I MODULO IL TESTO
I UNITÀ
Comunicazione - La comunicazione è un processo di
trasmissione di informazioni, costituito da un soggetto che vuole far sì che il
ricevente pensi, sappia o faccia qualcosa. Comunicazione significa far conoscere, render noto.
Comunicazione significa così sia il parlare quotidiano delle
persone, sia pubblicità o pubbliche relazioni.
Il concetto di comunicazione comporta la presenza di
un’interazione tra soggetti diversi: la comunicazione è infatti un’attività che
presuppone una cooperazione che avviene in entrambe le direzioni. Se un
soggetto può parlare a molti, senza la necessità di ascoltare, siamo di fronte
ad una semplice trasmissione di segni o di informazioni: per questo, non si può
parlare di comunicazione quando il flusso di segni e di informazioni sia
unidirezionale.
Nel processo comunicativo degli esseri umani ci troviamo
invece di fronte a due polarità:
·
la comunicazione come atto di cooperazione,
in cui due o più individui costruiscono
insieme una realtà e una verità condivisa;
·
la trasmissione, unidirezionale, senza
possibilità di replica.
Per realizzare un atto comunicativo concorrono generalmente
cinque elementi:
·
Emittente: la fonte delle informazioni effettua
la codifica di queste ultime in un messaggio.
·
Ricevente: accoglie il messaggio, lo decodifica,
lo interpreta e lo comprende.
·
Codice: parola parlata o scritta, immagine,
tono impiegato per formare il
messaggio.
·
Canale: il mezzo di propagazione fisica del
codice (onde sonore o elettromagnetiche, scrittura, bit elettronici).
·
Contesto: l’ambiente
significativo all’interno del quale si situa l’atto comunicativo.
Il processo comunicativo ha una natura bidirezionale, quindi
il modello va interpretato nel senso che si ha comunicazione, quando gli
individui coinvolti sono a un tempo emittenti e riceventi messaggi.
Il registro è il tono generale, lo stile e il tipo di lessico
impiegati in un discorso, adeguati al destinatario del messaggio.
Se distinguono diversi livelli di registro:
·
Registro colloquiale. È un linguaggio molto simile a quello
parlato quotidianamente in ambiti informali, fra amici e in famiglia.
·
Registro formale. È freddo, distaccato ed oggettivo, non
esterna alcun sentimento interiore. Si usa, quando il destinatario è uno
sconosciuto oppure un’autorità.
·
Registro medio. È tipico dei messaggi semplici, ma
composti: è usato per intrattenersi con l’interlocutore senza badare troppo
alla forma e senza esprimere familiarità con lui.
·
Registro solenne. È il linguaggio prestabilito, da usare
in occasioni ufficiali. Segue un lessico preciso, previsto dal cerimoniale o
dal galateo.
Comunicazione. Il testo. Il termine testo (dal latino textus = intreccio, tessuto) indica un
insieme di parole, scritte o dette, strutturato in base alle norme di una
lingua per comunicare un messaggio.
Per raggiungere il suo scopo, un testo deve essere:
·
comprensibile
·
completo
·
coerente.
Per essere comprensibile,
occorre che il testo sia espresso in un codice linguistico noto a chi lo legge
o lo ascolta.
Per essere completo,
occorre che un testo non manchi di nessun elemento fondamentale del messaggio
che intende trasmettere.
Es. Se in una stazione ferroviaria leggiamo o ascoltiamo
dall’altoparlante l’annuncio: Il treno
delle ore 11 per Parigi. Che cosa capiamo? Nulla, poiché al testo manca l’elemento
fondamentale che ci dica che cosa fa
il treno per Parigi delle ore 11: arriva?
ritarda? parte? E’ stato soppresso?
Per essere coerente,
occorre che un testo sia strutturato secondo un’organizzazione logica di
pensiero: altrimenti non comunica nulla e perciò non ha alcuno scopo.
Es. Un testo che affermi: Le
pantere sono solite esplodere nell’universo, essendo privo di coerenza
logica, non ha valore comunicativo.
Comunicazione. Tipi di testo - Sul testo scritto si può
individuare subito una prima fondamentale suddivisione:
1.
Testo letterario,
scritto per costituire un’opera d’arte. Dopo aver deciso ciò che vuole
comunicare, l’autore studia
attentamente l’uso della lingua e dei suoi mezzi espressivi per raggiungere la
forma più adeguata e più ricca di significato,
stimolando la sensibilità emotiva e la capacità interpretativa
del lettore. Il testo letterario
sorge dall’interiorità dell’autore, è una finzione
che nasce dalla sua fantasia, anche quando riguarda la realtà, e dalla sua
sensibilità, costituendo un’interpretazione personale dell’animo umano e del
mondo. Per comprendere pienamente un testo letterario non basta conoscere il
codice linguistico in cui esso è scritto, ossia il livello denotativo,
poiché termini ed immagini si caricano di significati che vanno ben oltre il
piano letterale, rendendo più ricco e complesso significato del testo, ossia il
livello connotativo. Questi due livelli danno origine al fondamentale
concetto di denotazione e connotazione[1].
2.
Testo non letterario, detto anche pragmatico o
d’uso perché, è scritto per uno scopo pratico e privo d’intenti artistici. Si
serve di un linguaggio ordinario, preciso, spesso essenziale ed univoco nel
significato. L’attenzione di chi lo fruisce è completamente attirata dal
contenuto che non necessita d’ulteriori e sottili interpretazioni. Il mondo in
oggetto è quello reale, cose ed avvenimenti sono concreti. Per comprendere il
testo non letterario basta la conoscenza del codice linguistico in cui è
scritto ossia il livello denotativo.
I testi non letterari possono essere usati:
·
Per
informare: descrivono com’è fatta una cosa.
Es.: un articolo di un giornale di moda, che descrive un abito.
·
Per
esporre un argomento e per spiegarlo al destinatario.
Es.: una voce d’enciclopedia.
·
Per
narrare un fatto
Es.: un articolo giornalistico di cronaca.
·
Per
esprimere emozioni o giudizi
Es.: una
lettera, un diario
·
Per
spiegare e valutare opere letterarie o d’arte.
Es.: una recensione di un libro oppure un saggio critico;
·
Per
prescrivere comportamenti e persuadere: dettano regole
Es.: un
testo giuridico, oppure le istruzioni
per l’uso di un apparecchio o di un medicinale.
·
Per
argomentare (cioè sostenere con argomenti) un’opinione
Es.: un discorso politico, un
articolo di fondo, un saggio di
filosofia.
Riflessioni sulla lingua. La
punteggiatura - La punteggiatura o interpunzione
·
indica
le pause tra le frasi[2] o tra parti che
compongono una stessa frase,
·
esprime
rapporti di coordinazione e di subordinazione,
·
suggerisce
il tono del discorso.
Un uso appropriato della punteggiatura è quindi importante,
non solo dal punto di vista sintattico, ma anche dal punto di vista espressivo
e stilistico.
La funzione della punteggiatura è di rendere chiaro il
significato della frase e di rendere facile la lettura.
Sebbene ci sia un certo grado di arbitrarietà nella
punteggiatura, ci sono alcuni principi che colui che scrive deve conoscere.
I segni d’interpunzione sono:
·
Il punto
indica una pausa lunga e si mette alla fine di una frase. Se tra due frasi
o tra due gruppi di frasi c’è uno stacco molto netto, dopo il punto si va a
capo e si comincia un nuovo paragrafo.
·
La virgola
indica una pausa breve, la più piccola interruzione nella continuità del
pensiero o nella struttura della frase. I suoi impieghi sono molti e complessi:
si usa nell’elencazione, negli incisi, tra la proposizione principale e vari
tipi di subordinate ecc.
·
Il punto
e virgola indica una pausa intermedia tra quella lunga segnata dal punto e
quella breve segnata dalla virgola. Può dividere due o più frasi collegate tra
loro ma troppo estese per essere delimitate da una semplice virgola.
·
I due
punti introducono un discorso diretto, un’elencazione, una spiegazione. In
alcuni casi hanno lo stesso valore di una congiunzione subordinante (causale).
·
I punti
di sospensione indicano il tono sospeso, il discorso lasciato a metà (per
reticenza, per convenienza, per un sottinteso allusivo), impiego decisamente
sconsigliato nella comunicazione scientifica, oppure l’eliminazione di alcune
parole o frasi nella citazione di un brano.
·
Le virgolette
“...” delimitano un discorso diretto o una citazione. Per quest’ultima è
meglio ricorrere ai segni «...». Talvolta sono usate per evidenziare una parola
(ma, se si dispone dei caratteri in corsivo è meglio usare questi ultimi),
oppure per sottolinearne un particolare significato o uso, diverso dal solito.
·
Le parentesi
tonde e quadre: le prime delimitano le parole che si vogliono
isolare in un discorso, le seconde sono usate per racchiudere parole o frasi
che non fanno parte del testo ma che sono inserite per maggior chiarezza (ad
esempio, nelle traduzioni). Nella scrittura scientifica le parentesi tonde sono
anche usate per indicare le unità di misura, le parentesi quadre per indicare
le citazioni bibliografiche.
·
La barra
/: è usata per indicare un rapporto di contrapposizione o di
complementarità.
Riflessioni sulla lingua. Le congiunzioni – La congiunzione è una
parte invariabile del discorso che unisce due unità sintattiche in un rapporto
di coordinazione o subordinazione
L’uso corretto delle congiunzioni
è essenziale per collegare in modo corretto diversi elementi (due parole,
aggettivi, ecc. o due proposizioni), oppure per collegare diverse frasi, in
modo logico.
Questo collegamento può avere due funzioni[3],
·
Coordinante, quando mettono insieme due
proposizioni che hanno la stessa funzione,
·
Subordinante quando mettono insieme due proposizioni
in cui una dipende da un’altra.
Le congiunzioni coordinanti si usano per connettere due
elementi che non sono indipendenti tra loro.
Esse si classificano in:
·
Copulative: (accoppiare, unire) è il più semplice
collegamento perché collega due proposizioni dello stesso valore: la più
comune è la congiunzione e, altre
sono: anche, pure, eppure, né, ecc.
Es.: Mariella va al
cinema e Giovanni va a teatro.
Non parlo mai, né voglio
palare
·
Disgiuntive: esprimono una separazione tra
proposizioni o tra due elementi sintattici aventi la stessa funzione – o, oppure, ovvero, ecc.
Es.: Vuoi un caffè o un
cappuccino?
·
Avversative: esprimono una contrapposizione tra due
elementi sintattici aventi la stessa funzione – ma, però, tuttavia, piuttosto, ecc. Esse devono essere sempre
precedute dalla virgola.
Es.: Mariella è andata
al cinema, ma il film era scadente.
·
Dichiarative o esplicative: esprimono una dichiarazione o una
spiegazione – cioè, infatti, ecc.
Es.: Mariella è
un’amica, infatti mi aiuta sempre.
·
Conclusive: segnalano una conclusione o una
conseguenza – dunque, quindi, ebbene,
perciò, ecc.
Es.: Ho studiato molto,
quindi ho preso un buon voto.
·
Correlative: stabiliscono una relazione o
corrispondenza tra due proposizioni o tra due elementi sintattici aventi la
stessa funzione – e…e, sia…sia, né…né,
o…o, non solo…ma anche.
Es.: Posso prendere sia
un caffè sia un cappuccino.
Le congiunzioni subordinanti, invece, collegano due
proposizioni, una delle quali è subordinata all’altra, cioè dipende dall’altra,
la quale si identifica come reggente.
Le più comuni sono:
·
Dichiarative: introducono una dichiarazione, che, come, ecc.
Es.:afferma che non ha visto niente
·
condizionali: indicano una condizione, senza la
quale il fatto espresso nella principale non può avverarsi, se, purché, qualora, a condizione che, nel
caso se, ecc.
Es.: Se fossi in te,
agirei diversamente
Nel caso che ci vai,
comportati bene
·
Causali: indicano una causa, una ragione, un
motivo, perché, poiché, siccome, visto
che.
Es.: Non è venuto
perché si sentiva poco bene
Siccome è tardi, prenderò un
tassì
·
Finali: indicano il fine per il quale il fatto
tende a realizzarsi, affinché, perché,
acciocché.
Es.: Ho dato queste
istruzioni affinché possiate completare il lavoro.
