mercoledì 4 giugno 2014

Giacinto Diano a Castellammare e a Gragnano di Annamaria D'Auria


Giacinto Diano, detto il Pozzolano, nacque a Pozzuoli il 28 marzo 1731.
Visto nel suo svolgimento, l'itinerario pittorico di Diano appare contrassegnato da un'iniziale predilezione per le soluzioni figurative adottate da F. De Mura nella cui bottega è ricordato nel 1752 e nel cui ambito probabilmente maturò la sua prima formazione. Negli affreschi del soffitto dello scalone del seminario di Pozzuoli del 1755 e, sempre a Pozzuoli, nelle tele di S. Raffaele (Martirio di S. Caterina, 1758; Incoronazione della VergineGuarigione di Tobia, 1760, sul soffitto della sagrestia; il Ritratto di don Domenico d'Oriano, che mostra una stampa tratta dal dipinto di N. M. Rossi del 1749 raffigurante Tobiolo e l'angelo), l'accoglimento dei termini propri dell'arcadia demuriana appare integrale, soprattutto nella scelta delle pose dei personaggi e nella rispondenza ritmica dei gesti, che rimandano agli esiti della Nunziatella riconsiderati sulla base delle più tarde esperienze demuriane. Un coerente sviluppo di tali scelte manifestano le tele del Presbiterio di S. Pietro Martire, raffiguranti S. Caterina che invoca il ritorno della sede pontificia a Roma Il trionfo della dottrina tomistica e l'affresco della volta con un Miracolo di S. Domenico Soriano (1759).
Su tale linea si pongono anche i due ovali di S. Nicola alla Carità con Scene della vita di Tobiolo e le tele del 1760 per la cattedrale di Ischia (AssuntaConversione di S. AgostinoS. Nicola da Tolentino) e per S. Maria delle Grazie a Pozzuoli con l'Assunta e l'Ultima Cena.

