Il porto
sepolto
Da Il porto
sepolto di Giuseppe Ungaretti[1]
·
Questa
breve poesia porta il
titolo della prima e omonima raccolta di Ungaretti, pubblicata a Udine
nel 1916. Sono versi che ci parlano della vita dell'autore e della città in cui è nato, Alessandria d'Egitto.
Il titolo del componimento è parte integrante di esso, fondamentale per la
comprensione del testo: spiega infatti il luogo in cui arriva il poeta, la meta
del suo viaggio
introspettivo. Questo porto, definito da Ungaretti
"sepolto", è un'immagine carica di simbolismo,
in cui il dato reale si fa tramite per comunicare una verità più remota ed
universale. L'aggettivo"sepolto" porta infatti con sé l'idea di un
mondo sottostante e precedente: è un porto antico che ci ricollega al tempo della
nascita di Alessandria (e ad un porto
di epoca tolemaica addirittura
antecedente), e che ha in sé “un inesauribile segreto”. Qualcuno aveva narrato
di questo luogo a un Ungaretti in giovane età che ne era rimasto profondamente
colpito. Questo segreto, il porto, è ciò che la poesia riesce a riportare alla
luce con i suoi versi, e poi a"disperdere", cioè, a
diffondere e divulgare tra i lettori: in tal senso, la poesia e l'attività del
poeta sono il compimento dell'illuminazione iniziale che ha permesso la scoperta
del mistero stesso.
·
La
narrazione poetica e la parola rappresentano, agli occhi dell'autore e di tutta
una tradizione letteraria, un mezzo di conoscenza di se stessi, qualcosa
attraverso cui indagare l'ignoto che vive dentro ciascuno di noi. Ed ecco che il ripercorrere le epoche, il
discendere per riscoprire il "porto sepolto", diventano simbolo di un
viaggio introspettivo che Ungaretti compie grazie alla narrazione poetica.
L'idea dell'indagare e della discesa ci riportano immediatamente a una tradizione
antica e mitica, ricordandoci pure il tema della discesa agli Inferi,
tanto presente nella letteratura classica. Dal punto di vista metrico, Il porto sepolto è emblematico della produzione poetica
ungarettiana: la lirica è composta da versi liberi e molti brevi, inframmezzati
da pause frequenti. La
protagonista assoluta è sempre la parola singola e la punteggiatura è
completamente assente.
Mariano il 29
giugno 1916[2].
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde
Di questa poesia
mi resta
quel nulla
di inesauribile[3] segreto.
Italia
Sono
un poeta
un grido unanime
sono un grumo di sogni
Sono un frutto
d'innumerevoli contrasti d'innesti
maturato in una serra
Ma il tuo popolo è portato
dalla stessa terra
che mi porta
Italia
E in questa uniforme
di tuo soldato
mi riposo
come fosse la culla
di mio padre
Locvizza, l'1 ottobre 1916
un grido unanime
sono un grumo di sogni
Sono un frutto
d'innumerevoli contrasti d'innesti
maturato in una serra
Ma il tuo popolo è portato
dalla stessa terra
che mi porta
Italia
E in questa uniforme
di tuo soldato
mi riposo
come fosse la culla
di mio padre
Locvizza, l'1 ottobre 1916
Sono
una creatura
·
Sono una
creatura è una
delle poesie più celebri della raccolta Il
porto sepolto di Ungaretti, e presenta i tratti tipici di queste
poesie: la brevità,
l'istantaneità dell'immagine, il paragone analogico, tipico della poesia
simbolista a cui Ungaretti deve molto, e soprattutto lo spezzato ritmico.
L'espressionismo è la cornice culturale che permette di capire il poeta de Il
porto sepolto e L'allegria.
·
Il componimento
è basato sull'iterazione e sull'anafora ("così fredda | così dura | così
prosciugata [...]") e sullo spezzato ritmico, che prende i versi della
tradizione, li disgrega e isola le parole.
