domenica 4 febbraio 2024

La storia di Rosa Bonheur: la Storia e le storie di Massimo Capuozzo

Sentendo per la prima volta il nome di ‘Rosa Bonheur’, facilmente si può pensare a una ‘pornostar’ o a un negozio di articoli erotici di Pigalle. ‘Rosa Bonheur’ (1822 – 1899) fu invece uno dei personaggi più famosi sui mercati d’arte della seconda metà dell’Ottocento: anche se non ‘porno’, una ‘star’ lo fu certamente, ammirata da principi e da sovrani, da letterati e da musicisti e conosciuta, oltre che in Europa, anche nelle zone più remote degli Stati Uniti.
Dopo la sua morte nel 1899, Rosa Bonheur cadde in una sorta di oblio fino alla sua riscoperta negli anni Settanta e Ottanta del Novecento, ma fu una riscoperta avvenuta non tanto per il suo talento artistico, quanto piuttosto per essere diventata un’icona del femminismo e se la sua produzione era stata dimenticata, in ambienti femministi, LGBT e animalisti Rosa è tuttora ricordata vivamente come un emblema.
Pertanto risulta ancora oggi piuttosto difficile farla uscire da questa nicchia o da quell’immagine più convenzionale della ‘pittrice delle mucche’.
Ma per fare questo oggi è necessario considerare la pittrice come una vera appassionata del “mondo vivente” in un momento in cui l'ecologia, il rispetto per la natura e la causa animalista sono all'ordine del giorno.
Alcuni suoi dipinti collocano il ‘mondo vivente’ in spettacolari composizioni dinamiche, altri in veri e propri ritratti come se gli animali stessero in posa ‘vis-à-vis’ con lo spettatore, ma comunque essi sono sempre eseguiti con meticolosità quasi fotografica che restituisce all’osservatore sia l'anatomia sia la ‘psicologia’ degli animali.
Diversamente da altri artisti di umori più romantici come ‘Géricault’ o ‘Troyon’, Rosa Bonheur non cercò mai di umanizzare gli animali, ma volle esprimere sempre la loro singolarità e la loro irriducibile diversità.
Dando voce a chi di voce non ne aveva, il suo ‘femminismo’, molto individuale e poco collettivo, e il suo amore per gli animali andarono sempre di pari passo.
In che modo?
Mettendo ecologisticamente sempre in discussione il rapporto di forza tra l’uomo, il più grande predatore vivente, e gli animali e, allo stesso modo, il rapporto di forza fra uomo e donna, vivendo lei stessa in autonomia, non come una donna sottomessa alla morale patriarcale di allora, ma come una donna libera e capace delle sue scelte, anche se non ne fece mai un vero e proprio programma politico e non partecipò mai a dimostrazioni o a manifestazioni a favore della questione femminista.
Guardare le sue opere suscita nello spettatore moderno un "effetto meraviglia": nei suoi grandi dipinti gli animali occupano un posto d'onore: mi piace ricordare per esempio "Il re del bosco" del 1878, un maestoso cervo sorpreso in prima persona che crea con l’osservatore un “momento di scambio tra specie” un effetto che si ritrova anche in tante altre opere di Rosa come "Il leone in casa" del 1881.
Fig. 1
Fig. 2
L'artista mise consapevolmente in risalto la quotidianità del mondo contadino, attraverso il lavoro dei cavalli da tiro o dei buoi in piena fatica, su grandi formati, precedentemente riservati solo alla "pittura nobile", quella ‘storica’, come nella sua celebre e monumentale “La follatura del grano in Camargue” che purtroppo rimase incompiuto.
Moltissime opere di Rosa si trovano oggi nel Regno Unito e negli Stati Uniti, e appartengono a collezioni private o a importanti istituzioni museali: questo perché, fin dall'inizio della sua carriera, le sue opere furono vissute con una particolare passione soprattutto nel mondo anglosassone in seguito a un’“esplosione” nel commercio oltreoceano dell'Arte europea e della fame di pittura, che quella giovane nazione cominciava ad avere.
In Francia oggi il nome di Rosa Bonheur è conosciuto soprattutto attraverso una strada, una scuola, nella migliore delle ipotesi una trattoria o un caffè che portano il suo nome nel quartiere degli artisti a Montmartre, eppure Rosa aveva appena trent’anni quando i suoi quadri cominciavano a viaggiare sull’Atlantico ed erano venduti in America.
Ma chi è Rosa Bonheur? E soprattutto perché ne parlo?
Da un pezzo della mia vita mi interesso, anche se ora in modo più saltuario, del ‘femminile dell’Arte’ sempre troppo trascurato ma sempre molto sorprendente. Nel mio incontro con il “Realismo” francese ho incontrato di nuovo Rosa e questa volta ho deciso di conoscere fino in fondo questa tipica outsider che seppe imporsi nell’Ottocento come pittrice della vita agricola e della fauna selvatica in un'epoca in cui la ‘rivoluzione industriale’ e la crescita urbana stavano corrodendo interi settori dell'antico habitat naturale dell’uomo.
‘Marie Rosalie Bonheur’ era la figlia primogenita del pittore e insegnante di disegno Raymond e di Sophie “Marquis”, un’insegnante di pianoforte che era stata allieva del giovane marito.
La nascita di Sophie, una figura determinante per Rosa, è avvolta nel mistero: era nata nel 1797, in Germania, dove si trovavano molti nobili francesi in fuga dalla Rivoluzione, tra questi c’era ‘Jean-Baptiste Dublan de Lahet’, un ricco commerciante bordolese in odore di nobiltà, che nel 1799 portò con sé la piccola Sophie a Bordeaux, indicandola come sua nipote e, solo sul letto di morte avrebbe rivelato che in realtà era lui il suo padre biologico. Non si sa però chi fosse la madre di Sophie: in giro si sussurrava soltanto che fosse una principessa di sangue reale, ma una coltre di silenzio scendeva sempre immancabilmente intorno a lei appena si domandava qualcosa di più.
Che fosse vero o no, è certo che la piccola Sophie ricevette un'educazione degna di una gran dama dell'alta nobiltà: studiava letteratura francese e spagnola, canto, danza, pianoforte e disegno. Conobbe il giovane Raymonde Bonheur, di un anno più grande di lei, che proveniva invece da una modesta famiglia di cuochi, ma studiava ‘Belle Arti’ e si guadagnava da vivere umilmente impartendo lezioni di disegno.
Entrambi belli e sognatori, si innamorarono e nel 1821 si sposarono.
Il 16 marzo 1822 a Bordeaux nacque la loro prima figlia, al numero 29 di ‘rue Saint Jean-Saint-Seurin’, e la chiamarono Marie-Rosalie, che però la madre chiamò sempre Rosa, la ‘sua rosa’.
Nel 1824 nacque poi Auguste, nel 1827 Isidore e infine nel 1830 la sorella Juliette. Tutti i bambini Bonheur sarebbero diventati artisti: Rosa, Auguste e Juliette pittori e Isidore scultore.
La piccola Rosa visse un'infanzia dorata nella campagna bordolese, al castello di “Grimont” a Quinsac sulla riva destra della Garonna, dove durante i primi anni della sua vita, con la sua famiglia trascorreva le vacanze in estate. Rosa era una bambina vivace, amava le passeggiate in campagna e soprattutto gli animali: pecore, mucche, tori. Si dice che fosse un maschiaccio, dato che le piaceva correre liberamente dovunque senza paura.
Fu lì che sviluppò il suo amore per la natura e per gli animali, due temi che avrebbero alimentato il suo lavoro per tutta la vita.
