domenica 23 marzo 2025

Abraham Janssens: Pace e Abbondanza legano le frecce della guerra

Durante gran parte del Cinquecento e del Seicento, i Paesi Bassi settentrionali, noti come Province Unite, si opposero al dominio degli Asburgo nella loro lotta per l'indipendenza, una contesa in cui i Paesi Bassi spagnoli funsero spesso da campo di battaglia.
Janssens, che un tempo competeva con il suo illustre contemporaneo Pieter Paul Rubens in termini di fama e successo, cercando di ottenere le commissioni più ambite nella prospera città di Anversa, cadde nell'oblio nei primi anni dell’Ottocento ed è stato una figura ingiustamente trascurata.
Janssens fu notevolmente oscurato dal suo contemporaneo fiammingo Rubens, il quale avrebbe dovuto completare come pendant il dipinto ‘Pace e Abbondanza legano le frecce della guerra’ con la sua opera ‘Incoronazione del Vincitore’.
I due dipinti furono realizzati nel corso della ‘Tregua dei dodici anni’ (1609-21) tra i Paesi Bassi spagnoli e le Province Unite, un accordo che portò alla temporanea revoca di un blocco imposto dagli olandesi sul fiume Schelda, principale via commerciale di Anversa e fondamentale per la sua prosperità economica.
L’opera di Rubens, come i suoi primi dipinti, può essere definita "quasi una teoria politica": insieme, le due opere simboleggiavano per un selezionato gruppo di borghesi di Anversa la piazzaforte militare che garantiva la pace con tutti i suoi vantaggi.
L'allegoria di Janssens, un olio su tavola di dimensioni 157,5 x 264 cm, celebra le benedizioni e i benefici della pace annunciati da questa tregua e fu commissionata e finanziata dalla ‘Corporazione dei Balestrieri’ di Anversa per la ‘Sala dell'Assemblea’ della stessa Corporazione, la principale compagnia di milizia cittadina.
Questo edificio esiste ancora oggi, sebbene molto modificato, situato nella piazza centrale della città vecchia nota come ‘Grote Market’, nei pressi del magnifico Municipio tardo rinascimentale; in passato il dipinto era appeso sopra una mensola del camino nella 'Sala delle Assemblee'.
La tavola fu realizzata nel 1614, coincidente con l'anno in cui era originariamente esposto il quadro ‘L'incoronazione del vincitore’ di Rubens, ora conservato presso la ‘Gemaldegalerie’ di Kassel.
Quest'opera di Rubens, come i suoi primi dipinti e al pari di quella di Janssens può essere definita "quasi una teoria politica": insieme, le due opere simboleggiavano per un selezionato gruppo di borghesi di Anversa la piazzaforte militare che garantiva la pace con tutti i suoi vantaggi.
Nel dipinto di Janssens la Concordia o Pace è personificata dalla figura femminile a sinistra. In conformità con i simboli descritti nell'‘Iconologia’ di Cesare Ripa del 1593 – un manuale essenziale sui soggetti e simboli per ogni aspirante pittore narrativo barocco – la Concordia è incoronata da un serto di ulivo, simbolo della Pace, e sostiene una cornucopia che rappresenta l'Abbondanza, conseguenza immediata della Pace. Nella mano destra stringe un fascio di frecce legate, a simboleggiare la Concordia.
Ai suoi piedi si trova la colomba della Pace. Inoltre, vi sono due figure femminili che incarnano la Carità e la Lealtà mentre legano le sue frecce.
La Lealtà, vestita di bianco e adornata con una corona di rose rosse e bianche, simboleggia sia la città di Anversa sia la ‘Corporazione dei Balestrieri’.
La Carità indossa abiti rossi e protegge un bambino addormentato il cui cuore ardente simboleggia l'Amore.
Seduta nell'ombra sullo sfondo a destra emerge la figura maligna dell'Invidia, una vecchia megera caratterizzata da serpenti tra i capelli a indicare che essa diffonde sempre veleno ed erode il proprio cuore. Con i suoi seni cascanti e un'espressione orribile, mette in evidenza l'orrore che ella prova e che è provocato dal trionfo della Pace, rappresentato dal putto alato che porta una corona.
Il dipinto era ancora ad Anversa nel 1769, come attestato in una guida della città redatta da Jean-Baptiste Deschamps: "Sopra il camino nella sala dei vecchi balestrieri si trova una bellissima opera che mostra un'ingegnosa allegoria della Concordia, ben dipinta e ben composta nel 1614 da Abraham Janssens". Documentato ancora ad Anversa nel 1789, potrebbe essere stato portato in Inghilterra per motivi di sicurezza durante le guerre napoleoniche o forse come bottino da parte di un ufficiale britannico. Attraverso diverse aste fu infine acquistato dalla ‘Art Gallery’ di Wolverhampton nel 1885 dove è attualmente conservato.
Il dipinto è stato restaurato grazie a una sovvenzione della ‘National Heritage Lottery’ nel 1998, rivelandone così i colori vivaci. Nonostante i nobili sentimenti espressi nell'opera di Janssens, la pace sarebbe durata solo altri sei anni.
La ‘Guerra dei Trent'anni’, che devastò l'intera Europa dal 1618 al 1648 e nella quale si inserì anche la ‘Guerra degli Ottant’anni’, fu infine risolta con il Trattato di Münster nel 1648, il quale sancì la definitiva divisione tra le due parti dei Paesi Bassi.
Oggi questo dipinto risulta particolarmente attuale rispetto al concetto di pace mentre sul mondo spirano venti bellicosi.
Nonostante i nobili sentimenti espressi nell'opera di Janssens, la pace sarebbe durata solo altri sei anni. La ‘Guerra dei Trent'anni’, che devastò l'intera Europa e nella quale si inserì anche la ‘Guerra degli Ottant’anni’, fu infine risolta con il Trattato di Münster nel 1648, il quale sancì la divisione tra le due parti dei Paesi Bassi.
Oggi questo dipinto risulta particolarmente attuale rispetto al concetto di pace mentre sul mondo spirano venti bellicosi.
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[1] ‘L'Incoronazione dell'eroe virtuoso’, conosciuta anche come ‘Il trionfo del vincitore’, è un'opera del primo barocco realizzata da Pieter Paul Rubens.
Questo dipinto, eseguito in colori ad olio su tela, fa parte della collezione permanente della ‘Gemäldegalerie Alte Meister’ di Kassel.
Al centro dell'opera si trova un generale romano, rappresentante dell'eroismo e della virtù, il quale ha placato le insurrezioni della discordia. Quest'ultima è simboleggiata da un uomo ucciso con capelli a forma di serpente disteso a terra e da un barbaro incatenato sulla destra.
Dietro al vincitore si erge il Genio dell'Unità, che tiene in mano un fascio di frecce legate, simbolo di pace. Tale figura funge sia da custode che da preservatore della religione, come evidenziato dalla presenza dell'altare e del fuoco eterno nelle immediate vicinanze del genio stesso.
L'eroe virtuoso riceve la corona d'alloro della vittoria dalle mani di Nike, la dea della vittoria, raffigurata a sinistra. Dietro l'altare si trova l'unico riferimento alla casa regnante degli Asburgo: una bandiera rosso-bianco-rosso. Con quest'opera la corporazione intendeva manifestare discretamente la propria fedeltà alla Casa d'Asburgo.
Questo dipinto, caratterizzato da colori vivaci e dai tratti stilistici tipici del primo barocco, fu realizzato tra il 1613 e il 1614.

domenica 16 marzo 2025

Abraham Janssens - Il monte Olimpo

Dopo il ritorno di Abraham Janssens ad Anversa nel 1602, le sue opere mostrarono inizialmente una marcata influenza da parte di Raffaello. Questo è particolarmente evidente nella composizione ‘Monte Olimpo’, risalente circa al 1605 e attualmente custodita presso l’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera. Quest'opera riflette la fusione dello studio di Janssens dell’arte antica e di Michelangelo, durante il suo soggiorno in Italia, nonché delle stampe a cui aveva accesso sul mercato d’arte di Anversa.
Osserviamo quest’opera di Janssen, comunemente intitolata il "Monte Olimpo".
Questo passo descrive un episodio della guerra tra i Troiani e i popoli italici, come narrato da Virgilio all'inizio del decimo libro dell'Eneide.
Giove aveva convocato tutti gli dei dell'Olimpo per esortarli a promuovere la pace fra Troiani e Italici.
Tuttavia, Venere, dea della bellezza, si oppose e intervenne in difesa dei Troiani e di suo figlio Enea.
Propongo una versione la più fedele possibile al testo originale per coloro che nutrono nostalgia per la cultura classica. 
Chi non lo fosse può omettere i versi evidenziati in corsivo.
“Si apre nel frattempo la dimora dell’onnipotente Olimpio, e il padre e sovrano degli dei e degli uomini convoca il consiglio nella sede celeste, da cui osserva dall’alto tutte le terre, gli accampamenti dei discendenti di Dardano e i popoli latini.
Si riuniscono nelle sale a due porte, ed egli stesso inizia: 'Grandi abitatori del cielo, perché mai si è girata indietro per voi la sentenza e combattete tanto con animi ingiusti? Avevo vietato che l’Italia entrasse in guerra con i Teucri. Quale discordia contro questo divieto? Quale paura ha persuaso questi e altri a impugnare le armi e provocare la spada? Verrà, non provocatelo, il giusto momento dello scontro, quando un giorno la fiera Cartagine infliggerà una grande strage alle rocche romane e le Alpi saranno aperte: allora sarà possibile affrontarsi con odio, avendo distrutto tutto. Ora smettete e stipulate un accordo piacevole.'
Così Giove in breve; ma l’aurea Venere risponde portando in evidenza molte questioni: 'O padre, o eterno potere di uomini e cose (e cos’altro ci sarebbe che ormai possiamo implorare?), come esultano i Rutuli e Turno superbo si presenta tra i cavalli correndo gonfio per Marte propizio? Le mura chiuse non proteggono più i Teucri. Anzi si mischiano gli scontri dentro le porte e sulle stesse costruzioni delle mura ed i fossati traboccano di sangue. Enea ignaro è assente. Forse mai permetterai che si levi dall’assedio? Ormai incombe sulle mura il nemico della nascente Troia ed un secondo esercito, e di nuovo contro i Teucri sorge da Arpi etolica un Tidide. Lo credo fermamente; rimangono le mie ferite ed io tua progenie aspetto armi mortali, se senza la tua pace e con la tua potenza contraria i Troiani hanno cercato l’Italia, paghino gli errori anziché essere favoriti con aiuti; se invece seguendo tanti responsi che i celesti davano, perché ora qualcuno può sovvertire i tuoi ordini e creare nuovi destini? Perché ricordare le flotte bruciate sul lido ericino? Perché il re delle tempeste provoca venti furenti dall’Eolia o Iride inviata dalle nubi? Adesso anche le mani (questa sorte di cose era rimasta intentata) muove ed Alletto immediatamente mandata dai cieli ha scatenato il delirio tra le città degli Itali. Non mi preoccupo affatto dell’impero. Questo lo sperammo mentre ci fu fortuna. Vincano coloro che preferisci tu che vincano. Se non c’è alcuna regione che la tua dura consorte conceda ai Teucri, padre, ti prego per i fumanti eccidi di Troia distrutta: sia lecito salvaguardare Ascanio dalle armi affinché possa sopravvivere il nipote. Enea certamente sia gettato su onde ignote e segua qualunque via Fortuna abbia stabilito: fa’ sì che io possa proteggerlo e sottrarlo allo scontro crudele. Ho Amatunte, ho l’eccelsa Pafo e Citera, il palazzo di Idalia: inglorioso, deposte le armi qui trascorra la vita. Con grande potere comanderai che Cartagine opprima l’Ausonia; poi nulla ostacolerà le città tirie. A cosa valse sfuggire alla rovina della guerra ed essere fuggiti in mezzo ai fuochi argolici, tanto provati pericoli del mare e della vasta terra mentre i Teucri cercavano il Lazio ed una Pergamo recidiva? Non sarebbe più bello sedersi sulle ultime ceneri della patria sul suolo dove Troia fu? Restituisci ti prego Xanto e Simoenta ai miseri e concedi nuovamente ai Teucri di rivivere gli eventi iliaci.”
Il racconto virgiliano del concilio degli dei è presentato da Janssens in maniera intima: mentre tiene per mano il giovane Cupido, si rivolge al riflessivo Giove e a sua moglie Giunone, la quale è accusata, non senza ragione, di essere contraria ai Troiani.
All'estrema sinistra, Minerva, armata, si inclina verso Giunone; dietro Giove si scorge Diana con il diadema lunare. Parzialmente celati dal braccio di Venere, Apollo con la lira e Marte, dio della guerra, osservano la scena, mentre sul bordo destro del dipinto si avvicina Ercole, adornato con una pelle di leone e munito di una clava.