·
Il mondo
inorganico della pietra e dell'acqua è un mondo fondamentale nel Porto
sepolto ed emerge anche dal titolo, che richiama l'antico porto di
Alessandria ormai scomparso e sepolto. È qui presente, inoltre, il tema della memoria,
della memoria degli scomparsi e dei sommersi dalla guerra o, come per l'amico
Moammed Sceab, dalla crisi identitaria. La
poesia si conclude con quello che il poeta indica come proverbio "la morte
si sconta vivendo". Espediente
tipico della poesia di Ungaretti, i
proverbi ricorrono in diversi componimenti, ma sempre oscuri ed ermetici.
In questo caso sembra riferirsi al rimpianto e al senso di colpa dei vivi nei
confronti dei morti: la colpa di essere rimasti in vita al posto dei sommersi
che non ce l'hanno fatta.
·
La poetica di Ungaretti è segnata dalla presenza degli
scomparsi: il poeta
sopravvive e resiste, ma reca tutti i segni, le ferite e le colpe di questa
sopravvivenza. Altra poesia significativa è San Martino del Carso, dove
di nuovo la soggettività, la psicologia, la memoria e il senso dell'individuo si
trasfondono in un'immagine minerale delle rovine, della distruzione portata
dalla guerra.
Valloncello
di Cima Quattro il 5 agosto 1916
Come
questa pietra
del
S. Michele[4]
così
fredda
così
dura
così prosciugata[5]
così refrattaria[6]
così
totalmente[7]
disanimata[8].
Come
questa pietra
è
il mio pianto[9]
che non si vede.
La
morte
si
sconta
vivendo[10].
Veglia
·
La poesia
"Veglia" è stata composta da Ungaretti il 23 dicembre 1915, ed era inclusa
inizialmente nella raccolta "Porto Sepolto", poi confluita nel 1931 in "Allegria".
·
Si tratta della quarta poesia della raccolta ed è la prima che affronta il
tema della guerra, che Ungaretti visse personalmente tra il dicembre del 1915 fino alla
fine dell'anno successivo. È un componimento in versi liberi.
Rilevante è l'assenza della punteggiatura, caratteristica
mutuata da Ungaretti dalla poesia futurista. C'è una tendenza a versi di singole parole,
per dar loro rilievo, per esempio: "digrignata",
"penetrata", "massacrato". Nella poesia sono presenti
anche: rime e rime
interne("buttato… massacrato"; "digrignata…
penetrata"), assonanze (bocca / volta; lettere / piene; tanto /
attaccato), allitterazioni (come quella della dentale "inTera",
"noTTaTa", "buTTaTo"), che accentuano l'andamento
ritmico. Tema centrale della poesia è la guerra, che si
manifesta nella truce immagine del compagno di trincea ucciso vicino al poeta.
L'assenza di punteggiatura e l'uso di participi passati rende persistente
l'immagine. Leggermente staccata è la frase finale, in cui il poeta mette in
evidenza il suo attaccamento alla vita in una situazione disperata di morte. La violenza della guerra fa
scoprire al poeta il desiderio di vivere.
Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato[11]
con la sua bocca
digrignata[12]
volta al plenilunio
con la congestione[13]
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere[14]
piene d'amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita[15]
Fratelli
·
Fratelli è stata
composta da Ungaretti il 15 luglio 1916,
durante la Prima Guerra Mondiale. Lo schema metrico è quello dei versi liberi, tipici
dei componimenti della fase ermetica del poeta. La poesia si apre con una
domanda, e il punto interrogativo è l'unico segno ortografico presente nel
componimento. In questa
fase poetica Ungaretti usa raramente i segni di punteggiatura, di
conseguenza risulta molto importante e mostra uno scarto stilistico
rilevante. Nella prima frase è presente un iperbato:
viene, infatti, invertito l'ordine sintattico (il vocativo "fratelli"
è posto in fondo alla frase e in un verso isolato).