Parlo a voce alta perché
tutti mi possano sentire.
·
Concessive: indicano una concessione, negando
nello stesso tempo la conseguenza, benché,
seppure, sebbene, malgrado, ecc.
Es.: Benché fosse
giugno, faceva freddo
Quantunque avessimo
camminato molto, non eravamo stanchi
·
Consecutive: indicano la conseguenza di quello che
è stato detto nella principale, così…
che, a tal punto, talmente che, ecc.
Es.: Aveva così fame
che finì di mangiare in pochi minuti
Ero stanco al punto che non
mi reggevo in piedi
·
Temporali: indicano una circostanza di tempo, quando, prima, dopo, finché, ogni volta.
Es.: Quando l’ho visto
gli sono corso incontro
Dobbiamo prendere una
decisione prima che sia troppo tardi.
·
Comparative: stabiliscono tre tipi di comparazioni,
maggioranza, più…di, più che;
minoranza, meno…di, meno…che;
uguaglianza, tanto…quanto, così…come.
Es.: Non è così furbo
come credevo
Marisa è più intelligente di
Giovanna
·
Modali: indicano una circostanza di modo, come, come se, quasi.
Es.: Fa’ come se fossi
a casa tua
Urlava come se fosse
impazzito
·
Avversative: introducono una contrapposizione, quando, mentre, ecc.
Es.: Lo ha fatto in
fretta, mentre doveva farlo lentamente.
·
Esclusive: esprimono un’eccezione, un’esclusione,
una limitazione a quello che si afferma nella principale, tranne che, fuorché, eccetto che, salve che, senza che, ecc.
Es.: Non fa niente
tutto il giorno fuorché divertirsi
Senza che ce ne
accorgessimo, si è fatto tardi.
La comunicazione – Il riassunto
Riassumere un testo significa togliere qualcosa al testo originale. Con il riassunto si perde
qualcosa.
Il segreto del riassunto sta nel mantenere ciò che è
necessario e togliere quello che non lo è.
Questa operazione, se il testo originale non è
particolarmente lungo, avviene in modo più semplice: basta togliere aggettivi,
frasi ed espansioni non necessarie.
Se il testo originale è più lungo occorrerà svolgere le
seguenti operazioni:
1) dividere il testo in sequenze
2) sottolineare le informazioni necessarie per la
comprensione
3) collegare le informazioni tramite connettivi. (All’inizio, dopo, infatti, invece, tuttavia, pertanto)
II UNITÀ
Riflessioni sulla lingua. Il verbo – Il verbo è una parte variabile
del discorso che denota azione
(“portare”, “leggere”), occorrenza
(“decomporsi”, “scintillare”), o uno stato
dell’essere (“esistere”, “vivere”,
“stare”).
I modi e i tempi - Le diverse modalità
con le quali può avvenire un’azione sono rese con i diversi modi verbali.
Modi finiti - I modi finiti si chiamano così perché le loro
desinenze definiscono sempre una persona (prima, seconda o terza) e un numero
(singolare o plurale).
Indicativo - È il modo della realtà, della
sicurezza, della certezza.
Ha otto tempi: quattro semplici (presente, imperfetto,
passato remoto, futuro semplice), chiamati così perché non hanno bisogno di un
verbo ausiliare, e quattro composti (passato prossimo, trapassato prossimo,
trapassato remoto, futuro anteriore), che invece necessitano di un ausiliare.
Congiuntivo – È il modo della possibilità, dei
desideri, delle opinioni.
Ha quattro tempi: due semplici (presente, imperfetto) e due
composti (passato, trapassato).
Condizionale – È il modo delle azioni che avvengono a
una data condizione.
Ha due tempi: il presente, (semplice) e il passato,
(composto).
Imperativo – È il modo delle richieste, degli
ordini, degli inviti.
Ha solo la seconda persona (tu e voi) e un solo tempo, il
presente.
Modi indefiniti – Questi modi non permettono di identificare
la persona e il numero (fatta eccezione per il participio, in cui si può
distinguere il singolare dal plurale).
Infinito – È la forma base del verbo. Si usa in
dipendenza da un altro verbo (p. es.: Sai guidare una motocicletta?), ma si può
usare anche come verbo principale per indicare ordini, desideri, ed altro.
Es.: Uscire, uscire fuori, subito!
Ne esistono il tempo presente (“riflettere”) e passato (“aver
riflettuto”).
Participio - È simile a un aggettivo e, per questo,
può indicare il numero e talvolta anche il genere ( es., il participio mangiata
indica un femminile singolare). Si usa con i verbi ausiliari nella costruzione
dei tempi composti.
Ha due tempi, il presente (“riflettente”) e il passato
(“riflettuto”).
Gerundio – Si usa nelle subordinate per
esprimere un certo tipo di rapporto con la reggente. Ha due tempi: il presente
(“riflettendo”) e il passato (“avendo riflettuto”).
Riflessione
sulla lingua. Il lessico[4]: gli
scarti linguistici – Si definisce scarto
linguistico una trasgressione, un’infrazione ad una norma linguistica
di uso comune.
Essi si distinguono in:
·
Arcaismo – Forma grammaticale, parola o espressione di una fase
linguistica anteriore sopravvivente nell’uso, di solito per fini stilistici.
·
Barbarismo – Il fenomeno dell’uso di termini stranieri.
·
Classicismo – L’insieme dei caratteri stilistici e dei concetti teorici
che sono stati ricavati dall’antichità classica e rielaborati formandone un
canone proposto come modello supremo per ogni produzione artistica e
letteraria.
·
Dialettalismo – Vocabolo o espressione di origine dialettale
·
Neologismo – Parola o locuzione nuova, o anche nuova accezione di una
parola già esistente, entrata da poco tempo a far parte del lessico di una
lingua.
·
Tecnicismo - Parola o locuzione che fa parte di un linguaggio tecnico.
Educazione letteraria. I generi
letterari – Per classificare un’opera
letteraria bisogna individuare il genere
letterario cui essa appartiene,
perché un testo è legato ad altre opere appartenenti allo stesso genere.
Tale rapporto rende riconoscibile il testo e, al tempo stesso, consente di coglierne l’originalità.
Il genere letterario è un raggruppamento
di opere omogenee, accomunate da una serie di caratteristiche riguardanti le
scelte tematiche e stilistiche e le regole di costruzione.
Per definire un genere letterario non
sono indicativi né i temi, né l’uso di particolari tecniche espressive
isolatamente considerate, quello che lo caratterizza è il rapporto fra
l’organizzazione tematica ed il piano formale.
Tre elementi definiscono il genere letterario:
1.
Un
preciso rapporto fra temi e forme espressive, comune a una serie di opere;
2.
La
codificazione di tali relazioni che permette di individuare le costanti e di
fissare il modello;
3.
La
conoscenza, comune sia all’emittente sia ai destinatari, dei caratteri del
genere letterario.
In tal modo il lettore, posto di fronte
a un testo appartenente a un certo genere
letterario, sa già, almeno nelle linee essenziali, che cosa troverà nel
testo e, proprio secondo tale conoscenza, potrà valutarne l’originalità.
Le caratteristiche del genere letterario, non vanno
considerate come uno schema rigido e immutabile, ma piuttosto come un programma
costruito su leggi generali, nel cui ambito egli può operare con una certa libertà,
adeguandosi ad esse fedelmente o mutandole in modo originale con
l’introduzione di elementi nuovi che, una volta codificati, trasformano, a loro
volta, le leggi del genere che tende a modificarsi nel tempo.
Adottando una suddivisione pratica, possiamo distinguere tre
fondamentali tipi di testo letterario: quello di narrativa (in prosa), quello
di poesia (in versi), quello teatrale (destinato ad essere recitato in teatro).
Ciascuno di essi comprende vari generi, cioè raggruppamenti
d’opere omogenee caratterizzate da un preciso rapporto tra argomento trattato e
forma espressiva.
Es.: Il poema epico è tale perché tratta di guerra, d’eroi e
delle loro eccezionali imprese ed è scritto in versi, in un linguaggio alto e
solenne, denso di formule espressive ricorrenti.
Educazione letteraria. Il testo narrativo – Il testo
narrativo è un tipo particolare di composizione letteraria in prosa o in versi,
sia orale sia scritta.
Questo modello di scrittura presuppone l’esistenza di:
·
Una
storia;
·
Un
narratore, che si assume il compito di raccontare agli
ascoltatori-lettori-destinatari la storia.
Educazione letteraria. Il testo poetico – Il testo poetico è un tipo particolare di
composizione letteraria in versi in cui l’autore esprime un messaggio.
Questo modello di scrittura presuppone l’esistenza di:
·
un linguaggio che segue regole totalmente
diverse da quello della lingua comune;
·
dei versi che si riconoscono visibilmente
rispetto alle righe del testo in prosa;
·
una musicalità estranea ai normali testi in
prosa ed alla conversazione;
·
un significato che il testo poetico riesce
a esprimere con un certo livello di complessità, grazie al modo in cui il
messaggio è organizzato.
Educazione letteraria. Il testo teatrale – Il testo teatrale è tipo particolare di
composizione letteraria, chiamato copione usato per le rappresentazioni sulla
scena di un teatro.
Questo modello di scrittura presuppone:
·
il
discorso diretto da parte dei personaggi, attori che recitano una parte e
descrivono gli ambienti, gli stati d’animo, la vicenda con delle battute.
·
le
didascalie (per descrivere l’ambiente, i personaggi o il modo in cui sono dette
le battute).
Educazione letteraria. Testo e contesto - L’autore[5], nel produrre un testo
letterario, agisce attribuendo un particolare significato a qualcosa e
rappresentando nel suo testo il modo di vivere, di pensare e di fantasticare
degli uomini e delle donne del suo tempo.
Per realizzare questa rappresentazione si serve di due modalità:
1.
o inventa storie con personaggi che
mostrano al lettore situazioni di vita e idee, sentimenti, stati d’animo del
suo tempo trasferiti ai personaggi;
2.
o esprime, attraverso situazioni minime
che gli servono da spunto, gli stati d’animo, le emozioni, le idee che possono
essere solo sue personali o condivise dai suoi contemporanei.
Nel corso dei secoli, la prosa ha finito col divenire la
forma delle storie con personaggi, la poesia la forma delle situazioni minime
che sono solo lo spunto per esprimere emozioni, idee, stati d’animo: per le
storie con personaggi, scritte utilizzando versi si usa, infatti, il termine poema[8], non il termine poesia.
Nella costruzione di un testo letterario, lo scrittore fa
riferimento a due immaginari:
1.
l’immaginario collettivo, ossia il
patrimonio di immagini simboliche cui fanno riferimento gli appartenenti ad una
stessa cultura per rappresentare sentimenti, situazioni, esperienze.
Es.: la
donna fatale, che ammalia gli uomini e li rende incapaci di decidere da soli è
rappresentata nella cultura greca dalla maga Circe.
Nella
cultura europea Romeo e Giulietta rappresentano i giovani amanti ostacolati nel
loro amore.
L’agnello
è il simbolo della innocenza sacrificata.
La
bilancia esprime il concetto di giustizia.
2.
L’immaginario personale, ossia
l’elaborazione dell’immaginario collettivo di un proprio immaginario da parte
dello scrittore, ma che caratterizza in modo specifico la propria produzione
poetica rispetto a quella dei suoi contemporanei e rendendola personale.
Riconoscere l’immaginario personale di un autore è un elemento costitutivo
dell’analisi storico-letteraria del testo.
Scrittori, poeti e drammaturghi non sono gli unici autori che
rappresentano: anche un’opera lirica ed un film sono rappresentazioni di
azioni, di sentimenti, di stati d’animo, di idee e di fantasie.
Di fronte ad un testo letterario, un lettore/spettatore consuma il prodotto senza porsi domande
su chi ne sia l’autore, su quando questi sia vissuto, su quali fossero i suoi
scopi; il modo di consumare del
lettore/spettatore fa riferimento al piacere che avverte e alla consonanza di sentimenti che prova con
quel che legge/vede/ascolta.
In tal caso, il lettore/spettatore si confronta con il
singolo testo che sta consumando.