Fin da piccola Rosa manifestò un talento naturale per il disegno che praticava con ogni mezzo, ritraendo gli animali della campagna in cui era cresciuta felice, prima che nel 1829 la sua famiglia, lasciando la Gironda, si trasferisse a Parigi per raggiungere il padre, uomo profondamente idealista di fede sansimoniana che, come tanti artisti, sperava di raggiungere il grande successo nella capitale.
Quest’avventura si trasformò tuttavia in un vero e proprio disastro.
Non avendo ottenuto il successo sperato, il padre entrò nella comunità di ispirazione sansimoniana di ‘Prosper Enfantin’ che, nonostante la conclamata ‘fede’ nell’emancipazione femminile, ne escludeva le donne e lasciò così la moglie, sola e con i quattro figli.
Sophie cercò allora di sbarcare il lunario impartendo lezioni di pianoforte di giorno e facendo piccoli lavoretti di cucito di notte con esigui compensi sia per le lezioni sia per il cucito: nel 1833, Sophie Bonheur morì ad appena trentasei anni e la sua famiglia era talmente povera che le sue spoglie dovettero essere deposte in una fossa comune nel ‘Cimitero di Mont-Martre’. Più tardi Rosa avrebbe detto che tutto questo succedeva mentre suo padre ‘si occupava della salvezza del genere umano’.
Non è certo però se Sophie sia morta di colera per un’epidemia che imperversava in quell’anno a Parigi o se fosse stata davvero consumata dai lavori malpagati che svolgeva per sostentare i quattro figli piccoli, ma certamente Rosa, nella sua mente di bambina, preferì questa seconda versione. Sta di fatto che l’undicenne Rosa non si sarebbe mai del tutto ripresa da questa perdita.
Con la morte di Sophie, i quattro figli furono dispersi tra i vari membri della famiglia, solo Rosa rimase a Parigi con il padre: fu tolta dalla scuola e andò come apprendista da una sarta, ma quel lavoro non le piaceva e decise che voleva diventare una pittrice.
Papà Raymond, che avrebbe sempre incoraggiato le capacità artistiche dei suoi figli, convito dalla forte determinazione della ragazzina la prese come allieva e le dedicò tutto il suo tempo ad insegnarle e così Rosa a tredici anni smise di essere un’apprendista sarta e si potette dedicare completamente alla pittura e al disegno.
Contento dei suoi progressi e del suo entusiasmo, Raymond incoraggiava l'ambizione di sua figlia proponendole come modello la grande e famosa ritrattista ‘Elisabeth Vigée-Lebrun’ (1755-1842). Il padre riuscì inoltre ad ottenere per Rosa il permesso di frequentare il ‘Palazzo del Louvre’ per copiare i grandi maestri del passato, un esercizio fondamentale per chi voleva diventare un pittore.
Le donne all’epoca non avevano il diritto di studiare il ‘nudo’, pertanto erano loro impediti i grandi quadri come le scene mitologiche, storiche e religiose in cui lo studio del ‘nudo’ era fondamentale, ed erano proprio questi i dipinti che facevano la reputazione dei loro colleghi uomini: esse dovevano quindi limitarsi a generi considerati ‘minori’ come il ‘ritratto’, il ‘paesaggio’ e la ‘natura morta’.
Formatasi con il padre che era un discreto ritrattista che a Bordeaux aveva stretto amicizia anche con Goya, Rosa capì presto la sua “vocazione” e decise di diventare brava, ma non per ‘superare la Vigée-Lebrun’, della quale non le importava niente, ma rappresentando ciò che ella amava di più: gli animali e la natura, per lei unica fonte ispiratrice e vera maestra anche più dei grandi del ‘Louvre’ che comunque non si stancava mai di studiare.
Avendo dunque trovato la strada che riteneva giusta, cominciò a nutrire l’ambizione di diventare sì la Vigée-Lebrun, ma degli animali.
La morte della madre aveva segnato profondamente Rosa, tanto più che a lei sembrava che fosse stata sopraffatta dalla fatica e dalla miseria. A questa madre, cresciuta ed educata come una principessa e seppellita in una fossa comune come una “miserabile” per la miseria in cui versava la famiglia, Rosa avrebbe dedicato un vero e proprio culto per tutta la sua vita, decisa però a non seguirne l’amaro destino.
Se l’influenza del dramma materno fu determinante per lei, altrettanto determinante fu il pensiero paterno, secondo il quale tutti coloro che volevano dedicarsi a una ‘grande causa’ dovevano fare la scelta del celibato, uomini e donne. E la ‘grande causa’ di Rosa fu l’Arte, la “missione divina” a cui avrebbe consacrato tutta la sua vita.
Un incontro fondamentale per lei quattordicenne avvenne nel 1836 quando incontrò ‘Nathalie Micas’, un evento questo che le cambiò la vita per sempre.
Louis Frédéric ed Henriette Micas si erano recati nello studio di Raymonde Bonheur affinché dipingesse il ritratto della loro figlia, la dodicenne Nathalie, che aveva una salute così fragile da far loro temere che sarebbe potuta morire presto.
Durante le sedute di posa nell’atelier di Raymond la bambina e sua madre strinsero amicizia con Rosa, che con suo padre conduceva una vita ‘bohémien’ in cui anche l’igiene domestica lasciava a desiderare.
Fu la signora Micas a prendere in mano la situazione aiutando con la sua presenza materna i Bonheur e fra le due ragazze nacque un rapporto stabile che sarebbe durato più di cinquant’anni, fino alla morte di Nathalie nel 1889.
Nel 1841 Raymond Bonheur decise di risposarsi con tale Marguerite Peyrol, una vedova di ventotto anni che aveva già un figlio e che, dal loro matrimonio ne avrebbe concepito un altro, Germain.
Per la diciannovenne Rosa, questo sembrò un tradimento, anche se grazie al matrimonio del padre i suoi fratelli e la sorella li potettero raggiungere a Parigi e la loro famiglia si potette finalmente riunire. A Parigi tutti iniziarono a studiare disegno sotto la direzione di Raymond.
La famiglia Micas riteneva però che il talento di Rosa non potesse sbocciare in mezzo a quel gran baccano e decise che, siccome la giovane pittrice stava già incominciando a guadagnare con la sua arte, avrebbe potuto benissimo avere un proprio studio.
Nel 1841 era stata ammessa ad esporre al ‘Salone di pittura e di scultura’, comunemente noto come il ‘Salon’, la più importante vetrina d'Arte contemporanea di Parigi. I primi due dipinti di Rosa esposti al “Salon” furono immediatamente notati oltre che dai giudici che l’avevano ammessa all’esposizione, anche dal pubblico.
Da quel momento ogni anno Rosa presentò suoi lavori e ogni volta furono accettati da quell’insidiosa giuria. Dopo quei primi successi, il padre le consigliò di firmarsi ‘Raymond’ col pretesto che il loro cognome ‘Bonheur’, in italiano ‘felicità’, sembrava una beffa alla loro infelicità. Per lei questa scelta sembrava invece un insulto a sua madre e, proprio per associarla alla sua celebrità, dal 1844 in poi firmò tutti i suoi dipinti con l’abbreviativo con cui la madre la chiamava: Rosa.
Se il padre le aveva insegnato il mestiere, era stata però sua madre che per prima ne aveva riconosciuto e incoraggiato il talento, e Rosa, con estrema convinzione, riteneva che la madre la ispirasse, che la proteggesse e che guidasse ancora i suoi passi.
Al Salon del 1845 Rosa ottenne già due medaglie di bronzo e le sue opere incominciarono a essere discretamente vendute.