·
Fratelli è la
parola-chiave dell'intera poesia in netto contrasto con la situazione in cui è
ambientato il componimento, durante la guerra. L'ambito militare è sottolineato dalla parola
"reggimento" nel verso iniziale. Il vocativo "fratelli"
non si rivolge semplicemente a una moltitudine indefinita, ma parla anche al
singolo individuo. La
parola viene posta al di là dello schieramento di appartenenza, quindi il poeta
potrebbe rivolgersi anche al nemico. La poesia prosegue con tre analogie che correlano tre immagini alla parola
tematica "fratelli": "Parola tremante nella notte";
"Foglia appena nata"; e "Nell'aria spasimante involontaria
rivolta dell'uomo presente alla sua fragilità". In queste immagini è da
notare l'uso del participio presente: tremante, spasimante e
presente con funzione modale. Importanti perchè rendono indefinite e incerte le
qualità dei sostantivi, a cui si riferiscono.
·
Tutto il componimento sottolinea il senso di
precarietà esistenziale dell'uomo e la sua fragilità, evidente nell'immagine della
foglia appena nata e nel forte enjambement creato tra "alla sua" e
"fragilità". Il poeta è consapevole dell'incertezza della vita,
soprattutto nella situazione in cui si trova, e lo mostra nel verso "[...]
uomo presente alla sua fragilità".
·
Metro: versi liberi.
Mariano il 15
luglio 1916
Di che reggimento siete
fratelli[16]?
Parola tremante[17]
nella notte
Foglia appena nata[18]
Nell'aria spasimante
involontaria
rivolta[19]
dell'uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli
San Martino del Carso
·
La poesia San
Martino del Carso va considerata all'interno dell'esperienza
della prima guerra mondiale, che è
stata primaria fonte di ispirazione per Ungaretti, tanto da costituire uno dei
principali filoni tematici della sua poesia. La prima versione di questo
componimento risale infatti al 1917, e viene pubblicata nella raccolta Il porto sepolto.
Successivamente, nel 1931, ne appare una versione aggiornata, questa volta nel
volume L'Allegria. La versione del 1931 verrà editata nuovamente dall'autore
nel 1969 in Vita di un uomo con
l'aggiunta dell'indicazione del luogo e della data in cui è stata
effettivamente scritta la poesia (a Valloncello dell’Albero Isolato il 27
agosto 1916). Questa operazione editoriale viene applicata dall'autore a tutte
le poesie del Porto sepolto che risalgono al 1917. Se ci
soffermiamo sul numero di anni che separano la prima dall'ultima versione della
poesia, più di cinquanta, capiamo quanto fosse dinamico e vivo il rapporto
che Ungaretti manteneva con la propria scrittura.
·
In questa lirica il poeta sceglie nuovamente di esprimere
tutta la disperazione e l'orrore che gli derivano dall'esperienza al
fronte attraverso un confronto tra l'uomo e la natura, mettendo in relazione la
propria disperazione, dovuta alla morte di compagni e amici, alla desolazione
di un paese devastato dai combattimenti, San Martino del Carso. I versi che
appaiono nel 1917 sono venti, nel 1931 ne troviamo solo dodici: il lavoro
compiuto dal poeta mira quindi in questo caso a ripulire il testo da tutti gli
elementi descrittivi (come i vv. 5 e 10 del testo originale), condensando
invece la tragica riflessione del poeta in poche,
icastiche parole ("è
il mio cuore | il paese più straziato") ciò che in precedenza veniva
spiegato in maniera più analitica ed esplicita. Il paragone continuo tra cuore
del poeta e condizione del paese è
sottolineato anche dalla struttura simmetrica evidente nelle due quartine che
appaiono nella versione definitiva della poesia.
Valloncello dell'Albero Isolato il 27 agosto 1916
Di queste case[20]
non è rimasto
che qualche
brandello di muro[21]
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato[22]
I fiumi
da Il porto sepolto di Giuseppe Ungaretti
·
Collocata in ventiduesima posizione ne Il porto sepolto, la poesia I fiumi, in strofe di versi liberi,
è una delle più note di Ungaretti,
che, come egli stesso dichiara, trasfonde qui alcuni
motivi essenziali della sua poetica e della sua visione del mondo. La
questione è spiegata dallo stesso poeta, nel momento in cui prepara le Note per l’edizione definitiva delle
proprie opere: “[I fiumi] è il vero momento nel quale la mia poesia prende
insieme a me chiara coscienza di sé: l’esperienza
poetica è l’esplorazione d’un personale continente d’inferno, e l’atto
poetico, nel compiersi, provoca e libera, qualsiasi prezzo possa costare, il
sentire che solo in poesia si può cercare e trovare libertà”.