Del 1762 sono la Madonna del Rosario del Santuario della Madonna dell'Arco, la Decollazione del Battista della Cappella del seminario di Pozzuoli e la Sacra Famiglia di S. Agostino degli Scalzi, che attraverso un più spiccato gusto cromatico si ricollega alle Allegorie dipinte da De Mura per i Savoia. A queste seguirono la Crocifissione di S. Agostino alla Zecca (1763), gli Episodi della vita di s. Giovanni di Dio, affrescati sulla volta della sala grande dell'ospedale di S. Maria della Pace (1764) e nel '67 la Lavanda dei piedi e Cristo che saluta Maria per il duomo di Pozzuoli (ora a Capodimonte), mentre nel 1768 nelle due tele per S. Agostino alla Zecca, con il Battesimo di s. Agostino e la Conversione di s. Agostino, emerge, in un crescendo della densità dei valori atmosferici, pervasi da una luce dorata che rimanda al Giordano, un interesse nuovo verso l'ampliamento della dinamica spaziale.
Non andrà riferito alla prima delle due citate composizioni il bozzetto di collezione Pisani a Napoli: non solo perché l'ipotesi di uno schema invertito è poco convincente, ma perché l'opera costituisce una prova di Diano riferibile ad esperienze successive, dato l'accresciuto impegno formale, pur sempre ricondotto nell'ambito dei prelievi demuriani. Nel caso della seconda, andrà rilevata la voluta coincidenza con espressioni tipiche del teatro metastasiano, sia perché queste avevano trovato già accoglienza all'interno del linguaggio demuriano, sia perché tali formulazioni riuscirono particolarmente efficaci per la propaganda religiosa del momento, sollecitata dall'azione vigile e suadente di Alfonso M. de' Liguori. 
In tale fase si colloca anche il Martirio di S. Sebastiano del Museum of Art di Indianapolis.
La decorazione della volta della sagrestia della Basilica di S. Maria di Pozzano, realizzata su disegno di Luigi Vanvitelli, segnò l'inizio di una convergenza di interessi, soprattutto rispetto al nuovo ruolo assunto dalle architetture all'interno della composizione: il che fu certamente determinante per l'inserimento del pittore tra i docenti dell'accademia napoletana, su proposta dello stesso architetto, tra il 1771 e il '72, dopo la fondamentale impresa decorativa di palazzo Serra di Cassano del 1770 e i lavori per il duomo di Santa Maria Capua Vetere (Assunta del 1770), per la Chiesa del Corpus Domini di Gragnano (Ultima Cena, 1770: che ripeteva lo schema dell'omonima tela del De Mura per l'Annunziata di Capua; seguita dalla Caduta della manna, 1771, e dal Trasporto dell'arca nel 1773) e per l'Annunziata di Venafro (Madonna del Carmine, 1771; Vergine in gloria e santiGloria della Croce). La ricerca di un più netto e definito ordine di stampo classicistico dovette indurre Diano, nella fase di accoglimento delle istanze teoriche del Mengs, a non trascurare la fondamentale traccia lasciata da F. Solimena nella Cacciata di Eliodoro dal Tempio al Gesù Nuovo, nonché a una attenta riconsiderazione degli esiti, tutti di ambito napoletano, maturati nella cerchia dei suoi discepoli, a seguito della virata classicistica di Solimena. Così, ultimata la decorazione della sala dell'udienza nel palazzo del Banco dei poveri a Napoli, nello stesso anno fu proposto dal Vanvitelli per la decorazione della sala della guardia del corpo del palazzo reale di Caserta.
Nel 1773 realizzò la Deposizione per S. Agostino alla Zecca e nel '75, per il Santuario di S. Maria Materdomini a Nocera Superiore, l'Apparizione di Maria e il Ritrovamento della tavola miracolosa.
Nel 1776, in occasione della decorazione della volta della sagrestia di S. Agostino alla Zecca con la raffigurazione della Dedicazione del tempio di Salomone, l'aver assunto a modello l'omonimo affresco di Bonito, allora presente sulla volta di S. Chiara, comportò un notevole approfondimento dei preesistenti interessi cromatici, che gli consentì di impreziosire la materia attraverso raffinate striature luminose, che accompagnano la definizione della forma: un procedimento ancor meglio apprezzabile nel bozzetto oggi presso la National Gallery of Ireland a Dublino.
Dal punto di vista scenografico l'opera si poneva in netta direzione di continuità rispetto alla Gloria di S. Francesco di Paola di S. Maria di Pozzano, ma inclinava piuttosto verso il contenimento dell'apparato architettonico, sottoposto sapientemente ad un gioco di emergenze di corpi, di panni disciolti o annullati per forza d'ombra. Attraverso la riproposta di alcune delle maggiori espressioni del Bonito si tendeva a riavvalorare anche alcuni dei suggerimenti più significativi maturati nella prima metà del Settecento, non esclusa la dinamica sensibilizzazione cromatica messa in atto da F. Peresi: un percorso destinato a sfociare necessariamente nella riscoperta della produzione di Giaquinto nota a Napoli.
Nelle quattro tele per la Trinità dei Pellegrini del 1778 (Lavanda dei piedi; Probatica PiscinaS. Filippo Neri e i confratelli dei Pellegrini accolgono gli storpi; Lavanda dei piedi presso i confratelli dei Pellegrini; il cui bozzetto è oggi nella collezione Pisani a Napoli) e nei due affreschi per la stessa chiesa (Estasi di S. Filippo Neri e Gloria dello stesso) Diano condensava le espressioni più mature della propria ricerca: a tale fase andrà ricondotto anche l'Enea e Didone della collezione privata a San Severo.
Nel 1779 la richiesta di Diano, inoltrata insieme a P. Bardellino per sostituire G. Cestaro all'interno del gruppo dei collaboratori del direttore dell'Accademia, fu accompagnata da un giudizio favorevole di Bonito, il quale sottolineava come in ambedue i pittori "concorrono tutti li meriti, non meno per aver dato bastante saggio della loro abilità e professione di Pittura, che per la loro bontà di costumi". Nei dipinti dell'81 per la Pietà dei Turchini (Deposizione e Nascita di Maria nell'abside; Adorazione dei pastori, CirconcisioneAdorazione dei magiStrage degli innocenti e affreschi con Scene della vita di Cristo, nel cappellone a sinistra) Diano puntò ad equilibrare il brulicante addensamento dei corpi attraverso l'uso di un colore smaltato, che nella vivace lucentezza degli incarnati condensava un'intenzionalità di definizione dei contorni ormai dichiaratamente neoclassica. Il bozzetto dell'Adorazione dei magi è oggi nella collezione Capomazza a Napoli, mentre quello della Strage degli innocenti si conserva a Minneapolis presso l’Institute of Arts. Nel 1782 realizzò l'Annunciazione per la Real Casa santa dell'Annunziata e nello stesso anno le tele per S. Caterina da Siena (Crocifissione e Madonna del Rosario); nell'83 il S. Agostino e il Tobiolo e l'angelo per S. Pietro ad Aram; nell'84 i due Miracoli di S. Potito per l'omonima chiesa napoletana, in cui gli elementi architettonici assumono netta prevalenza, e nell'85 eseguì una Crocifissione per S. Giuseppe dei Ruffi ed inviò alcune tele a Frosolone: Madonna del Rosario; Madonna del Carmine; S. Giuseppe.
Un documento del 26 marzo 1788, interviene utilmente a chiarire i tempi dello spostamento del pittore in Abruzzo, poiché contiene la richiesta di Diano al re per potersi allontanare da Napoli e quindi interrompere l'insegnamento accademico per un periodo di tre o quattro mesi, in modo da poter realizzare i numerosi interventi pittorici richiestigli nel duomo di Lanciano, dove eseguì gli Evangelisti nei pennacchi della cupola nel 1788 e l'anno successivo tre scene bibliche sulla volta, in una delle quali, la Dedicazione del Tempio di Salomone, riutilizzò il medesimo schema compositivo di S. Agostino alla Zecca.
La sosta in Abruzzo dovette però prolungarsi oltre il previsto, e Diano si vide costretto a chiedere al re anche una proroga dei termini relativi al concorso bandito per il posto di direttore dell'accademia, resosi vacante per la morte di Bonito.
In tale occasione il pittore trovò modo di precisare anche la propria posizione riguardo alla prova stabilita, non condividendo l'esecuzione di una macchietta e proponendo piuttosto la decorazione di un'intera parete di una delle sale di palazzo reale: posizione che trovò consensi e che finì tuttavia per convertirsi in richiesta di miglioramenti economici da parte del gruppo dei dissidenti.
Lo spegnersi delle vitali energie innovative divenne consequenziale anche all'atteggiamento programmatico della corte borbonica, che favorì gli orientamenti di più rigida ripresa classicistica in contrapposizione ad ogni residua traccia di solimenismo, finendo per tradurre in esigenza normativa quanto precedentemente proposto da Vanvitelli in termini di integrazione pittorico-architettonica. Diano si trovò così ad imprimere alle sue composizioni un marchio ancor più netto di adeguamento ai canoni classici di chiarezza e di armonia, riducendo l'emergenza cromatica e i colpi d'ombra a favore di una limpida delineazione delle forme. A quanto traspare dalle opere dell'ultimo periodo di attività: le numerose tele per la parrocchiale di Quindici del 1790, la tela coeva di S. Sebastiano a Caserta, la Immacolata Concezione di S. Potito a Napoli, nonché l'Assunta della Croce al Mercato del 1791 e il soffitto di S. Andrea delle Dame con il Trionfo della Vergine del 1792. Solo l'affresco di palazzo Martinetti Bianchi a Chieti del 1796 rappresentò un momento di notevole ripresa inventiva, non parimenti sostenuta nel S. Giuseppe Calasanzio per S. Domenico a Chieti, né nelle tele con la Madonna del Rosario per l'omonima congregazione di Gragnano del 1800, né nella Visitazione della Cattedrale di Castellammare del 1802.