Per perfezionare la sua arte camminava, cavalcava in campagna, visitava i mercati del bestiame anche e i macelli. Per poter fare questo si rese conto che i pantaloni erano molto più pratici delle gonne. Una legge del 1800 prevedeva però che ogni donna che volesse vestirsi da uomo dovesse ottenere dalla Prefettura di Polizia una speciale ‘autorizzazione al travestimento’, rinnovabile ogni sei mesi. Rosa allora chiese ed ottenne dall’ufficio competente di Parigi l'autorizzazione per un ‘permesso di travestimento’: se il motivo ufficiale erano le ragioni di salute, i pantaloni in realtà le servivano come abito da lavoro, indispensabile per poter disegnare indisturbata in campagna, nei boschi, nelle fiere, nelle stalle e nei mattatoi che frequentava per la sua pittura.
Fig.3
Elevando all’eccellenza i canoni del ‘Realismo’ che in quegli anni si stava affermando, Rosa aprì nuovi orizzonti anche per le pittrici del suo tempo, fino a quel momento relegate a generi minori, e diventò un modello per loro.
Fig.4
Nella turbolenta edizione del ‘Salon’ del 1848, la ventiseienne Rosa espose ancora, e fu premiata con la medaglia d’oro che le permise di ricevere un ordine dallo Stato e di attrarre tra la sua clientela alcuni facoltosi collezionisti privati.
In quella circostanza ‘Théophile Gautier’ la pose sullo stesso piano di ‘Paulus Potter’ (1625 – 1654), un pittore olandese del Seicento, specializzato in animali e paesaggi e noto come il ‘Raffaello degli ovini’, sottolineando la ricerca della ‘verità’ e l’osservazione perfetta di Rosa. Ancora una volta ‘Théophile Gautier’, per trovare una matrice al ‘Realismo’ contemporaneo, si richiamava all’Arte olandese del Seicento, non senza implicazioni politiche.
In effetti, il ‘Realismo’, basato sullo studio del disegno o sulla fotografia, è molto presente nell’opera di Rosa ed è in evidente sintonia con il lavoro dei campi e l'armonia che lega i contadini e gli animali.
I mercanti d'Arte incominciavano a interessarsi al suo lavoro e la sua carriera cominciò a essere molto redditizia, cosa che le valse anche diverse proposte di matrimonio visto che ora non era più una ‘miserabile’, ma cominciava a diventare un buon partito. Ma Rosa era troppo scossa dal modo in cui la madre aveva dovuto soffrire a causa del suo matrimonio, pur essendo stato comunque un matrimonio d'amore. Rifiutò di rinunciare alla sua libertà per un uomo e non si sposò mai, preferendo dedicare tutta la sua vita all'Arte.
Nel 1849 realizzò per lo Stato francese lo splendido e monumentale dipinto di tema agricolo ‘Labourage Nivernais’, detto anche ‘Le Sombrage’, che fu anche esposto al ‘Salon’ del 1849 e oggi conservato al ‘Museo d’Orsay’: questo dipinto era liberamente ispirato al racconto ‘La palude del diavolo’ di George Sand.
Fig.5
Con quest’opera Rosa ebbe un enorme successo di pubblico, il dipinto fu salutato unanimemente dalla critica come un capolavoro e Rosa come la più grande artista di animali del suo tempo.
In questa grande opera (1,34 m x 2,60 m) Rosa, utilizzando le dimensioni della pittura storica, raggiunse la fama nazionale a ventisette anni: la pittrice disse che quell’opera era nata in lei per celebrare con la pittura un’altra arte, quella “di tracciare i solchi da cui ha origine il pane che nutre l’intera umanità’.
Quest’opera sembra rispondere a una crisi agricola e alla penuria alimentare che aveva portato alla rivolta nel 1848 che era stata l’innesco della Rivoluzione: tra febbraio e maggio 1848, la monarchia francese era crollata con l'abdicazione di Luigi Filippo ed era nata la breve “Seconda repubblica”.
Gli anni Quaranta dell’Ottocento, erano stati segnati dalla recessione del 1846-1847 e poi dalla rivoluzione del 1848, che avevano visto il passaggio tra le crisi alimentari dell’”Ancien Régime” e quelle più specifiche create dalle economie industriali in via di sviluppo. Abbastanza per alimentare il pensiero socialista che si strutturava intorno a Marx e a Engels.
In quello stesso 1849, che era stato un trionfo artistico per Rosa, si verificarono tre eventi importanti nella sua vita: la morte del padre, il suo trasferimento a casa della famiglia Micas e la sostituzione del padre nella direzione della ‘Scuola di disegno per ragazze’, un incarico che avrebbe mantenuto fino al 1860.
Quando Raymond Bonheur morì, per Rosa fu impensabile continuare a vivere con la matrigna, che lei non aveva mai accettato e questo aveva determinato fra loro un profondo disaccordo. Decise quindi di andare a vivere con Henriette Micas e sua figlia Nathalie, il cui padre era morto anche lui ma l’anno prima. Questa scelta le creò un distacco dalla sua stessa famiglia, imbarazzata da questa sistemazione che sembrava, con le sue scelte del nubilato e dei pantaloni, confermare la presunta omosessualità della sorella.
La signora Micas, Nathalie e Rosa formarono una comunità tutta al femminile. Nathalie, anche lei pittrice di formazione, aiutava Rosa occasionalmente, per esempio per la replica dell’originale immenso dipinto ‘Il mercato dei cavalli’, oggi esposta al ‘Museo d'Orsay’, che fu riprodotto nel laboratorio a quattro mani da Nathalie e da Rosa, mentre la prima tela quella del ‘Metropolitan Museum of Art’ di New York, oggi è dichiarata intrasportabile.
Con Rosa, la scuola di disegno del padre diventò gratuita e destinata a quelle ragazze che volevano intraprendere la propria strada verso l'indipendenza finanziaria. È sintomatico che Rosa fosse solita incoraggiare le sue allieve dicendo loro: “Seguite il mio consiglio, osservate sempre la natura e vi farò diventare Leonardo da Vinci in sottana”.
La sua opera in campo artistico era inseparabile dalla sua vita di ‘donna forte’ che osava oltrepassare i ‘confini" imposti dalle convenzioni. Rosa plasmò la sua identità pubblica di donna finanziariamente ed emotivamente indipendente, fumando, andando a cavallo, praticando il tiro con la carabina, vivendo da single, indossando pantaloni e circondandosi di donne, compresa ‘Nathalie Micas’ la sua amica fin dall'infanzia e donna anche di scienza. Diverse fotografie la ritraggono nel suo laboratorio in pantaloni e camice, con i capelli tagliati corti oppure con un vestito e un cappello in pubblico.
Del resto per praticità, fin da adolescente, aveva sempre portato i capelli corti, con più di ottant’anni anni di anticipo sulla pettinatura alla ‘garçonne’ dei ruggenti anni Venti del Novecento.
Rosa riuscì a imporre quest’esistenza al di fuori delle norme sociali molto sessiste dell'epoca grazie al suo carattere forte, ma ci riuscì anche grazie alla sua fama: era talmente famosa e riconosciuta che si consentiva di fare quello che voleva e stranamente quel suo ‘stravagante’ stile di vita, tanto emancipato e sopra le righe, non suscitava alcuno scandalo. Anche George Sand iniziò a vestirsi in abiti maschili per frequentare i luoghi di ritrovo sociale all'epoca interdetti alle donne ma Rosa diversamente dalla Sand nelle fotografie ufficiali si faceva ritrarre sempre in abiti femminili. “Ho sempre condotto una vita onorata”, affermava, “ma non ho mai voluto svendere la mia libertà per compiere meglio la ‘santa missione’ che mi ero prefissata: ho sempre desiderato elevare la donna”.