·
In tal senso, I
fiumi è utile per ricavare
addirittura una
definizione ungarettiana della poesia: “La poesia è scoperta della
condizione umana nella sua essenza, quella d’essere un uomo d’oggi, ma anche un
uomo favoloso [...]: nel suo gesto d’uomo, il vero poeta sa che è prefigurato
il gesto degli avi ignoti nel seguito di secoli impossibile a risalire, oltre
le origini del suo buio”.
·
Metro: versi
liberi.
Cotici il 16
agosto 1916 [23]
Mi
tengo a quest’albero mutilato[24]
abbandonato in questa dolina[25]
che ha il languore
di un circo
prima
o dopo lo spettacolo
e guardo[26]
il passaggio quieto
delle nuvole sulla luna
Stamani mi sono disteso
in un’urna[27] d’acqua
e come una reliquia
ho riposato
L’Isonzo[28] scorrendo
mi levigava
come un suo sasso
Ho
tirato su
le
mie quattro ossa
e me ne sono andato
come
un acrobata[29]
sull’acqua
Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di
guerra
e come un beduino[30]
mi sono chinato a ricevere
il
sole
Questo è l’Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra[31]
dell’universo
Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia
Ma quelle occulte
mani[32]
che m’intridono
mi regalano
la rara
felicità
Ho ripassato
le epoche[33]
della mia vita
Questi sono
i miei fiumi
Questo è il Serchio[34]
al quale hanno attinto
duemil’anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre.
Questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d’inconsapevolezza[35]
nelle distese pianure
Questa è la Senna
e in quel suo torbido[36]
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
contati nell’Isonzo
Questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi
traspare
ora ch’è notte
che la mia vita mi pare
una
corolla
di
tenebre[37]
Soldati
Da L’allegria[38]di
Giuseppe Ungaretti
·
Anche se la poesia è breve, Ungaretti riesce ad esprimere
con estrema efficacia la condizione del soldato che da un momento all’altro può
essere stroncata dalla guerra così come una foglia in autunno in procinto di
staccarsi dal ramo: basta un colpo di vento per far morire la foglia, così come
basta un colpo di fucile a far cadere il soldato.
·
La fragilità insita sempre nella condizione umana è
accentuata dalla contingenza bellica, che rende ancor più precaria l’esistenza
dell’uomo.
·
Questa poesia fa parte della sezione Girovago della raccolta Allegria.
·
Quattro versi liberi: unendo i versi 1-2 e 3-4 si ottengono
due perfetti settenari. L’assenza della punteggiatura, come in molte altre
liriche di Ungaretti, accentua la capacità espressiva delle parole.
Bosco di Courton luglio 1918
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le
foglie.
[1] Giuseppe
Ungaretti - Giuseppe Ungaretti nasce nel
1888 ad
Alessandria d'Egitto, figlio di due immigrati lucchesi. Il padre operaio dello
scavo del Canale di Suez, muore pochi anni dopo la nascita del poeta.
Studia alla scuola svizzera École Suisse Jacot, una prestigiosa
scuola della città egiziana: conosce la letteratura francese attraverso la
rivista Mercure de France e inizia a
leggere le opere dei simbolisti francesi Rimbaud, Mallarmè, Baudelaire,
anche grazie ai consigli dell'amico Moammed
Sceab.
Si avvicina alla letteratura italiana
con l'abbonamento alla rivista La Voce.
Si trasferisce a Parigi nel 1912,
dove conosce il poeta Apollinaire, con cui stringe
subito amicizia. Incontra anche Aldo Palazzeschi,
Picasso, De Chirico e Modigliani.
Nel 1914 Ungaretti è a Milano e
sostiene la fazione interventista.
Nel 1915 si arruola volontario.
