme e vapori vulcanici. Quest'assenza di demoni proviene dall'atteggiamento intellettuale del nascente Umanesimo: van der Weyden non
indugia sui dettagli macabri o sulla descrizione delle pene fisiche, essendo di
per sé sufficiente la forza della coscienza del loro peccato a tormentarli,
e questo rende quest'opera un caso unico nelle rappresentazioni del Giudizio
Universale perché è giocata tutta sui moti interiori e sui sentimenti dei
personaggi. Alcuni particolari sono certamente di un crudo realismo, ma
nell'insieme la visione infernale si distacca dalla scene sovraffollate e
allucinate del tardo Medioevo.
Ma ritorniamo ora al protagonista Nicolas
Rolin.
Nel 1455, la cancelleria impose una tassa
alla nobiltà borgognona per finanziare una possibile crociata con la
quale Filippo il Buono voleva liberare la Terra Santa dai Turchi ottomani che
l’anno precedente avevano conquistato Bisanzio, ponendo fine all’Impero Romano
d’Oriente.
Questo portò quasi ad una rivolta guidata da tale
Jean de Granson, arrestato successivamente su iniziativa di Rolin: all’arresto seguì
un processo in cui de Granson fu condannato a morte per alto tradimento.
Per attaccare la posizione di Rolin, quest’incidente
fu usato dai fratelli de Croy, Jean, Signore di Chimay e Baglivo dell’Hainaut,
e Antoine, primo ciambellano del Duca, anch’essi importanti
consiglieri di Filippo e da molto tempo scontenti della posizione prevalente di
Rolin, pertanto cercavano solo un'occasione per screditarlo. L’occasione si
presentò nel 1457 in occasione di una lite tra Filippo e suo figlio Carlo, il
futuro duca Carlo I il Temerario, suscitata dalla duchessa Isabella.
Fig. 9
Nella lite, Rolin si era schierato con il
giovane Carlo dal temperamento focoso e i fratelli de Croy con il duca. Da quel
momento in poi Rolin fu discreditato e, pur rimanendo Cancelliere, fu tenuto lontano
dai più importanti affari di stato.
Rolin non apparteneva alla nobiltà
borgognona, ma aveva raggiunto la posizione più alta che si potesse raggiungere
alla corte di Filippo III ed era stato perfino nominato cavaliere, nomina che
faceva di lui un esponente della nobiltà minore. Al famoso banchetto del
fagiano del 1454 nella cui occasione Filippo il Buono aveva espresso
la sua intenzione di partire per una crociata con il solenne Giuramento sul
Fagiano, Rolin era stato l'unico non nobile alla tavola d'onore del duca.
Durante la sua vita Rolin aveva accumulato
enormi ricchezze grazie al suo lavoro proficuo e instancabile per la Borgogna, ma
nonostante la sua posizione economica e politica così elevata non godeva di un altrettanto
elevato status sociale. Grazie all’ingente ricchezza accumulata, riuscì a far
sposare i suoi figli con i discendenti della migliore nobiltà borgognona: siccome
a corte c’erano esponenti dell’alta nobiltà di status elevato, ma senza grandi
mezzi e Rolin fece quindi frenetici tentativi di migliorare il suo status grazie
ai matrimoni dei figli e grazie anche al suo terzo matrimonio con Guigone de
Salins, discendente dell'alta nobiltà borgognona che, all’incirca nel 1424, diventò
anche dama di compagnia della duchessa.
Ma accanto a questo impegno pubblico Rolin
era anche un uomo profondamente intriso di fede religiosa, e usò parte delle
sue grandi ricchezze per mecenatismo e per beneficenza dedicandosi alla realizzazione
di opere pie.
Nella sua opera di committente e di mecenate,
Rolin si rivolse agli stessi pittori apprezzati dal duca. Jan van Eyck lo
ritrasse intorno al 1434 nella Vergine con il cancelliere Rolin,
destinato alla sua cappella nella Chiesa di Notre Dame du Châtel ad Autun e dieci
anni più tardi Rogier van der Weyden lo ritrasse nel Giudizio universale dipinto per un'altra delle sue fondazioni, l’Hôtel-Dieu de Beaune.
Nicolas Rolin diede luogo alla fondazione di
altre opere pie: nel Convento dei Celestini ad Avignone fondò anche una cappella
insieme a suo figlio che ebbe una relazione con una delle suore e gli diede un
figlio, che riconobbe Jean VI Rollin. Nella chiesa collegiata di Autun Notre-Dame
du Châtel fece erigere una cappella con un capitolo di undici canonici.
Nonostante però tutte queste opere di
devozione i cronisti dell’epoca Jacques du Clercq e Georges Chastellain lo hanno descritto di un pragmatismo ai limiti del cinismo. Le critiche
negative dei suoi contemporanei, probabilmente in gran parte dovute alla
gelosia per le vette raggiunte in Borgogna, sono rimaste impresse come una
lettera scarlatta su Nicolas Rolin fino ad oggi.
Morì nel 1462, all'età di 85 anni e fu
sepolto nella chiesa da lui fondata, distrutta durante la Rivoluzione francese.
Massimo Capuozzo
____________________________________________[1] NOTA AGIOGRAFICA – Nel Trecento la Peste Nera devastò città e campagne d’Europa, e i cristiani supplicavano Dio di risparmiarli da quella malattia mortale.
Per aiutare ad rafforzare le proprie preghiere, in Germania i cristiani si rivolsero a un gruppo di santi noti per il loro intervento miracoloso. Li invocavano collettivamente, come gruppo, e quest’ultimo è poi diventato noto come i 14 Santi Ausiliatori.
In seguito fu sviluppata una litania che riunisce i Santi Ausiliatori, invocandoli perché entrassero in azione, e questa offre anche un breve riassunto di chi fosse ogni santo e il beneficio spirituale che era richiesto: San Giorgio, coraggioso martire di Cristo, San Biagio, vescovo zelante e benefattore dei poveri, Sant’Erasmo, potente protettore degli oppressi, San Pantaleone, esempio miracoloso di carità, San Vito, protettore speciale della castità, San Cristoforo, potente intercessore nei pericoli, San Dionisio, esempio brillante di fede e fiducia, San Ciriaco, terrore dell’Inferno, Sant’Agazio, prezioso avvocato al momento della morte, Sant’Eustachio, esempio di pazienza nelle avversità, Sant’Egidio, disprezzatore della mondanità, Santa Margherita, coraggiosa sostenitrice della Fede, Santa Caterina, difenditrice vittoriosa della Fede e della purezza, Santa Barbara, potente patrona dei morenti.
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