lunedì 17 luglio 2023

I Fiamminghi 1: quasi un’introduzione. di Massimo Capuozzo

Luis Courajod coniò il termine Gotico internazionale per definire lo stile dell’Arte europea intorno al Quattrocento, prima e dopo, che era diventato protagonista nelle case reali europee.
In area germanica il termine fu tradotto come stile dolce che prendeva spunto dal Dolce Stilnovo della poesia italiana del Trecento.
Il Gotico fu da allora percepito come modo linguistico eterno del continente europeo capace di attraversare i secoli e le nazioni. L'architettura del Medioevo gotico, in Germania e Francia, aveva continuato ad avere un'influenza fino ai primi anni del Seicento, da quel momento nel continente europeo sembrava praticamente sparita e solo in Inghilterra continuava ad esercitare una sua influenza. Rinacque in Francia con Eugene Viollet-Le Duc e fu inesausto motivo ispiratore per il grande Pier Luigi Nervi, che fece altrettanto grandi dichiarazioni sulla grandezza di questo stile architettonico, professandosene debitore.
Il “Gotico” come fenomeno architettonico non si impose immediatamente, ma nel giro di un secolo le maggiori chiese romaniche di Francia andarono in fiamme spesso dolosamente e furono ricostruite secondo i nuovi parametri per desideri di grandezza.
Oddio, ma le cattedrali romaniche erano piene di legno stagionato, e penso alle capriate, la grande struttura lignea che reggeva il tetto delle chiese e penso anche alle lampade a olio che restavano sempre accese: fiamma e legno secco sono vicinanze pericolose. Ma penso anche che spesso vescovi e abati, il più delle volte cadetti di nobili famiglie, volevano intraprendere progetti giganteschi attraverso i quali consegnare il loro nome all’eternità e che raramente i loro sottoposti, canonici o monaci, erano d'accordo. I canonici abitavano intorno alla cattedrale, il che implicava che sarebbero stati sfrattati perché un ampliamento in chiave gotica richiedeva una modifica del tessuto urbano, spesso molto anche troppo fitto. E soprattutto dovevano partecipare al finanziamento dell'opera e non volevano risultarne impoveriti. Nessun progetto vide l’unanimità. Per sbloccare questa realtà così temporale e così poco spirituale, si chiamava in ballo una garanzia soprannaturale. L'incendio era un banale incidente, ma quando avveniva era interpretato e poteva diventare un segno spesso associato a un miracolo. E come oggi "lo vuole l'Europa" allora "lo voleva Dio".
Complici del Gotico internazionale nella pittura erano stati inizialmente gli italiani seguaci di Simone Martini e di Giotto, il vero apripista verso il Rinascimento, e il gruppo di artisti fiamminghi, a loro volta apripista dei primi compagni di ventura dei fratelli di Hubert e Jan van Eyck, quelli del notissimo Agnello mistico nella cattedrale di Gand.
Oggi i più famosi musei del mondo risplendono delle tavole fiamminghe di Jan van Eyck, di Rogier van der Weyden, di Hugo van der Goes, di Hans Memling o di Hieronymus Bosch. Pittori di eccezionale talento le cui nuove concezioni dell'arte provocarono una rivoluzione pittorica nei Paesi Bassi meridionali e successivamente in tutta Europa pari a quella che provocarono i loro contemporanei pittori del Rinascimento.
Quello fiammingo era però un gusto per l’esaltazione pittorica, dove le pale dipinte spesso erano poste a livello di parità con le esaltanti cornici dorate che le contenevano e che spesso erano anche più costose degli stessi dipinti.
Agli inizi lo stile gotico era stato rigoroso e ieratico, ma con il passar del tempo si era fatto complesso e fiammeggiante secondo la definizione storiografica successiva di flamboyant, scintillante come fiamma accesa.
Mentre la Francia languiva in una guerra infinita con gli inglesi che trascinava sui campi di battaglia di Crecy l’intero cosmo imperiale fino alla Boemia, mentre Napoli soffriva la crisi dinastica degli ultimi angioini, la penisola delle repubbliche e delle signorie, dopo la falcidia della peste nera, rifioriva e fiorivano anche le terre basse del nord Europa. Per la parte restante del continente erano anni tormentati e la prosperità era tornata solo in due regioni: nell’Italia centro-settentrionale, allora florida di merci e di commerci e nel vasto Ducato di Borgogna che si estendeva per fortunati matrimoni realizzati da quella casata dalle Alpi fino alle Fiandre.