Combatte sul Carso in Friuli, un paesaggio che Ungaretti ritrarrà nella suaprima
raccolta Il porto
sepolto, pubblicato in 60 copie nel 1916.
Il porto sepolto fa parte del nucleo originario
della poesia di Ungaretti, al centro delle successive metamorfosi editoriali,
prima Allegria di naufragi e
poi L'allegria.
Nel 1920 sposa Jeanne Dupoix, conosciuta
nel 1918 in Francia.
Si impiega al Ministero degli Esteri.
Aderisce al fascismo,
firmando il Manifesto degli intellettuali fascisti
nel 1925.
Nel 1923 viene ristampato Il porto sepolto con la
prefazione di Benito
Mussolini, conosciuto qualche anno prima, durante la campagna
interventista.
Ungaretti, irrequieto e legato alla
cultura degli intellettuali francesi, si allontana dal fascismo e la seconda
metà degli anni '20 rappresenta per lui un duro periodo di povertà.
Nel 1928 Ungaretti si converte al cattolicesimo,
conversione che emerge nell'opera Sentimento
del Tempo del
1933.
Nel 1936 si trasferisce in Brasile, a
San Paolo, dove ottiene la cattedra di letteratura italiana presso l'università
della città. Rimane in Brasile fino al 1942. Nel 1939 muore il figIio Antonietto.
Questo tragico evento è evidente in
molte poesie delle raccolte Il Dolore (1947) e Un
Grido e Paesaggi (1952).
Muore nel 1970 a Milano, dopo che la sua opera era stata
raccolta in un unico volume Vita
di un uomo nella prima edizione della raccolta Meridiani della casa editrice Mondadori nel 1969.
[2] L’indicazione in calce al componimento di data e luogo di
stesura di ogni pezzo del Porto
sepolto rende la raccolta
ungarettiana una sorta di diario lirico della guerra, in cui
trasporre, a brandelli e per immagini strappate alla massacrante vita del
fronte, tutto l’orrore del conflitto e tutto l’attaccamento alla vita che ne consegue.
[3] Quel … inesauribile:
ossimoro quel nulla che non si esaurisce
[4] S. Michele: il rimando
autobiografico (che,
nella poetica ungarettiana, vuole sempre aprirsi ad una dimensione universale e
totalizzante) è al monte San
Michele del Carso, presso Gorizia, teatro di alcune delle più aspre
battaglie della Prima Guerra Mondiale.
[5] così prosciugata: alcuni hanno letto ed interpretato nella “pietra prosciugata” cui Ungaretti si paragona un simbolo dell’immanenza
dell’uomo e del suo
radicamento nella contingenza della guerra, cui si oppone, in netta antitesi l’immagine acquatica (si pensi al Porto sepolto o a I fiumi), che sta a rappresentare invece l’unione e la comunanza tra il
singolo e la cerchia dei suoi simili, affiancata dall’evasione dalla
situazione presente.
[6] refrattaria: ovvero insensibile, ormai incapace di una qualsiasi
reazione; la condizione del poeta è insomma quella di una progressiva
disumanizzazione e perdita di sé, tanto che il suo pianto, il suo
dolore “non si vede” (v. 11).
[7]L’enjambement (“totalmente | disanimata”) sottolinea
con ulteriore forza la similitudine tra la sofferenza del poeta e la
pietra senza anima.
[8] disanimata: si noti la climax (dal greco κλῖμαξ, “scala”) dei
termini utilizzati (“fredda, dura, prosciugata, refrattaria, disanimata”),
confermata dall’anafora di “così” in apertura di ogni verso:
tutto ciò rende assoluta ed impietosa la diagnosi del poeta su se stesso e la
propria anima.
[9] La sequenza dei primi dieci versi, tutta orchestrata
sull’analogia tra la pietra del Carso e il pianto del poeta, è
alquanto studiata dal punto di vista stilistico e letterario. Da un lato, si
nota il ricorso insistito ai fonemi
- t - e - s - che danno
un ritmo ribattuto e
salmodiante (come se Sono una creatura fosse una sorta di preghiera laica e
disperata) a tutto il componimento, cui contribuisce pure la ripresa
(tecnicamente, una epanalessi)
del v. 1 al v. 9; dall’altro, al culmine della climax degli aggettivi e dei
participi che
scandiscono il periodo, c’è un sottile rimando
intertestuale dantesco (Purgatorio,
XV, 135: “quando disanimato il corpo giace”), a testimonianza della continua
ricerca letteraria ungarettiana anche nei versi spezzati ed isolati del Porto sepolto.