sabato 8 marzo 2025

Abraham Janssens e ‘Scaldis e Antverpia’

La tavola ‘Scaldis e Antverpia’ di Abraham Janssens è un’opera allegorica con una forte valenza politica: per questo motivo, per comprenderne più profondamente il significato è opportuno accennare alla storia di Anversa durante la ‘Guerra degli Ottant’anni’.
Nel frattempo osserviamola
Il fiume Schelda ha sempre rappresentato l'arteria vitale di Anversa, soprattutto durante il regno dell'imperatore Carlo V (1519 – 1556).
All'inizio del Cinquecento, la città visse un periodo di notevole prosperità grazie all'attività del suo porto. A differenza di Bruges, che rimase ancorata a tradizioni antiquate, Anversa riuscì ad adattarsi alle esigenze economiche contemporanee, dando origine a una straordinaria rinascita.
Anversa diventò il fulcro della grande finanza europea. La sua popolazione crebbe significativamente e la sua gloria fu celebrata in termini lirici da coloro che furono testimoni della sua magnificenza.
Questa straordinaria prosperità, tuttavia, non ebbe una lunga durata e, per comprendere appieno l'opera in questione, è necessario ricostruire sinteticamente il contesto storico che ha portato alla commissione di questo dipinto.
I disordini derivanti dalla rivolta delle diciassette province dei Paesi Bassi contro la Spagna avevano arrecato gravi danni ad Anversa. La Guerra degli Ottant'anni (1568-1648) era iniziata come una lotta per l'indipendenza delle Diciassette Province dal dominio spagnolo e si era evoluta in un conflitto che contribuì al progressivo declino della potenza spagnola e alla nascita di un nuovo Stato.
Alla fine del Cinquecento, preoccupata per la propria libertà e desiderosa di tutelare la propria economia, Anversa si schierò con i Paesi Bassi settentrionali nella lotta contro Filippo II di Spagna.
Il 4 novembre 1576, Anversa subì un saccheggio da parte di mercenari affamati al servizio del re di Spagna.
In questo episodio noto come la ‘Furia spagnola’, furono uccisi 8.000 civili e numerose abitazioni furono distrutte dalle fiamme: seguito della diserzione delle compagnie tedesche al servizio dei Paesi Bassi borgognoni e asburgici, nonché della sconfitta delle truppe vallone e cittadine all'interno delle mura, i 'tercios' spagnoli comandati dal temuto duca d'Alba continuarono a devastare la popolazione e a saccheggiare la città per quattro giorni consecutivi.
Successivamente, la città aderì alla ‘Pacificazione di Gand’, un accordo siglato l'8 novembre 1576 tra le province di Olanda, Zelanda e Utrecht e di altre dodici province dei Paesi Bassi, volto a unire le forze in una cosiddetta ‘Unione generale’ contro il re cattolico Filippo II di Spagna.
Dopo la presa della ‘Cittadella di Anversa’ nel 1577, Anversa diventò sostanzialmente la capitale della rivolta anti-spagnola per i successivi nove anni. Questo periodo è conosciuto come Repubblica di Anversa, sotto il dominio calvinista. Sebbene sembrasse che il governatore spagnolo Alessandro Farnese, duca di Parma e nipote di Filippo II di Spagna, avesse messo nel mirino Anversa, egli e le sue truppe combatterono solo una battaglia decisiva prima della sua conquista. Durante i quattordici mesi di assedio, Anversa fu guidata da Filippo di Marnix di Saint-Aldegonde in battaglia contro l'esercito regolare comandato da Alessandro Farnese.
Dopo la conquista di Alessandro Farnese, circa metà della popolazione – la parte protestante – emigrò verso Germania, Francia e Inghilterra e, successivamente, anche in Olanda. La popolazione scese da oltre 90.000 a 45.000 abitanti. Gran parte del commercio, delle arti e delle scienze anversesi si trasferirono altrove in Europa.
Nel 1587, la Repubblica del nord per ritorsione ‘chiuse’ la Schelda al traffico marittimo da e per Anversa diventata ormai spagnola.
Gli Statolder delle Province Unite del nord tentarono più volte di riconquistare Anversa, ma risultarono sistematicamente sconfitti.
Il brutale saccheggio della città nel 1576 aveva dato inizio a un profondo declino; quando nel 1585 il sindaco Marnix van Sint-Aldegonde fu costretto a firmare la resa, Anversa appariva destinata alla distruzione. Dopotutto, gli Stati del Nord rimanevano padroni della Zelanda e quindi dell'estuario della Schelda pertanto potevano impedire qualsiasi accesso oltreoceano al porto. Da quel momento in poi, Anversa continuò ad attendere una pace duratura.
Dopo la caduta della città nel 1585, i magistrati di Anversa si erano dedicati incessantemente alla sua rinascita. Non sorprende dunque che, nonostante numerose delusioni, nuove speranze fossero sorte quando, il 9 aprile 1609, presso il municipio cittadino, fu conclusa la ‘Tregua dei dodici anni’ tra la Spagna e i Paesi Bassi settentrionali, che garantì alla città una maggiore libertà.
Per celebrare questo evento significativo, la sala in cui si svolse la cerimonia di firma della tregua, nota come "Staetencamer", ricevette un’adeguata ristrutturazione da parte del sindaco della città.
In essa furono collocati i ritratti dei conti e dei duchi delle Fiandre e del Brabante; su una parete era appeso un grande crocifisso in bronzo.
Nel 1608, Abraham Janssens ricevette dal magistrato cittadino l'incarico di realizzare un dipinto per decorare la mensola del camino nella ‘Camera degli Stati’ del municipio di Anversa. Qui gli ambasciatori delle Province Unite del Nord e dei Paesi Bassi spagnoli avrebbero condotto i negoziati di pace che avrebbero portato alla ‘Tregua dei dodici anni’ tra i Paesi Bassi del Nord e del Sud. Per tale occasione fu commissionato ad Abraham Janssens un'opera per abbellire la mensola del camino della Camera nel municipio di Anversa, mentre a Rubens fu assegnata l'opera ‘L’Adorazione dei Magi’, attualmente esposta al Prado di Madrid.
Il consiglio comunale intendeva avvalersi delle figure allegoriche ‘Scaldis e Antverpia’ per incoraggiare i negoziatori a riaprire la Schelda alla navigazione, necessaria per la prosperità della città. In quel contesto, i rappresentanti delle Province Unite del Nord e dei Paesi Bassi spagnoli avrebbero condotto le trattative di pace.
Abraham Janssens quindi raffigurò ‘Scaldis e Anversa’, un olio su tavola delle dimensioni di 174 x 308 cm, oggi conservato presso il ‘Museo Reale di Belle Arti’ di Anversa.
Si tratta di una scena allegorica in cui sono rappresentate solamente due figure: Scaldis (Schelda) a sinistra e Antverpia (Anversa) a destra, definiti secondo la denominazione latina.
L'antico dio fluviale Scaldis, adornato di piante acquatiche palustri, è sorretto con la schiena a un'anfora, una brocca di ispirazione ellenizzante da cui scorre l'acqua della Schelda – simbolo emblematico di una divinità fluviale –, mentre porge una cornucopia rigogliosa alla vergine Antverpia, seduta accanto a lui e riconoscibile per la corona merlata che porta sul capo.
La verdura e la frutta che fluiscono dal corno assumono la forma di un volto, chiaro riferimento all'opera del pittore Arcimboldo.
I gigli adornano le rive del ruscello che sgorga dall’anfora.
La scena è sovrastata da un drappo d'onore che, simile a una grande vela, include simbolicamente nella composizione allegorica il tema della navigazione e sottolinea la dignità della divinità fluviale.
La dipendenza della prosperità di Anversa dalla Schelda è rappresentata in questo dipinto in modo straordinario, rendendo così evidente il motivo per cui il magistrato cittadino decise di collocare il dipinto in un luogo centrale della "Staetencamer": richiamando l'attenzione sull'importanza della Schelda per la prosperità di Anversa, evidenziava l'urgenza di riaprire il fiume alla navigazione.
Destinato come ornamento per una pregevole mensola del camino, incorniciato in modo elaborato, il dipinto aveva principalmente finalità decorative. Janssens riuscì a conferire tutto ciò alla sua opera attraverso un ricco riempimento del campo compositivo, grazie alla piena e sinuosa plasticità delle figure situate in primo piano e allo sviluppo eccezionalmente chiaro delle loro forme.
È evidente che Janssens per la composizione di ‘Scaldis e Antverpia’ si sia ispirato alla ‘Creazione di Adamo’ di Michelangelo nella Cappella Sistina. Le figure sono solide e robuste; tuttavia, l'intensa luce che proietta ombre scure è un raffinato richiamo a Caravaggio.
Scultoree come le figure michelangiolesche, 'Scaldis e Antverpia' dominano senza sforzo la cornice scolpita, nonostante la sua abbondante varietà di forme.
Le due possenti figure in movimento sono state disposte con equilibrio all'interno dell'insolitamente bassa cornice. Janssens ha utilizzato uno schema geometrico chiaro per posizionarle: ciascuna figura occupa metà del campo compositivo, con i rispettivi torsi presentati attraverso aree di colore sorprendentemente vivace lungo diagonali parallele.
Queste ultime sono ulteriormente connesse dal parallelismo delle braccia e dalla rotazione speculare delle teste.
Questo impressionante linguaggio formale deve la sua piena forza ai contrasti tra le potenti aree di luce e ombra, alle superfici lisce su cui la luce delinea chiaramente le sue ombre e conferisce un senso tangibile di volume con sobria concretezza, al suono fresco e ricco, nonché ai toni atmosferici locali dai colori molto sobri, che si amalgamano con lo stile plastico-decorativo del disegno per formare un accordo armonioso.
"Scaldis e Antwerpia", un dipinto di classica bellezza accademica, armonico nella forma e caratterizzato da una colorazione corsiva: rappresenta la fase più avanzata dell’arte di Janssens, qui visibilmente influenzato in parte da Caravaggio, la cui potenza visiva derivava dall'uso di forti contrasti tra luce e ombra, e in parte dalla scuola di Bologna, nota per il suo nobile classicismo.
Abraham Janssens aveva circa trentacinque anni quando realizzò quest’opera. Come è evidente dalla ricchezza delle forme e dei colori nonché dalla forte visione personale, la sua arte aveva raggiunto un livello invidiabile. Egli era stato il pittore più rinomato attivo ad Anversa quando Rubens, due anni più giovane di lui, tornò ad Anversa alla fine del 1608 dopo un soggiorno di otto anni in Italia.
In quel periodo entrambi i maestri erano egualmente apprezzati.
Tuttavia, non sarebbe passato molto tempo prima che Rubens dimostrasse finalmente il suo talento predominante e ascendesse a un livello artistico che sarebbe risultato al di là della portata dei suoi colleghi d'Anversa, incluso lo stesso Janssens. Durante questo periodo Janssens aveva raggiunto il culmine della sua creatività. La sua produzione successiva risulta meno convincente e, come quella degli altri suoi colleghi anversesi, sarebbe stata caratterizzata ma anche oscurata dallo stile audace di Rubens e dalla sua straordinaria tecnica pittorica.
Sulla parete opposta al dipinto di Janssens era esposta la colossale “Adorazione dei Magi”: Pieter Paul Rubens si confrontava con questo capolavoro dell'opera di Janssens.
Pareva che i due pittori della ‘Camera degli Stati’ fossero in competizione per il primato, ma si sarebbe trattato di un duello sbilanciato. Mentre ‘Scaldis e Antverpia’ rappresentava il vertice della carriera di Janssens e della sua parabola creativa, con la sua ‘Adorazione dei Magi’, l'astro di Rubens stava appena sorgendo, avviando una carriera fulminante che avrebbe avuto un impatto considerevole sulla vita artistica di Anversa, trasformando questa città in uno degli epicentri della cultura figurativa europea.
Per la sua opera, Rubens ricevette 1800 fiorini, oltre il doppio dei 750 fiorini percepiti da Janssens e anche più del doppio dell'importo speso dalla città per un dipinto in precedenza.
Arnold Houbraken, illustre biografo settecentesco dei pittori attivi nei Paesi Bassi nel Seicento, evidenziò anch'egli questa presunta rivalità nel suo ‘Grande teatro degli artisti e paesaggisti olandesi’.
Nella biografia dedicata a Janssens, l'autore presenta una visione di quest'ultimo che contrasta nettamente con quella dell’elegante, rigoroso e composto Rubens. Houbraken scrive che "Janssens si recava quotidianamente a passeggiare con la sua nuova moglie e si abbandonava all'ozio, il quale lo consumava come una falena; di conseguenza, la sua famiglia si trovò in difficili condizioni e alla fine cadde in povertà, mentre lui vagabondava con la testa china, cercando conforto nelle locande e tentando di lavare via i suoi problemi attraverso l'alcol".
Qualora questa contesa artistica tra due maestri fosse realmente avvenuta, avrebbe apportato significative trasformazioni alla vita artistica della città situata lungo il fiume Schelda. Tuttavia, al tempo dell’ordine, Janssens era uno dei pittori più illustri di Anversa. È quindi ragionevole che il magistrato cittadino gli abbia conferito tale incarico.
Oggi la tavola di Janssens è considerata da storici e studiosi d'arte un documento storico-politico di grande rilevanza. Sia la commissione sia l'iconografia di questo dipinto allegorico rimandano alle trattative di pace per la ‘Tregua dei dodici anni’, un periodo cruciale per Anversa durante la ‘Guerra degli Ottant'anni’.
Durante questo periodo di dodici anni, si verificarono pochi o addirittura nessun combattimento tra la Repubblica olandese e i Paesi Bassi asburgici soggetti all'Impero spagnolo. La tregua perdurò dal 1609 al 1621; il trattato che ne sanciva l'esistenza è noto anche come ‘Trattato di Anversa’. La dipendenza della prosperità di Anversa dal fiume Schelda è rappresentata in modo emblematico, rendendo evidente perché il magistrato cittadino avesse deciso di collocare il dipinto nello "Staetencamer" in un luogo d'onore: ciò attirava l'attenzione sull'importanza del fiume Schelda per consolidare la prosperità di Anversa, evidenziando così la necessità di riaprire il corso d'acqua alla navigazione.
L'opera "Adorazione dei Magi" si confronta con questo momento culminante dell'attività artistica di Janssens e, secondo alcuni critici, persino con l'artista stesso.
Tuttavia, non trascorse molto tempo prima che Rubens manifestasse finalmente il suo straordinario talento, raggiungendo un livello artistico inarrivabile per i suoi colleghi di Anversa, incluso Janssens.
È opportuno fare una breve menzione della vita dell’autore.
L’inizio della carriera di Abraham Janssens rimane ancora in gran parte avvolto nel mistero. Egli nacque ad Anversa nel 1574 o 1575, figlio di Jan e van Roelofken van Nuyssen.
Per distinguersi dai numerosi Abraham Janssens presenti ad Anversa in quel periodo, decise di aggiungere il cognome materno al proprio, facendosi chiamare Abraham Janssens van Nuyssen e firmando le sue opere di conseguenza.
Nel 1584 o 1585 intraprese un apprendistato presso Jan Snellinck, un artista privo di particolare personalità.
Fu solo nel 1601 che ottenne l’ammissione come maestro alla Gilda di San Luca ad Anversa; tale circostanza è parzialmente spiegata dal fatto che aveva precedentemente risieduto in Italia, più precisamente a Roma, come attestano i documenti rinvenuti nella Città Eterna. Divenne decano della medesima corporazione nel 1606. Nel 1608 sposò Sara Goedkind, dalla quale ebbe otto figli. Fu sepolto ad Anversa il 25 gennaio 1632.
Janssens si dedicò alla pittura di scene religiose, mitologiche e allegoriche, oltre a ritratti occasionali. Le sue prime opere, ancora impregnate dello spirito del Manierismo della fine del Cinquecento, si caratterizzano per un disegno elaborato e una tavolozza composta da colori mutevoli tipici del cangiantismo manierista.
La sua opera successiva risulta meno persuasiva e, analogamente a quella degli altri colleghi di Anversa, sarà influenzata dallo stile audace di Rubens e dalla sua raffinata tecnica pittorica.
Nonostante tutti gli sforzi per liberare la navigazione sul fiume Schelda essi rimasero vani. La ‘Guerra degli Ottant'anni’ si sarebbe conclusa soltanto nel 1648: dopo decenni di conflitti, la pace siglata quell'anno a Münster tra la Repubblica dei Paesi Bassi Uniti e il re Filippo IV di Spagna, la Spagna si trovò nell'obbligo di riconoscere l'indipendenza della Repubblica, mentre i Paesi Bassi meridionali rimasero sotto il dominio degli Asburgo ma determinò anche il destino del porto di Anversa. Una delle disposizioni più rilevanti del ‘Trattato di Münster’ stabiliva che la Schelda sarebbe rimasta chiusa.