Questo dimostra il suo impegno a non rinchiudersi in un ruolo di genere, pur accettando alcune convenzioni richieste dalla sua condizione di donna.
Per avere modelli sempre disponibili, allevava tutti gli animali che poteva: dalla prima pecorella collocata nel piccolo balcone della sua casa paterna, fino alla vera e propria ’arca di Noé’ del giardino della sua casa-studio di ‘rue d’Assas’ a Parigi, un’’arca’ che avrebbe ampliato a Thomery presso Fontainebleau dove nel 1859, acquistò il castello By.
Gli animali per lei non erano solo dei modelli da riportare sulla tela, erano ‘amici’ preziosi, dotati di una propria anima, che traspariva splendente nel loro sguardo e che lei così sapientemente rendeva immortali. «Se non sempre le capiamo, le bestie, loro ci capiscono sempre», era solita affermare e in seguito avrebbe aggiunto: «Trovo mostruoso che le si dicano prive d’anima. La mia leonessa mi amava molto, quindi aveva un’anima, ben più di certi umani che non hanno affatto amore». Per amore degli animali diventò anche la prima socia francese della ‘Società Reale per la Protezione degli Animali’ di Torino, la più antica associazione animalista risalente al 1º aprile 1871, anno in cui ‘Giuseppe Garibaldi’ ne fondò la prima sede su invito della nobildonna inglese, lady Anna Winter, contessa di Sutherland.
Al ‘Salon’ del 1853, con la forza della sua opera monumentale il ‘Mercato dei cavalli’ (2,45 m x 5), oggi al ‘Metropolitan’ di New York, conobbe un secondo trionfo e raggiunse la gloria.
Fig. 6
Quando presentò quest’opera al “Salon”, ancorché incompiuta, le procurò un successo immenso che ella stessa definì ‘folle’ e che la rese celebre nel mondo intero. La giuria stessa del ‘Salon’ si definì ‘incapace di ricompensare questo merito tanto eccezionale’ e decretò per lei l’ammissione diretta a tutti i successivi ‘Salon’.
Il dipinto fu poi esposto a Gand, con enorme successo di critica e di pubblico, ma al ritorno in Francia le sue grandi dimensioni impedirono di trovare un acquirente privato. Rosa allora lo offrì alla sua città natale per un prezzo ragionevole, ma Bordeaux ritenne comunque il dipinto troppo costoso e rifiutò di acquistarlo.
“Il mercato dei cavalli” fu allora acquistato a carissimo prezzo da ‘Ernest Gambart’, un mercante e gallerista belga con sede a Londra che fiutò in Rosa l'artista che avrebbe fatto fortuna e grazie a lui la fama di Rosa oltrepassò i confini di Parigi e della Francia.
Nel 1853 ‘Ernest Gambart’ entrò dunque nella vita artistica di Rosa: questo mercante d’Arte fu un altro personaggio per lei fondamentale, diventò il suo impresario e il responsabile della distribuzione internazionale delle sue opere, assicurandone la diffusione su larga scala attraverso incisioni e litografie realizzate dalla ‘Maison Goupil’, una casa d’Arte che mirava a “mettere la produzione artistica alla portata di tutti”.
Gambart organizzava anche visite guidate e mostre che fecero aumentare a dismisura la notorietà di Rosa. In questo modo la piccola attività artistica di Rosa incominciava a crescere e cresceva vistosamente, grazie alle riproduzioni incise e litografate delle sue opere vendute da Gambart e diffuse in Europa e negli Stati Uniti. Si sta entrando ormai in quella che Walter Benjamin definisce l’epoca della “riproducibilità tecnica” dell’opera d’Arte.
Rosa dal canto suo era ben consapevole dell'importanza dei mercanti d’Arte e dei ‘media’, in particolare in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, i primi due paesi ad averle reso omaggio, e dov’è attualmente conservata la maggior parte delle sue opere. Ed era anche consapevole di tutto ciò che poteva contribuire alla sua autopromozione e al successo della sua carriera: sulla base delle strategie di ‘marketing’ di Gambart accettò pertanto alcune interviste su importanti riviste specializzate e su quotidiani e anche di farsi ritrarre in fotografie da distribuire, tutte destinate dapprima a forgiare, poi ad alimentare la sua leggenda, come per esempio la celebre fotografia in cui un giorno avrebbe posato accanto a ‘Buffalo Bill’.
Nel 1856, Gambart organizzò una tournee in Inghilterra e in Scozia, sia per promuovere la sua opera sia per introdurre il soggetto degli animali viventi come nuova materia di studio nelle scuole di belle arti.
Quella nel Regno Unito Rosa fu una tournée trionfale. A Londra, in occasione della sua prima mostra in cui espose “Il mercato dei cavalli”, la stessa regina Vittoria, desiderando vedere il dipinto che faceva tanto parlare di sé, aveva voluto assistere alla mostra e, per conoscere la pittrice, l’aveva invitata a Windsor. Il ‘Daily Mail’ la osannò e la definì, non senza una qualche esagerazione, ‘la più grande pittrice di scene rurali di Francia e senza dubbio del mondo’.
La reputazione di Rosa intanto cresceva e il “Il mercato dei cavalli” fu esposto in molte altre grandi città britanniche: Gombart fece realizzare incisioni dell'opera in varie dimensioni, che potevano essere acquistate a prezzi modesti e che contribuirono a far conoscere l'artista anche tra le classi sociali meno abbienti. 
Ma ora anche l'America era interessata a Rosa.
Alla fine del 1857 ‘Il mercato dei cavalli’ fu esposto a New York, nel 1858 a Boston e dopo una serie di compravendite il dipinto avrebbe concluso il suo lungo viaggio quando nel 1887 ‘Cornelius Vanderbilt II’, un industriale miliardario americano di origine olandese, lo acquistò all'asta per la somma quintuplicata rispetto alla prima vendita, di 268.500 franchi oro corrispondente oggi a un milione di euro, un prezzo esorbitante per l'epoca, e lo donò poi al “Metropolitan Museum of Art” di New York, dove si trova tuttora e dove l’opera fu riprodotta su numerosi e svariati supporti tra cui addirittura la carta da parati, segnando la definitiva conferma della notorietà americana di Rosa.
Al ritorno dalla strepitosa tournée negli Stati Uniti, la fama di Rosa era diventata tale che, essendo costantemente disturbata dai visitatori del suo studio parigino decise di stabilirsi nel castello By con l’annessa tenuta di Thomery, ai margini della foresta di Fontainebleau, che aveva acquistato l’anno prima con la vendita de ‘Il mercato dei cavalli’.
Questa dimora sarebbe diventata il suo santuario fino alla fine dei suoi giorni.
Quando si trasferì a Thomery nel 1860 Rosa portò con sé quella che considerava la sua famiglia: dopo essersi allontanata dalla casa paterna con Henriette e Nathalie Micas, aveva formato una nuova famiglia, una famiglia declinata tutta al femminile, che fu la base della sua solida carriera. La ‘sorella’ e la ‘madre’ elettive si erano prese cura di tutti gli aspetti pratici della vita quotidiana dell’esistenza comune e le avevano permesso di consacrarsi completamente alla sua arte.
L’affetto che le univa era superiore ai legami della famiglia d’origine perché era il ‘frutto della loro scelta’ come spiegava l’artista stessa, che amava definire le due donne come la stella polare della sua vita.
Al castello di By l'artista trascorse gli ultimi quarant’anni della sua vita, trenta dei quali con la sua cara Nathalie che sarebbe morta nel 1889 e di lei Rosa disse un giorno che se Nathalie fosse stata un uomo l'avrebbe sposata.
In onore di questo sodalizio la proprietà di By fu per loro la ‘dimora della perfetta amicizia’.