[10] Il valore aforistico (come una specie di proverbio sentenzioso) dell’ossimoro finale,
che unisce la morte e la vita, si ritrova anche in una lettera di Ungaretti
all’amico Giovanni Papini dell’8 luglio 1916, in cui il poeta
confida, con lucidità e
cupa ironia: “Pensavo: c’è qualcosa di gratuito al mondo, Papini, la
vita; c’è una pena che si sconta, vivendo, la morte” (la lettera è citata in L.
Piccioni, Ungarettiana.
Lettura della poesia, aneddoti, epsitolari inediti, Firenze, Vallecchi,
1980, p. 193).
[11] massacrato: l’uso costante
di participi passati dà
forma alla struttura sintattica del testo, secondo una tecnica (applicata anche
in altre poesie quali Fratelli e Sono
una creatura) che Ungaretti recupera dal Futurismo
di Marinetti.
[12] I frequenti “a capo”
che isolano le parole rendono la lettura del testo frammentata e tragica,
isolando i termini-chiave della poesia: “massacrato” (v. 4),
“digrignata” (v. 6), “penetrata” (v. 10), tutti participi passati che indicano il passaggio analogico
dall’orrore della guerra alla riflessione intima del poeta (“nel mio silenzio”,
v. 11).
[13] la congestione: emerge qui l’attenta
ricerca ungarettiana sul lessico (e
sui connessi effetti
ritmico-sonori), per comunicare tutta la drammaticità della guerra:
“buttato” (v. 2), “massacrato” (v. 4), “digrignata” (v. 6), “congestione” (v.
8).
[14] lettere: queste lettere sono metaforicamente
indirizzate a tutta l’umanità, con la quale il poeta, proprio in un
momento di estrema difficoltà, riscopre un
profondo senso di fratellanza.
[15] La poesia di
Ungaretti, soprattutto quella della fase del Porto
sepolto, si gioca anche su studiati
effetti grafici; in questo caso lo
spazio bianco che isola
i tre versi finali contribuisce a sottolinearne meglio il messaggio, che suona
quasi come una sentenza
assoluta: anche nell’orrore della guerra, non viene meno l’amore (e
l’attaccamento) a ciò che resta della vita.
[16]fratelli: parola-chiave che apre e chiude il componimento, e a
cui si connettono tutti gli altri termini del testo (“parola tremante”,
“foglia”, “involontaria rivolta”). Il
tema passa così dalla realtà della guerra al senso di fratellanza che, nonostante tutto, prova ad
instaurarsi tra i soldati.
[17] tremante: la sensazione
di paura e di timore, connessa al pericolo di morire da un momento
all’altro, è trasferita dagli uomini del reggimento alla parola-chiave “fratelli”,
che in tal senso vibra e risuona nella notte simboleggiando tutta la fragilità umana dei “soldati” (come appunto recitava il titolo
originale della poesia nella raccolta del 1916).
[18] foglia
appena nata: analogia ungarettiana (come in altri testi, da ‘Sono una creatura’ a ‘San
Martino del Carso’, che isola in un singolo verso tutta la fragilità dell’uomo.
[19]involontaria
rivolta:
riproposizione del tema
della fratellanza umana nel momento del più cupo dolore; la parola
“fratelli”, scambiata tra due reggimenti in una notte di guerra e di morte,
diventa una forma di
ribellione istintiva e spontanea (come
se la sofferenza avesse portato a galla l’intima natura di ciascuno)
all’assurda tragicità della realtà.