Diano morì a Napoli il 13 agosto 1803.
Annamaria D'Auria

martedì 3 giugno 2014

La chiesa collegiata del Corpus Domini di Gragnano di Annamaria D'Auria e Anna Cristina D'Aniello

La chiesa del Corpus Domini è una chiesa monumentale di Gragnano, situata nel centro cittadino: al suo interno è venerato il patrono della città, san Sebastiano. Questo monumento ha una storia intensa e unica.
La nascita di questo monumentale complesso è strettamente legata alla storia locale e alle vicende economiche che hanno accompagnato la vita di Gragnano nel corso dei secoli.
Dal XV secolo, la sempre maggiore ricchezza di Gragnano, che era diventato un importante centro di produzione di seta, pelli e farina, oltre che di allevamento di bestiame, si idearono progetti per la costruzione di una nuova chiesa: a questo si affiancò anche l'idea di trasferire la sede vescovile da Lettere a Gragnano, anche perché da diversi anni i vescovi decidevano di risiedere proprio in questa città per via di un clima più mite rispetto all'altra: la costruzione doveva avere quindi un aspetto imponente, che avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di cattedrale, ma nonostante l'impegno di molte autorità, la sede della diocesi non fu mai spostata.
I lavori di costruzione della nuova chiesa iniziarono nel 1555 per volere della signoria degli Avalos: fu deciso di dedicarla al Corpus Domini in onore di una piccola cappella che sorgeva nel luogo dove era stata avviata la nuova costruzione.
La chiesa fu completata e consacrata nel 1571: in stile tardo rinascimentale, fu edificata grazie all'utilizzo di denaro pubblico. Nel corso dei secoli, l’originale costruzione tardo rinascimentale ha subito diverse modifiche. Dopo il Concilio di Trento, le grandi forze di rinnovamento che si consolidavano in seno alla Chiesa confermavano un’immagine di ricchezza e di sfarzo che doveva simboleggiare il trionfo del cattolicesimo. Gli edifici assunsero il gusto barocco.
Il Corpus Domini fu sottoposto a un generale rinnovamento tra il 1730 e il 1750, quando fu sistemata al soffitto la grande tela di Francesco Russo considerata tra le più grandi nel mondo e impreziosita con marmi, ori e tele di Giacinto Diano. Nel 1805 un terribile terremoto devastò il territorio, rovinando molti edifici ed anche il Corpus Domini subì danni rilevanti e furono avviati nuovi lavori di ristrutturazione.
Nel 1836 fu eretta la facciata attuale e il 22 settembre del 1840 la collegiata fu trasferita da Santa Maria al Castello nel Corpus Domini con una bolla di Gregorio XVI Cappellari.
Nella seconda metà del XIX secolo furono realizzate le cappelle del Santissimo Sacramento e di san Sebastiano, furono sistemati alle pareti i quadri dell’800 realizzati da artisti dell'Accademia napoletana. Essi costituiscono il terzo ciclo pittorico, composto da sette opere di notevole interesse artistico, ispirati ad avvenimenti dell’Antico e del Nuovo Testamento.
L’ultima modifica è stata fatta alla fine dell’800 quando fu costruito l’organo dorato.
Altri lavori di restauro si ebbero a seguito del terremoto del 1980: fu proprio a seguito di questo evento che una tela di Luca Giordano e una tavola lignea del XVI secolo, furono trasferite dalla Chiesa di Santa Maria ad Nives,  in quella del Corpus Domini.
La chiesa è posizionata sull'asse est-ovest, tipico del periodo medioevale: quattordici scalini in pietra lavica, per
mettono l'accesso al sagrato, pavimentato in pietra vesuviana.
La facciata, in stile neoclassico, è stata realizzata nel 1836 su disegno dell'architetto Camillo Ranieri ed è caratterizzata da un unico portale centrale, sormontato da un ovale decorato con un affresco ed un grosso finestrone centrale, mentre ai lati sono presenti due lesene, che terminano con capitelli in ordine corinzio, i quali reggono l'architrave sul quale si innalza poi un timpano triangolare.
Il portale ligneo d'ingresso risale al 1584 ed è diviso in sei parti, due nella parte superiore e quattro in quella inferiore, due grandi battenti superiori presentano cornici con complesse arricciature e contengono due figure in bassorilievo, tipicamente rinascimentali: l’Annunciata e l’Angelo. Al di sopra di questa scena, nella parte più alta, vi sono due riquadri più piccoli, dove sono incise diverse iscrizioni: le decorazioni dei riquadri riguardano angeli in adorazione, scene della Redenzione di Cristo e simboli di Gragnano come il grano.
Il campanile si erge al lato della facciata ed è costituito da quattro livelli: i primi tre a base quadrata, mentre l'ultimo, la cella campanaria, a pianta ottagonale: ospita una campana di bronzo sulla quale sono incisi un rilievo di una Madonna con il bambino e del Crocifisso. Ai piedi del campanile è presente una fontana, realizzata in pietra vesuviana, dalla caratteristica forma bombata, e per questo chiamata asso di coppe, dal quale sgorga la cosiddetta acqua della Forma.
Internamente la chiesa è a croce latina, ad unica navata: sui lati, a destra e a sinistra, si aprono sei grandi nicchie-cappelle, delineate da arcate a tutto sesto addossate alle pareti. In esse sono collocati altari in marmi policromi di pregevole fattura e sugli altari vi sono opere pittoriche di varie epoche. Le grandi nicchie-cappelle sono alternate da altrettante nicchie più piccole.
Sul soffitto è posta una tela a olio, grande oltre quattrocento metri quadrati, opera di Francesco Russo, realizzata nel 1753, e poi modificata durante un restauro nel 1870 da Ignazio Perricci, raffigurante l'Esaltazione del sacramento: è una composizione molto ricca e complessa ed è considerata la più grande d’Italia. Al centro della scena è il Redentore con la croce, lo Spirito Santo e Dio, oltre a santi e angeli, mentre nella parte inferiore si trova la Vergine Maria, trasportata da angeli, tra cui Davide con l’arpa, san Francesco e san Tommaso d'Aquino: l'opera termina, scendendo lungo i lati, dove sono raffigurati i dodici apostoli.
Appena varcato l'ingresso è la cantoria, realizzata alla fine del XIX secolo e sostenuta da due colonne con capitelli ionici, sulla quale si trova l'organo con millecentosettanta canne, opera di Zeno Fedeli e inaugurato nel 1901.
Sul lato sinistro della parete di fondo è custodita una statua del XVIII secolo di sant'Anna con Maria bambina ed una tela di Achimelek che dona il pane di proposizione e la spada a Davide, opera di Edoardo Dalbono del 1870. Sulla parete di destra invece una tela del 1871, con soggetto il Sacrificio di Isacco, una statua lignea di san Giuseppe, del XVIII secolo, e sulla destra c’è l’acquasantiera in marmo bianco, costituita da un largo bacino rotondo su uno stelo tornito di varia misura.
Lungo la navata si aprono sei cappelle, tre su ogni lato.
A sinistra la prima è la cappella della Madonna del Carmine, con tela omonima del 1678, con la santa Vergine tra gli angeli, sant'Antonio, san Francesco e sant'Aniello.
La cappella della Vergine Incoronata con tavola della Vergine Incoronata con il Bambino e ai suoi piedi le anime del Purgatorio e i santi Gregorio e Benedetto.
La cappella della Trasfigurazione, con la tela della Trasfigurazione di Cristo del 1578, opera di Marco Pino da Siena, restaurata nel 1996, dov'è rappresentato Cristo tra i profeti Mosè ed Elia.
Tra la prima e la seconda cappella si apre uno dei due ingressi alla sagrestia, caratterizzata da una porta in legno del XVI secolo, sulla quale è scolpito il calice eucaristico e sormontato da un dipinto di Francesco Saverio Altamura, del 1870, raffigurante Sansone e il Leone. Sulla parete in alto c’è la terza tela dell’800, una delle più importanti della serie eseguita da Domenico Morelli, realizzato tra il 1870 e il 1871, Melchisedec che benedice il pane, e tra la terza cappella e l'arco trionfale l'Angelo Sterminatore, tela di Edoardo Tofano di fine XIX secolo.
Sul lato destro la prima è la Cappella della Madonna di Pompei, con quadro di scarsa fattura, la seconda è la cappella della Madonna della Neve, con tela di Luca Giordano, restaurata nel 1995, raffigurante la Madonna tra i santi Pietro e Andrea e sullo sfondo un paesaggio di epoca romana e la cappella di san Gaetano, che reca sull'altare una tela ad olio con soggetti la Madonna col Bambino tra san Gaetano e san Francesco.
Tra la prima e la seconda cappella, in una nicchia, è posta la statua dell'Addolorata, risalente al XVIII secolo, sormontata da una tela del 1871, di Gustavo Nacciarone, rappresentate Elia con il pane succinericio, tra la seconda e la terza cappella è un'opera pittorica di Domenico Morelli, realizzata tra il 1870 e il 1871, raffigurante la Cena di Emmaus e tra la terza cappella e l'arco trionfale si trova l'antica cantoria, con organo in legno del XVII secolo, decorato con intagli che riproducono i quattro evangelisti e Cristo risorto.
Il grande arco trionfale si apre sul transetto: sulla parete di fondo, su entrambi i lati, si aprono due porte, una che conduce alla sagrestia, l'altra a dei locali superiori e su i due ingressi sono poste rispettivamente due opere, ossia una tela della Sacra Famiglia attribuita ad Agostino Beltrano del 1684 e una tavola di autore ignoto del XVI secolo, della Madonna del Carmine.
Nel transetto inoltre sono conservate altri elementi artistici come una tavola lignea della Madonna del Carmelo, risalente al XVI secolo, una statua della Madonna Ausiliatrice con volto e mani in legno, abiti ricamati a mano e corona in argento, una statua di sant'Alfonso, un crocifisso in legno e tre dipinti, raffiguranti l'Addolorata, la Maddalena, entrambi del XVII secolo, e la Madonna del Rosario.
La cupola del transetto è a raggiera e presenta al suo interno degli ovali, nei quali sono affrescati i quattro evangelisti, mentre le zone laterali, leggermente voltate a botte, presentano rispettivamente l'affresco dell'Arca dell'Alleanza trasportata dagli angeli e l'Agnello di Dio.