All’atto dell’acquisto del castello By e della sua tenuta, Rosa aveva solo trentasette anni ed era la prima donna francese che, con il frutto del suo lavoro, era riuscita a comprare una nobile dimora. In un’intervista confessò di subire un fascino per le scuderie più irresistibile di quello che una cortigiana sentiva per le anticamere regie.
Qui il suo amore per gli animali la portò ad allevare un intero serraglio. Ma al di là del grande atelier in stile neogotico che si era fatta costruire, il ‘vero studio’ di Rosa si estendeva a tutto il parco di quasi quarantamila metri quadrati, in cui ospitava pecore, capre, mucche, buoi, cavalli, yak, cani, gatti, marmotte, scoiattoli, tartarughe, una coppia di scimmie, cervi, cinghiali e perfino due cuccioli di leone addomesticati. E, fuori le mura della proprietà, disponeva inoltre di tutta la foresta di Fontainebleau che, con tutta la sua variegata fauna, si apriva ai suoi occhi come il ‘paese delle meraviglie’ e dove svolgeva gli studi ‘essenziali’ per i suoi lavori futuri. Ad Anna Klumpke, sua amica e biografa ufficiale, aveva confidato di stare bene fra quegli animali: ne osservava con vera passione i loro modi di essere e specialmente l’espressione dei loro occhi, che per lei erano lo specchio dell’anima di tutte le creature viventi.
Rosa era ormai all’apice della gloria e del successo e il trasferimento a Thomery più che una fuga dalle mondanità parigine, fu un ritorno alle origini, a quella campagna che nella Gironda aveva amato tanto nella sua infanzia così felice prima di Parigi.
La sua felicità era completa, la sua arte riconosciuta.
Acclamata dai suoi contemporanei, ‘Eugène Delacroix’ (1798 - 1863), e ‘Camille Corot’ (1796 – 1875), entrambi di una generazione precedente, Rosa diventò la pittrice più venduta del suo secolo, superando nel mercato d’Arte anche i suoi colleghi maschi ed era ai suoi tempi meglio conosciuta perfino di Renoir o di Monet.
Rosa e Nathalie viaggiarono molto insieme in Francia e in Europa, per trovare materie di studio per l'artista, o per soggiornare in città termali per la fragile salute dell'amica.
Rosa si era misurata con i più grandi maestri della pittura equestre come con il grande Géricault ed era considerata addirittura la più grande.
Nel ‘Mercato dei cavalli’ aveva saputo creare un'opera espressiva, di grande realismo, ricca di sentimento ma senza sentimentalismo, nutrita dalle scoperte scientifiche della sua epoca e dalla nuova attenzione rivolta alle specie animali locali, mettendo anche in discussione la gerarchia tra le varie specie equine. La pittrice statunitense ‘Molly Luce’ (1896 - 1986) scrisse che ‘Il mercato dei cavalli’ era stata l’opera che l'aveva maggiormente influenzata e spinta a diventare pittrice.
Il ‘Salon’ del 1855, annesso in quell’anno all’Esposizione Universale’ di Parigi da cui ‘La bottega dell’artista’ di Courbet era stata categoricamente rifiutata dalla giuria, Rosa aveva presentato “La fienagione in Alvernia”, un olio su tela di 215 cm × 422 cm, acquistato dallo Stato imperiale, ed aveva ottenuto una medaglia d'oro, ma era stata deliberatamente esclusa dalla partecipazione alla cerimonia di premiazione, perché una norma vietava alle donne di ricevere quel premio.
La sua fama era diventata ormai tale che, dopo il ‘Salon’ del 1855 non potette più parteciparvi, perché tutte le sue opere erano già vendute ‘sul cavalletto’, ossia in anticipo, e, appena completate, erano subito spedite ai collezionisti esteri.
Fig. 6
Ma qual era il segreto del suo successo? E soprattutto perché una pittrice, realista come Courbet, oggi considerato una pietra miliare della pittura dell’Ottocento, era scartato dai ‘Salon’ mentre a lei era consentito di esporre senza bisogno di alcuna ammissione?
Sicuramente il grande talento, la forte determinazione, il lavoro instancabile e la profonda fedeltà alla madre, idealizzata nelle alleanze femminili che suggellò lungo tutta la sua esistenza.
Ma a questo bisogna aggiungere che Rosa, pur essendo una ‘realista’ era una conservatrice, diversamente da Courbet. Non contestava il ‘sistema delle arti’ e tanto meno entrava in polemica come facevano artisti e critici d’arte contrari all’’accademismo’ dell’epoca, Courbet era invece un contestatore del sistema. Inoltre Rosa, nel dipingere animali, seguiva perfettamente i dettami della pittura accademica: disegni meticolosi, schizzi da tutte le angolazioni ed esecuzioni in dipinto senza la minima sbavatura anticipando quasi la “pittura iperrealista”. Infine era anche dotata di un formidabile senso degli affari e aveva affidato la distribuzione delle sue opere alla ‘Casa d’Arte Goupil’ e al suo agente Gambart che applicava le più moderne strategie di marketing. Si aggiunga ancora a tutto questo che l’opinione pubblica cominciava ormai ad avere un peso politico anche se si trattava di scelte artistiche e le opere di Rosa piacevano al pubblico medio di allora, quello stesso pubblico che contestava o disertava le mostre di Courbet e poco dopo quelle degli impressionisti.
Pochi anni dopo, nel pieno della conquista della ‘frontiera’ occidentale americana, il leggendario West, le opere di Rosa circolarono in tutta l'Inghilterra e poi nel Nord America, grazie ai suoi amici mercanti d'arte, che seppero plasmare e vendere "la sua immagine" e grazie anche alla sua stessa capacità di autopromuoversi attraverso la sua eccentricità.
La precisione anatomica delle sue opere oltre che conquistare le giurie dei ‘Salon’ piaceva anche agli agricoltori americani, i ‘pionieri’ che, grazie a lei, scoprirono i cavalli ‘Percheron’ e cominciarono a importarli dalla Francia.
L’amore per sua madre fu il filo rosso anche della sua relazione con ‘Nathalie Micas’ che aveva una vaga somiglianza fisica con lei, e Rosa condivise la sua vita con Nathalie: appena si erano incontrate si erano subito sentite due ‘anime gemelle’ ed erano diventate ben presto inseparabili. Nathalie aveva condiviso con lei il suo primo studio, aiutandola nella preparazione dei quadri e nella gestione amministrativa che assunse completamente insieme alla gestione dell’immagine dell’artista, suggerendole, tra l’altro, l’adozione di un originale completo di velluto nero che indossava nelle sue apparizioni pubbliche.
Nathalie, formata alla pittura da Rosa, oltre ad occuparsi dei cieli nei suoi dipinti, curava l’orto, il giardino e gli animali, era esperta di medicina e di fotografia, ma anche di meccanica: Rosa fece costruire una piccola linea ferroviaria nel parco del castello sia per monitorare i suoi animali sia per sperimentare un sistema di freni per locomotiva il “freno Micas”, utile per il continuo sviluppo della rete ferroviaria: Nathalie ne fu l’inventrice, il sistema fu sperimentato con successo nel 1862 nel parco della proprietà e il suo brevetto fu depositato in quello stesso anno.
Il 15 giugno del 1864, l'imperatrice Eugenia, la cattolicissima moglie spagnola di Napoleone III, durante un soggiorno al castello di Fontainebleau, fece una visita a sorpresa a Rosa per incontrare colei che aveva una così ben consolidata reputazione per invitarla a pranzo al castello di Fontainebleau.