Ma consumare in
questo modo è un atteggiamento passivo: appena, infatti, un lettore/spettatore
comincia a chiedersi perché gli piaccia oppure no, smette di essere passivo di
fronte al prodotto di un autore e comincia a giocare con il testo e con l’autore: la fabula, l’intreccio, i termini usati, l’alternarsi delle sequenze, la costruzione dei personaggi, le situazioni
descritte.
Il primo passo verso l’interpretazione è chiedersi come
funziona un testo: questo tipo di indagine vuole dire cercare di comprendere
come l’autore ha lavorato, quali mezzi
ha usato per fare piacere il suo prodotto.
Il lettore critico però va oltre e si chiede:
·
per
quale scopo l’autore ha scritto ciò che ha scritto
·
di
che cosa vuole convincere
·
quale
sua verità vuole dimostrare.
Il lettore che si pone queste domande deve comprendere quindi
i propositi dell’autore, che ha voluto rappresentare proprio
·
quelle
azioni,
·
quei
sentimenti,
·
quei
comportamenti,
attribuendo a queste azioni, sentimenti e comportamenti
alcuni significati precisi.
Il lettore che comprende i propositi dell’autore (il suo
scopo nel produrre l’opera) comincia a cercare interpretazioni al testo.
II
MODULO IL TESTO NARRATIVO
III UNITÀ.
Riflessioni sulla lingua. La proposizione - Una proposizione è una
frase, un pensiero di senso compiuto. Una frase è il massimo segmento in cui può
essere suddiviso il discorso umano.
Es.: Luigi gioca.
Riflessioni sulla lingua. Il soggetto - Il soggetto indica la
persona, l’animale o la cosa che compie o subisce l’azione.
Es: Maria lavava; egli guarda, ecc.
Riflessioni sulla lingua. Il predicato - Il predicato è la voce
verbale che dichiara l’esistenza del soggetto.
Il predicato può essere:
·
predicato verbale:
se è formato da un verbo,
es.: Luca ascolta;
·
predicato nominale:
se la voce verbale è rappresentata dal verbo essere seguita da un aggettivo o
nome,
·
es.:
egli è gentile, io sono un bambino.
Il verbo essere si chiama copula,
e nome del predicato la parola che segue.
Es.: Luca è diligente
- Luca (soggetto) è (copula) diligente (nome del predicato), oppure si può
dire: Luca (soggetto) è diligente (predicato nominale).
Quando il verbo essere significa esistere, appartenere ecc.
ha valore di predicato verbale.
Es.: La casa della zia
è a Roma diventa predicato verbale.
Riflessioni
sulla lingua. Il
periodo – Il periodo è l’unione di due o più proposizioni in una espressione logicamente ordinata.
Es.: «Agnese vi s’avviò, come se volesse tirarsi alquanto in
disparte, per parlar più liberamente.» (Manzoni).
In questo periodo vi sono tre proposizioni perché tre sono le
forme verbali; una è la proposizione principale, o reggente, in quanto può
reggersi grammaticalmente da sola, mentre su di essa poggiano le altre che,
proprio perchè dipendono dalla principale si chiamano proposizioni dipendenti
o subordinate o secondarie.
Riflessioni sulla lingua. Vari tipi di proposizioni principali - Le
proposizioni principali, secondo le varie sfumature che assume il predicato,
si possono distinguere in:
·
enunciative o narrative
sono le più frequenti fra le proposizioni principali; esse riferiscono,
enunciano e raccontano un episodio sia in forma negativa sia in forma positiva.
In genere usano l’indicativo.
Es.: Questo alunno né studia, né sta
attento alle lezioni.
Con i verbi potere, dovere, usano il
condizionale.
Es.: Avresti dovuto accettare;
·
interrogative dirette sono proposizioni che contengono in sé
una domanda e si concludono con il punto interrogativo.
Es.: Chi ti ha parlato?;
·
esclamative sono proposizioni che esprimono un
sentimento di meraviglia, dolore, gioia, ecc.
Usano l’indicativo o il modo infinito e si concludono con il punto esclamativo.
Usano l’indicativo o il modo infinito e si concludono con il punto esclamativo.
Es.: Che gioia parlarti!;
·
imperative sono proposizioni che esprimono un
ordine un comando, una proibizione. Usano l’imperativo.
Es.: Va’ via di qua;
·
dubitative sono proposizioni che esprimono dubbio,
incertezza. Usano indicativo e il condizionale.
Es.: Che cosa dovevo fare? A chi dovrei
parlare?;
·
esortative sono proposizioni che esprimono una
preghiera, un invito. Usano il modo congiuntivo.
Es.: Su, si faccia avanti. Andiamo dal
professore e chiediamogli una spiegazione;
·
concessive sono proposizioni che esprimono una
concessione, un permesso; esse usano il congiuntivo seguito in genere da pure, finché.
Es.: Ammettiamo pure che lo abbia fatto;
·
potenziali sono proposizioni che esprimono un
fatto come possibile; esse usano il condizionale e l’indicativo.
Es.: Avrei dovuto ascoltarlo.
Potrei andare da lui;
·
desiderative o ottative sono proposizioni che servono ad
esprimere un desiderio o un augurio. Queste proposizioni sono spesso introdotte
da espressioni come: Voglia il cielo,
che. Esse usano il congiuntivo o il
condizionale.
Es.: Voglia il cielo che tu possa venire.
Oh, come vorrei che tu mi fossi vicino!
Riflessioni sulla lingua. Proposizioni coordinate e subordinate -
In un periodo formato da proposizioni sintatticamente indipendenti l’una
dall’altra vi sono una proposizione principale, che esprime l’idea più
importante, ed altre proposizioni dette coordinate alla principale, perché
unite ad essa senza idea di subordinazione.
Es.: Sono andato a Roma, ho visitato il Colosseo ed ho
proseguito per il Vaticano.
In una frase complessa, la combinazione di più proposizioni
può avvenire non solo mediante la coordinazione, ma anche mediante la
subordinazione. La proposizione subordinata non può stare da sola, ma ha
bisogno di un’altra proposizione a cui appoggiarsi.
In un periodo si possono avere diverse proposizioni
subordinate.
Sono invece subordinate quelle proposizioni che per la loro
struttura non possono sostenersi da sé ma, si appoggiano ad altre frasi
(principali o anche subordinate) dalle quali sono rette.
In genere la subordinazione avviene per mezzo di congiunzione, di pronomi, di aggettivi o
di avverbi relativi o interrogativi.
Es.: Il cane che hai incontrato, è di mio fratello.
Ti ho parlato per convincerti a portare tuo marito dal
medico.
Riflessioni sulla lingua. Vari tipi di periodo - Il periodo può
essere di tre tipi:
·
semplice: quando è formato da una sola proposizione.
Es.: Ieri ho studiato a lungo;
·
composto: quando è formato da due o più
proposizioni indipendenti.
Es.: Quell’uomo aveva incontrato un
cane: proposizione principale, si era fermato: proposizione coordinata alla
principale, poi aveva ripreso il cammino: proposizione coordinata alla
principale;
·
complesso: quando è formato da una proposizione
principale e da una o più proposizioni secondarie.
Es.: Non sono stato al cinema:
proposizione principale, perché avevo un grosso impegno: proposizione secondaria
di 1° grado che non potevo evitare: proposizione secondaria di 2° grado.
Riflessioni sulla lingua. Proposizioni implicite ed esplicite - Una
proposizione si dice esplicita quando il predicato verbale è un verbo di modo
finito (indicativo, congiuntivo, condizionale, imperativo).
Es.: La maestra dice
ai suoi alunni: (dice indicativo) «Studiate di più!» (studiate imperativo).
Si dice implicita quando il predicato verbale è un verbo al
modo indefinito (infinito, participio, gerundio).
Es.: Ascoltando capii
molto.
Una proposizione implicita può sempre essere trasformata in
una equivalente proposizione esplicita.
Es.:
Penso di andare al mare - Penso che andrò al mare, ecc.
Riflessioni sulla lingua. Modi indefiniti - Questi modi non
permettono di identificare la persona e il numero (fatta eccezione per il
participio, in cui si può distinguere il singolare dal plurale).
Infinito - L’infinito è la forma base del verbo. Si usa
in dipendenza da un altro verbo (p. es.: Sai guidare una motocicletta?), ma si
può usare anche come verbo principale per indicare ordini, desideri, ed altro
(es.: Uscire, uscire fuori, subito!). Ne esistono il tempo presente (riflettere) e passato (aver riflettuto).
Participio - Il participio è simile ad un aggettivo e,
per questo, può indicare il numero e talvolta anche il genere (es., il
participio mangiata indica un femminile singolare). Si usa con i verbi
ausiliari nella costruzione dei tempi composti. Ha due tempi, il presente (riflettente) e il passato (riflettuto).
Gerundio – Il gerundio si usa nelle subordinate per
esprimere un certo tipo di rapporto con la reggente. Ha due tempi: il presente
(riflettendo) e il passato (avendo riflettuto).
Riflessioni sulla lingua. Le subordinate completive - Le
proposizioni subordinate completive (o sostantive o complementari dirette) sono
proposizioni dipendenti che completano il senso della proposizione reggente,
svolgendo nel periodo la medesima funzione che nella proposizione ha un
sostantivo non preceduto da preposizione, cioè usato in funzione di soggetto o
di complemento oggetto.
Riflessioni sulla lingua. La proposizione soggettiva - La
proposizione subordinata soggettiva è una proposizione subordinata che fa da
soggetto al predicato della reggente:
Es.: È evidente che sei triste (prop. subordinata soggettiva).
La tua tristezza (soggetto) è evidente.
La proposizione soggettiva dipende sempre da verbi o
locuzioni verbali impersonali o usati impersonalmente.
In particolare, dipende:
·
da verbi impersonali o usati impersonalmente alla 3a persona singolare, come accade, avviene, capita, bisogna, occorre, sembra, pare, dispiace, basta, importa, interessa ecc.
Es.: “Sembra che tutti siano d’accordo;
Bisogna
che partecipiate anche voi;
Mi
basta vederti ogni tanto;
Bastava
che arrivassi un’ora prima;
·
da verbi costruiti con il si passivante,
come si dice, si crede, si pensa, si teme, si spera.
Es.: “Si dice che il sindaco si
dimetterà”;
“Si temeva che fossi già partito”;
·
da locuzioni verbali impersonali costituite dal
verbo essere + un nome, come è ora,
è tempo, è compito, è dovere, è una vergogna, è un piacere.
Es.: “È ora di alzarsi”;
“È un’indecenza che possano succedere
queste cose”;
“È dovere di tutti provvedere al bene
comune”;
·
da locuzioni verbali impersonali costituite dai
verbi essere, parere, sembrare, riuscire, venire, accompagnati da un aggettivo o da un
avverbio in funzione di nome, come è
bello, è brutto, è necessario, è tanto, è poco, è molto, è bene, è male, pare certo, sembra sicuro, pare opportuno,
riesce facile, riesce difficile, viene
opportuno ecc.
Es.: “È stato brutto da parte tua
comportarti così”;
“È tanto che non lo vedo”;
“Sarà opportuno chiedere un prestito
alla banca”;
“Non ci sembra necessario informarli del
nostro progetto”;
“Mi riesce difficile immaginare una cosa
simile”.
Nella forma esplicita,
la proposizione soggettiva è introdotta dalla congiunzione subordinante che e ha il verbo:
·
all’indicativo,
quando la reggente esprime certezza: “È chiaro che il responsabile sei tu”;
·
al
congiuntivo, quando il verbo della reggente esprime possibilità, probabilità,
dubbio, speranza e simili: “Si dice che il responsabile sia tu”;
·
al
condizionale, quando il fatto indicato dalla soggettiva dipende da una
condizione (espressa o sottintesa): “È chiaro che verrebbe volentieri (se
potesse)”.
Nella forma implicita,
la proposizione soggettiva ha il verbo all’infinito, con o senza la
preposizione di:
“È ora di partire”;
“Bisogna avvertire subito Paolo”.
Educazione
letteraria. Le forme del testo narrativo – I testi narrativi possono presentarsi in forma diverse: come mito, favola, leggenda, parabola, novella e romanzo.
·
Il mito è la narrazione di eventi
riguardanti le origini di un gruppo di gente, e ha per protagonisti divinità ed
eroi
Es.: I miti greci e latini.