L'altare maggiore è realizzato in marmi policromi e decorato con teste di cherubini; alle sue spalle la tela raffigurante l'Ultima Cena, opera di Giacinto Diano, datata 1770, ed ai lati, sempre dello stesso artista, La caduta della manna ed Il trasporto dell'Arca Santa; la zona dell'altare maggiore si completa con un coro ligneo del XVIII secolo con tarsie raffiguranti la Passione di Gesù.

Ai lati del presbiterio si aprono due cappelle: quella a sinistra è la Cappella del Santissimo Sacramento, abbellita con un olio su tela del XVII secolo raffigurante l'Annunciazione, una tavola in legno con il dipinto di Santa Lucia ed una statua del Sacro Cuore di Gesù, mentre a destra la Cappella di san Sebastiano, di cui è presenta una statua lignea del XVIII secolo, oltre alle statue di santa Rita e san Luigi.
Completano la chiesa due confessionali in radica e palissandro del XVIII secolo. 
Annamaria D'Auria e Anna Cristina D'Aniello

La Pinacoteca di Pagani e la bottega dei Sarnelli

Gli interventi di restauro effettuati sulle opere d'arte a partire dagli anni '90, hanno fornito l'occasione per riunire in un'unica galleria i dipinti che arredavano i corridoi e le stanze della Casa religiosa.
È nata così la Pinacoteca, annessa al Museo ed inaugurata nel 1996.
Tuttavia negli ultimi anni l'affluenza di numerose opere, alcune delle quali di notevole dimensioni, l'ha resa insufficiente ad accoglierle in maniera adeguata. La collezione oggi raccoglie più di cento dipinti di carattere sacro databili tra il XVI e il XX secolo, tra cui numerose opere di eccezionale valore storico ed artistico: accanto ai ritratti del Santo spiccano figure di artisti quali D. Tramontano, D. Hendricksz meglio conosciuto con il nome italianizzato di Teodoro D'Errico, D. Basile, A. Mozzillo e pregevoli tele di scuola napoletana. L'esposizione, in attesa di una nuova sistemazione in locali più ampi ed idonei, si articola in tre sale ed un corridoio.
Nella prima sala si ammira la preziosa Madonna con il Bambino di Decio Tramontano, artista attivo in Campania nella seconda metà del '500. La tavola portata a Pagani dopo la chiusura della chiesa e del convento di Lettere, è stata irrimediabilmente deturpata da un cattivo restauro che l'ha privata di alcune parti. L'opera presenta molte affinità con la Madonna del raffinato polittico della chiesa di S. Maria delle Vergini a Scafati, attribuito alla stesso pittore.
Notevole è la tela semiellittica della Deposizione che eccelle per la resa marmorea del Cristo, il cui corpo esamine giace abbandonato sul grembo della madre, dall'inconsolabile dolore degli angioletti e dall'atmosfera crepuscolare che pervade la scena.
Nella seconda sala domina il grande dipinto dell'Adorazione del Bambino di Antonio Sarnelli, pittore napoletano allievo di Paolo de Matteis ed attivo nella seconda metà del '700. Al centro della scena il Bambinello risplende di luce divina che si irradia sui volti rapiti dei pastori adoranti intorno alla mangiatoia, sotto lo sguardo amorevole della Madonna e la gioia degli angeli.
Di Angelo Mozzillo, pittore campano della seconda metà del '700, è la Pietà eseguita nel 1803: un corteggio di angeli accorati e avvolti in un'atmosfera vaporosa racchiude le tre figure in primo piano della Madonna, di Cristo e di S. Ignazio di Loyola.
Nella terza sala prevale l'Annunciazione, proveniente dal convento di Lettere, dipinta su tavola da Teodoro D'Errico nella seconda metà del '500. La scena dell'annuncio, illuminata dall'alto dallo Spirito Santo, eccelle per il vivace cromatismo delle vesti, mentre l'atteggiamento pudico della Vergine, con gli occhi bassi e le braccia incrociate sul petto, è evidenziato dagli attributi che rimandano alla sua purezza: i fiori e la brocca di acqua.
Un altro dipinto di Teodoro D'Errico, proveniente anch'esso dal convento di Lettere, è la cinquecentesca Madonna del Rosario. Il tema del Rosario congiunto con quello dell'Immacolata Concezione, per la presenza della luna con sembianze umane sotto i piedi della Madonna, nel pittore fiammingo assume toni allegri e festosi: in un'atmosfera delicata e soavemente fiorita spicca la Vergine con il Bambino attorniata da angeli e contemplata da santi tra cui S. Tommaso d'Aquino, S. Domenico, S. Pietro da Verona e santa Caterina da Siena.
Notevole il Gesù coronato di spine attribuito a Polidoro da Caravaggio, una delle figure più rappresentative della pittura italiana del '500; allievo di Raffaello e interprete di una riflessione originale sulla pittura devozionale negli anni a cavallo tra Riforma e Controriforma.
Importante è la grande tela settecentesca dell'Immacolata Concezione eseguita da Domenico Basile e donata a S. Alfonso nel 1761 da Carlo Cosenza, barone di Teverone.
Infine nel corridoio sono collocate quattordici tele illustranti le stazioni della Via Crucis e due pregevoli tele di notevoli dimensioni di scuola napoletana: la Natività della Vergine e la Natività di S. Giovanni Battista.
I Sarnelli costituiscono la famiglia più numerosa di pittori napoletani attiva nella seconda metà del Settecento, essendo composta di ben quattro fratelli: Antonio e Giovanni, i più noti e poi Francesco e Gennaro. Un fratello maggiore, Ferdinando, è l unico che non lavorava col pennello. Il padre era Onofrio, re d'armi di sua Maestà, la mamma Angela Viola.