La pittura diventava un bene pubblicamente ostentato che testimoniava l’agiatezza, restituita nei palazzi, e la benevolenza divina nelle chiese. E la pittura segnava la veloce emancipazione del gusto, l’attenzione all’invenzione di modelli visivi rinnovati e il cambiamento della sensibilità individuale.
Gli scambi sia quelli delle merci sia quelli delle idee fra l’Italia e la Borgogna-Fiandre erano intensi e regolari. Gli Arnolfini dipinti da Jan van Eyck tenevano banco, scambiavano moneta a Bruges, come poi i Portinari, fiduciari del Banco mediceo, che finanziavano a Milano la decorazione della loro cappella, affidandone il progetto architettonico al fiorentino Michelozzo o al ticinese Solari e gli affreschi al bresciano Vincenzo Foppa. E sempre loro, gli ambiziosi Portinari portarono a Firenze nel 1483 il trittico fiammingo di Ugo van der Goes per stupire i pittori della città con quelle tavole brillanti, dipinte a olio mentre in Italia si continuava a usare la tempera all’uovo.
Di quell’innovazione erano stati molto leggendariamente considerati protagonisti i fratelli van Eyck.
La realizzazione del polittico dell’Agnello mistico a Gand aveva dato la prima dimostrazione dell’utilità della pittura a olio. E per quanto i fratelli non avessero mai viaggiato oltre i confini del loro Ducato, ritrassero il mito del Mediterraneo italiano nei paesaggi del loro magistrale apparato pittorico: una serie di alberi tutt’altro che immaginari, provenienti innegabilmente dal paese che, secoli dopo, Goethe avrebbe definito “quel mitico paese in cui nel fogliame scuro brillano le arance dorate e un vento dolce scende dal cielo azzurro”.
La descrizione dell’apollineo Goethe sembra coincidere con quella del paesaggio dell’Agnello mistico, dove nel pannello centrale si delinea sì un paesaggio con edifici gotici, ma mescolati a palme mediterranee e uliveti sotto il profilo di Alpi misteriose.
Il magico meridione era loro noto per via scambi che duravano ormai già da lungo tempo, quelli che avevano portato le immagini dell’innovazione architettonica fin da quando, sul finire del Trecento Melchior Broederlam aveva dipinto il raffinatissimo apparato d’altare per la Certosa di Champmol e dove la raffigurazione pittorica è ancora carica di citazioni apparentemente bizantine, ma già sostanzialmente risciacquate nelle acque dell’Arno.
Con gli anni si forma una vera e propria scuola all’interno delle gilde dei pittori, da cui emergono eccellenti personalità. Quell’intrigante artista dalla biografia nota, ma dal nome incerto che è passato nella Storia come Petrus Christus ne è eccellente esempio: seguace di Van Eyck, passa probabilmente dall’Italia e ne riporta la passione per la prospettiva centrale che Brunelleschi urbi et orbi aveva dimostrato in Piazza del duomo a Firenze. Robert Campin con il suo crudo senso del reale, quando si esercita a dipingere sulle tavole quelle riproduzioni delle sculture in pietra che da pochissimo erano apparse nell’Agnello mistico oppure quando realizza ritratti dei suoi concittadini con la medesima virtù esaltante di Van Eyck, o forse addirittura superandolo nella restituzione della realtà. E infine il sommo Rogier van der Weyden che arriva in Italia per il giubileo del 1450 e raccoglie successi e commesse.
Ma i Fiamminghi aprirono anche a un’altra contaminazione potentissima, quella in campo musicale intrapresa da Josquin des Prez che approdò alla corte sforzesca di Milano sul finire del secolo e che fu presentato da un duca all’altro e finì alla corte Estense per comporre la Missa Hercules dux Ferrariae, rivoluzionando anche la visione italiana della musica, facendo conoscere l’Ars nova fiamminga.

e se c'è qualcuno che ama la musica qui sotto c'è il link della Missa Hercules dux Ferrariae
https://www.youtube.com/watch?v=2Kj0C9KvcwY&t=505s

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