·
La fiaba
è una narrazione breve originaria della tradizione popolare, caratterizzata da
componimenti brevi e di fatti fantastici caratterizzati da due elementi:
eccezionalità e magia; e centrati su avvenimenti e personaggi fantastici come
streghe, fate, orchi, giganti e così via. Dopo aver sconfitto le forze del
male, l’eroe-positivo riesce sempre a realizzare gli scopi prefissati e a
conquistare l’oggetto di attrazione.
·
La favola è una narrazione breve, in cui
spesso protagonisti sono animali in grado di parlare, aventi gli stessi
caratteri degli uomini, con i loro difetti e le loro qualità ed in esse la
componente fantastica è generalmente assente, e la narrazione ha un intento allegorico[11] e
morale più esplicito.
·
La leggenda è un racconto, in genere
immaginario, di vicende riguardanti la vita di personaggi famosi, che hanno
lasciato un’impronta nel campo della storia o in quello religioso.
L’esagerazione, elemento caratteristico di questa forma di narrazione, serve ad
esaltare e a rendere esemplare la figura del personaggio.
Es.: le leggende riguardanti i santi o quelle legate a
personaggi storici celebri, come Muzio Scevola, Masaniello o Garibaldi.
La parabola è un racconto breve il cui
scopo è spiegare un concetto difficile con uno più semplice o dare un
insegnamento morale. La parabola divenne famosa dall’uso fatto nei Vangeli con le parabole di Gesù. La parabola
introduce un esempio che vuole illuminare la realtà specificata, con un unico
punto di contatto tra la immagine e la realtà.
·
·
La novella è un racconto non eccessivamente
lungo, che tratta fatti reali o immaginari, accaduti in un arco di tempo
alquanto breve, con un limitato numero di personaggi.
·
Il romanzo è un racconto di ampia
estensione, che narra di fatti reali o immaginari, accaduti in un lungo lasso
di tempo, con un proporzionato numero di personaggi. I filoni del romanzo sono
numerosi, i più noti sono:
§ il romanzo storico
§ il romanzo
d’avventura
§ il romanzo
naturalista e verista
§ il romanzo di
fantascienza
§ il romanzo
epistolare
§ il romanzo
psicologico
§ il romanzo
autobiografico
§ il romanzo giallo o
poliziesco.
Educazione
letteraria. Temi centrali e temi periferici – Il tema centrale, cioè l’argomento fondamentale del testo, è il filo
conduttore che unisce organicamente le varie parti dell’opera.
Accanto
al tema centrale vi sono poi dei temi
periferici, che sono propri di ogni singola parte dell’opera e che sono comunque
convergenti verso il tema principale.
Individuare
il tema centrale e quelli periferici significa procedere a una prima generale
scomposizione del testo e serve a capire la struttura portante dell’opera
stessa.
Es.:
Nei Promessi Sposi di Alessandro
Manzoni il tema centrale è l’amore
fra Renzo e Lucia, ostacolato da don Rodrigo. Il tema periferico è la vita di Gertrude; quest’ultima, però, è parte
anche del tema centrale, poiché ella dà ospitalità a Lucia e consegna la
ragazza ai bravi dell’Innominato al momento del rapimento.
Educazione
letteraria. L’individuazione del tema - Emozioni e sentimenti pervadono
continuamente la vita quotidiana di ogni periodo storico influenzano un elevato
numero di comportamenti sociali; essi sono oggetto di ogni forma di produzione
umana e si traducono in:
·
sensazioni[12],
·
emozioni[13],
·
sentimenti[14],
·
passioni[15]
·
stati d’animo[16]
le cui differenze tra sono estremamente sfumate.
Un testo letterario, di qualsiasi natura esso sia narrativo,
sia poetico sia teatrale ne è sempre impregnato.
Alcune aree affettive come il sé, il malessere, l’eudemonia, l’inadeguatezza, il timore,
la prosocialità, lo sdegno, la rivalità e l’aggressività
sono oggetto di ogni forma di produzione umana.
1. Il sé intende la
totalità interiore rispetto a cui l’Io,
la nostra parte cosciente, è solo una piccola parte; i sentimenti legati al sé sono:
·
ambizione desiderio di eccellere, volontà di ottenere qcs
·
avarizia gretto attaccamento al denaro; scarsa disponibilità a
spendere e a donare ed avidità desiderio intenso di
beni materiali;
·
coraggio forza d’animo che
permette di affrontare responsabilmente situazioni complesse e difficili della
vita o molto rischiose;
·
egoismo interesse quasi
assoluto per se stessi;
·
narcisismo eccessiva ammirazione
di sé e vanità fatuo compiacimento
di sé e delle proprie doti, reali o presunte, accompagnato da uno smodato
desiderio di piacere, di suscitare plauso e ammirazione;
·
onore buona reputazione,
prestigio di cui una persona gode in base ai propri meriti e alle proprie
capacità o in rapporto ai valori etici e sociali dominanti;
·
orgoglio eccessiva considerazione di sé, che porta a ritenersi
superiori agli altri atteggiamento sdegnoso e sprezzante;
·
superbia eccessiva stima di sé
che porta a comportarsi in modo arrogante e sprezzante nei confronti degli
altri.
2. Il malessere è
uno stato di inquietudine,
di turbamento e
di disagio
interiore, che si condensa in una sensazione di angoscia[17]; i sentimenti legati
al malessere sono:
·
abbandono prostrazione morale,
sfiducia, scoramento, derivante dall’essere abbandonato
·
accidia avversione
all’operare mista a noia e indifferenza
·
burnout
·
depressione stato di abbattimento
fisico e psichico che porta stanchezza, malinconia, malumore, pessimismo,
sfiducia
·
frustrazione impossibilità o
incapacità di soddisfare un desiderio o un bisogno, con conseguente tensione
emotiva
·
indifferenza atteggiamento di chi
prova o mostra disinteresse, noncuranza, distacco
·
lutto sentimento di intenso
dolore che si prova per la perdita di una persona cara
·
malinconia stato d’animo di vaga
tristezza, di struggente inquietudine e depressione costanti, caratterizzato
dalla propensione al pessimismo, alla chiusura in se stessi e alla meditazione
·
melanconia stato psichico
caratterizzato da alterazione dell’umore e dei sentimenti che provoca
un’ingiustificata tristezza spesso unita ad ansia
·
noia sentimento di
insoddisfazione, inquietudine o fastidio determinato dal ripetersi monotono
delle stesse azioni, dalla mancanza di distrazioni o di stimoli, da uno stato
di ozio o di tristezza
·
nostalgia stato di tristezza e
di rimpianto per la lontananza da persone e luoghi cari o per una situazione
passata che si vorrebbe rivivere, che talvolta può evolvere in manifestazioni
di carattere patologico
·
solitudine condizione di chi
vive solo, in modo permanente o per un lungo periodo, ricercata per acquisire
pace interiore o subita per assenza di affetti o appoggi materiali:
·
tristezza stato d’animo di chi
è triste, addolorato, malinconico
3. L’eudemonia,
correntemente tradotta con felicità,
indica uno stato di benessere che comprende sia la soddisfazione personale
dell’individuo, sia la sua collocazione nel mondo. Quando oggi si parla di
felicità, si intende la semplice soddisfazione individuale; i sentimenti legati
all’eudaimonia sono:
·
felicità stato d’animo di chi
è felice
·
gioia stato d’animo di
pieno godimento, di allegria, di contentezza
·
umorismo capacità di percepire
la realtà mettendone in risalto, con un atteggiamento improntato al distacco
critico, gli aspetti divertenti.
4. L’inadeguatezza
nasce dal fatto che la società da sempre impone stili e modelli di vita e di
comportamento e chi è diverso e si scosta da questi modelli, per qualsiasi
ragione, può sentirsi inadeguato. I
sentimenti legati all’inadeguatezza
sono:
·
colpa sentimento che si prova per aver
compiuto o di credere di aver compiuto un’azione contraria alla morale o alle leggi
·
imbarazzo condizione di forte
disagio, spec. connessa alla difficoltà o impossibilità di adottare un
comportamento dignitoso, opportuno
·
pudore sentimento di ritrosia,
vergogna e riserbo, specialmente per ciò che concerne la sfera sessuale.
·
timidezza disagio di fronte a
estranei provocato da insicurezza, riservatezza o soggezione, che si manifesta
con comportamenti impacciati o anche scontrosi
·
vergogna sentimento di
profondo turbamento e di mortificazione, derivante dalla consapevolezza che un
atto, un comportamento, un discorso, ecc., propri o anche altrui, sono
riprovevoli, disonorevoli, sconvenienti.
5. Il timore deriva
dalla religiosità dove indica il sentimento che pervade l’uomo che avverte la
presenza di un essere che lo trascende e che manifesta la sua potenza senza
rivelare la sua natura nascosta. I sentimenti legati alla sfera del timore sono:
·
ansia stato di agitazione
dovuto a timore, incertezza o attesa di qualcosa
·
paura emozione, spesso
improvvisa, che si determina in relazione a situazioni o nei confronti di
persone o cose che costituiscono pericolo o che vengono avvertite come
minacciose e che comporta turbamento, smarrimento, ansia
6. La prosocialità
indica genericamente una condotta diretta a beneficiare una o più persone e al
concetto di comportamento altruistico il significato più specifico di condotta
messa in atto volontariamente, senza che vi sia alcuna aspettativa di ricevere
vantaggio in qualsivoglia forma, con l’implicazione di un puro sacrificio dei
propri interessi da parte di chi ha agito a favore dell’altro. I sentimenti
legati alla sfera della prosocialità
sono:
·
amicizia sentimento e legame
tra persone basato su reciproco affetto, stima, fiducia
·
amore sentimento intenso ed
esclusivo verso qualcuno, basato sul desiderio erotico e sull’affetto
·
fiducia sentimento di
sicurezza, tranquillità, speranza, che deriva dal confidare in qualcuno o
qualcosa, nelle possibilità proprie o altrui
·
pena e pietà sentimento di
compassione, partecipazione e solidarietà per la sofferenza o l’infelicità
altrui
·
simpatia sentimento di attrazione istintiva verso una persona
derivato da una visibile affinità sentimentale, accompagnata dal piacere della
reciproca compagnia
·
solidarietà partecipazione umana
e morale o impegno diretto offerti a chi è in una situazione critica o dolorosa
·
tenerezza sentimento di affetto
delicato e partecipe; affettuosa commozione.
7. La rivalità è la
contesa prolungata nel tempo tra due persone o gruppi motivati dal desiderio di
conquistare ciascuno una supremazia sull’altro; i sentimenti legati alla
rivalità sono:
·
antipatia avversione istintiva verso una persona o una cosa
·
gelosia sentimento doloroso
che nasce da un desiderio di possesso esclusivo nei confronti della persona
amata e dal timore, dal sospetto o dalla certezza della sua infedeltà
·
invidia sentimento di astio, ostilità e rammarico per la
felicità, il benessere, la fortuna altrui
·
risentimento
8. L’ostilità è un
senso di avversione manifesto e nascosto verso il prossimo che può esprimersi
in forme meditate o impulsive per ragioni di antagonismo, pregiudizio o
inimicizia. Essa si manifesta in:
·
cattiveria sentimento commisto
di animosità, rancore e desiderio di rivalsa, provocato da un comportamento
altrui ritenuto ingiusto
·
collera, ira
e rabbia stato di violenta
irritazione che tende a manifestarsi con parole di sdegno e gesti di collera
aggressiva, indignazione
·
crudeltà insistenza compiaciuta, nel tormentare gli altri, cieca
violenza, inesorabilità.
·
disgusto sensazione sgradevole, ripugnanza, avversione, repulsione
·
disprezzo mancanza totale di stima verso qcn., qcs. scarsa
considerazione
·
fanatismo manifestazione di entusiasmo eccessivo e irrazionale che
induce a un atteggiamento radicale e intollerante verso chi non la professa,
·
indignazione sentimento di sdegno e risentimento, spec. provocato da
ciò che si considera riprovevole, immorale o sconveniente
·
odio sentimento di forte
ostilità e avversità nei confronti di qcn. di cui si desidera il male
9. La socialità è il complesso dei
rapporti più o meno affettivi che regolano la vita degli individui che fanno
parte di una data società o di un determinato ambiente; la coscienza di tali
rapporti e degli obblighi che essi comportano, determinano le
dinamiche di interazione che regolano la vita affettiva dell’individuo nel
gruppo, nelle organizzazioni e nelle istituzioni sociali.