Il più famoso dei fratelli, Antonio, nato a Napoli il 17 Gennaio del 1712 nel territorio parrocchiale di S. Anna di Palazzo, si ispira oltre che al De Matteis, di cui è a bottega, agli esempi de Giordano e di Solimena, lavorando nelle chiese di Napoli e provincia e molto anche fuori dalla regione, in Calabria e Puglia. Il suo stile è facilmente riconoscibile e si esprime in una prosa meno alata dei grandi artisti che dominano la scena, ma soddisfacendo una vasta committenza esclusivamente ecclesiastica.
Egli cerca di recuperare la freschezza dell'intonazione devozionale e la sapidità del racconto. Frequentemente dei suoi quadri transitano nelle aste come nel caso di un originale San Palladio, vescovo di Embrun, firmato e datato 1768, o di una coppia, un Gesù e San Giovanni Battista ed un Tobiolo e l'angelo, anche essa firmata. Di grande qualità i due dipinti: una Santa Genoveffa che richiama a viva voce la Beata pastora della chiesa di S. Caterina a Chiaia ed un'Annunciazione.
La prima tela firmata e datata 1748, offre un'immagine idilliaca della santa, di pieno gusto rococò, sia nell'impostazione arcadica della scena che nella scelta di una gamma di colori tenui, in cui prevalgono i rosa e gli azzurri. Vestita da pastorella, con la verga ricurva e un cappello a larghe tese sul capo, circonfuso da un'aureola di luce, Genoveffa, santa patrona di Parigi, accompagnata da un angioletto, sorveglia affettuosamente il suo gregge, accarezzando l'agnello che le si è avvicinato. Dal cielo, altri angioletti assistono alla scena, mentre sullo  sfondo un altro angelo recante il cero acceso, caratteristico attributo della santa, scende precipite dal cielo. L'opera fu eseguita per il cardinale Niccolò Coscia.
L'Annunciazione firmata Ant.us Sarnelli e datata 1773, si ispira ad un'opera dello stesso soggetto, eseguita dall'artista negli stessi anni e posta a sinistra della controfacciata nella chiesa di San Giuseppe a Chiaia dove si conserva anche un'altra opera dello stesso autore un Sogno di San Giuseppe. Il pittore si rifà ad alcuni modelli del Giordano, dai quali  cerca  di recepire la lucentezza dei colori e la genuinità della carica devozionale.
Di notevole interesse risulta l'Adorazione del Bambino segnalata nel convento di S.Alfonso de' Liguori a Pagani. Essa raffigura il Bambinello al centro della scena risplendente di luce divina che si irradia sui volti rapiti dei pastori adoranti intorno alla mangiatoia, sotto lo sguardo amorevole della Madonna e la gloria festante degli angeli.
Numerose sono le opere chiesastiche di Antonio e una grande concentrazione di tele, da lui firmate o documentate, è situata nelle chiese di Chiaia. La sua prima opera documentata è una Madonnina nella chiesa di Sant'Arcangelo a Baiano (oggi dispersa) ed una Madonna con Bambino di collezione privata, entrambe del 1731. Molto antica è pure una Trinità con San Vincenzo Ferrer ed una devota, firmata e datata 1734, nella chiesa del Purgatorio di Ferrandina in Basilicata, improntata da aspetti arcaicizzati nella immobile fissità dei personaggi. Sulla mensa dell'altar maggiore dell' Abbazia di Montecassino, proveniente dal monastero di San Biagio d'Aversa, è collocata una Mater purissima, copia con minime varianti da un originale del de Matteis, distrutto dai bombardamenti, firmata Sarnelli 1737, sigla che caratterizzerà a lungo la collaborazione tra Antonio e Giovanni.
Tra il 1748 ed il 1751 i due fratelli eseguirono una serie di affreschi in palazzo Partanna, dei quali esistono poche tracce. Nell'archivio di Ferdinando Bologna vi è un Cristo e l'adultera, di collezione privata napoletana, firmaro Ant.us Sarnelli 1748, di elevata qualità.
In provincia a Forio di Ischia, nella chiesa di S. Maria di Loreto vi è un S. Giuseppe, firmato Sarnelli.
A Sessa Aurunca vi sono nella chiesa dell'Annunziata, firmate e datate 1760, due grosse pale d'altare raffiguranti un'Assunzione della Vergine ed un San Leone XI in gloria.
Nel Museo del Sannio a Benevento vi é poi uno splendido dipinto dai colori vivacissimi, un'Incoronazione della Vergine datata 1771, anno particolarmente felice della sua produzione.
Tra i dipinti nelle chiese napoletane segnaliamo: un'Adorazione dei pastori nella chiesa di San Francesco degli Scarioni, un originale quadro esplicativo Ecce Homo ed uno Sposalizio mistico in S. Caterina a Chiaia, un'Immacolata e santi ed un S. Pietro d'Alcantara in San Pasquale a Chiaia, un Transito di San Giuseppe in Sant’Antoniello a Portalba, una S. Anna nella chiesa dell'Ave Gratia Plena di Capua, infine un dipinto molto importante, una Sacra Famiglia firmata Ant.Sarnelli 1769 nella quale compaiono i ritratti dei primi due allievi cinesi del Collegio, Giovanni In e Lucio Vu.
Le sue ultime opere risultano le due tele, la Vergine con Bambino e Gesù in gloria e santi, provenienti dalla Sacra Famiglia ai Cinesi e conservate nei depositi comunali di Castel Nuovo, datate rispettivamente 1792 e 1793.
Antonio Sarnelli morì nel 1800.  
Anna Giordano