In una lettera al fratello, Rosa racconta l’episodio dell’ingresso dell’imperatrice: “Mentre io ero impegnata al ‘Cervo sulle Lunghe Rocce’ sua Maestà venne a sorprendermi con tutta la sua corte. Tu puoi bene immaginare quanto avrei voluto nascondermi in qualche tana di topi. Per fortuna mi è bastato togliermi il camice e mettermi una giacca”.
Il 10 giugno 1865, l’imperatrice tornò di nuovo al Castello By per consegnarle di persona la croce d’oro di cavaliere della ‘Legion d'Onore’ e, appuntandogliela lei stessa sul camice, fece di lei la prima artista insignita di quest’alta onorificenza nazionale. Anche in quella occasione la sorprese fra i suoi animali nel giardino e le disse: "Voi ora siete un cavaliere, e sono felice di essere io la madrina della prima artista donna che riceve questa alta onorificenza". Il figlio dell'imperatrice però si incuriosì nel vedere questa donna vestita bizzarramente in camice e pantaloni, segno che questo abbigliamento un po' provocatorio una certa curiosità la suscitava.
Eugenia, mondana ammiratrice della regina Maria Antonietta, era però sempre preoccupata per i più disagiati, era amante delle arti e delle lettere e, sensibile alla causa delle donne, aveva già sostenuto con forza la candidatura di ‘George Sand’ all'’Accademia di Francia’ e ora volle anche con Rosa sottolineare l'importanza che attribuiva a quest’atto di giustizia verso le donne e spiegò che serviva ‘a dimostrare che il genio non ha sesso’.
Nel 1867 Rosa espose nuovamente i suoi dipinti in pubblico, all'’Esposizione Universale’ che si svolse ancora una volta a Parigi. Quando scoppiò la ‘Guerra franco-prussiana’ del 1870 e il ‘Secondo l'Impero’ crollò, i prussiani arrivarono a Fontainebleau sulla strada per Parigi. Rosa aveva acquistato armi per la difesa di Thomery e permise agli abitanti del villaggio di esercitarsi nel suo parco: in mancanza di cibo, distribuì loro una zuppa molto nutriente in enormi calderoni e quando i soldati prussiani invasero il parco, attratti dalla scorta di carne per il suo serraglio, Rosa salvò dalla fame i suoi animali invitando i soldati nella sua cucina ma, da buona patriota, non condivise il pasto con i nemici. Essendo molto famosa anche in Prussia ed essendo il principe reale prussiano Federico Carlo un suo fervente ammiratore, le inviò una lettera di salvaguardia da mostrare a tutti i comandanti militari: in essa il principe ordinava di rispettare i suoi beni.
Al momento della creazione della ‘Comune’ a Parigi Rosa, come molti altri intellettuali (Théophile Gautier, Maxime du Camp, George Sand, Gustave Flaubert, Edmond de Goncourt ed altri) condannò senza appello la ‘Comune’, accusata di aver costituito un governo abbietto basato sul crimine e sulla follia, guidato da individui irresponsabili ed esaltati.
In una lettera a ‘Jules Mène’ (1810 – 1879), scultore di animali di dodici anni più grande di lei, scrisse: “Non riesco a digerire questa repubblica di cartone più di quella del 1848, ora ho la saggezza che deriva dall’età accompagnata dalla sua sincera e onesta indipendenza”. Nella lettera Rosa criticava Mène per essere stato a Parigi a fine maggio, come tanti curiosi: “Cosa si può fare nella Parigi di Papà Duchêne?[1] Saresti della Comune? Io non posso accettare questo né che tu sia un sostenitore dei principi artistici del cittadino Courbet che è bravo a dipingere con il coltello, ma che trovo ottuso sotto tutti gli aspetti”.
Anche se non dovette soffrire materialmente le ostilità del governo comunardo, ne restò comunque psicologicamente segnata e le sue opere riflettono questo colpo: iniziò infatti a dipingere animali selvatici.
Il 1875 fu un anno molto doloroso per Rosa a causa della morte di Henriette Micas e anche la sua salute si indebolì: incominciò a soffrire di brutte emorragie che le impedivano di lavorare finché non fu operata alla fine del 1883. Dopo la morte di Madame Micas, anche la salute di Nathalie incominciò a suscitare preoccupazioni: le due donne infatti trascorrevano i loro inverni a Nizza, e tornavano al castello di By solo con il bel tempo.
A febbraio del 1884 morì Auguste, fratello di Rosa, a giugno del 1889 morì anche Nathalie, lasciandola in un dolore insormontabile. Negli anni bui seguiti alla morte di Nathalie, non trovò nemmeno più sollievo nel suo lavoro e la sua produzione artistica ne soffrì. Rosa aveva iniziato nel 1864 una nuova monumentale tela che rappresentava ‘La follatura del grano in Camargue’, un’opera che lasciò in sospeso dopo la morte di Nathalie, che successivamente avrebbe voluto presentare all’’Esposizione universale’ del 1900 ma che non riuscì mai più a completare. Quest’ultima opera incompiuta si trova ora al ‘Museo delle Belle Arti’ di Bordeaux.
In occasione dell’Esposizione Universale’ di Parigi del 1889 incontrò ‘Buffalo Bill’ e la sua troupe del selvaggio West e si appassionò ai cavalli selvaggi, ai bisonti e ai paesaggi del West americano.
Dalla morte della sua amica, Rosa viveva rintanata nel suo castello e quando seppe che Buffalo Bill sarebbe arrivato in Francia con il suo spettacolo, il “Wild West”, vide questo fatto come un'opportunità unica per disegnare dal vero i bisonti, i cavalli da rodeo e perfino gli indiani Lakota. Da parte sua, Bill immaginò che la famosa pittrice potesse dipingere il suo ritratto.
Fra i due fu un incontro importante.
Il colonnello ‘William Frederick Cody’ in arte “Buffalo Bill” (1846 – 1917) era venuto in tournée a Parigi nel 1889 in occasione dell'’Esposizione Universale’ con il suo spettacolo di cowboy e indiani.
Carismatico, giovane e bello, anche lui come Rosa era una ‘star’ di ‘fin de siècle’: figura mitica ed emblematica dell’epopea della ‘conquista dell'West’, Buffalo Bill era stato un postino del ‘Pony Express’, un cacciatore di bisonti e un colonnello dell’esercito nordista. Nel suo spettacolo, presentava scene della vita dei pionieri, una caccia al bisonte, l'attacco a una diligenza e alla casetta di un pioniere da parte degli indiani.
Appassionata di ‘indiani’, Rosa fu ovviamente presente a questo spettacolo che, ogni giorno da maggio a ottobre riunì 30.000 persone, e ottenne da Buffalo Bill l'autorizzazione a recarsi al campo e di muoversi liberamente nel suo accampamento dove assistette alla vita quotidiana dei ‘Pellerossa’ e dove ogni giorno andava a disegnare le loro armi, i loro cavalli e i loro bisonti, che vedeva per la prima volta, potendo finalmente studiare dal vivo quel popolo che da tempo l’appassionava.
Rosa moltiplicò i disegni di quelle ‘creature così diverse’ da quelle che fino ad allora erano passate davanti a lei con una vera passione antropologica, deplorando che essi fossero stati condannati all’estinzione dall’’usurpatore bianco’. Parlava con loro e anche se non si capivano, si riconoscevano nel loro amore per gli animali e per la natura.
Nonostante un oceano di differenze, l'artista ‘femminista’ e l'’avventuriero del selvaggio West’ si divertivano a discutere delle arti e dell'amore per la natura, attraverso un dialogo che si sarebbe trasformato in un solido legame.
In cambio dell’ospitalità, Rosa invitò Buffalo Bill a Thomery, pranzarono all'’Hôtel de France’ di Fontainebleau e cercarono di organizzare una battuta di caccia al cinghiale. 