·
ammirazione l’ammirare, il contemplare, grande stima, apprezzamento.
·
appartenenza il senso di appartenere, di fare
parte di un gruppo
·
sicurezza l’insieme delle
condizioni esteriori che consentono di vivere o di esistere e durare al riparo
da pericoli, in uno stato di tranquillità e di operoso esercizio delle proprie
funzioni e attività
·
tolleranza atteggiamento di chi
permette o accetta convinzioni politiche, religiose, etiche, o comportamenti
diversi dai propri, dimostrando comprensione o indulgenza per gli errori o i
difetti altrui.
Educazione letteraria. Il narratore – Si è detto che un testo narrativo
presuppone l’esistenza di una storia e di un narratore, che si assume il
compito di raccontare la storia.
Qualche volta, ma raramente, autore e narratore
coincidono: è il caso di un'autobiografia o di un diario. Più spesso, per non
dire quasi sempre, si tratta invece di «entità» separate, diverse.
Uno scrittore dispone di due tipi di narratore:
•
esterno (o eterodiegetico) è al di fuori della storia narrata,
cui non partecipa e rispetto alla quella è dunque estraneo; di solito si
esprime in terza persona.
•
interno (o omodiegetico) è un personaggio della storia, di cui è
o è stato protagonista e che racconta in prima persona (io narrante).
Con l'espressione punto di vista si intende quella
particolare posizione in cui il narratore si pone per raccontare i fatti,
descrivere i personaggi o lo spazio, organizzare la scansione temporale degli
eventi, ecc.
Letteralmente, focalizzare vuol dire «mettere a fuoco»:
il fotografo che regola la distanza per ottenere un'immagine nitida del gruppo
sorridente che ha davanti.
Nell'ambito dell'analisi dei testo, le cose vanno più o
meno allo stesso modo che in fotografia: il narratore focalizza i fatti, cioè li orienta collocandosi in una
prospettiva ben precisa.
Lo scrittore, attribuendo al narratore un determinato
punto di vista, compie una vera e propria scelta di stile. A seconda della
focalizzazione adottata, infatti, sarà obbligato a costruire l'intreccio in un
certo modo: dovrà decidere, per esempio,
•
se inserire dei
flashback o delle prolessi;
•
se descrivere
accuratamente un personaggio oppure lasciarlo alla nostra immaginazione;
•
se riportarne i
pensieri o raccontarne soltanto le azioni ecc.
Ugualmente limitata è anche la libertà del lettore, che
entrerà nella storia seguendo il percorso che l'autore ha tracciato per lui.
Il punto di vista non rimane costante per tutta la durata
di una narrazione; non è dunque riferibile all'intero sviluppo di un'opera (sia
questa racconto o romanzo), ma piuttosto a segmenti narrativi determinati, le sequenze,
che possono essere anche molto brevi.
Fatta salva questa precisazione, a seconda del punto di
vista complessivamente prevalente si possono distinguere tre tipi di narrazione:
1. Narrazione non focalizzata o a focalizzazione zero: il narratore mostra di sapere più cose di quante ne
conoscano i personaggi. Questo tipo di narrazione viene tradizionalmente
chiamata narrazione «con narratore onnisciente» perché egli conosce gli
atti di coscienza (pensieri, stati d'animo, percezioni ecc.) dei personaggi
meglio degli stessi personaggi. In questo caso il narratore
occupa una posizione di assoluto privilegio, che gli consente di seguire la
vicenda in ogni suo particolare, anche quello più piccolo e nascosto. esprime un giudizio personale riguardo ai fatti;informa
il lettore sui retroscena della storia, intervenendo con flashback o prolessi. Insomma:
ne sa più dei personaggi e del lettore
stesso.
2.
Narrazione a
focalizzazione interna: il narratore dice solo quello che sa il personaggio di cui assume il punto di vista. In questo caso il narratore conosce i pensieri, gli atti
di coscienza di un personaggio quanto il personaggio stesso. Questo accade
quando il narratore è anche un personaggio della storia oppure quando, pur non
essendolo, fa coincidere il suo punto di osservazione con quello di un
personaggio. Questo tipo di
focalizzazione è coinvolgente, perché trasmette
i pensieri, le emozioni, le sensazioni del personaggio stesso.
3.
Narrazione a
focalizzazione esterna: il narratore dice meno cose di quante ne
sappiano i personaggi. Il narratore racconta solo quello che si può vedere
dall'esterno e gli atti di coscienza dei personaggi vengono conosciuti non in
se stessi, ma nelle loro manifestazioni. In questo caso il narratore può essere
esterno oppure coincidere con un personaggio che è stato soltanto un testimone.
Si tratta di un narratore che si colloca al di fuori della storia e non
partecipa emotivamente alle vicende. Espone i fatti in modo impersonale e ne sa
meno dei personaggi, dei quali non esplora i pensieri ma racconta soltanto le
azioni. Questo tipo di focalizzazione è
presente in particolare nelle descrizioni oggettive o nel dialogo, in cui il
narratore riporta ciò che i protagonisti dicono, come se l'avesse registrato.
Difficilmente in una narrazione compare solo un tipo di focalizzazione: poiché
in genere sono ben più di una, variamente combinate fra loro, per semplificare
ci si riferisce, nell'analisi del testo e negli esercizi, a quella prevalente.
Educazione letteraria. La struttura generale della storia
narrata – Nei testi narrativi è possibile individuare una struttura generale di
base valida per la quasi totalità dei testi.
Questa
struttura è costituita da quattro momenti:
·
situazione iniziale
·
complicazione: un
evento che viene ad alterare, più o meno improvvisamente, l’equilibrio
iniziale;
·
evoluzione della vicenda: una serie di eventi, che possono migliorare o peggiorare
la situazione del personaggio principale;
·
conclusione della vicenda: alla fine della narrazione si ristabilisce un equilibrio,
che può essere positivo o negativo, e la vicenda si scioglie.
Educazione letteraria. Fabula
e intreccio – La distinzione, introdotta dai formalisti russi, tra fabula e intreccio.
Con fabula si indica la sequenza dei fatti
raccontati, disposti nell'ordine cronologico in cui si sono svolti e
selezionati in base ai loro rapporti di causa-effetto.
Con intreccio si intende il modo in cui i
fatti raccontati sono disposti dal narratore, spesso alterando l'ordine
cronologico della fabula e/o introducendo fatti che non hanno rapporto di
causa-effetto con altri, ma sono liberi (digressioni, descrizioni ecc.)
Educazione letteraria. Nuclei narrativi e sequenze – In ogni
testo narrativo troviamo una serie di informazioni: alcune sono indispensabili
per capire lo svolgimento della storia, altre invece aggiungono particolari
meno importanti, utili tuttavia a comprendere meglio determinate situazioni. Le
prime costituiscono gli eventi essenziali, le seconde gli eventi accessori. Gli
eventi essenziali formano i pilastri del racconto, mentre quelli accessori
hanno la funzione di far comprendere meglio il contesto e l’atmosfera in cui si
svolge il racconto stesso. Ogni evento essenziale, con i relativi eventi
accessori, forma un nucleo narrativo, cioè una porzione di testo più o meno
completa, che sviluppa una parte ben precisa del racconto.
Un altro sistema di scomposizione del testo narrativo è
costituito dalle sequenze, unità
narrative minime, che sono dei segmenti di testo, inferiori rispetto ai nuclei
narrativi per estensione e complessità, forniti di senso logico compiuto.
Anche se ogni sequenza, in sé conclusa e dotata di piena
autonomia sul piano sintattico e di significato compiuto, essa acquista pieno
significato solo all’interno del testo di cui fa parte, integrata nel sistema
di relazioni con tutte le altre sequenze del racconto.
Non è possibile precisare l’ampiezza di una sequenza le sequenze cambiano quando:
·
entra
in scena o esce un nuovo personaggio;
·
cambiano
le modalità espositive (es.: il passaggio dal discorso diretto all’indiretto e
viceversa).
·
c’è
una variazione di tempo e di luogo.
Inoltre, rispetto al loro contenuto, le sequenze si dividono
in:
A seconda del particolare significato, le sequenze si
suddividono in:
·
sequenze narrative: parti del racconto che registrano le azioni dei personaggi e gli avvenimenti
in cui sono coinvolti, poiché immettono nel racconto fatti e accadimenti, le
sequenze narrative portano avanti lo
sviluppo della trama e sono dunque sequenze dinamiche.
·
sequenze descrittive[18]: parti del racconto che hanno il
compito di dare consistenza ai personaggi e al contesto della vicenda. Le
sequenze di questo tipo sono statiche e rallentano il ritmo della narrazione,
arricchendo però la storia di determinazioni che la rendono più viva e
consistente. La loro presenza è indispensabile per delineare, attraverso la
descrizione dell’ambiente e delle sue caratteristiche, il contesto in cui si
svolge una vicenda;
·
sequenze riflessive: parti del racconto che registrano e
analizzano i sentimenti e gli stati d’animo dei personaggi e le riflessioni e i
giudizi che essi esprimono in ordine alla vicenda, oppure riportano la voce
stessa del narratore che manifesta le sue considerazioni su quanto sta
avvenendo nella storia o sull’agire e il carattere dei personaggi. Al pari di
quelle descrittive, anche le sequenze riflessive sono statiche e segnano una
pausa nella narrazione, rallentando il procedere degli eventi.
·
sequenze dialogate: parti del racconto che riportano i
discorsi diretti dei personaggi. A seconda del contenuto e dell’impostazione
dei dialoghi, questo tipo di sequenze può svolgere molteplici funzioni
narrative: può contribuire allo sviluppo dell’azione (sostituendo in un certo
senso le sequenze narrative), può rivelare lo stato d’animo e il carattere dei
personaggi e le relazioni che intercorrono tra loro o, anche, commentare la
vicenda con considerazioni, giudizi e così via. Il ritmo delle sequenze
dialogiche può essere molto diverso, a seconda che le battute che vengono
pronunciate siano brevi e scarne o, viceversa, ridondanti e prolisse; in ogni
caso le sequenze dialogate mettono in primo piano i personaggi, con un effetto
di presa diretta che tende a ridurre
il ruolo del narratore.
IV UNITÀ
Riflessioni sulla lingua. Verbi transitivi e verbi intransitivi -
Un verbo è transitivo quando l’azione transita
direttamente su qualcosa o qualcuno; in altre parole, quando il verbo può
reggere un complemento oggetto.
Per esempio il verbo dirigere
è transitivo perché regge un complemento oggetto come un’azienda, un’orchestra,
il traffico, ed altro.
Il verbo nuotare,
invece, è intransitivo perché non può reggere in alcun modo un complemento
oggetto.
Alcuni
verbi transitivi, in certi casi, possono avere un significato intransitivo.
Possiamo dire: “Piero legge il quotidiano”, ma possiamo dire
soltanto: Piero legge, per dire che è impegnato nell’attività della lettura.
Ugualmente si può dire: Baglioni
canta Questo piccolo grande amore, ma se togliamo il complemento oggetto,
resta Baglioni canta, il che significa che l’attività di Baglioni è cantare.
Viceversa, alcuni verbi intransitivi possono avere un
complemento oggetto (detto complemento oggetto interno) che ha la stessa radice
del verbo o che comunque ha una correlazione con esso.
Ha vissuto una vita intensa. (Vivere e vita hanno la
stessa radice.)
Egli pianse lacrime amare. (Fra piangere e lacrime c’è un
nesso di significato.)
Riflessioni sulla lingua. Complemento diretto o complemento
oggetto - Esso indica l’oggetto sul quale cade direttamente l’azione espressa
dal verbo transitivo attivo[19]. Risponde alla domanda
chi? che cosa?
Es.: Luca legge il
giornale.
Luca (soggetto) legge (predicato) il giornale («che cosa»?
complemento oggetto).
Riflessioni sulla lingua. Attributo - È un aggettivo che,
accompagnando un nome, gli attribuisce una qualità o un’altra determinazione:
per questo gli aggettivi si distinguono in aggettivi qualificativi ed aggettivi
determinativi o pronominali[20].
Es.: I libri usati
(attributo) non mi piacciono.
La mia (attributo) casa è in collina, ecc.