Dirck Hendericksz di Giovanna Festa

Dirck  Hendericksz, da noi noto come Teodoro d'Errico, nacque ad Amsterdam tra il 1542 e il 1544 da Henrick Centen.
La ricostruzione del percorso pittorico di Hendricksz – svoltosi quasi interamente a Napoli tra l'ultimo quarto del Cinquecento e il primo decennio del secolo successivo, nell'ambito di una produzione sacra di marca devozionale postridentina –, è risultato di acquisizioni critiche relativamente recenti: eccettuate le sporadiche indicazioni delle più antiche guide napoletane e i pur fondamentali rinvenimenti archivistici tra Otto e Novecento, la rivalutazione del pittore fiammingo è avvenuta con gli studi pioneristici di Previtali, cui hanno fatto seguito la monografia della Vargas, i numerosi aggiornamenti di Pierluigi Leone De Castris e la preziosa sintesi di Susanna Falabella.
I tempi e le modalità della prima formazione di Hendricksz rimangono incerti: sicuramente era a Napoli nel 1573 quando datò la Madonna e santi della locale Chiesa di San Severo alla Sanità.
La recente attribuzione a Hendricksz di due opere databili anteriormente per ragioni di contesto, la Crocifissione nella Basilica di Santa Maria di Pugliano a Resina, da ricondurre al 1569 e l'Annunciazione con ritratto della committente Berardina Transo, nella Chiesa di Santa Maria della Sapienza a Napoli, da collocare tra 1570 e il 1573 suggerirebbe tuttavia di retrodatare l'arrivo del pittore nel Meridione.
Non è tuttavia certo che, discendendo la penisola, Hendricksz soggiornasse per qualche tempo a Roma, come sembra doversi ipotizzare in virtù di una rintracciata firma, Theo Amsteridamus, graffita sulla volta della Domus Aurea, e sulla base di quei dipinti accostabili stilisticamente alla pala della Sanità, e caratterizzati anch'essi da una vena romana, sapientemente disegnata nell'esuberante plasticità del volume e vigoria fisica delle figure e da una maniera tenera ed espressiva insieme, debitrice del clima farnesiano di Caprarola. Tra questi dipinti, due tavole attribuite a Hendricksz, di presumibile destinazione privata e databili rispettivamente nel primo e nel secondo quinquennio dell'ottavo decennio, accomunate da una medesima ambientazione paesistica illuminata da bagliori crepuscolari, e raffiguranti l'Orazione nell'orto del Getsemani in collezione privata e la Maddalena in estasi del Museo Correale di Terranova a Sorrento, simile, nell'opulenza delle forme, a una florida e sensuale Maddalena piangente sul sepolcro vuoto già appartenuta alla casa d’aste Finarte, probabilmente contemporanea.
L'inserimento dell'artista nella colonia fiamminga napoletana dovette avvenire rapidamente nei primi anni Settanta, visto che il 14 gennaio 1574 il pittore fu tra i testimoni alle nozze di Margherita de Medina con Cornelis Smet ( ? – 1592) e negli anni successivi era a capo di una bottega capace di far fronte alle aumentate commesse.
L'11 aprile 1578 Hendricksz si impegnò con le monache benedettine del monastero di S. Gaudioso per una Madonna del Rosario e santi, pala identificata con quella del Museo nazionale di Capodimonte.
Il 22 gennaio 1579, il pittore fu incaricato da Antonello Iscla di eseguire una pala con cimasa, frontoni laterali e predella, di cui è probabilmente identificabile solo la tavola centrale con l'Annunciazione oggi nel convento di Sant’Alfonso de' Liguori a Pagani; l'11 marzo dello stesso anno, ricevette da Giovan Pietro de Lanata, procuratore dell'Università di Reggio Calabria, la commissione di due portelle d'organo su tela di cui si son perdute le tracce con l'Annunciazione all'esterno e la Madonna del Popolo e San Giorgio all'interno, avviando con quelle regioni un rapporto privilegiato che ne avrebbe fatto l'artista più richiesto sulla piazza napoletana, e di cui rimane testimonianza nella Circoncisione della Chiesa dell'Annunziata di Paola, datata 1580.
Nello stesso anno Hendricksz si impegnò con Ascanio Di Capua di Napoli per la realizzazione di un’Assunzione della Vergine con apostoli e angeli, identificabile con quella ancora esistente nella parrocchiale di Montorio dei Frentani, e con i governatori della Chiesa di Santa Maria delle Grazie di Quindici per una Madonna del Rosario con i quindici misteri, perduta, da realizzarsi in collaborazione con Giovanni Andrea Magliulo.
A queste opere documentate è possibile accostare l'Ultima Cena della chiesa di Sant’Eligio ai Vergini a Napoli, arricchita da una sorprendentemente realistica natura morta esibita sulla tavola, e la Sacra Famiglia con San Giovannino e due santi certosini dei depositi del Museo nazionale di Capodimonte, il cui clima devozionale dolce e familiare aiuta a comprendere le ragioni del successo del pittore nordico presso la locale committenza laica ed ecclesiastica.
All'inizio del nono decennio Hendricksz intraprese di fatto un'impresa di particolare prestigio: la decorazione del soffitto cassettonato del monastero di San Gregorio Armeno a Napoli, eseguita tra 1580 e 1582 sotto l'abbadessato di Beatrice Carafa.