Rosa trovò anche l'opportunità di far montare due cavalli selvaggi, ‘Apache’ e ‘Clair-de-Lune’, doni di un ammiratore americano. Buffalo Bill, cavaliere eccezionale, non ebbe problemi a domarli e partì con loro, non prima però che l'artista lo avesse ritratto in sella al suo cavallo preferito.
Fig.8
Negli anni che seguirono i due si scrissero e, quando la sua casa andò a fuoco, Buffalo Bill si rifiutò di uscire senza il ritratto che la sua amica Rosa gli aveva dipinto.
Il 12 maggio 1894, durante la Terza Repubblica, grazie al presidente della Repubblica Sadi Carnot, suo amico e ammiratore, Rosa diventò anche la prima donna nominata ‘Ufficiale di Francia’ un’onorificenza fino ad allora mai attribuita ad artiste, ma solo a donne che avevano compiuto un atto di coraggio o reso un chiaro servigio alla nazione.
Nel corso della sua esistenza Rosa ottenne innumerevoli altri premi e riconoscimenti nazionali e internazionali che non le evitarono mai però attacchi che s’intensificarono particolarmente nei suoi ultimi vent’anni di vita con le critiche dei giovani pittori che ormai la ritenevano superata, ma lei fu sempre convinta che essi fossero mossi non tanto dal fatto che fosse vecchia e attardata, quanto dal fatto che era una donna di successo capace di dimostrare che l’arte non ha sesso rivendicando e anche sostenendo la ‘grande e indomita ambizione per il sesso al quale sono fiera di appartenere e di cui sosterrò l’indipendenza fino alla fine dei miei giorni’.
Durante la sua vita Rosa si circondò di personaggi politici e artistici alla moda come il Presidente della Repubblica francese ‘François Sadi Carnot’ e il compositore ‘George Bizet’.
L’’Esposizione Universale’ del 1889 le aveva dato anche l'opportunità di conoscere un’altra donna fondamentale nella sua vita, la ritrattista americana ‘Anna Klumpke’ (1856 – 1942), sua grande ammiratrice.
Di trentaquattro anni più giovane di Rosa, questa giovane pittrice era già affermata negli Stati Uniti dove aveva eseguito, tra gli altri suoi dipinti, un ‘Ritratto di Elisabeth Cady Stanton’[2], un’attivista del movimento di emancipazione femminile. Anna era venuta in Francia per dipingere il ritratto del suo "mito", perché proprio a Rosa doveva la sua vocazione per la pittura, che aveva scoperto al “Metropolitan” davanti a ‘Il mercato dei cavalli’, di cui aveva fatto una copia che le aveva permesso di pagarsi il primo anno di studio all’’Accademia Julian’, un scuola d'arte privata di pittura e scultura fondata a Parigi nel 1867, famosa per il numero e la qualità degli artisti che la frequentarono: nel 1880, le donne a cui non era permesso iscriversi agli studi all'École des Beaux-Arts erano accettate dalla nuova Accademia. 
Le due pittrici si erano già incontrate nell'autunno del 1889, subito dopo la morte di Nathalie Micas, ma solo nel 1898, dopo diverse visite alla pittrice, Anna trovò il coraggio di chiederle il permesso di dipingere il suo ritratto.
Rosa ne fu felicissima: si era ormai affezionata ad Anna, che ancora una volta le ricordava la madre morta troppo presto, e vedeva nella più giovane ‘sorella di tavolozza’, colei che avrebbe saputo meglio proteggere e trasmettere ai posteri la sua opera e la sua memoria e le affidò così anche il compito di scrivere sulla sua biografia.
Rosa la pregò di condividere la loro esistenza, di prendere con lei il posto che aveva occupato Nathalie e di aiutarla a scrivere le sue memorie. Anna si trasferì così al castello di By per realizzare i suoi primi schizzi e non ne sarebbe andata più via.
Le loro affinità elettive si confermarono.
Il 1898 fu l’ultimo anno della vita di Rosa che, grazie ad Anna, ebbe un rigurgito di vitalità e di gioia rinnovando il suo modello esistenziale della ‘perfetta amicizia’ anche con la pittrice statunitense.
Dall'arrivo di Anna, sentì finalmente rimuoversi quel peso di piombo che gravava su di lei dopo la scomparsa della sua amata amica.
Con serietà ed entusiasmo progettò il completamento del grande quadro della ‘Follatura del grano in Camargue’. Con Anna al suo fianco, sentì che le forze le ritornavano. Desiderava inoltre lasciare in eredità alla giovane tutti i suoi beni, con la responsabilità di prendersi cura della sua memoria futura. Se le sue opere fossero toccate ai nipoti e al fratello Isidoro (la sorella Giulietta era morta nel 1891) era convinta che avrebbero dissipato tutto senza alcuna preoccupazione per assicurarle la fama postuma.
Fig. 9
Rinvigorita dalla sua presenza, Rosa iniziò i lavori al castello di By, in particolare la costruzione di un nuovo laboratorio per completare il grande dipinto che, secondo lei, avrebbe consolidato la sua reputazione di più grande pittrice di animali del suo tempo presentandolo all’’Esposizione Universale’ del 1900.
Purtroppo questa rinnovata vitalità e questo nuovo progetto di vita furono di breve durata brutalmente interrotti dalla sua morte improvvisa.
Rosa prese un raffreddore e spirò per una complicanza polmonare il 25 maggio 1899.
Aveva 77 anni.
Fu sepolta nel “Cimitero di Père Lachaise” a Parigi, nella tomba della famiglia Micas, accanto a Nathalie e ad Anna Klumpke le cui ceneri per sua espressa volontà furono riportate a Parigi dagli Stati Uniti nel 1948.
Fig. 10
Rosa aveva affidato alla giovane amica i suoi ricordi e la redazione della sua biografia, e, chiamandola ‘figlia davanti alle Muse’, l’aveva nominata sua erede universale, come era avvenuto, a suo tempo con Nathalie e lei stessa di Nathalie.
Anna, che condivise con Rosa l'ultimo anno di vita dell'artista ne scrisse la biografia ufficiale "Ricordi della mia vita", pubblicata per la prima volta nel 1908 e recentemente ristampata da ‘Phébus’ nel 2022 in occasione del bicentenario della nascita dell’artista. Dal libro emerge che l'ammirazione di Rosa Bonheur per gli Stati Uniti è stata reciproca al punto che "le femministe americane dell'epoca offrivano alle loro figlie bambole con la sua immagine".
Fedele alla sua ’missione sacra’ di cui era stata investita, Anna si attivò su tutti i fronti per difendere e diffondere la memoria della famosa pittrice, conservando tra l’altro inalterato il grande studio, in stile neogotico, dove Rosa aveva realizzato le sue opere negli ultimi quarant’anni. Anna si occupò inoltre del suo inventario, elencando una collezione di 2.100 opere fra dipinti, acquerelli, disegni, incisioni e sculture che Rosa non aveva mai voluto esporre al “Salon” per non fare ombra alla carriera di suo fratello scultore Isidore, anche se continuò a scolpire per tutta la vita: la maggior parte di queste opere fu venduta alla ‘Galleria George Petit’.
La collezione pubblica francese è conservata presso il ‘Dipartimento di Arti Grafiche’ del ‘Museo del Louvre’, al ‘Castello di Fontainebleau’ e al ‘Musée des Beaux-Arts’ di Bordeaux.