domenica 16 febbraio 2025

Rubens e Caino uccide Abele

Nel 1608, nulla induceva Rubens a lasciare l'Italia: fra il duca di Mantova, la potente famiglia genovese degli Spinola, a Roma i cardinali Peretti di Montalto, Borghese e Serra, nonché gli ordini dei Gesuiti e degli Oratoriani probabilmente avrebbe potuto intraprendere una carriera completamente italiana. Tuttavia, quando ricevette a Roma la notizia della grave malattia di sua madre, partì per Anversa per assisterla. Purtroppo, al suo arrivo, scoprì che la madre era già deceduta. Dalla fitta corrispondenza che Rubens mantenne con eminenti personalità italiane mostra molte volte di avere intenzione di ritornare nel bel paese.
Dopo otto anni di assenza dalle Fiandre, diversamente dall’Italia dove il suo nome rimbalzava da un’impresa all’altra, si trovava in una situazione di quasi anonimato, ma nello stesso anno Rubens entrò al servizio dei reggenti delle Fiandre l’arciduca Alberto d'Austria e dell’infanta Isabella Clara Eugenia e, grazie alle commissioni per pale d’altare, iniziò a radicarsi nella città da lui scelta.
Durante i suoi primi dieci anni ad Anversa, si dedicò principalmente alla realizzazione di decorazioni per altari. In questo periodo la sua bottega produsse oltre sessanta pale d'altare: circa un terzo destinate alla città e il resto a varie chiese e monasteri delle Fiandre; alcune opere furono anche destinate a paesi stranieri. Le sue abilità narrative diventarono sempre più evidenti e negli anni Venti la sua fama si diffuse attraverso le riproduzioni incise delle sue opere.
Dopo la riconquista di Anversa da parte di Alessandro Farnese e il mantenimento del controllo spagnolo sulla città, vi era stato un forte sostegno al nuovo movimento della Controriforma o restaurazione della Chiesa cattolica: le chiese furono restaurate e rinnovate.
Artisti come Van Noort e Van Veen, che pure erano stati i suoi maestri, Abraham Janssens e Hendrick van Balen, ancora legati al Manierismo, furono trascurati mentre Rubens ricevette il maggior numero di commissioni. Tra le sue opere significative vi è ‘L'Innalzamento della Croce’ (1610-1611), dipinta per la chiesa di Santa Valpurga oggi scomparsa e attualmente esposto nella ‘Cattedrale di Nostra Signora’ di Anversa su incarico della ‘Corporazione dei Venditori di stoffe. Inoltre, la ‘Corporazione degli Artiglieri’ si rivolse a Rubens per un trittico comprendente la ‘Deposizione dalla Croce’ (1611-1614) con, nei pannelli laterali, rappresentazioni della ‘Visitazione’ e della ‘Presentazione al Tempio’.
Tra queste due opere di grande rilevanza si colloca la ‘Deposizione’, attualmente custodita a Ottawa. È importante sottolineare il ruolo di Nicolaas Rockox, che ricoprì più volte le cariche di assessore e sindaco di Anversa e si distinse come un appassionato estimatore d'arte. Rockox conferì a Rubens importanti commissioni artistiche, gettando così le basi per il successo del giovane maestro come pittore negli anni Dieci del Seicento. Questo periodo corrisponde grosso modo alla ‘Tregua dei dodici anni’ (1609 - 1621), all'interno della ‘Guerra degli Ottant'anni’ per l’indipendenza delle ‘Diciassette Province’ dall'Impero spagnolo. La Spagna riconobbe infine la sovranità della repubblica nel 1609, con il trattato noto come ‘Trattato di Anversa’. Tra le commissioni realizzate da Rubens per Rockox vi sono ‘L'Adorazione dei Magi’, attualmente conservata presso il ‘Museo Nazionale del Prado’ a Madrid, e il ‘Trittico Rockox’, commissionato per il monumento funebre di Rockox e sua moglie nella chiesa del monastero francescano di Anversa. In qualità di capo della corporazione degli artiglieri, Rockox si adoperò affinché Rubens ricevesse l'incarico per il suo capolavoro nella ‘Cattedrale di Nostra Signora’ di Anversa: la ‘Deposizione dalla Croce’. Inoltre, Rockox si assicurò che Filippo, il fratello maggiore di Rubens, fosse nominato segretario della città di Anversa. Ad Anversa affidò a Rubens una delle sue prime commissioni: ‘Sansone e Dalila’ (circa 1609). Proprio durante il suo ritorno ad Anversa, Rubens creò una delle opere significative della sua prima maturità artistica: ‘Caino che uccide Abele’ del 1608\9, oggi esposta al ‘Courtauld Institute of Art’ di Londra, dove è evidente l'impatto duraturo delle esperienze italiane su Rubens anche dopo il suo rientro nelle Fiandre. Tra queste due opere di grande rilevanza si colloca la ‘Deposizione’, attualmente custodita a Ottawa. È importante sottolineare il ruolo di Nicolaas Rockox, che ricoprì più volte le cariche di assessore e sindaco di Anversa e si distinse come un appassionato estimatore d'arte. Rockox conferì a Rubens importanti commissioni artistiche, gettando così le basi per il successo del giovane maestro come pittore negli anni Dieci del Seicento. Questo periodo corrisponde grosso modo alla ‘Tregua dei dodici anni’ (1609 - 1621), all'interno della ‘Guerra degli Ottant'anni’ per l’indipendenza delle ‘Diciassette Province’ dall'Impero spagnolo. La Spagna riconobbe infine la sovranità della repubblica nel 1609, con il trattato noto come ‘Trattato di Anversa’. Tra le commissioni realizzate da Rubens per Rockox vi sono ‘L'Adorazione dei Magi’, attualmente conservata presso il ‘Museo Nazionale del Prado’ a Madrid, e il ‘Trittico Rockox’, commissionato per il monumento funebre di Rockox e sua moglie nella chiesa del monastero francescano di Anversa. In qualità di capo della corporazione degli artiglieri, Rockox si adoperò affinché Rubens ricevesse l'incarico per il suo capolavoro nella ‘Cattedrale di Nostra Signora’ di Anversa: la ‘Deposizione dalla Croce’. Inoltre, Rockox si assicurò che Filippo, il fratello maggiore di Rubens, fosse nominato segretario della città di Anversa. Ad Anversa affidò a Rubens una delle sue prime commissioni: ‘Sansone e Dalila’ (circa 1609). Proprio durante il suo ritorno ad Anversa, Rubens creò una delle opere significative della sua prima maturità artistica: ‘Caino che uccide Abele’ del 1608\9, oggi esposta al ‘Courtauld Institute of Art’ di Londra, dove è evidente l'impatto duraturo delle esperienze italiane su Rubens anche dopo il suo rientro nelle Fiandre. Tra queste due opere di grande rilevanza si colloca la ‘Deposizione’, attualmente custodita a Ottawa. È importante sottolineare il ruolo di Nicolaas Rockox, che ricoprì più volte le cariche di assessore e sindaco di Anversa e si distinse come un appassionato estimatore d'arte. Rockox conferì a Rubens importanti commissioni artistiche, gettando così le basi per il successo del giovane maestro come pittore negli anni Dieci del Seicento. Questo periodo corrisponde grosso modo alla ‘Tregua dei dodici anni’ (1609 - 1621), all'interno della ‘Guerra degli Ottant'anni’ per l’indipendenza delle ‘Diciassette Province’ dall'Impero spagnolo. La Spagna riconobbe infine la sovranità della repubblica nel 1609, con il trattato noto come ‘Trattato di Anversa’. Tra le commissioni realizzate da Rubens per Rockox vi sono ‘L'Adorazione dei Magi’, attualmente conservata presso il ‘Museo Nazionale del Prado’ a Madrid, e il ‘Trittico Rockox’, commissionato per il monumento funebre di Rockox e sua moglie nella chiesa del monastero francescano di Anversa. In qualità di capo della corporazione degli artiglieri, Rockox si adoperò affinché Rubens ricevesse l'incarico per il suo capolavoro nella ‘Cattedrale di Nostra Signora’ di Anversa: la ‘Deposizione dalla Croce’. Inoltre, Rockox si assicurò che Filippo, il fratello maggiore di Rubens, fosse nominato segretario della città di Anversa. Ad Anversa affidò a Rubens una delle sue prime commissioni: ‘Sansone e Dalila’ (circa 1609). Proprio durante il suo ritorno ad Anversa, Rubens creò una delle opere significative della sua prima maturità artistica: ‘Caino che uccide Abele’ del 1608\9, oggi esposta al ‘Courtauld Institute of Art’ di Londra, dove è evidente l'impatto duraturo delle esperienze italiane su Rubens anche dopo il suo rientro nelle Fiandre.
Questa pregevole tavola a olio, delle dimensioni di 131 x 94 cm, fu realizzata tra il 1608 e il 1609, poco dopo il rientro dell’artista ad Anversa. La scena illustra un episodio dell’Antico Testamento ed è contraddistinta da una notevole dinamicità e potenza. Può essere considerata uno dei primi capolavori del barocco fiammingo. Sebbene presenti ancora elementi di sobrietà e si trovi in una fase embrionale, ha suscitato l’interesse degli appassionati d’arte per secoli, evidenziando l'eccezionale talento dell'artista nel ritrarre corpi muscolosi. Prima di procedere con l'analisi della tavola, risulta opportuno acquisire alcune informazioni sulla fonte letteraria che ha ispirato l'opera, confrontando la Bibbia ebraica con quella cristiana. Di seguito sono riportati i versetti dal 1 al 18 del IV capitolo della Genesi, i quali narrano l'intera vicenda di Caino e Abele e da cui Rubens ha tratto il momento culminante dell’assassinio.
«Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo dal Signore».
Poi partorì ancora suo fratello Abele.
Ora Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo.
Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto.
Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? 7 Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dominalo».
Caino disse al fratello Abele: «Andiamo in campagna!». Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise.
Allora il Signore disse a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?».
Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?».
Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra».
Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono! Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere».
Ma il Signore gli disse: «Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!».
Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l'avesse incontrato.
Caino si allontanò dal Signore e abitò nel paese di Nod, ad oriente di Eden.
Ora Caino si unì alla moglie che concepì e partorì Enoch; poi divenne costruttore di una città, che chiamò Enoch, dal nome del figlio.
A Enoch nacque Irad; Irad generò Mecuiaèl e Mecuiaèl generò Metusaèl e Metusaèl generò Lamech.»
Ecco una sintesi della narrazione di Adamo ed Eva, che informa riguardo ai loro due figli maggiori, Caino e Abele. Entrambi presentarono offerte a Dio; tuttavia, quando il sacrificio di Caino venne rifiutato, egli, mosso da gelosia e invidia, uccise il fratello. Nel testo originale in ebraico, al versetto 7 del quarto capitolo della Genesi, si trova un passaggio di difficile interpretazione: “Se farai bene sarai esaltato; ma se non farai bene… Il peccato è alla porta; desidera te, ma tu devi dominarlo.” I Padri della Chiesa e gran parte della tradizione rabbinica antica sostengono che Dio inviò un fuoco dal cielo per consumare le offerte di Abele come segno del Suo gradimento. Nella traduzione greca dei Settanta, la colpa di Caino sembra consistere nel fatto che egli offrì a Dio la parte peggiore dei frutti della terra. Inoltre, sia la tradizione ebraica sia quella cristiana affermano che Caino fosse avido e vizioso mentre Abele era giusto e virtuoso. Tuttavia, queste sono solo interpretazioni tradizionali senza fondamento filologico poiché nel testo biblico originale non vi è alcun riferimento a tali caratteristiche. I due fratelli sono descritti esclusivamente attraverso le loro professioni: Caino rappresenta l'agricoltura sedentaria mentre Abele è un pastore, un'attività tipica dei popoli seminomadi dell'antico Vicino Oriente. È storicamente noto che tra contadini e pastori vi fosse una significativa conflittualità nell'età preistorica e anche in quella protostorica poiché la pastorizia danneggiava l'agricoltura. Pertanto, l'episodio biblico potrebbe alludere proprio a questa rivalità. Si ipotizza che la redazione scritta del testo sacro avvenne durante la cattività babilonese, fra il VII e il VI secolo a.C., ma su questo punto esistono opinioni divergenti tra i filologi che propongono il V secolo.
Rubens era un pittore colto ma non esperto di filologia biblica; pertanto seguì la tradizione cristiana. Dopo questa necessaria introduzione letteraria per contestualizzare l'Arte, osserviamo ora il dipinto.
L'opera illustra il momento in cui Caino uccide il fratello Abele, e la composizione del dipinto si distingue per la sua straordinaria capacità di sintesi, ottenuta attraverso una ricchezza di dettagli e una complessità che solo un artista della grandezza di Rubens potrebbe conseguire. Essa rappresenta un'armoniosa integrazione tra l'analiticità fiamminga e la sinteticità italiana. La scena appare caratterizzata da una notevole violenza. In questo contesto, ritengo che Rubens possa aver trovato ispirazione nel 'Martirio di San Matteo', situato nella 'Cappella Contarelli' a 'San Luigi dei Francesi', sebbene con le necessarie differenze legate al contesto.
Mentre "Il martirio di San Matteo" si svolge in un tempio affollato, l'assassinio di Abele è ambientato in un mondo desolato e primordiale. La narrazione si sviluppa all'interno di un paesaggio montano, caratterizzato da una vegetazione lussureggiante che offre uno sfondo naturale piuttosto oscuro, conferendo alla vicenda un senso di isolamento e una natura selvaggia sotto un cielo drammaticamente livido, il quale riflette la tensione tragica del momento narrativo.
Un elemento fumoso, forse di origine soprannaturale, proviene da un barile situato vicino alla figura eretta di Caino, creando nell'aria un'atmosfera mistica o addirittura minacciosa. La scena risulta violenta e intensa, raffigurando un 'mito' con simbolismi o allegorie antiche quasi ancestrali.
Le due figure maschili muscolose sono coinvolte in una lotta feroce; i loro corpi contorti dall’azione evidenziano lo sforzo fisico e l'intensità emotiva del momento. Caino, posizionato a sinistra, con il suo corpo possente e il volto colmo di rabbia, domina la scena: è rappresentato con una muscolatura tesa allo spasimo mentre solleva il braccio destro, probabilmente per infliggere un colpo mortale al più giovane Abele. La sua espressione facciale trasmette feroce determinazione e rabbia; le sue sopracciglia aggrottate e la bocca aperta suggeriscono che stia emettendo un urlo disperato.
Abele, sebbene anch'esso muscoloso, giace quasi indifeso a terra; nel tentativo di sottrarsi al colpo imminente mostra stupore, difesa e dolore. Il suo braccio sinistro è sollevato in un debole tentativo di protezione mentre il suo corpo si piega per attutire l'impatto. La sua espressione aggiunge un elemento toccante alla scena rivelando paura.
