domenica 27 gennaio 2013

Simone Martini e il San Ludovico da Tolosa. Di Massimo Capuozzo.


Il famoso ritratto utilizzato in funzione politica in un’immagine sacra, è la celeberrima Pala di San Ludovico da Tolosa incorona il fratello Roberto d'Angiò del 1317 di Simone Martini della Galleria Nazionale di Capodimonte: la pala, firmata e datata, era stata commissionata dal re di Napoli Roberto d’Angiò per l’altare maggiore della chiesa francescana di San Lorenzo Maggiore a Napoli.

L’opera, costituita da una grande tavola, è importantissima nello sviluppo della tipologia della pala d’altare, perché per la prima volta Simone scandisce nettamente il dipinto fra una parte centrale, a carattere più ieratico e iconico, e una narrativa, riservata alla predella in cui sono narrate le sue storie.
Il protagonista è San Ludovico. Figlio del re di Sicilia e di Napoli Carlo II d'Angiò e di Maria di Ungheria, Ludovico era destinato a diventare re, ma a Montpellier nel 1296, rinunziò alla corona di Napoli, scegliendo la strada religiosa che intraprese nel maggio dello stesso anno, entrando nell’ordine francescano e lasciando il trono al fratello Roberto, committente del dipinto.
L’ascesa al trono del fratello Roberto, suscitò forti contestazioni e si levarono voci di usurpazione, tanto che si arrivò ad un processo presso la corte pontificia: il Papa si pronunciò a favore, ma le polemiche non si placarono, soprattutto negli ambienti ghibellini.
La santificazione di Ludovico, avvenuta il 7 aprile 1317 sotto il pontificato di papa Giovanni XXII Duèze, diede modo al nuovo re di Napoli di validare la propria legittimità al trono.
Simone Martini valutò l'importanza dell'avvenimento ed impostò il suo concetto nel modo più razionale ed espressivo possibile, mettendo in relazione sul piano figurativo le due alte investiture — terrena e celeste — che riconosceva come inseparabili anche nel pensiero di Roberto.
L'episodio principale di sapore prettamente gotico, è descritto nella sua quasi totalità dalla maestosa immagine di San Ludovico da Tolosa, assiso in trono e notevolmente adornato con vesti episcopali la cui apertura scopre il saio francescano. Il Santo è incoronato da due angeli, a sancire la sua recente santificazione, nel momento in cui, a sua volta, sta porgendo una corona sul capo del suo fratello minore. Roberto è raffigurato sulla destra, in ginocchio e a mani giunte, secondo lo stereotipo del donatore nelle pale ed è rappresentato di profilo e in dimensioni minori del santo, ma entra come protagonista nel campo dell’azione: mentre, infatti, San Ludovico è incoronato dagli angeli, a sua volta incorona il fratello, cui, in effetti, aveva consentito con la sua scelta di salire al trono. C’è quindi un significato politico–dinastico molto forte: l’immagine afferma la legittimazione ultraterrena del regno degli angioini a Napoli e nella celebrazione del Santo, ma anche quella della dinastia della famiglia angioina.
Lo sfarzo incredibile del dipinto – la foglia d’oro finemente punzonata, come se si trattasse di un’oreficeria, la cornice con i gigli di Francia e in origine anche numerose pietre preziose che ornavano gli abiti di Ludovico e di Roberto – concorre ad accrescere il valore di manifesto della regalità. Nella composizione tutto diventa aulico, regale e pregiato: la sontuosità del mantello in broccato rifinito con elegantissime bordure dorate, il prezioso incasellamento di gemme sul pastorale e sulla mitra, la raffinatezza delle due corone che sembrano fondersi con lo stesso cromatismo dorato dello sfondo.
Simone dimostra in questo dipinto di avere una grande sensibilità e altrettanta capacità di raffigurare le varie materie, come le stoffe con i relativi ricami, i gigli della famiglia Angiò, il tappeto di motivo orientale disteso sul pavimento, i pregiati metalli delle oreficerie, gli intarsi della pedana in legno sotto il trono.
La ricca decorazione e i vivaci colori si stagliano sul fondo d'oro e concorrono a creare una scena in cui il motivo religioso svanisce rispetto all'esaltazione della regalità dei personaggi in un’immagine di altissimo valore simbolico che trascende qualsiasi preoccupazione di verità mimetica di quello che è rappresentato.
Ciò rende il senso più preciso di come Simone si muova in un ambito concretamente medievale: la linea sinuosa e di puro valore decorativo dei bordi delle vesti e del mantello del santo, la grande decorazione arabescata delle vesti infine la preferenza per i colori intensi e squillanti. Ma il carattere gotico dell’immagine principale si perde completamente nella predella inferiore, dove Simone dimostra di saper controllare la rappresentazione spaziale in maniera non inferiore allo stesso Giotto: la predella, suddivisa in cinque scomparti, contornati ognuno da un arco, è quasi come un portico oltre il quale si mostra una sola scena: le cinque diverse scene sono, infatti, unificate da un unico punto di fuga e questo crea una sensazione spaziale di grande effetto, facendo sì, che l’occhio percepisca questa predella inferiore come il piano trasparente oltre il quale si sviluppano le scene.
Massimo Capuozzo

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