Il ritratto di Rosa, realizzato da Anna, troneggia accanto all’ultima tela incompiuta, su una sedia con gli abiti da lavoro, i colori sulla tavolozza, e i pennelli pronti all’uso, come se dovesse rientrare da un momento all’altro per terminare il dipinto. Alle pareti, fotografie, disegni, e ancora ritratti, tra cui quello di lei bambina realizzato dal padre. Lo sguardo determinato, la matita in mano, e per terra un foglio con una grande A.
In occasione del bicentenario della sua nascita Rosa Bonheur è stata oggetto di nuove biografie e di nuovi studi, ma la sua pratica artistica dopo la sua morte e forse anche prima aveva cominciato ad essere considerata obsoleta alla luce delle nuove tendenze dell'Arte moderna.
La sua fama pertanto svanì rapidamente dopo la sua morte.
Nonostante il suo ‘animalismo’ e il suo ‘femminismo’ che avrebbero dovuto fare di lei una donna ‘alternativa’, Rosa Bonheur fu invece facilmente associata al mondo borghese in cui era molto addentrata e al quale si opponevano invece le avanguardie artistiche a cominciare dall’’Impressionismo’, un rapporto amplificato dalla chiarezza delle sue posizioni estetiche conservatrici: le più moderne tendenze artistiche ripudiarono il suo stile pittorico e “Paul Cézanne” fu molto critico nei suoi confronti considerandola “un eccellente sottoprodotto” dell’Arte. Del resto il suo conservatorismo estetico era stato inflessibile di fronte ai nuovi movimenti artistici in Francia come l'Impressionismo, che incominciarono a gettare ombra sulla sua opera e molti consideravano la Bonheur troppo commerciale e caratterizzarono la sua incessante produzione su commissione come quella di una fabbrica, da cui sfornava dipinti privi di ispirazione pertanto i nuovi orientamenti del gusto la inquadravano nella categoria del ‘kitsch’.
Che sia a causa del diminuito gusto per il realismo dell’Ottocento o del suo status di donna o di una combinazione di queste due cause, Rosa Bonheur mantiene nella Storia dell’Arte più il profilo di una “donna pioniera” a cui guardare, che di una grande pittrice.
Rosa Bonheur, caduta in quel relativo oblio, è stata riscoperta alla fine degli anni Ottanta del Novecento grazie a una retrospettiva itinerante del 1997 partita da Bordeaux, giunta a Barbizon e infine a New York.
In ambito critico ritorna oggi la domanda sull’altalenante interesse per la carriera di Rosa Bonheur. Fu vera gloria?
La sua posizione artistica in realtà è anomala innanzi tutto perché la sua pittura si svolse lontano dalle correnti artistiche contemporanee, anche se rimase vicina ma comunque non inserita nella ‘scuola di Barbizon’ e nel ‘Realismo’ di cui fu un’artista atipica. In lei non ci fu alcuna ispirazione religiosa e spirituale come in ‘Millet’ e nessun orientamento politico come in ‘Daumier’ e in ‘Courbet’, realisti anche loro, ma profondamente impegnati nel dibattito politico.
La sua stessa scelta di nicchia, quella di rappresentare gli animali viventi, passata la ‘moda’ del momento, fece precipitare in picchiata l’interesse per la sua pittura dopo la sua morte. Rosa aveva scelto deliberatamente di rivolgersi all'anatomia del mondo animale, al paesaggio di sfondo e al grande formato, piuttosto che alle scene di genere o alle nature morte, e per questo rappresentò regolarmente gli animali domestici per i suoi ricchi clienti: si sforzò e riuscì a catturare la bellezza dei loro corpi, rivelati nei loro atteggiamenti e nel loro essere stesso, approfondì lo studio del loro mantello e dell'espressione trasmessa attraverso i loro occhi. Ma, tranne un pugno di opere pregevoli – e sono quelle nelle quali, non a caso, appare la figura umana –, esse avevano un valore solo e puramente decorativo e destinato solo agli appassionati del genere.
Eppure a guardare le onorificenze ufficiali sembrerebbe di no: medaglia di III classe nella sezione “Paesaggi e Animali” al ‘Salon’ del 1845, medaglia di I classe al ‘Salon’ del 1848, esenzione dei suoi dipinti dal giudizio della giuria di ammissione nel ‘Salon’ del 1853, membro onorario della ‘Pennsylvania Academy of Fine Arts’ e della ‘Società di Artisti Belgi’ nel 1863, “Cavaliere della Legion d'Onore”  su decreto nel consiglio dei ministri nel 1865, sempre nello stesso anno le fu assegnata la “Croce di San Carlos del Messico”, dall'imperatore Massimiliano e dall'imperatrice Carlotta, membro dell'”Accademia di Belle Arti” di Anversa nel 1868, “Commendatore dell'ordine reale d'Isabella” da parte di Alfonso XII di Spagna e sempre nello stesso anno le fu conferita la “Croce al merito” dell’”Ordine di Leopoldo” del Belgio nel 1880, membro onorario della “Reale Accademia degli Acquarellisti” di Londra nel 1885 e nello stesso anno croce al “Merito delle Belle Arti” di Sassonia-Coburgo-Gotha, “Ufficiale della Legion d'Onore” nel 1894 e la medaglia d'onore postuma della “Società degli artisti francesi” nel 1899.
Spesso ritorna la domanda sulla ragione per cui dopo essere rimasta così a lungo dimenticata e sconosciuta nel panorama artistico francese e ha conosciuto una rinascita di popolarità negli ultimi anni.
Diverse ragioni spiegano sia l’oblio sia la riscoperta.
Nella società esistono indubbi cambiamenti di mentalità che permettono di guardare in modo diverso Storia, Arte e Letteratura: ogni volta che un’epoca intraprende un processo di revisione su un’altra, rivede sì il passato, ma lo si fa sempre dall’ottica del presente. Il nostro presente è rivolto alla rivendicazione della parità di genere e in tal senso guardiamo con un occhio particolare le artiste. A questo si aggiunga che oggi il cambiamento climatico e le riflessioni ecologiche sono al centro delle nostre preoccupazioni e per questo risuona più forte la visione della Bonheur affascinata dalla natura, dagli esseri viventi, dagli animali, e si rimane affascinati dal suo modo di mostrarli nella loro individualità e bellezza.
Rispetto al Novecento poi, oggi è cambiato anche il nostro rapporto con la pittura. Se per un certo periodo Rosa Bonheur è stata eclissata dagli artisti d'avanguardia di cui lei non faceva parte questo è successo perché è stata sostanzialmente una pittrice figurativa, e troppo di nicchia anche nell’ambito del “Realismo”: questo ne decretò il successo durante la sua vita e l’oblio dopo la sua morte. Erano gli anni in cui si stavano formando le ‘avanguardie storiche’ che trasformarono lo scandalo in una potente macchina da guerra artistica e che condizionarono fortemente gli sviluppi dell’Arte del Novecento destrutturando la figura fino all’astrazione.
Oggi, rispetto al Novecento, si è verificato un rinnovato interesse per la più tranquillizzante e comprensibile Arte figurativa e questo ha fatto eco anche nella riscoperta dell’opera di Rosa Bonheur.
Altrettanto spesso ritorna la domanda sulla sua omosessualità. All'epoca la pittrice lo confutò recisamente, ma aveva forse una scelta?  E che importanza può avere oggi ancor più che ieri che viviamo in una società così liquida?
Rosa Bonheur è stata una donna che ha voluto la sua libertà e che non ha voluto dipendere dagli uomini e si è saputa prendere come ha voluto la sua libertà.
                                                    Massimo Capuozzo

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[1] Papà Duchesne era un personaggio immaginario della Rivoluzione francese rappresentativo dell'uomo del popolo sempre pronto a denunciare abusi e ingiustizie.

[2] 


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