Cosa impedisce al pur forte Abele di difendersi con maggiore determinazione? Potrebbe trattarsi dell'effetto sorpresa? È possibile. Ma Rubens vuole piuttosto evidenziare la differente psicologia dei due fratelli così diversi, come la tradizione cristiana e quella rabbinica raccontano. La devozione di Abele, il pastore, nei confronti del Signore è segno di grande bontà perciò, egli non alzerebbe mai la mano contro suo fratello e non avrebbe neppure potuto immaginare che suo fratello potesse alzare la mano contro di lui. La riluttanza di Caino nei confronti dei sacrifici al Signore, sempre in un ambito di risparmio e di detrazione secondo la tradizione rabbinica e cristiana, è indicativa di un animo meno puro e meno riconoscente.
Ma questo la Bibbia non ce lo dice.
Pertanto, Caino apparirebbe meno gradito a Dio e, di conseguenza, non esita a sollevare la mano omicida contro suo fratello. La scena è indubbiamente molto violenta. Rubens ha avuto modo di conoscere bene questo tipo di violenza vivendo a Roma, che ai tempi di Caravaggio era una delle città più pericolose in termini di criminalità. Camminare di notte per quelle strade buie e prive di sorveglianza comportava un rischio elevato: gli stupri di donne e minori erano all'ordine del giorno e spesso non venivano denunciati per vergogna o paura; l'unica eccezione sarebbe stata la denuncia da parte di Artemisia Gentileschi qualche anno dopo. La pedofilia era una pratica comune e tollerata.
Per i giovani, fin dall'adolescenza, era consueto muoversi in gruppo e armati: con coltelli, rasoi, spade o bastoni, a seconda della classe sociale e della ‘dignità’ dell'individuo. Ogni anno bande armate dei vari quartieri si affrontavano tra loro; già allora esistevano clan criminali e anche ambasciate straniere coinvolte nei loro conflitti (francesi, spagnoli, austriaci e fiammingo-olandesi), lasciando morti e feriti sulle strade. Inoltre, risolvere le dispute familiari o tra vicini attraverso la violenza era una pratica comune. Questo implica che nella Roma ai tempi di Caravaggio – ben nota anche a Rubens – l'uso della violenza come mezzo di sopraffazione fosse qualcosa di assolutamente abituale, normale e non perseguito dalla legge per incapacità o indolenza.
È evidente quanto questo contesto abbia influenzato la creazione dell'opera in questione. Dal punto di vista tecnico, sebbene questa tavola non sia in condizioni ottimali, presenta comunque notevoli punti di forza. Ciò che colpisce immediatamente è l'uso dei colori: Rubens ha selezionato una tavolozza ricca e vivace, con tonalità calde e fredde che generano un contrasto molto drammatico.
I dettagli negli abiti e negli accessori dei due personaggi sono sorprendenti per la varietà delle trame e dei motivi, conferendo così profondità e realismo all’opera stessa. Ma non è tutto! Questo rappresenta anche un omaggio da parte di Rubens alla pittura lenticolare della tradizione fiamminga.
La storia dietro questo dipinto è davvero affascinante. Fin dall'inizio, quest'opera è stata considerata una delle più significative della prima maturità artistica di Rubens ed è rapidamente divenuta un modello iconico per le rappresentazioni future su questo tema. Esistono alcuni dettagli poco conosciuti del dipinto che lo rendono ulteriormente intrigante; si narra infatti che la figura di Caino sia ispirata dallo stesso Rubens, il quale amava includere ritratti personali nelle sue opere.
Ma se fosse vero, perché si sarebbe presentato nei panni di Caino? Questa è una domanda alla quale, al momento, non siamo in grado di fornire una risposta con gli studi su Rubens attualmente a nostra disposizione. Le figure muscolose che osserviamo sono influenzate dal suo recente soggiorno-studio in Italia. In particolare, si evidenzia quanto abbia approfondito la scultura dell'antichità classica; l'immagine del ‘Laocoonte’ ha avuto un impatto notevole sulla sua opera, così come la muscolatura dei due personaggi trae ispirazione anche dall'opera di Michelangelo. È impossibile non pensare agli ‘Ignudi’ della ‘Cappella Sistina’ e alla potenza espressiva dei ‘Prigioni’ per la tomba di Giulio II della Rovere! Quest’opera segna indubbiamente un momento cruciale nella carriera di Rubens, rappresentando uno dei suoi lavori in cui il maestro ha finalmente saputo mescolare in modo potente tutto ciò che ha appreso ad Anversa con le impressioni ricevute in Italia. Considerata l'epoca in cui è stata realizzata, possiamo considerarla una delle prime vere espressioni della pittura barocca europea. La ricchezza emotiva e il dinamismo dell’azione sono davvero straordinari! Questo stile, tipico del Barocco, riesce a mettere in risalto la tensione drammatica e le emozioni nel loro massimo splendore.
Tuttavia, oltre agli aspetti stilistici, l'opera di Rubens suscita alcune riflessioni personali. È la prima volta che mi dedico a un tema iconografico quale l'uccisione di Abele da parte del fratello Caino. Nel passo citato dell'Antico Testamento non viene chiarito il motivo per cui Dio favorisca l'offerta di Abele rispetto a quella di Caino. Fin dai primi studi biblici, la questione della preferenza divina per il sacrificio di Abele ha generato dibattiti tra gli studiosi, i quali non sono mai riusciti a raggiungere un consenso definitivo poiché la Bibbia non specifica mai le ragioni dietro tale scelta.
La rivalità fraterna emerge come un tema ricorrente che attraversa le narrazioni della Torah, dai primi cinque libri dell'Antico Testamento fino alla storia del re Davide e oltre: tali rivalità risultano così centrali nella narrazione biblica da manifestarsi sin dall'inizio con i primissimi fratelli, Caino e Abele. La questione si complica quando entrambi presentano un sacrificio al Signore. Caino, essendo primogenito e agricoltore, offre ciò che produce grazie al suo lavoro; Abele, secondogenito e pastore, presenta invece il prodotto del suo pascolo.
Il testo afferma che il Signore “ha riguardo” solamente per il sacrificio di Abele, provocando in Caino gelosia, ira e infine l’omicidio del fratello Abele; questo è seguito poco dopo dalla sua cacciata (Genesi 4:1–6). Ma perché Dio predilige l’offerta di Abele rispetto a quella di Caino? La narrazione della Genesi si concentra sulla reazione di Caino dopo l’omicidio senza approfondire i motivi sottostanti alle preferenze divine.
Una delle spiegazioni più comuni suggerisce che Dio abbia scelto l'offerta di Abele in quanto rappresentava il primogenito del suo gregge, mentre l'offerta di Caino era una semplice "varietà da giardino" composta da prodotti misti. Il concetto del sacrificio del primogenito è un tema ricorrente nell'intera Bibbia, incluse le leggi sacerdotali relative ai sacrifici, il quasi sacrificio di Isacco da parte di Abramo nel ventiduesimo capitolo della Genesi, la figlia di Iefte con il terribile voto paterno narrato nell'undicesimo capitolo del Libro dei Giudici e, naturalmente, il sacrificio simbolico di Gesù nel terzo capitolo del Vangelo secondo Giovanni. Tuttavia, il testo non presenta valutazioni negative sull'offerta di Caino se non affermando semplicemente che Dio non avrebbe "considerato" tale offerta. Inoltre, offrire le primizie del campo sarebbe poi divenuta una prescrizione divina come indicato altrove nella Torah; pertanto risulta difficile sostenere che Dio potesse dispiacersi per qualcosa che successivamente avrebbe ordinato a tutti gli Israeliti.
È probabile che, sebbene meno soddisfacente dal punto di vista etico, la spiegazione risieda nell'osservare ciò che accomuna tutti i fratelli favoriti nella storia di Israele. La maggior parte di essi è composta da secondogeniti o figli più giovani e frequentemente ricoprivano il ruolo di pastori: Abele, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Giuda e Davide. La Bibbia ritrae questi personaggi come i "piccoli" nelle rispettive narrazioni. L'essere pastori li ha distinti come nomadi che vivevano ai margini delle civiltà agricole, caratterizzate da contadini sedentari che facevano maggiore affidamento sui propri sforzi collettivi per costruire comunità, accumulare ricchezze e fondare città; da queste ultime i nomadi pastori sarebbero sempre stati in qualche modo dipendenti.
Numerosi studiosi sostengono che Dio si mostrò favorevole al sacrificio di Abele in quanto rappresentante dei nomadi pastori poiché gli autori biblici intendevano promuovere uno stile di vita nomade e pastorale che rifletteva l'identità israelita rispetto allo stile di vita agricolo e allo sviluppo urbano incarnati dall'offerta di Caino. Pertanto, anche se non abbiamo certezze riguardo al motivo per cui Dio accolse l'offerta di Abele piuttosto che quella del fratello Caino, questa scelta appare coerente con la preferenza espressa per il fratello minore rispetto al primogenito lungo tutto il testo biblico e con la valorizzazione dei pastori e dei nomadi rispetto a coloro che abitavano le città.
La questione relativa al perché Dio scacci Caino ma poi lo segni affinché nessuno possa ucciderlo è profondamente complessa: la risposta implica un tentativo di interpretare il racconto in un modo che auspico possa facilitarne la comprensione.
La vicenda di Adamo ed Eva è completamente astorica nel senso che non sono direttamente interessati alla storia nel modo in cui la concepiamo oggi. I capitoli 1-11 della Genesi sono considerati astorici nel contesto degli studi teologici poiché presentano narrazioni difficili o quasi impossibili da verificare storicamente. Non desidero apparire blasfemo; tuttavia possono essere storicamente comparati ad altre cosmogonie e teogonie presenti nelle tradizioni letterarie della Grecia e del Vicino Oriente mediterraneo, pur mantenendo ciascuna delle peculiarità proprie delle culture che le hanno prodotte.
La tradizione ebraica, generalmente caratterizzata da un approccio più astratto, presenta una narrazione altamente stilizzata la cui interpretazione è simbolica e allegorica. I racconti contenuti nei primi undici capitoli della Genesi, che trattano delle origini del genere umano, veicolano un significato profondo e di grande rilevanza, attinente a aspetti moralmente significativi espressi tramite simbolismo o metafore. In questo contesto, Adamo ed Eva, così come Caino e Abele, non devono essere considerati semplicemente come entità fisiche. Il loro significato nelle tre religioni abramitiche implica che Dio ha effettivamente creato i nostri progenitori umani e che attraverso le loro scelte errate si è verificata una deviazione morale o un peccato nella storia dell'umanità.
A seguito di questo primo peccato, tutta l'umanità, a partire da Caino e Abele in quanto discendenti di tali figure umane, ha perso la sua innocenza originale ed è diventata soggetta al peccato. Il nome Adamo deriva dalla parola ebraica che significa uomo o genere umano; similmente, Eva proviene dalla parola ebraica che significa vita o vivere, assumendo pertanto anche il significato di generatrice in senso metaforico. Per quanto riguarda Caino, il suo nome trae origine da una parola ebraica che indica acquisizione o possesso; mentre il nome Abele è associato a una parola ebraica che significa ampiezza o vapore.
Analizzando i significati dei nomi Adamo ed Eva si può dedurre che non si fa riferimento a un singolo individuo creato da Dio; piuttosto risulta più corretto affermare che Yaweh ha creato l'uomo/l'umanità nel suo complesso. Ne consegue il concetto di "Facciamo l'uomo/il genere umano a nostra immagine e somiglianza", piuttosto che "Facciamo quest'uomo". Eva appare in questo contesto suggerendo che l'uomo o l'umanità creata da Dio possedeva "vita" ed è divenuta entità 'vivente'. Così facendo è evidente che Dio ha creato l'uomo/umanità (Adamo) rendendoli esseri viventi (Eva), separandoli ora in maschio e femmina. Le implicazioni di ciò sono tali per cui Adamo ed Eva non rappresentano semplicemente due individui ma piuttosto un insieme di molteplici identità.
Anche i nomi Caino e Abele rimandano ai concetti legati ad azioni piuttosto che a specifiche parole riguardanti l’essere umano, indicando quindi come l'umanità abbia iniziato a possedere/acquisire (Caino) figli e a generare (Abele) una discendenza come Jaweh aveva comandato loro (Adamo ed Eva) di fare: "Siate fecondi, moltiplicatevi e riempite la terra" (Genesi 1:28). L’assassinio di Abele ad opera di Caino simboleggia innanzitutto la complessità del peccato umano: la prima coppia genitoriale ha peccato dando origine al peccato originale; tale peccato ora si riproduce anche nella loro progenie.
Questa narrazione funge anche da allegoria del conflitto storico tra agricoltori e pastori, poiché tali professioni rappresentano le prime attività umane. Essa svolge un ruolo di ammonimento nei confronti della gelosia e dell'ira, emozioni capaci di sfociare nella violenza e nel peccato. L'espressione "Dio mise un segno" deriva dall'ebraico "Jaweh pose un segno su Caino". Il termine ebraico può essere interpretato come segno, marchio o indicazione. In questo contesto non si fa riferimento a un segno specifico tracciato con inchiostro o vernice; piuttosto, si tratta di una formulazione allegorica che indica che Dio lo distinse o lo proteggesse dagli attacchi ritorsivi al fine di salvaguardarlo dalla morte, evitando così ulteriori omicidi. Pertanto, il segno implica che Dio lo coprì o lo difese dalle aggressioni esterne.
Chi erano i potenziali assassini... il secondo uomo dopo Adamo? Dall'analisi precedente emerge chiaramente che Caino non possa essere considerato il secondo uomo dopo Adamo, poiché Adamo simboleggiava l'intera umanità. Il termine "genere umano" è definito come l'insieme di tutti gli esseri umani viventi sulla Terra. Pertanto, Adamo si riferiva a tutti gli abitanti viventi del pianeta, piuttosto che a un singolo individuo. Di conseguenza, possiamo dedurre che i potenziali aggressori dai quali Dio ha protetto o contrassegnato Caino fossero gli altri abitanti della Terra, i quali avrebbero potuto desiderare vendetta per l'uccisione di Abele. Questo chiarisce anche la questione riguardante Caino e la donna da lui sposata, dalla quale ebbe dei figli: da dove proveniva questa donna? Essa derivava da Adamo (il genere umano) che generava (Eva) su tutta la Terra.