Riflessioni sulla lingua. La proposizione oggettiva - La
proposizione subordinata oggettiva è una proposizione subordinata che fa da
complemento oggetto al predicato della reggente:
Es Desideriamo che tu sia presente (prop. subordinata
oggettiva).
Es.: Desideriamo la tua presenza (complemento oggetto).
Diversamente dalla soggettiva, la proposizione oggettiva
dipende sempre da reggenti con il predicato costituito da un verbo usato in
forma personale, cioè fornito di soggetto espresso o sottinteso. In
particolare, può essere retta:
·
da
verbi che enunciano una dichiarazione, come dire,
affermare, proclamare, comunicare, informare, rivelare, raccontare, riferire, promettere, scrivere, telegrafare, telefonare, rispondere, negare ecc.:
“Gli zii hanno scritto che verranno qui
a Natale”; “Ti prometto che rientrerò presto”; “Rispose che non sapeva nulla”;
·
da
verbi che indicano percezione o ricordo, come vedere, sentire, udire, percepire, accorgersi, degnarsi, rifiutarsi, capire, dimenticare ecc.:
“Ho sentito che stavano litigando”;
“Ricorda che devi finire subito quel
lavoro”;
·
da
verbi o locuzioni che indicano opinione, giudizio, sospetto, dubbio o ipotesi,
come credere, pensare, ritenere, giudicare, supporre, ipotizzare, convincere, essere conscio, essere consapevole, essere convinto, rendersi conto ecc.:
“Credo che lo spettacolo finirà fra
poco”;
“Perché ritieni che abbia ragione
Mario?”;
“Si convinse di essere un incapace”;
·
da
verbi o locuzioni che indicano concessione, speranza, desiderio, ordine,
divieto, timore, come desiderare, sperare, comandare, vietare, impedire, proibire, permettere, concedere, promettere, temere, essere desideroso, essere timoroso ecc.:
“Temo che non otterremo alcun
risarcimento”;
“Gli impediremo di fare altri danni”.
Nella forma esplicita,
l’oggettiva è introdotta dalla congiunzione subordinante che e ha il verbo:
·
all’indicativo,
se la reggente annuncia un fatto come reale o certo:
“Paolo dice che gli hai mentito”;
·
al
congiuntivo, se la reggente presenta il fatto come un’opinione o un’ipotesi:
Es: Paolo
crede che tu gli abbia mentito;
·
al
condizionale, se la reggente presenta il fatto come possibile:
Es: Paolo
pensa che saresti capace di mentirgli.
Nella forma implicita, invece, l’oggettiva è introdotta dalla
preposizione di e ha il verbo
all’infinito:
Es: Spero di rientrare
per le sette;
Es: Ricordati di
passare dal meccanico.
Come appare dagli esempi, la costruzione implicita
dell’oggettiva, di norma, è possibile solo se il soggetto della reggente è lo
stesso di quello dell’oggettiva. Essa, tuttavia, è possibile, anche se i
soggetti non coincidono:
·
con
i verbi come ordinare, comandare, richiedere, proibire, vietare, impedire, concedere ecc.:
Es: Il
generale ordinò ai soldati di attaccare battaglia;
Es: Vi
prego di tacere;
Es: Il
medico ha proibito al nonno di alzarsi;
·
con
i verbi indicanti percezione, come sentire,
udire, vedere ecc. In questo caso, però, l’infinito non è preceduto dalla
preposizione di:
Es: Sento
abbaiare il cane;
Es: Vide
arrivare i bambini di corsa.
·
Con
questi verbi, inoltre, l’oggettiva implicita può essere trasformata sia in
un’oggettiva esplicita, sia in una dipendente relativa
Riflessioni sulla lingua. Discorso diretto e discorso indiretto –
Il discorso diretto si
ha quando il narratore riporta in forma di dialogo le parole dei personaggi. Le
battute sono segnalate dall’uso di formule del tipo disse, sussurrò, chiesero … seguite dai due punti e
virgolette.
Il discorso indiretto è il modo in
cui vengono riportate, in una proposizione subordinata, le parole dette in
precedenza.
C’è da un lato la possibilità di riportare quanto è stato
detto ripetendo l’enunciato in forma invariata e usando per esempio le
virgolette:
Es.: Luigi XIV disse: “Lo stato sono io”.
In questo caso si riporta l’enunciato usando il discorso diretto.
Con il discorso indiretto, al contrario, l’enunciato è
integralmente incorporato in quello di chi lo sta citando:
Es.: Luigi XIV disse che lo
stato era lui.
Dato che il contesto in cui l’enunciato è prodotto non è più
lo stesso, nasce la necessità di adattare ogni forma di deissi, cioè tutte le indicazioni di tempo, persona e di luogo.
1)
Quando
il verbo è al presente, la seconda frase non cambia.
Es.:
Mario dice: “Sta per piovere”
Mario
dice che sta per piovere.
2) Quando il verbo è al passato, sono
necessari alcuni cambiamenti nella seconda frase. Il presente cambia nel
passato, il futuro cambia nel condizionale molte volte.
Es.:La signora ha detto: “Voglio il vestito bianco”
La signora ha detto che voleva il vestito bianco.
Io
ho insistito: “Non uscirò prima delle nove”
Io
ho insistito che non uscivo prima delle nove.
Mio
nonno mi ha detto: “Ti racconto una storia”.
Mio
nonno ha detto che mi avrebbe raccontato
racconterò una storia”.
3)
Quando
i verbi sono al presente e al passato.
Es.:
Il padre dice: “So che Piero ha mangiato al ristorante italiano”
Il
padre dice che sa che Piero ha mangiato al ristorante italiano
Dario ha detto al preside : “Mi dispiace, che mi
sono comportato male”
Dario
ha detto al preside che gli dispiaceva di essersi comportato male.
La
figlia dice alla mamma: “domani vengo con te al mercato”
La
figlia dice alla mamma che il giorno dopo va con lei al mercato.
Il
papà dice al figlio: “lavati bene”.
Il
papà dice al figlio di lavarsi bene.
Educazione letteraria. I personaggi – Un altro elemento base
della storia è costituito dai personaggi. Essi sono coloro che eseguono le
azioni o le subiscono; senza di loro è impossibile immaginare di muovere alcun
atto narrativo.
La costruzione di un personaggio con le sue caratteristiche
fisiche, la sua indole, le sue aspirazioni, le sue qualità, negative o
positive, avviene attraverso la delineazione dei tratti caratterizzanti del suo
aspetto e della sua personalità.
La costruzione del personaggio prende avvio dalla cosiddetta presentazione che può avvenire
attraverso tre modalità fondamentali:
·
dal narratore, quando questi interviene a
fornire informazioni esplicite sul carattere e/o su altri aspetti del
personaggio, magari commentando e valutando il suo operato, in tal senso la
presentazione è sostanzialmente oggettiva.
·
dal personaggio stesso, quando si tratta di
un autoritratto disegnato in prima persona e perciò in tal senso la
presentazione è sostanzialmente oggettiva;
·
da
un altro personaggio e in tal senso
la presentazione è sostanzialmente soggettiva;
·
dal narratore, dal personaggio stesso e da
un altro personaggio: si tratta di una presentazione composita affidata a
più persone (narratore, personaggi vari), ognuna delle quali aggiunge secondo
il proprio punto di vista una nota al ritratto di un determinato personaggio.
Talvolta il
personaggio è presentato solo in modo indiretto, attraverso le sue azioni, i
suoi comportamenti, i suoi discorsi, che il lettore interpretare come altrettanti indizi
del modo di essere del personaggio stesso.
La costruzione del
personaggio prosegue per tutto il corso della narrazione, attraverso un
processo di caratterizzazione, attuato mediante un accumulo di elementi che potranno emergere dalle vicende stesse,
dal giudizio di altri personaggi, da annotazioni più o meno ampie del narratore
e così via. Il tipo di caratterizzazione più frequente è quella fisica e
psicologica a cui si possono aggiungere altri livelli di analisi, importanti ma
non indispensabili:
·
Livello fisico ossia
la descrizione dell’aspetto fisico (magro grasso, alto magro, atletico robusto)
e dei caratteri somatici (capelli, fronte, occhi, naso, bocca)
·
Livello psicologico ossia
l’analisi di sentimenti, emozioni e stati d’animo che il personaggio vive in
determinate circostanze della vicenda.
·
Livello sociale ossia
la analisi della classe sociale cui
il personaggio appartiene connessa ai due elementi dello status[21] e della stratificazione sociale[22].
·
Livello culturale ossia
l’analisi del tipo di cultura che possiede,
·
Livello ideologico ossia
l’analisi dei valori e degli ideali in cui crede.
Educazione letteraria. Le parole del personaggio – In letteratura, le parole e i pensieri
dei personaggi del testo possono essere riportate con il discorso diretto o il discorso indiretto.
Le battute sono segnalate dall'uso di formule delimitate da due
virgolette. In questo caso la focalizzazione è esterna, e minima la distanza
narratore-lettore.
Esempio: Gli dissi a voce alta: «Non proseguire, se dovessi
continuare autonomamente potresti perderti».
Il discorso diretto libero le parole del personaggio
entrano al posto della voce narrante. Quindi il discorso diretto libero
consente al lettore di individuare con minor sforzo chi sta parlando, con che
tono, a chi si rivolge, ecc.
Es.: «Non spegnere la luce»
«Perché?» «Sto leggendo un articolo molto interessante»
L'inverso
del diretto è il discorso indiretto,
le parole dei personaggi vengono riportate dal narratore, ma senza l'uso di
verbi dichiarativi:
Es.: Il maestro riferì che avevano bisogno di
aiuto
Il
discorso diretto quando è al presente resta sempre uguale, quindi:
Luigi dice: "Vado a casa" (Diretto)
Luigi dice che va a casa (Indiretto)
Inoltre
i verbi che introducono le frasi tra le virgolette restano sempre gli stessi.
Quando
è al condizionale passato la frase nel discorso indiretto si modifica così:
Luigi disse: "Andrò a casa" (Diretto)
Luigi disse che sarebbe andato a casa (Indiretto)
Invece
nel caso che la frase sia interrogativa si forma nel seguente modo: Luigi mi
chiede: "Dov'è Anna?" (Diretta) Luigi mi chiede dove sia Anna
(Indiretta)
Ciò
significa che nelle domande per trasformarle in discorso indiretto si usa il
congiuntivo.
Il discorso indiretto libero è una
variante del discorso indiretto che fonde le modalità
del discorso diretto e di quello indiretto in
una forma ibrida. Esso è discorso indiretto in quanto passa attraverso la
mediazione del soggetto riferente che però mantiene stilemi,
cioè quegli elementi caratteristici che sono il tratto distintivo dello stile
di uno scrittore o di un testo, e strutture grammaticali del discorso diretto.
Esso
era ben noto sin dagli scrittori classici e viene chiamato libero perché non
viene in esso utilizzato quel legame tra discorso del narratore e discorso del
personaggio che è il verbo di "dire" o "pensare".
Nel
caso del discorso indiretto libero, nessun preciso "segnale"
grammaticale indica il momento del passaggio tra i due discorsi. Infatti in
apparenza sembra essere il narratore che
continua a "vedere" e a "pensare", ma in realtà è il
personaggio.
Maestri
di questo stile sono stati nella letteratura europea gli scrittori Gustave Flaubert e Jane Austen.
Nella letteratura italiana, questo tipo di discorso è
stato ampiamente utilizzato da Verga (vedi
il capitolo Il discorso indiretto libero in
Giovanni Verga)
Queste forme possono essere utilizzate anche per riportare
i pensieri dei personaggi.
Tuttavia vi sono tecniche specifiche, ancora più adatte a
esprimere i pensieri e il mondo interiore dei personaggi: quelle del monologo
interiore e del flusso di coscienza.
•
Il monologo interiore si ha
quando il personaggio espone i propri pensieri in modo analitico e razionale. Il
monologo interiore è un procedimento tipico della letteratura del Novecento,
sensibile all'interiorità del personaggio e ai modi in cui essa si esprime. Con
questa tecnica si riproduce il pensiero del personaggio, cercando di mantenersi
fedeli alla spontaneità che spesso lo caratterizza, soprattutto quando chi
parla è colto in un momento di meditazione e non si rivolge a uno specifico
interlocutore. esso è riportato senza virgolette o
trattino e non è introdotto da verbi di pensiero (penso che, credo che, ritengo
che ecc.).