[20] Tratto stilistico da sottolineare di San Martino del Carso è appunto l’uso sapiente degli aggettivi
deittici (cioè di tutti
quegli elementi linguistici come pronomi e aggettivi dimostrativi, avverbi di
luogo o tempo e così via, che indicano la situazione spaziotemporale in cui
avviene la comunicazione) e
dei pronomi indefiniti. Ungaretti da un lato punta infatti a collocare
la propria esperienza in un clima e un orizzonte ben definito (quello tragico e
straniante della guerra di trincea: “queste case”, v. 1) ma al tempo stesso
eleva le sue considerazione ad un
valore universale sul senso dell’esistenza e della vita umana (“qualche brandello”, v. 4; “tanti”,
v. 5; “tanto”, v. 8).
[21] Si noti qui la
figura retorica dell’anastrofe, che consiste nell’inversione
dell’ordine naturale del periodo (secondo lo schema soggetto - verbo -
complementi). È un esempio di come la poetica ungarettiana, radicalmente
innovativa nel proporre la parola
“nuda” sulla pagina (nel
rifiuto delle regole metriche convenzionali e addirittura della punteggiatura),
si affidi comunque a tecniche espressive attentamente studiate, e non affatto
banali o immediate.
[22] Come in altri testi della raccolta, i versi conclusivi assumono
valore di sentenza, e riassumono il senso della breve lirica. In
questo caso, il risultato è raggiunto attraverso il procedimento dell’analogia (frequentissima ne Il porto sepolto e ne L’allegria ma tipica di gran parte della poesia
del Novecento) che, rende in forma implicita una similitudine che sarebbe esplicita, abolendo il
“come” che serve per instaurare il paragone. Così, dal rapporto di somiglianza
si passa a quello, più forte, di identità:
il “cuore” del poeta è effettivamente un “paese straziato” dalla guerra e dal
dolore.
[23]Cotici (o, secondo la grafia slovena,
Cotiči) è un'altura, su cui sorge pure un piccolo borgo, presso San Michele del Carso,
da cui il 19° Reggimento italiano difese Gorizia dall’assedio austriaco.
[24]quest’albero mutilato: l’albero viene personificato attraverso l’uso del verbo
"mutilare", tipicamente attribuito ad essere umani, e
richiama così in maniera il
campo semantico della guerra e della sofferenza, da cui il poeta pare
astrarsi in un istante di pace.
[25] dolina: cavità caratteristica del paesaggio carsico.
[26] guardo: contemplando il cielo il poeta cerca un’astrazione dai dolori e
dalle brutture della guerra, recuperando la propria dignità di essere
umano.
[27] mi sono disteso in un’urna: metafora che porta con sé il
richiamo alla morte e alla tomba (dato
che l’urna è appunto un antico vaso cinerario) ma che allude pure - nell’accezione
ambivalente di Ungaretti
- al riposo e alla pace con cui si entra in comunicazione con la propria
identità più remota. La tomba e l’acqua rappresentano poi due chiari segnali
del ciclo di vita e morte.
[28]
I quattro fiumi che ricorrono nel ricordo del poeta compongono
quasi una cartina
geografica (a sud il
Nilo, ad ovest il Serchio, a nord la Senna, a ovest appunto l’Isonzo) che è
anche una carta
d’identità del poeta (il Serchio come fiume degli avi, il Nilo per l’infanzia, la Senna per la maturazione umana, l’Isonzo per il drammatico presente).
[29]come
un acrobata: similitudine che, riprendendo l’immagine del circo
evocata al v. 4, sottolinea la
difficoltà di camminare sui sassi bagnati dal fiume.
[30] beduino: il
termine rimanda all’infanzia del poeta, trascorsa in Egitto.
Si chiude con questa strofe la prima parte della poesia, dove il poeta descrive la situazione dalla quale è
scaturita la sua adesione alla vita; nei successivi, egli riporterà
alla memoria tutti i fiumi che, autobiograficamente, scorrono ora per lui
nell’Isonzo.
[31]una
docile fibra: è un
passaggio fondamentale della
lirica, dato che è in questo momento
di pace e di unione con il tutto che,
pur nella tragedia della guerra, Ungaretti scopre e riconosce l’intima armonia che lo rende parte (“fibra”, appunto)
dell’intero universo.