sabato 1 febbraio 2025

Rubens, La Deposizione di Ottawa e La Deposizione vaticana di Caravaggio

Come tanti artisti olandesi, anche Rubens (1577 – 1640) decise di trasferirsi in Italia dopo aver completato la sua formazione ad Anversa. I suoi anni in Italia, dal 1600 al 1608, arricchiti da un breve ma intenso soggiorno in Spagna nella primavera-estate del 1603, ebbero un impatto enorme su questo giovane pittore ambizioso. Finalmente poteva sperimentare di persona l'arte dell'antichità e del Rinascimento, invece di farlo solo attraverso i suoi maestri fiamminghi.
Nel 1606, Rubens fu scelto per realizzare la pala dell'altare maggiore della Chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma. Questa chiesa, rifatta alla fine del Cinquecento, è oggi conosciuta come 'Chiesa Nuova' ed era il luogo dove officiavano i padri oratoriani, una congregazione fondata da San Filippo Neri. Qui Caravaggio aveva dipinto la famosa ‘Deposizione di Cristo’ per l’altare della ‘Cappella della Pietà’, commissionatagli da Girolamo Vittrice nel 1602 o 1603; quell'opera fu spostata nei ‘Musei Vaticani’ a causa dei furti napoleonici.
Realizzare la decorazione dell’altare maggiore in quella chiesa era un incarico davvero prestigioso per un artista straniero.
Rubens conosceva già alcune opere pubbliche che il grande maestro lombardo aveva creato a Roma; mentre lavorava alla sua opera nella Vallicella – che tra l'altro suscitò qualche polemica – ebbe modo di osservare attentamente il lavoro di Caravaggio. Si dice che passasse molto tempo ad ammirare quella tela, mentre si dedicava alla sua innovativa pala d'altare tripartita per l’altare maggiore della chiesa.
Quindi, se la ‘Deposizione Borghese’ ha alcune influenze caravaggesche, ‘La deposizione nel sepolcro’ della ‘Galleria Nazionale del Canada’ a Ottawa sembra quasi una copia perfetta di quella di Caravaggio. Anche se non è proprio una copia, sicuramente si tratta di un’emulazione ben riuscita – l’emulazione è un po' come prendere spunto da un altro artista.