•
Il flusso di coscienza si ha
quando pensieri, stati d'animo, immagini si susseguono senza un ordine, secondo
libere e spontanee associazioni, in modo irrazionale e non premeditato. Il flusso di coscienza indica un accostamento
casuale di pensieri che fluiscono liberamente, immediati e spesso incoerenti,
tipici di chi pensa senza imporsi un ragionamento rigoroso. Tale caratteristica
si rispecchia nella scelta di
costruire le frasi in modo irregolare, spesso:
- senza rispettare le norme della sintassi,
- senza rispettare le norme della sintassi,
- nella rinuncia alla punteggiatura e alla
concatenazione logica degli argomenti.
V UNITÀ
Riflessioni sulla lingua. Apposizione – L’apposizione è un nome
che si colloca accanto ad un altro nome, per meglio descriverlo e determinarlo.
Es.: Il poeta
(apposizione del soggetto) G. Leopardi (soggetto)
scrisse (predicato verbale) le Ricordanze
(complemento oggetto).
Riflessioni sulla lingua. Complemento di vocazione – Il
complemento di vocazione indica la persona o la cosa personificata[23] che si chiama o
si invoca. Spesso è preceduto dall’interiezione - o.
Es.: O Signore, aiutami!
Riflessioni sulla lingua. Avverbio - L’avverbio è una parte
invariabile del discorso che serve a modificare il significato di quelle parole
(verbi, aggettivi, altri avverbi o intere proposizioni) a cui si affianca.
Sono considerati avverbi anche le locuzioni avverbiali, ovvero espressioni formate da più parole, che
hanno il significato di un avverbio (di corsa, alla carlona, di certo, in su,
in un batter d’occhio, da quando, etc.).
Avverbi relativi - Gli avverbi dove e ove
(= nel qual luogo), donde (= dal qual luogo) si dicono
relativi perché oltre a indicare luogo, servono a congiungere due proposizioni,
come i pronomi relativi.
Così pure dovunque e ovunque (= in
qualsiasi luogo nel quale) e comunque (= in qualsiasi modo nel
quale), hanno significato relativo (come gli indefiniti qualunque, chiunque)
ossia congiungono una proposizione dipendente relativa alla reggente, senza
bisogno di altro relativo.
Es: Mi trovo bene dovunque vada
Comunque faccia sbaglio. (Invece di dovunque s’usa
dappertutto, se non c’è la relativa: Mi trovo bene dappertutto).
Quanto singolare si riferisce solo a cosa e significa “ciò
che, tutto ciò che, tutto quello che” I plurali, quanti, quante, si riferiscono
a persone e cose e significano “tutti quelli che, tutte quelle che”.
Es: Gli do quanto (ciò che)
gli spetta.
Quanti (tutti quelli che)
verranno saranno i benvenuti.
Chiunque, chicchessia, pronomi, e l’aggettivo qualunque oltre
al valore indefinito di tutti, ogni, hanno pure valore relativo di tutti quelli
che:
Es: Chiunque (tutti quelli che) tace acconsente
Ti comprerò qualunque (tutti quelli che) giocattolo tu
desideri.
Riflessioni sulla lingua. Le proposizioni relative - Le
proposizioni subordinate relative sono proposizioni che completano il senso del
periodo, determinando o espandendo un nome della reggente cui sono collegate
mediante un pronome o un avverbio relativo. Esse svolgono nella frase la stessa
funzione che nella proposizione hanno l’attributo e l’apposizione.
Quando svolgono questa funzione, le relative sono dette anche
attributive o appositive e sono considerate relative proprie. Quando invece
svolgono, nel periodo, la funzione che nella proposizione hanno i complementi
indiretti, sono considerate relative improprie o circostanziali.
Riflessioni sulla lingua. La proposizione relativa propria La
proposizione subordinata relativa propria precisa un nome della reggente cui è
collegata mediante un pronome o un avverbio relativi:
Es: Ho letto il libro che mi hai regalato.
La proposizione relativa è introdotta:
·
da
un pronome relativo[24], come che, cui,
il quale, o misto, come chi,
chiunque:
Es: Voglio conoscere il ragazzo con cui
esci;
Chi ha detto una cosa simile è un
incompetente
·
da
un avverbio relativo, come dove, da dove,
o relativo indefinito, come ovunque, dovunque:
Es: La città dove vivo è Bologna.
Paolo si trova bene ovunque vada.
Nella
forma esplicita, la relativa ha il verbo:
·
all’indicativo, quando esprime un fatto
presentandolo come certo e reale:
Es: Ho conosciuto una persona che parla
perfettamente il russo.
·
al
congiuntivo o al condizionale, quando indica un fatto come incerto, possibile,
desiderato, temuto, ipotizzato e simili:
Es: Ho bisogno di una persona che parli
perfettamente il russo.
Mi è stata presentata una persona che
potrebbe aiutarci.
Nella
forma implicita, la relativa ha il verbo:
·
al
participio, presente o passato, che di fatto può sempre essere risolto in forma
di relativa esplicita:
Es: Antonio, pur avendo studiato
ingegneria, ora fa un lavoro non rispondente alle sue aspirazioni (= che non
risponde alle sue aspirazioni).
Non mi è ancora arrivato il pacco
spedito da Milano sette giorni fa (= che è stato spedito da Milano sette giorni
fa).
·
all’infinito,
introdotto da un pronome relativo in funzione di complemento indiretto:
Es: Cerco una bella stoffa con cui
foderare il divano.
Avete trovato una baby sitter (a) cui
affidare i bambini?
·
all’infinito,
preceduto dalla preposizione da o senza alcuna preposizione. Anche in questo
caso, la relativa implicita è risolvibile in una relativa esplicita:
Es: Questo è l’abito da portare in
tintoria (= che deve essere portato in tintoria).
Ho sentito il gatto miagolare (= che
miagolava).
Educazione letteraria. Il ruolo dei personaggi - I principali
ruoli che i personaggi possono ricoprire sono:
·
Personaggio principale:
è il personaggio intorno al quale ruota la storia e che dà l’impulso all’azione
narrativa. Possono essere principali anche più personaggi;
·
personaggi secondari:
sono i personaggi che agiscono sullo sfondo della vicenda narrata; tuttavia
essi sono utilissimi a determinare il contesto, il luogo e a dare informazioni,
a creare atmosfere, insomma a rendere completo il quadro.
I personaggi di un testo narrativo vanno esaminati anche in
relazione ai compiti che sono loro stati assegnati e che si trovano a svolgere.
Le principali funzioni sono:
·
Protagonista: è il
personaggio principale che è al centro del racconto, anche quando non compare direttamente in scena è
il centro dei discorsi e delle azioni;
·
Antagonista: è il personaggio che si oppone al
protagonista, che cerca di contrastarlo, ostacolarlo sul piano delle azioni o
che gli si oppone anche soltanto sul piano
psicologico. La ragione dello scontro col protagonista è in genere la
conquista dell’oggetto di attrazione; Spesso
proprio l’antagonista determina la rottura dell’equilibrio che dà inizio alla vicenda, ma può anche entrare in
scena quando ormai l’equilibrio iniziale è decisamente già rotto. In ogni caso,
con il suo comportamento è sempre il motore dello sviluppo dell’azione.
·
Oggetto: è il personaggio che
costituisce lo scopo dell’impegno o del desiderio del protagonista, contrastato in ciò dall’antagonista.
La sua funzione, in una narrazione, è fondamentale
perché spesso è, senza alcuna colpa, la causa scatenante della vicenda.
·
Aiutante: è quel personaggio secondario che
aiuta il protagonista nella sua azione. Gli aiutanti che dovrebbero aiutarlo a
volte, per i motivi diversi, possono danneggiarlo.
·
Oppositore: è quel personaggio secondario che
ostacola il protagonista nella sua azione. Di solito l’oppositore è al servizio
dell’antagonista di cui quindi è l’aiutante, ma può anche agire di sua iniziativa.
Anche gli oppositori possono essere più di
uno e possono trasformarsi in falsi aiutanti, cambiando campo e passando dalla parte del protagonista.
VI UNITÀ
Riflessioni sulla lingua. Complementi indiretti – Si definiscono
complementi indiretti tutti i complementi che per essere introdotti si servono
di nessi complementari che di soliti sono preposizioni[25] semplici[26] o preposizioni
articolate[27].
I complementi indiretti possono essere costituiti anche da pronomi personali[28].
Riflessioni sulla lingua. Complemento di specificazione - È così
detto perché specifica il significato di un nome. Risponde alle domande: di
chi? di che cosa?
Es.: Il cane di Mario è peloso.
Riflessioni sulla lingua. Complemento di termine - Indica la
persona o la cosa in cui ha termine l’azione espressa dal predicato verbale.
Risponde alle domande: a chi? a che cosa?
Es.: Il postino mi consegnò la lettera. La maestra parlò ai
bambini.
Riflessioni sulla lingua. Complemento di vantaggio e di svantaggio - Strettamente
legati al complemento di termine sono i complementi di vantaggio e di
svantaggio che introducono la persona o l'oggetto inanimato a vantaggio o a
danno di cui si compie un'azione o si verifica un fatto.
I
complementi di vantaggio o svantaggio sono introdotti per lo più dalla
preposizione per, o da una locuzione
avverbiale come a vantaggio di, a favore di, in difesa di, a svantaggio di,
a discapito di, ecc.
Il
complemento risponde alle domande: per
chi, per che cosa, a vantaggio di chi? di che cosa? a danno di
chi? di che cosa?
Es.: Cappuccetto
Rosso portava un cestino per la nonna.
L'arrivo del
cacciatore fu una disgrazia per il lupo.
N.B. A volte possono
essere espressi anche da un pronome
personale atono senza preposizione.
Ecc.: Il lupo si fece un bel pranzetto.
Riflessioni sulla lingua. Complemento
di fine o scopo
Il
complemento di fine o scopo indica il fine verso cui è diretta l'azione oppure
lo scopo a cui tende una determinata circostanza o condizione.
Il
complemento può essere introdotto da verbi o sostantivi seguiti dalle
preposizioni per, a, in, da, di
semplici o articolate o dalle locuzioni avverbiali al fine di, allo scopo di.
Il
complemento di fine dipende:
·
da un verbo, quando
indica lo scopo dell'azione
·
da un sostantivo,
quando indica la destinazione o l'uso che si prevede per quella cosa.
Il
complemento di fine o scopo risponde alle domande: per quale fine? per quale scopo? a che?
Es.: Il cacciatore
giunse in soccorso di Cappuccetto
Rosso (per scopo)
Le coperte servivano al lupo da travestimento
·
carte da gioco
·
carta da lettera
·
nave da guerra / da carico
·
cavallo da corsa / da tiro
·
cane da caccia
·
servizio da caffè
·
occhiali da vista / da sole
·
rete da pesca
·
sala da pranzo / da ballo / da conferenza
Riflessioni sulla lingua. La
proposizione finale – la proposizione finale è una proposizione circostanziale
che indica il fine o lo scopo per cui è compiuta l’azione della reggente.
La proposizione finale si
introduce in forma esplicita ed in forma implicita:
- in forma
esplicita essa ha il verbo al congiuntivo introdotto da affinché, perché acciocché.
Es.: Alessandro si recò in Asia affinché egli sottomettesse l’Impero persiano
- in forma
implicita essa ha il verbo all'infinito introdotto da per, al fine di, allo scopo di, in modo da, o da un aggettivo o da un sostantivo.
Es.: Alessandro si recò in Asia per sottomettere l’Impero persiano
Alessandro
fu coraggioso ad affrontare l’Impero
persiano.
VII UNITÀ
Riflessioni sulla lingua. Complemento di mezzo – Il complemento di
mezzo indica il mezzo o lo strumento con cui si compie un’azione.
Risponde alla domanda: con che cosa? Per mezzo di chi?
Es.: Ritornai con
l’aereo.
Riflessioni sulla lingua. Le proposizioni circostanziali – Le proposizioni
subordinate circostanziali (o complementari indirette o avverbiali) sono
proposizioni dipendenti che arricchiscono la proposizione da cui dipendono con
precisazioni circostanziali (relative al fine, alla causa, all’occasione e
simili di ciò che è detto nella proposizione stessa). Esse, dunque, svolgono
nel periodo la stessa funzione che nella frase svolgono i complementi indiretti
e i complementi avverbiali.