L'originalità dell'imponente decorazione si precisa nel sapiente, quanto inedito bilanciamento tra decorazione pittorica e incorniciatura lignea, da ricondurre alla direzione unitaria della bottega assunta da Hendricksz e al ruolo dello scultore decoratore, con ogni probabilità da riconoscere nel già ricordato Magliulo. Il raffinato programma ideologico di cui si sostanzia l'intero apparato decorativo, si individua nell'ambiziosa celebrazione della venerabile storia del monastero, affidata all'elenco figurato delle preziose reliquie da esso possedute e illustrate dai martiri dei santi a quelle correlati. Suddiviso in venti scomparti, contiene sedici tavole che narrano i martiri dei Santi le cui reliquie sono custodite nel convento. La complessa struttura si compone di quattro sezioni, articolate ciascuna in un riquadro rettangolare centrale circondato da quattro ovati angolari, e dedicate rispettivamente, dall'altare verso l'ingresso, ai Santi Giovanni Battista, Gregorio, Benedetto, Stefano, Lorenzo, Biagio e Pantaleone. Nei primi tre settori – che videro la collaborazione su cartoni del maestro di almeno altrettante distinte personalità – gli interventi autografi di Hendricksz si qualificano per una vena stilistica ora partecipe del linguaggio dei primi anni Ottanta, e poi sintomaticamente preannunciante nuovi indirizzi di ricerca: così nelle due partizioni iniziali, con le Storie del Battista e Storie di San Gregorio Armeno, protagonista è ancora la cultura farnesiana di Caprarola nella declinazione più aerea e fusa di Raffaellino da Reggio e di Jacopo Zanguidi detto il Bertoja (1544  1574), coniugata a un’intonazione più schiettamente fiamminga e facilmente individuabile, oltre che in alcune fisionomie tipicamente nordiche, nel gusto per l'affollamento spaziale, nell'insistenza per gli elementi esornativi dei secondi piani, nella più intensa vivacità coloristica. Diversamente, nelle Storie di San Benedetto del terzo settore e ancora nella parte originale della Incoronazione della Vergine del quarto, interessata nella zona inferiore del gruppo degli apostoli da un restauro seicentesco, quei medesimi caratteri si compongono in una pittura di sapore baroccesco: preludio del percorso intrapreso da Hendricksz negli anni successivi, e precocemente riconoscibile nella Circoncisione della chiesa di San Domenico a Bagnoli Irpino, ora a Montella nel Museo di S. Francesco a Folloni, e nella Madonna del Rosario del Museo nazionale di Varsavia, qualche tempo fa sintomaticamente catalogata come opera di Federico Barocci.
La presumibile, discreta agiatezza che derivò dall'adempimento di questi lavori, consentì a Hendricksz, il 31 gennaio 1582, di affidare al fabricante Pietro di Domenico la costruzione di una casa su un terreno di sua proprietà fuori porta Reale. Contemporaneamente, il moltiplicarsi delle commissioni nella prima metà degli anni Ottanta conferma il ruolo centrale acquisito dal pittore nell'ambito della decorazione sacra: tra le opere conservate, insieme con la Madonna e santi nella Chiesa di San Michele a Celico del 1582 e con la Natività del Battista della Chiesa dell'Annunziata di Airola del 1583, è la festosa macchina lignea della Madonna del Rosario per l'omonima cappella nella Basilica dell'Assunta a Santa Maria a Vico, databile al 1585, e particolarmente eloquente della cultura fiamminga del suo autore nelle storiette laterali dei quindici misteri e nella Predica del rosario della predella, caratterizzata da una dettagliatissima resa dei costumi dell'aristocratico uditorio.
Tra il 1587 e il 1590, Hendricksz lavorò alla decorazione del soffitto del monastero di Santa Maria Donnaromita, sotto l'abbadessato di Isabella Capece, dipingendo le tre tavole centrali raffiguranti l'Incontro di San Benedetto e Atchis, la Decollazione del Battista e la Madonna in gloria.
L'impresa fu realizzata su progetto di Magliulo e vide la partecipazione di Girolamo Imparato, autore delle otto tavole laterali, e retribuito anche per la perduta pala d'altare; di un non altrimenti noto Giovanni Gralovo, responsabile della serie di piccole Sante martiri nell'incavo delle cornici dei tre quadri dell'Hendricksz e in tutti i rosoni del soffitto; degli intagliatori Nunzio Ferraro e Giovan Battista Vigliante; di un mastro Marino, attivo fra gli altri indoratori, e da identificarsi probabilmente con quel Marino Bonocore, menzionato nel contratto della perduta pala di Quindici.
Rispetto al soffitto di San Gregorio Armeno, questo di Donnaromita si distingue per aver perduto la nota più originale e qualificante: l'armonica integrazione della carpenteria lignea, qui sottoposta a una maggior geometrizzazione e semplificazione lineare dei partiti decorativi, con le parti dipinte, ora concepite come vere e proprie pale d'altare; mutamento che la Vargas riconduce a un processo di progressiva naturalizzazione di Hendricksz nel Napoletano, con conseguente suo adeguamento ai criteri della pittura devozionale locale. Nelle tre storie principali di sicura autografia hendricksziana, ancora esemplate sul repertorio di soluzioni formali approntate a San Gregorio, si innesterebbe una nuova vena narrativa, un inedito intento colloquiale e fervore psicologico ispirato a Federico Barocci nella gestualità delle figure e nel ritmo della scena.
Il 21 giugno 1592 Hendricksz partecipò come testimone alle seconde nozze di Margherita de Medina, vedova di Cornelis Smet, con Aert Mytens  (1541  1602), dichiarando di avere quarantotto anni, di abitare a porta Santo Spirito e di conoscere entrambi gli sposi: Mytens suo connazionale, era a Napoli da diciassette anni e Margherita, sorella di sua moglie Maddalena.
Hendricksz si era sposato forse nei primi tempi del soggiorno napoletano con Maddalena, ebbe da lei almeno tre figli: Andrea, Anna e Giovan Luca. Nel novembre del 1592, Andrea si fece monaco ed entrò nel convento di Monteoliveto, rinunciando all'eredità in favore della sorella Anna.