L’opera di Ottawa è particolarmente importante e risale al periodo 1611-1612, realizzata dal maestro fiammingo a Anversa (siamo quindi a tre o quattro anni dal suo ritorno in patria). È un olio su legno più piccolo rispetto alla ‘Deposizione Borghese’.
Inizialmente si pensava che questo dipinto fosse stato creato a Roma, ma già dalla fine dell’Ottocento si è cominciato a ritenere che fosse stato eseguito dopo il ritorno di Rubens ad Anversa nel 1608. Considerando le tecniche e i materiali usati, sembrava poco probabile che il giovane Rubens avesse potuto averlo fatto a Roma: infatti, la ‘Deposizione’ è dipinta su un costoso pannello di quercia del Baltico, tipico del nord Europa ma difficile da trovare in Italia. Anche la tecnica e lo stile sono più caratteristici delle opere di Rubens nelle Fiandre; in Italia il giovane artista usava materiali locali ed emulava le tecniche dei pittori del posto, ottenendo risultati molto diversi dalla luminosità di questo dipinto.
Oggi tutti gli studiosi concordano sul fatto che l’opera sia stata realizzata dopo il ritorno di Rubens ad Anversa. In generale, gli esperti tendono a datarla tra il 1612 e il 1614, considerandola come una risposta meno immediata alla ‘Deposizione’ di Caravaggio.
Partendo dalla datazione ipotizzabile e mancando prove documentali, gli studiosi si sono potuti affidare solo al confronto stilistico e iconografico per cui si è oscillato dal 1617 – datazione più recente –proposto da Georgia Wright[1], al 1616 proposto da J. Held, al 1614 proposto dal conte Seilern[2]; Jaffé lo ha datato al 1612 – datazione più antica –, sebbene l'anno 1613 sembrerebbe più plausibile perché, per confronti stilistici, lo collocherebbe poco dopo il completamento del pannello centrale del trittico di Anversa.
La pala d'altare della ‘Deposizione’ nella ‘Chiesa di Saint Géry’, a Cambrai, fornisce una solida prova di un ‘terminus ante quem’ per la tavola di Ottawa infatti la pala d'altare di Cambrai, ancora una volta sviluppo del tema caravaggesco, è documentata in modo convincente come offerta dal committente nel 1616: se in realtà confrontiamo le due opere, possiamo tuttavia collocare la ‘Deposizione’ di Ottawa a qualche anno prima in base all’analisi stilistica.
Insomma, qualunque metodo decidiamo di usare per cercare di datare la tavola di Ottawa – che sia attraverso lo stile, l'iconografia o prove circostanziali (che, tra l'altro, sono sempre meno oggettive rispetto a quelle documentali) – finiamo sempre per collocarla in un periodo leggermente successivo al trittico dell’'Elevazione della Croce’ del 1610.
L’'Elevazione della Croce' è davvero un'opera chiave perché, oltre ad aver dato il via alla serie di pale d'altare sulla ‘Passione’ di Rubens, è anche stilisticamente molto vicina alla ‘Deposizione’ di Ottawa. D'altra parte, siamo comunque un po' prima rispetto agli altri dipinti della ‘Deposizione’ e del ‘Compianto’ del 1614 di Anversa, che presentano già un'iconografia ben sviluppata e uno stile decisamente più classico.
Quindi, possiamo dire con certezza che parliamo di un periodo che va dal 1610 al 1613. Dopo aver esaminato tutte le possibili date e le varie opinioni emerse dalla discussione su quest’opera, penso che la ‘Deposizione’ di Ottawa sia stata dipinta poco prima o più o meno nello stesso periodo del pannello centrale della grande ‘Deposizione dalla Croce’, quindi tra il 1611 e il 1613.[3]
Beh, se la datazione non è molto chiara, di quello che è successo dopo l'esecuzione dell'opera si sa davvero poco, soprattutto a causa della perdita di documenti che potrebbero rivelare chi l'ha commissionata, dove doveva andare e quale fosse la sua funzione. Si può solo ipotizzare che, essendo di dimensioni ridotte, fosse destinata a un uso per la devozione privata. L'unica informazione certa è che ne abbiamo notizia per la prima volta nella collezione dei principi del Liechtenstein, che la possedevano almeno dal 1733; lì è rimasta fino a quando non è stata acquistata dalla ‘Galleria Nazionale del Canada' nel 1956. Parlando di stile e iconografia, oltre al suo valore come documento della Controriforma, questa ‘Deposizione’ di Rubens è davvero uno dei veri tesori della collezione della ‘Galleria Nazionale del Canada’ a Ottawa.
La versione di Rubens della ‘Deposizione’ di Caravaggio è davvero interessante perché mostra quanto il maestro lombardo abbia influenzato il pittore fiammingo. Se la si guarda rapidamente, si potrebbe pensare che la ‘Deposizione’ di Ottawa sia quasi una copia del dipinto di Caravaggio, solo con personaggi dai capelli chiari e dalla pelle più bianca, che si adattano meglio ai colori tipici dei nordici.