[32]occulte mani: per Ungaretti sono “le mani eterne che foggiano assidue il destino di ogni essere vivente” (G. Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie,
a cura di L. Piccioni, Milano, Mondadori, 1970, p. 524).
[33] le epoche della mia vita: la sensazione di fusione con il tutto proietta il poeta
come fuori dal tempo,
tanto che gli eventi della sua breve esistenza (Ungaretti nel 1916 ha ventott’anni)
diventano epoche storiche.
[34] Il
Serchio è un fiume della
Lucchesia, la pianura attorno alla città di Lucca, di cui era
originaria della famiglia
del poeta.
[35] ardere
d’inconsapevolezza: Ungaretti allude
al fatto che durante gli anni
dell’adolescenza e della giovinezza in
Egitto (che Ungaretti lascia nel 1912) era mosso da passioni che solo l’esperienza
all’Isonzo gli ha permesso di decifrare compiutamente. Si ribadisce così
l’importanza de I fiumi all’interno della poetica
ungarettiana, e non solo de Il
porto sepolto.
[36] torbido: A Parigi Ungaretti compie passi importanti per
la propria formazione, entrando in contatto con i principali esponenti delle avanguardie
artistico-letterarie del
periodo (da Apollinaire a Picasso,
da Breton a Marinetti,
da De Chirico ad Amedeo Modigliani),
ma vive anche il grande dolore del suicidio dell’amico fraterno Moammed Sceab.
[37]una corolla di tenebre: la poesia si chiude su quest’immagine che allude alle tenebre della guerra che, come in un fiore, si stringono
attorno al poeta, chiudendogli ogni prospettiva di futuro. A ciò corrisponde
non a caso una sensazione
di ricordo misto ad angoscia.
[38] L'allegria - È la raccolta di poesie più
conosciuta e divulgata di Giuseppe Ungaretti. Il percorso editoriale
che ha portato alla pubblicazione della versione definitiva di quest'opera nel
1969 è stato lungo e complesso. Nel 1919 infatti il poeta pubblica Allegria
di naufragi, raccolta
che riunisce tutte le poesie scritte fino a quel momento, comprese quelle
presenti ne Il porto sepolto,
libro a sua volta pubblicato nel 1916 e composto dai testi scritti al fronte
tra 1915 e 1916. Nel 1923 Ungaretti pubblicò una nuova raccolta poetica, questa
volta più semplicemente intitolata L'allegria: da quel momento
Ungaretti non smise mai di rimaneggiare e modificare il volume, editandolo
nuovamente nel 1931, nel 1936 e nel 1942, fino ad arrivare alla versione del
1969, anno precedente a quello della morte del poeta stesso.
A causa della
sua ampiezza, delle modifiche e delle aggiunte subite negli anni; L'allegria è un'opera abbastanza varia a livello
tematico. Riunisce, infatti, al suo interno versi legati all'esperienza diretta
della Prima Guerra Mondiale a
poesie che ricordano alcuni momenti della vita privata dell'autore. Il titolo
dell'opera esprime la
gioia che l'animo umano prova nell'attimo in cui si rende conto di aver
scongiurato la morte, drammaticamente contrapposto al dolore per essere uno dei pochi sopravvissuti al naufragio: questo sentimento si
esprime con particolare intensità durante il periodo al fronte, ma attraversa
tutta la raccolta e si concretizza nell'ossimoro del titolo.
L'elemento
comune a tutti i componimenti è soprattutto quello autobiografico: Ungaretti stesso definiva L'allegria un diario. Per quanto riguarda la struttura poetica dell'opera, e
in generale della produzione ungarettiana, la protagonista principale e
indiscussa è sempre la
parola, considerata dal poeta un
veicolo fondamentale nella riscoperta dell'io. Per riconoscerle
autonomia e libertà, Ungaretti sceglie di comporre sempre liriche molto brevi e scarne,
inframmezzate da pause che tendono a focalizzare l'attenzione sul singolo
vocabolo, per sottolinearne l'impatto semantico e la forza
comunicativa; il superfluo viene costantemente accantonato.
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