Le scarne notizie biografiche riguardanti Giovan Luca ce lo rimandano per lo più nell'assolvimento di incarichi per opere ordinate al padre e all'esecuzione delle quali evidentemente dovette prendere parte: nel 1592 per l'ultimazione di una Madonna del Rosario già commissionata a Cornelis Smet e da questo parzialmente dipinta; nel 1596 per un dipinto, di iconografia ignota, per la città di Molfetta, e probabilmente da destinarsi, nella cattedrale; nel 1604 per una Madonna del Carmine da collocare nella cappella di Giulio Bianco nella chiesa di S. Maria la Novain situ. Poche le commissioni documentate relative a una sua attività autonoma.
Gli anni della crescente collaborazione di Hendricksz con il figlio Giovan Luca coincisero con quelli della più intensa produzione degli ultimi venti anni di attività, successiva alla piena affermazione professionale consacrata dalla nomina a console dei pittori napoletani: il 22 giugno del 1593 e il 6 novembre 1594.
Il 16 aprile 1596 Hendricksz fece testamento, esprimendo il desiderio di essere sepolto nel convento di Monteoliveto. Dieci giorni più tardi costituì Giovan Luca suo procuratore a Napoli, dotandolo di alcune somme di denaro in previsione di un viaggio che il figlio avrebbe compiuto nelle Fiandre nell'ottobre di quello stesso anno, quando infatti si trovava ad Amsterdam, impegnato, con lo zio Jacob, nella vendita della casa di Bethanienkerkstraat, detta De Romische Tiber.
È difficile una definizione circostanziata dell'indirizzo percorso dall'artista nell'ultimo decennio di permanenza napoletana, a causa di una mancanza di date certe di riferimento e del vivace dibattito attribuzionistico di cui sono state oggetto numerose opere di destinazione pubblica e privata.
Se è probabile la partecipazione del pittore, tra 1599 e 1603-04, all'esecuzione delle quattro tavole centrali, con Scene della vita della Vergine, del soffitto di Santa Maria la Nova, poche sono le opere conservate riconducibili ai pagamenti scalabili negli anni immediatamente successivi: perduti i due quadri nell'intempiatura della Chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini, se mai veramente eseguiti da Hendricksz nel 1601, rimane, del 1604, la citata Madonna del Carmine, alla quale si può accostare la versione semplificata, meno affollata di figure, ma di maggior cura descrittiva, posta sull'altare maggiore della Chiesa conventuale del Carmine a Noja, e probabilmente da anticipare, per ragioni di contesto, al 1601.
Del 1605 circa è il Martirio di Santa Caterina, già nella Casa della Santissima Annunziata e ora nel Museo civico di Castel Nuovo, da identificarsi probabilmente con il dipinto commissionato in quell'anno da Sebastiano Luongo. Sono tutte opere popolate da figure colte in atteggiamenti estatici, ispirati, ed eseguite con la medesima pittura disossata, liquida ed insieme impastata, sintomatica di un ritorno alla versione mistica del manierismo di Giovanni De Vecchi (1536 – 1614) nell'oratorio del Gonfalone. Per analogie tecnico stilistiche, congiunte a una analoga intonazione devozionale, dovrebbero potersi collocare in questi ultimi anni la Sacra Famiglia, della Galleria nazionale di Praga, l'Annunciazione della Chiesa di San Nicola ad Aversa, il San Francesco del Santuario di Paola, l'Annunciazione di San Giuseppe a Vibo Valentia e la Visitazione del Museo di San Lorenzo Maggiore a Napoli, forse la stessa già nella Congrega di San Marco ai Lanzieri, fondata nel 1608, e dunque da avvicinare al termine della produzione documentata del pittore, e particolarmente emblematica di quello stile "riepilogativo" dell'ultimissimo Hendricksz, caratterizzato da una fase "molto più plasticamente rilevata".
Gli anni conclusivi del primo decennio del Seicento videro Hendricksz impegnato nella sistemazione dei suoi affari in vista del definitivo trasferimento ad Amsterdam, città nella quale si recò già nel novembre del 1606 per questioni inerenti le sue proprietà. Si trattò probabilmente di una permanenza di breve durata poiché del 1608 è la Madonna col Bambino, Santa Caterina d'Alessandria e un santo vescovo della Chiesa dell'Annunziata di Arienzo, in situ, commissionata da Orazio Villacio e ultima opera nota, nonostante i documenti successivi attestino il prolungarsi del soggiorno napoletano almeno fino alla metà circa del 1610, quando, il 9 dicembre, alla morte del figlio Giovan Luca, Hendricksz assunse la procura della nuora Silvia Camardella e la tutela dei suoi figli.
Nel maggio del 1610 o poco dopo, dovette rientrare definitivamente in patria: in quel periodo infatti il pittore, ancora a Napoli, costituì Cornelis Vinx suo procuratore per l'esazione e il recupero dei suoi crediti, mentre il 16 aprile 1611, ormai ad Amsterdam, sposò Suzanne Coenraet van Deuren di Delft di trentuno anni, dichiarando in quell'occasione di risiedere in città da circa un anno e di essere vedovo di Maddalena di Medina.
Dalla seconda moglie gli nacquero, tra il 1612 e il 1616 quattro figli, dei quali il primo, Henrik, ebbe come padrino di battesimo il pittore Abraham Vinx.
Niente altro è noto degli ultimi anni di vita dell'Hendricksz il cui vuoto di opere lascia intendere, insieme all'età ormai avanzata, un’eventuale difficoltà di inserimento nel mercato artistico di una patria di origine a lui praticamente estranea. In questa prospettiva si è suggerito di riconoscere nell'insieme di disegni, ad evidenza non riconducibili a opere pittoriche, già ascritti al Maestro degli Album Egmont, e attribuiti a Hendricksz da Nicole Dacos sulla base di criteri non da tutti condivisi, studi preparatori per incisioni, eseguiti dal fiammingo al rientro in Olanda nel tentativo di inserirsi nella locale produzione a stampa.

Hendricksz morì ad Amsterdam nel 1618, anno in cui nacque il quinto figlio del suo secondo matrimonio, e il 20 novembre il suo corpo fu sepolto nella Nieuwezijds Kapel.
Giovanna Nastro

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