Ho messo a confronto le due immagini così si può notare subito questa sensazione.
Osserviamo ora con attenzione la ‘Deposizione’ di Caravaggio, fonte ispiratrice del dipinto di Rubens.
È un grande dipinto a olio su tela che misura 300 x 203 cm. Caravaggio ha realizzato questa pala d'altare, che si trova al Vaticano, intorno al 1603, più o meno. È davvero uno dei suoi capolavori più straordinari e rappresenta bene l'arte della prima Controriforma in Italia. Con quest'opera, Caravaggio voleva trasmettere l’idea di unire il corpo sacrificato di Cristo con il momento più solenne della Messa, cioè la Consacrazione dell’Ostia all’altare dove si trova la pala.
Dopo la crocifissione, alcuni discepoli di Cristo come Nicodemo, Giuseppe d'Arimatea e Maria Maddalena, insieme alla Madre, hanno calato il corpo di Cristo dalla croce e lo hanno deposto nella tomba. In questo dipinto possiamo notare la rivoluzione caravaggesca: l'oscurità. Caravaggio ha dipinto questa scena come se stesse accadendo nel buio della notte, quasi creando un ‘effetto riflettore’ sulle figure. Sembra proprio che tutto avvenga su un palcoscenico buio illuminato da una luce intensa.
Si sa che per questa tecnica innovativa della luce, il maestro lombardo usava lampade per far risaltare i singoli personaggi nell'oscurità del suo studio. Non c'è alcuno sfondo. C’è solo oscurità: niente architettura o paesaggio, così l'osservatore può concentrarsi completamente sulle figure, tutte posizionate in primo piano. L'illuminazione crea un effetto drammatico con forti contrasti tra luce e ombra.
In pratica, mentre di solito il modo in cui modelliamo i corpi passano lentamente dalla luce all'oscurità, qui abbiamo invece delle ombre molto scure che si trovano proprio accanto a zone di luce intensa, creando un effetto davvero drammatico. Tutto è messo in primo piano e molto vicino a chi osserva: il corpo di Cristo è così vicino che sembra quasi di poterlo toccare. La pietra dell’unzione sporge in modo tale da entrare nel nostro spazio, lo stesso vale per il gomito di Nicodemo, in arancione, che sorregge le gambe di Cristo; anche quello sembra quasi entrare nel nostro mondo tridimensionale. E poi c'è lo sguardo attento di Nicodemo verso la cappella che stabilisce una connessione con chi guarda.
È interessante notare che Caravaggio ha dato a Nicodemo le sembianze del suo amato Michelangelo.
A parte questo dettaglio, questa prospettiva sarebbe diventata una delle caratteristiche principali del Barocco, segnando i suoi primi passi anche con Caravaggio: si tratta praticamente di abbattere la barriera tra il nostro spazio e quello del dipinto. Per questo motivo, l’osservatore si sente coinvolto. Anche se la ‘Sepoltura’ del maestro lombardo è la sua opera meno statica, qui vediamo Cristo adagiato sulla pietra dell’unzione prima di essere calato nella tomba o subito dopo l'unzione mentre sta per essere posto nel sepolcro. Personalmente penso che sia più probabile la seconda alternativa.
È un momento catturato davanti ai nostri occhi; sembra quasi un fermo immagine in mezzo all'azione. Nella composizione del dipinto le figure formano una linea diagonale, una caratteristica che diventerà molto importante nell'arte barocca insieme alle linee curve e all’ellissi; cosa ben diversa dal Rinascimento dove le composizioni sono per lo più piramidali e quindi molto stabili, con linee rette e circonferenza. Questa struttura diagonale, comune nel Seicento, riflette la profonda crisi conoscitiva dell’età barocca e mostra quel senso di precarietà dell'uomo di quel secolo rispetto alle solide certezze dell'uomo rinascimentale.
Caravaggio ha messo insieme la composizione in modo che il corpo di Cristo sembri quasi calato direttamente nel nostro spazio, come se noi fossimo lì davanti alla pietra e al sepolcro. Questa lastra di pietra 'angolare' è un chiaro riferimento a Cristo come base della Chiesa. Uno dei suoi obiettivi principali era coinvolgere lo spettatore, seguendo le indicazioni del Concilio di Trento riguardo all’arte.
L’arte di Caravaggio è molto realistica: non solo le figure sembrano vere, ma ci trasmette anche il significato storico e teologico di quel momento storico. Il corpo di Cristo appare davvero esanime; gli altri personaggi fanno fatica a reggerne il peso mentre cercano di appoggiarlo delicatamente nella grotta-tomba che si intravede nell’oscurità a sinistra. Le figure sono tutte persone comuni, senza alcuna idealizzazione. Prendiamo per esempio Nicodemo, che sostiene le gambe di Cristo: i suoi piedi e le sue gambe sono così normali che possiamo immaginare quanto possano essere sporchi, proprio come nella ‘Madonna dei pellegrini’ nella ‘Chiesa di Sant’Agostino’ a Roma. Anche Cristo, con Caravaggio che punta sulla sua umanità piuttosto che sulla sua divinità, sembra un giovane uomo qualsiasi, pur essendo dotato di una bellezza scultorea.
Con ogni figura l'osservatore riesce a identificarsi meglio, a differenza delle figure perfette e idealizzate del Rinascimento.
Siamo davvero lontani dalla ‘Deposizione Baglioni’ di Raffaello del 1507!
Una delle figure più affascinanti del dipinto di Caravaggio è Giovanni, il discepolo preferito, che tiene le spalle di Cristo. 
Ha un braccio sotto il suo torso e mentre le sue dita si allungano intorno al corpo di Cristo, scivolano sulla ferita che ha ricevuto quando un soldato romano lo colpì al costato con una lancia sulla croce. Questo realismo potrebbe mettere a disagio chi guarda, se non addirittura inquietarlo, ma è proprio questo l'obiettivo della pittura naturalista di Caravaggio: vuole toccare il corpo e l’anima dello spettatore, facendogli quasi vivere quelle sofferenze. Immaginare qualcosa nella nostra mente è una cosa, ma vederlo davvero è tutta un'altra storia: leggere la 'Passio' nei Vangeli ci emoziona sicuramente, ma assistere al film di Mel Gibson ‘La passione di Cristo’ è un'esperienza ben diversa.
Nel corso del tempo, la ‘Deposizione’ di Caravaggio è stata copiata tantissimo: si conoscono almeno quarantaquattro copie tra disegni, dipinti o incisioni; tra queste forse la prima è quella di Rubens.
La ‘Deposizione’ del maestro lombardo ha una tragicità simile alla Pietà vaticana di Michelangelo, e sono sicuro che Caravaggio avesse in mente quest'ultima mentre lavorava sul suo dipinto, specialmente per quanto riguarda la figura di Cristo: le posture sono praticamente identiche.
Gran parte dell'emozione è espressa attraverso i gesti: Nicodemo che quasi abbraccia le gambe di Cristo, l'anziana Vergine che lo benedice e allunga le braccia come per avvolgere tutto il gruppo e, più toccante di tutti, il braccio destro senza vita di Cristo e la sua mano sinistra appoggiata sul suo ventre. Poi ci sono le braccia alzate di Maria di Cleofa che guarda in alto, verso la luce, come se cercasse una guida divina.
Il gruppo è disposto a ventaglio ed è così compatto e monumentale che sembra una scultura. Sono fermi nel momento in cui i dolenti si fermano prima di portare il corpo nella camera funeraria. La leggera inclinazione a sinistra indica dove stanno andando e impedisce al quadro di apparire statico, proprio come il bordo affilato della pietra su cui esitano.
Quando il sacerdote solleva l'Ostia nella penombra della cappella, l'effetto sui fedeli è quello di evocare il sacrificio proprio lì sopra l'altare, in perfetta sintonia con l'ideale cristiano proposto da San Filippo per la sua comunità come un'esperienza diretta e viva.
Grazie a un realismo straordinario e a un’illusione convincente, il corpo di Cristo sembra scendere dal piano bidimensionale del dipinto verso il vero altare tridimensionale. Caravaggio riesce così a rappresentare alcune delle dottrine stabilite dai Padri conciliari di Trento. Ad esempio, questi affermano che “con la conversione del pane e del vino, tutta la sostanza del pane diventa corpo di Cristo e quella del vino diventa sangue”. Inoltre dicono che “il corpo stesso del Signore e il suo sangue insieme alla sua anima e divinità esistono sotto la specie del pane mentre il corpo stesso è sotto la specie del vino”.
In altre parole, secondo il Canone tridentino, entrambi gli elementi dell’Ostia contengono tutte le proprietà del corpo e del sangue di Cristo. Tenendo presente questo concetto, possiamo dire che l’azione nel dipinto è "incompleta finché il sacerdote non è pronto a ricevere il corpo offerto". Questo significa che c’è un collegamento diretto tra ciò che vediamo nel dipinto e un momento specifico della Messa: subito dopo le parole "Questo è il mio corpo", quando il sacerdote solleva l’Ostia consacrata perché i fedeli possano adorarlo.
Durante la messa tridentina, celebrata in latino, l’officiante aveva le spalle volte ai fedeli e come oggi solleva l’ostia davanti all’assemblea allora la sollevava in alto verso il dipinto.
È curioso sapere che Caravaggio, spesso visto come un artista maledetto, da bambino fu educato al Catechismo tridentino da Costanza Colonna Sforza, marchesa di Caravaggio e fervente sostenitrice del cardinale Carlo Borromeo, che avrebbe protetto l’artista per tutta la vita. Quindi, possiamo dire che il pittore, nonostante le sue sregolatezze, è sempre stato profondamente influenzato dalle idee rigorose di San Carlo vivendo drammaticamente il rapporto fra purezza e peccato.
Ora diamo un’occhiata più da vicino alla ‘Deposizione’ di Ottawa.
Rubens ha modificato alcuni elementi chiave della composizione, come i dettagli degli abiti, le espressioni dei volti, i colori e l'ambientazione. Tuttavia, in molti aspetti l'artista rimane abbastanza fedele al suo modello, il che ci fa pensare che abbia fatto riferimento a uno studio specifico: potrebbe aver utilizzato un disegno a gessetto su carta colorata e magari anche acquerellata.
Se consideriamo la citazione caravaggesca basata sul modello originale, inizialmente può sembrare un'opera più esplicativa e accessibile al pubblico fiammingo rispetto al crudo realismo di Caravaggio. Inoltre, il dipinto monumentale di Caravaggio è molto più grande della tavola di Rubens che misura 88.3 x 66.5 cm.
La reazione di Rubens al dipinto di Caravaggio ha scatenato un bel po' di discussioni tra gli esperti, soprattutto quando si parla dei cambiamenti nei dibattiti sull'arte religiosa e delle evidenti differenze stilistiche tra i due artisti. Caravaggio rappresenta le sue figure come se fossero cariche di risentimento, mentre Rubens riesce a creare un gruppo che appare psicologicamente più affiatato e impegnato in un obiettivo comune.
Prendiamo ad esempio Maria di Cleofa che abbraccia la Madonna: nell'opera di Rubens, l'interazione tra le due donne è molto più intima e umana. Inoltre, la composizione di Rubens sembra anche più dinamica, meno piatta e artificiale rispetto a quella di Caravaggio, che tende a essere statica e teatrale con tutti i personaggi in primo piano. Queste differenze potrebbero derivare dalla risposta di Rubens all'approccio conflittuale di Caravaggio nei gesti e nella caratterizzazione delle figure di fronte all’evento, che nel lavoro del maestro lombardo appaiono decisamente più drammatiche.
Pensiamo al Nicodemo di Caravaggio: con la testa rivolta verso lo spettatore, crea una connessione inquietante tra noi e il dipinto; al contrario, il Nicodemo di Rubens, insieme a Giovanni, sembra quasi ignorarci, dando così un effetto molto più naturale e umano. Inoltre, spostando Giovanni sul bordo esterno del dipinto, ci sono stati altri cambiamenti che hanno distaccato ulteriormente l'opera dal suo modello originale.
Quando Rubens ha dipinto lo spazio tra Giovanni e Nicodemo, ha deciso di aggiungere Maria di Cleofa che sostiene la Madonna. Mentre lavorava su questo, ha inserito la gamba destra di Giovanni sullo sfondo roccioso per bilanciare meglio la scena visto che Giovanni era in una posizione piuttosto precaria nell'opera di Caravaggio. E proprio per questo motivo ha lavorato sulla figura di Giuseppe d'Arimatea, il proprietario della tomba secondo i Vangeli.
È chiaro che mentre realizzava questa ‘copia’, Rubens volesse reinventare la scena e chiarire meglio la storia. Gli piaceva moltissimo dipingere copie delle opere degli altri artisti – soprattutto quelle del secolo precedente – semplicemente per il piacere personale e l’ispirazione che poteva ricavarne. Ma oltre a questo esercizio era fondamentale anche per imparare e migliorare nella pittura. La riproduzione fedele e l’emulazione erano considerati principi fondamentali dell’arte dell’epoca; infatti erano visti come modi attraverso cui gli artisti potevano padroneggiare le tecniche per poi idealmente superare i loro modelli.
In questo caso la ‘Deposizione' di Ottawa non rientra facilmente in queste due categorie (copia o emulazione): è più della semplice copia ma allo stesso tempo è così legata al suo modello da non poter essere considerata completamente indipendente agli occhi di uno spettatore informato. È interessante notare che la pala d'altare di Caravaggio, pur essendo conosciuta grazie a vari resoconti pubblicati, sembra essere stata stampata solo una volta nel Seicento; quindi, tranne alcuni artisti e viaggiatori a Roma, non molti avrebbero potuto riconoscere il riferimento di Rubens all’opera del maestro lombardo all'epoca.
Non abbiamo prove su come il pubblico abbia reagito alla tavola di Rubens. Infatti, come si può capire dalla storia del dipinto, i primi riferimenti che legano definitivamente Rubens a Caravaggio risalgono solo all’Ottocento, anche perché molte fonti documentali sono andate perdute. In sostanza, l'intento di Rubens nel creare quest'opera e il suo ruolo nell'ambiente artistico dell'epoca hanno lasciato molti studiosi un po' confusi. All'inizio sembrava dovesse essere quasi una copia fedele, ma con il tempo Rubens ha cominciato a personalizzarla mentre lavorava: non bisogna dimenticare che Rubens è un artista “poietico” o creativo, inoltre la distanza temporale e il distacco dall'originale gli hanno dato l'opportunità di esplorare nuove idee nella sua composizione. I cambiamenti che troviamo nella tavola di Ottawa sono approfonditi soprattutto nella ‘Deposizione’ di Courtauld, realizzata qualche anno dopo, tra il 1615 e il 1616: lì sembra quasi che l'influenza di Caravaggio sia messa completamente da parte.
Nella ‘Deposizione di Ottawa’, si nota un'attenzione ancora più marcata al movimento e all'unità emotiva tra i personaggi, oltre a come si sviluppa il dramma. Ripensare a una delle opere più famose di Caravaggio è quasi un’esperienza personale: il dipinto ha uno stile molto libero e in certi punti sembra quasi uno schizzo, ma non è certo stato fatto senza riflessione. La scelta della tavola, che è un supporto robusto e costoso, insieme alla cura evidente nella realizzazione, lo dimostrano chiaramente.
Ma perché Rubens ha deciso di copiare l'opera di Caravaggio dopo essere tornato ad Anversa nel 1608? E quali modifiche possiamo notare? Queste sono domande a cui non abbiamo ancora risposte definitive. La ‘Deposizione’ di Ottawa appare non solo come un omaggio di Rubens all’opera di Caravaggio, ma anche come un tentativo di elevare il concetto attraverso idee innovative che cercano di coinvolgere ancor più profondamente chi guarda.
Questo dipinto incarna l'intensità drammatica e il movimento, elementi tipici del Barocco maturo. Rappresentando un momento cruciale della narrazione cristiana, continua a catturare l'attenzione degli spettatori grazie alla sua straordinaria bellezza e alla forza emotiva che trasmette. La figura pallida e inerte è sostenuta da personaggi che mostrano profondo dolore e tenerezza nei loro gesti e nelle espressioni facciali.
L’uso sapiente del chiaroscuro da parte di Rubens mette in risalto i contorni dei corpi e dei drappeggi, accentuando la fisicità e il peso emotivo del momento. I dolenti attorno a Cristo sono rappresentati con una forte sensazione di movimento e disperazione, dimostrando l’abilità di Rubens nel catturare le emozioni umane attraverso forme dinamiche e composizioni vivaci.
L’oscurità che circonda la scena contribuisce a creare un’atmosfera cupa e intensa, permettendo al pubblico di entrare in sintonia con la gravità del soggetto. L’opera mostra quanto sia capace Rubens nel comunicare temi teologici con passione e umanità, caratteristiche distintive del suo stile e dell’inizio del Barocco in generale.
Non c'è dubbio che Rubens avesse una grande ammirazione per la pala d'altare di Caravaggio. Questo è evidente nell'attenzione particolare che gli ha dedicato nella versione ispirata al suo ritorno dall’Italia; una versione facilmente riconoscibile come prototipo per una serie di dipinti sulla ‘Deposizione’ che realizzò poco dopo.
Nella sua 'Deposizione', Rubens ha dato un tocco personale all'iconografia di Caravaggio, apportando piccole modifiche a pose, gesti e alla disposizione dei personaggi. Ha capito benissimo quanto fosse fondamentale per Caravaggio creare un’atmosfera drammatica e una rappresentazione realistica nell’offrire il corpo di Cristo al sacerdote sull'altare in modo audace e sorprendente. Rubens ammirava davvero come Caravaggio usasse sguardi diretti e gesti vivaci per far sentire lo spettatore parte della scena, quasi come se dovesse partecipare sia alla messa che alla sepoltura di Cristo.
Caravaggio era riuscito a fondere lo spazio reale dell’altare con quello fittizio della tela, così che l’illusione dell’azione dipinta sembrasse davvero presente nel nostro mondo. Anche la posizione del braccio e della mano destra di Cristo esanime contribuisce a questa sensazione, dando l'impressione che il corpo si stia piegando in avanti.
Inoltre, quando guardiamo Giovanni che sembra mostrare involontariamente la ferita sanguinante nel costato di Cristo con le dita, quella mano che pende sul bordo della lastra di pietra dell’unzione rafforza l'idea che il ‘Corpus Domini’ sia la 'pietra angolare' della salvezza o un elemento simbolico essenziale del rituale eucaristico che avviene sull'altare sottostante.
Le modifiche fatte da Rubens nella sua versione parlano tanto della complessità dell'iconografia quanto del coinvolgimento dello spettatore; è qualcosa su cui aveva già lavorato nelle sue pale d'altare come l'’Innalzamento’ e la ‘Deposizione’, con tratti stilistici e iconografici ricorrenti nelle opere realizzate tra il 1609 e il 1620.
Nella 'Deposizione' di Ottawa, i temi caravaggeschi diventano ancora più emozionanti grazie all’enfasi del pittore fiammingo: Rubens ha infatti esagerato l’illusione del corpo di Cristo inclinato in avanti e verso il basso, superando anche lui i limiti bidimensionali del dipinto. Inoltre, ha fatto alcuni cambiamenti rispetto a Caravaggio: per esempio, nella composizione della tavola ha completamente eliminato lo spazio antistante già piuttosto ristretto ed ha omesso quel grande platano che si trovava in primo piano a sinistra nel dipinto originale di Caravaggio, facendo sparire anche quel senso di palcoscenico con tutte le figure in primo piano.[4]
Giovanni, poi, non è più indietro rispetto a Cristo: sembra quasi che l'abbia fatto avanzare, dando l'impressione che i suoi piedi stiano per toccare il bordo della pietra. È come se volesse far capire a chi guarda che sta osservando qualcosa di molto vicino. In questo modo, la ‘pietra angolare’ e il momento della sepoltura sembrano quasi sporgere verso di noi come una scultura nello spazio. Infatti, nella versione di Rubens, la prospettiva del dipinto di Caravaggio appare ampliata. Inoltre, il movimento di Giovanni si percepisce chiaramente come un abbassamento in avanti; Rubens elimina così quell'ambiguità tra sostenere e trasportare presente nell'opera di Caravaggio. Di conseguenza, chi osserva è davvero convinto che l'azione si stia svolgendo proprio davanti a lui, non in un mondo inventato ma nel suo stesso spazio.[5]
Quando si parla della ‘Deposizione’ di Caravaggio, spesso si tende a pensare che l'uomo che tiene le gambe di Cristo sia Nicodemo. Ma nel dipinto di Rubens, questa cosa potrebbe non essere così chiara. Recentemente, Julius Held ha infatti esaminato alcune delle opere e schizzi a olio del maestro fiammingo, approfondendo proprio questo punto. Inoltre, Wolfgang Stechow ha notato che nei dipinti di Rubens c'è spesso un'altra figura maschile con un turbante, e secondo lui questa figura potrebbe rappresentare meglio Nicodemo. Infatti, basandosi su alcune interpretazioni del Vangelo di San Giovanni, Nicodemo era un uomo benestante e piuttosto importante nella società. Per Rubens, quindi, un gentiluomo elegante con un turbante sarebbe stato perfetto per richiamare il testo giovanneo. Se guardiamo attentamente una figura simile sullo sfondo della ‘Deposizione’ di Ottawa, possiamo pensare che l'artista volesse farci capire che si trattava proprio di Nicodemo.
Quindi, nella versione di Rubens, è Giuseppe d'Arimatea a sostenere la parte inferiore del corpo di Cristo: la sua calma e il suo coraggio risaltano grazie alla presenza della Maddalena in lacrime a sinistra e di una donna visibilmente sconvolta a destra. L’espressione angosciata di quest'ultima ricorda molto quella delle donne nel pannello sinistro della grande ‘Resurrezione’. Questa donna potrebbe essere identificata come Maria, l’altra Maria (Marco 15:47), visto che secondo i racconti evangelici solo lei e Maria Maddalena erano presenti durante la sepoltura di Cristo.[6]
Parlando della Vergine nella tela di Caravaggio, che sembra quasi una suora, Georgia Wright propone un'interpretazione interessante: vederla come ‘Ecclesia’ che benedice il sacramento potrebbe ridurre l'impatto drammatico dell'opera caravaggesca. Quando cerchiamo di capire perché Nicodemo prenda il posto di Giovanni, secondo i Vangeli, spesso dimentichiamo il motivo artistico dietro a questa scelta: il legame tra Giovanni e Cristo, essendo lui il discepolo più amato, avrebbe sicuramente suscitato più emozione.
Detto ciò, questi ragionamenti non si applicano alla ‘Deposizione’ di Rubens. Certo, Nicodemo è presente sullo sfondo, ma avere Giovanni – che ha un ruolo chiave nel rappresentare la natura divina di Cristo e le implicazioni eucaristiche del suo sacrificio – mentre mostra la ferita causata dalla lancia a Cristo evidenzia lo spargimento del suo sangue e dell’acqua da cui nasce la fede cristiana. Nel Vangelo secondo San Giovanni al cap. 19 v. 34 si legge infatti: «ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua».
Inoltre, forse dovremmo vedere la Vergine non solo come simbolo dell'‘Ecclesia’, cosa che la Wright trovava un po’ limitativa, ma piuttosto come ‘Virgo Sacerdos’, ovvero come ‘Corredentrice’; cioè colei che con suo Figlio condivide l’opera di redenzione. È lei che consacra l’Ostia (Cristo) e offre il sacrificio di suo figlio, proprio come fa un sacerdote all’altare durante la Messa.
Questa tradizione della ‘Vergine Sacerdote’ o ‘Virgo Sacerdos’, emersa nel Medioevo era molto apprezzata dai fiamminghi e durante la Riforma cattolica è stata ripresa da figure come il teologo cardinale Pierre de Bérulle (1575-1629) e in seguito dal sacerdote Jean-Jacques Olier (1608-1657) nel suo libro ‘L'Esprit des cérémonies de la messe’.
Rubens voleva sicuramente far emergere questo significato attraverso le mani giunte della Vergine e nella sua espressione contenuta di dolore. Inoltre, anche il dito puntato della mano destra inerte di Cristo sottolinea questa connessione tra Cristo Divino e Maria in relazione al dovere sacerdotale nell’offerta e nella consacrazione dell’Ostia.
Le implicazioni legate all'Eucaristia diventano ancora più forti grazie a certi elementi simbolici, come la vegetazione che Rubens ha deciso di includere. Nell'angolo in alto a destra dell'ingresso della grotta sopra Nicodemo, sembra che Rubens abbia optato per una pianta di edera rampicante, invece del platano scelto da Caravaggio. Se consideriamo questa pianta come un’edera, notiamo che è identica a quella che si trova al centro della composizione sopra le teste delle figure nella ‘Lamentazione sul Cristo morto’ del ‘Museo Reale’ di Anversa, un'opera firmata da Rubens nel 1614.
Nell'ultima tavola, e in generale nella ‘Deposizione’, il tralcio di edera nell’arte medievale simboleggiava la Vita Eterna, come ci dice il Vangelo di San Giovanni. Questa vita si ottiene attraverso il Sacramento dell'Eucaristia, che porta all'immortalità dell'anima dopo la morte.
Detto questo, pensando all'iconografia della tavola di Rubens, è un po’ difficile credere che il maestro fiammingo abbia creato questa ‘Deposizione’, così significativa, dopo aver già realizzato dipinti e pale d'altare con un'iconografia ben definita che sembra richiamare il suo modo di interpretare l'opera di Caravaggio.
In sintesi, possiamo dire che Rubens segue da vicino lo stile caravaggesco, ma apporta delle modifiche significative. Ad esempio, il Cristo di Rubens è più piccolo rispetto a quello di Caravaggio ed è posizionato più in basso nella sua opera: probabilmente ha voluto farlo per creare spazio sul braccio di Maria di Cleofa nel gruppo. Ha anche eliminato la postura goffa e curva di Nicodemo. La figura di San Giovanni, che sostiene la parte superiore del corpo di Cristo, sembra davvero centrale nell'evoluzione del dipinto, come ho sottolineato nelle pagine precedenti.
Ora, l'uomo anziano che regge il corpo di Cristo nel dipinto di Caravaggio è solitamente identificato come Nicodemo. Tuttavia, basandomi su figure simili in altre opere di Rubens, potrei pensare che questa figura rappresenti Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo sia l'uomo a destra. Entrambi hanno avuto un ruolo nella sepoltura di Cristo, ma nessuno dei due è rappresentato in modo così distintivo da essere facilmente riconoscibile: queste identificazioni dipendono davvero dalla sensibilità dello spettatore verso le tradizioni iconografiche.
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[1] G. Wright, “Caravaggio’s Entombment" The Art Bulletin, lx (1978), 35-42.
[2] A. Seilern, “An Entomhment by Rubens,” Burlington Magazine (1953), pp 380-383; e ancora J. Held, Rubens, Selected Drawings, i, cat. 4; e J. Held, Oil Sketches, p 499.
[3] G. Wright, op cit..
[4] Anche il platano ha riferimenti simbolici: nel Vangelo di San Luca (19:1-10) il platano assume un ruolo particolarmente toccante nella storia di Zaccheo. Questo esattore delle tasse, basso di statura, ma con un grande desiderio di vedere Gesù, si arrampicò su un platano per intravedere il Signore. Quest’atto apparentemente così semplice diventò un punto di svolta nella vita di Zaccheo – dona la metà dei suoi beni ai poveri e restituisce fino a quattro volte quanto aveva fraudolentemente rubato – ed è una potente illustrazione della ricerca di Cristo.
[5] Questo tipo di coinvolgimento psico-spaziale è simile alla commozione dell'immagine nell'Elevazione della Croce, nella chiesa di Nostra signora di Anversa, in cui il piede della croce di Cristo è sagomato in modo tale da suggerire la sua esistenza al di fuori dei confini del piano pittorico. Inoltre, la croce può essere concepita come completamente eretta solo se interpretata in relazione alla sezione destra che rappresenta la preparazione dei ladroni per la crocifissione da parte delle truppe romane.
[6] A tal proposito, desidero condividere un estratto dal Vangelo di Marco: «Quando la sera si avvicinava, essendo già la vigilia del sabato, Giuseppe d'Arimatea, un membro di rilievo del sinedrio che attendeva anch'egli il regno di Dio, si recò con determinazione da Pilato per richiedere il corpo di Gesù. Pilato rimase stupito nel constatare che fosse già deceduto e chiamò il centurione per accertarsi se fosse morto da tempo. Dopo aver ascoltato quanto riferito dal centurione, Pilato acconsentì a consegnare il corpo a Giuseppe. Pertanto, dopo aver acquistato un lenzuolo, Giuseppe rimosse Gesù dalla croce e lo avvolse nel lenzuolo prima di deporlo in un sepolcro scavato nella roccia. Infine, fece rotolare una pietra all'ingresso del sepolcro. Nel frattempo, Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses [che è conosciuta come Maria di Cleofa] erano presenti ad osservare dove veniva collocato.»

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