A seconda della funzione logica che assolvono, sono chiamate,
in perfetto parallelismo con i complementi indiretti ai quali corrispondono,
proposizioni finali, causali, temporali ecc.
Riflessioni sulla lingua. Proposizioni strumentali - Sono
proposizioni che indicano il mezzo con cui si compie l’azione espressa nella
reggente.
Hanno sempre forma implicita,
ed usano il verbo al gerundio o all’infinito introdotto dalle preposizioni con, in.
Es.: Viaggiando si
scoprono nuove civiltà. (Proposizione subordinata strumentale).
Es.: Con lo studiare
si imparano molte cose. (Proposizione subordinata strumentale).
Riflessioni sulla lingua. Avverbi di modo - Gli avverbi di modo (o
qualificativi) indicano, appunto, il modo in cui l’azione è compiuta. Sono
avverbi di questo tipo:
·
quelli
formati aggiungendo il suffisso -mente
alla forma femminile di un aggettivo (es.: velocemente, morbidamente)
·
quelli
formati aggiungendo il suffisso -oni
alla radice di un sostantivo o di un verbo (es.: bocconi, ciondoloni)
·
quelli
che hanno la stessa forma di alcuni aggettivi qualificativi al maschile
singolare (es.: giusto, forte, alto)
·
bene,
male, quasi, volentieri, come, così, cioè, soltanto, purtroppo, ed altro.
Riflessioni sulla lingua. Complemento di modo o maniera – Il
complemento di modo o maniera indica il modo o la maniera con cui qualcosa si
fa o appare.
Risponde domande come? in che modo?
Es.: Parlavo da solo.
Anche il verbo serve ad indicare una modalità, per questo
esistono i modi verbali[29]
Riflessioni sulla lingua. Proposizioni modali - Sono proposizioni
che indicano il modo in cui avviene l’azione espressa dal verbo della reggente.
Nella forma esplicita sono introdotte
da come, secondo che, comunque, senza che,
ecc. ed hanno il verbo all’indicativo o al congiuntivo.
Es.: Comunque
intervenga, io sono contento. (Proposizione subordinata modale esplicita).
Nella forma implicita
hanno il gerundio presente o il participio preceduto da come.
Es.: La mamma parlava con il figlio sorridendo. (Proposizione subordinata modale implicita).
Es.: Scappò via, come
sollevato dal vento. (Proposizione subordinata modale, implicita).
Riflessioni sulla lingua. Complemento di causa – Il complemento di
causa indica la causa, il motivo di un’azione, di uno stato di cosa.
Risponde alle domande: perché? Per qual cosa?
Es.: Piangeva di gioia.
Non era molto accettato per
il suo carattere.
Riflessioni sulla lingua. Proposizioni causali - Sono
proposizioni che indicano la causa di ciò che si dice nella reggente. Possono
avere la forma esplicita, con il verbo al modo indicativo o al congiuntivo o
al condizionale, se introdotte dalle congiunzioni poiché, perché, siccome.
Es.: Non studio perché
sono stanca. (Proposizione subordinata causale esplicita).
Con la forma implicita sono introdotte o dal gerundio o dalle
preposizioni per o da ed hanno il verbo all’infinito.
Es.: Quell’alunno fu lodato per aver studiato. (Proposizione
subordinata causale implicita).
Riflessioni sulla lingua. Complemento di compagnia - Il
complemento di compagnia indica la persona con la quale ci si trova o si compie
un’azione.
Risponde alla domanda: con chi?
Es.: Vado con un’amica.
Riflessioni sulla lingua. Complemento di unione - Il complemento
di unione indica la cosa con la quale si compie o si subisce l’azione.
Risponde alla domanda: con che cosa?
Es.: Partii con tre
valigie.
Educazione
letteraria. Personaggi statici e dinamici - Un ultimo modo di classificare i
personaggi è quello di distinguerli tra personaggi statici e dinamici.
I personaggi statici sono quelli che nel corso della storia
non subiscono mutamenti di alcun tipo, né fisici, né psicologici, né di
condizione sociale.
I personaggi dinamici sono quelli che si modificano o dal
punto di vista fisico o dal punto di vista psicologico o ancora passano da uno
stato sociale a un altro.
VIII UNITÀ
Riflessioni sulla lingua. Complemento di agente e di causa
efficiente - Il complemento d’agente indica la persona o l’animale da cui è
compiuta l’azione espressa dal verbo
passivo[30];
il complemento di causa efficiente, indica la cosa da cui è compiuta l’azione
espressa dal verbo passivo. Rispondono alle domande: da chi? (complemento
d’agente) da che cosa? (complemento di causa efficiente).
Es.: Il bambino è castigato dalla mamma.
Es.: La riva è accarezzata dalle onde.
IX UNITÀ
Riflessioni sulla lingua. Avverbi di tempo – Gli avverbi di tempo determinano
il tempo di svolgimento di un’azione: ancora, ora, mai, sempre, prima, dopo, ieri, oggi, domani, subito, presto, frequentemente, spesso, etc.
Riflessioni sulla lingua. Complementi di tempo – Il complemento di
tempo indica il tempo in cui accade, è accaduto o accadrà un fatto oppure il
periodo durante il quale è durata o durerà un’azione.
Il complementi di tempo si
distingue, quindi, in complemento di
tempo determinato e complemento di
tempo continuato.
Riflessioni sulla lingua. Tempo determinato – Il complemento di
tempo determinato indica il tempo in modo preciso in cui avviene o è avvenuto o
avverrà un fatto. Esso risponde alla domanda: quando?
Es.: Il convegno avverrà il
16 settembre.
Riflessioni sulla lingua. Tempo continuato – Il complemento di
tempo continuato indica il tempo in cui dura, è durato o durerà un fatto.
Risponde alle domande: per quanto tempo?,
fino a quando?
Es.: Il governo rimase in carica per dieci mesi.
Riflessioni sulla lingua. Complemento di età - Il complemento di
età indica l’età di una persona, l’età in cui una persona ha fatto qualcosa e
risponde alle domande di quanti anni?
a quanti anni?
Es.: Mario ha dieci
anni;
Antonio, all’età di
dieci anni, vinse la sua prima gara di nuoto.
Riflessioni sulla lingua. Proposizioni temporali – La
proposizione temporale è una proposizione subordinata circostanziale che indica
una circostanza di tempo in cui può avverarsi quanto è detto nella reggente.
Le proposizioni temporali di forma esplicita sono introdotte da prima
che, dopo che, quando, allorquando, allorché, ecc. e vogliono il verbo al
modo indicativo se si tratta di un fatto reale.
Vogliono, invece, il verbo al modo congiuntivo se si tratta
di un’azione possibile o futura.
Es.: Arrivai alla stazione dopo che il treno era partito. (Proposizione subordinata
temporale).
Es.: Sarò alla stazione
prima che arrivi il treno. (Proposizione subordinata temporale).
Le proposizioni temporali di forma implicita hanno il verbo all’infinito retto da: su, ci, in, con, prima di, o al
gerundio, o ai participio passato.
Es.: Prima di arrivare,
ti telefonerò.
Entrando al cinema, ti ho riconosciuta.
Arrivato al mare, feci il bagno. (Proposizioni
subordinate temporali).
Educazione letteraria. Le categorie
del tempo e dello spazio – Due elementi importanti del discorso
narrativo sono le categorie del tempo e dello spazio.
Educazione letteraria. Il tempo – La dimensione temporale è
pensata con attenzione dall’autore ed una sua analisi consente di comprendere
meglio il testo: le vicende narrate sono, infatti, collocate in un’epoca e
hanno una determinata durata.
Se il testo narrativo narra fatti reali o verosimili, il
tempo è quasi sempre determinato con chiarezza e la durata degli avvenimenti è
spesso ricavabile da alcuni indicatori o elementi temporali presenti nel testo.
Lo studio del tempo nell’opera letteraria avviene attraverso
cinque fondamentali operazioni:
1.
Individuazione
dell’epoca storica in cui si svolgono i
fatti (se non vi sono indicazioni dell’epoca per quale motivo) individuando
se il tempo è:
·
Indeterminato,
·
Chiaramente
espresso,
·
Individuabile
tramite elementi interni al testo.
2.
Individuazione
degli indicatori temporali precisi, le unità di tempo (giorni, mesi, ecc.):
·
Datazioni
esplicite,
·
Riferimenti
a personaggi realmente esistiti,
·
Descrizione
di abitudini e modi di vivere propri di una certa epoca;
3.
Individuazione dell’ordine del tempo ossia come si susseguono le unità
di tempo e per quale motivo vi sono delle variazioni rispetto all’ordine
lineare:
·
Ordine cronologico
·
Retrospettive, dette analessi o flashback
o retrospezione
e consistono nell’evocazione più o meno ampia di un evento anteriore al punto
della storia in cui ci si trova. Quando l’autore vuole spiegare qualcosa
avvenuto in tempo passato rispetto a quello narrativo nel brano, sceglie di
interrompere la narrazione nel tempo presente e di retrocedere nel passato,
narrando così eventi passati come se stesse narrando eventi al presente. Il
flashback è di grande effetto nei romanzi.
·
Anticipazioni o prolessi
o evocazione più o meno ampia di un
evento successivo al tempo della storia in cui ci si trova, ed è detta anche flash-forward.
4.
Individuazione
del rapporto tra tempo della storia (durata reale) e lo sviluppo del racconto (durata narrativa). Il racconto può
allungare, abbreviare, fermare lo sviluppo degli eventi della storia mediante
le seguenti tecniche (con TR si indica
Tempo Racconto, con TS il Tempo Storia):
·
Pausa: TR
= TS = 0 (si
ferma il tempo della storia per digressioni, commenti, ecc, quando il tempo del
racconto è fermo, perchè il narratore
indugia in riflessioni o descrizioni quindi il tempo del racconto è maggiore
del tempo della storia.
·
Scena:
TR=TS quando il tempo del racconto è uguale a quello della storia: questa
perfetta coincidenza dei
tempi, si riscontra in dialoghi,
azioni brevi, ecc.).
·
Narrazione rallentata: TR>TS (descrizione minuziose, al
rallentatore).
·
Sommario:
TR (poche
righe per una storia lunga) quando il
tempo del racconto è minore del tempo della storia: il narratore riassume gli
avvenimenti.
·
Ellissi:
TR=0, quando c’è
un’omissione di una parte della storia e di una maggiore velocità del tempo del
discorso, quindi il tempo del racconto
è minore del tempo della storia addirittura si annulla perchè il narratore
omette gli avvenimenti verificatisi in periodi di tempo più o meno lunghi.
Si ha, quando alcuni elementi della storia non sono raccontati.
·
Digressione quando il narratore devia dall’argomento
principale di un discorso, di una narrazione;
5.
Individuazione
della distanza narrativa ossia della
distanza del tempo nel testo tra epoca dei fatti narrati ed epoca della
narrazione.
X UNITÀ
Riflessioni sulla lingua. Avverbi di luogo – Gli avverbi di luogo
specificano una determinazione di luogo lì, là,
qui, qua, giù, su, laggiù,
davanti, dietro, sopra, sotto, dentro, fuori, altrove, intorno, ci, vi, etc.
Riflessioni sulla lingua. Complementi di luogo - I complementi di luogo indicano la località
dove si compie un’azione e si distinguono in complementi di stato e complementi
di moto, a seconda dei verbi che li introducono.
Riflessioni sulla lingua. Stato in luogo – Il complemento di stato
in luogo indica il luogo in cui si trova una persona o avviene un’azione.
Risponde alla domanda: dove?,
in quale luogo?
Es.: Vivo a Roma;
Io abito al quinto
piano.
Riflessioni sulla lingua. Moto a luogo - Il complemento di moto a
luogo indica il luogo nel quale si va o la persona cui ci si avvicina.
Risponde alle domande: verso
dove?, a quale luogo?
Es.: Vado in Sardegna.
Riflessioni sulla lingua. Moto da luogo - Il complemento di moto
da luogo indica il luogo da cui si parte o si proviene.
Risponde alla domanda: da
quale luogo?, per dove?
Es.: Il viaggio cominciò da
Roma.
Riflessioni sulla lingua. Modo per luogo - Il complemento di moto
da luogo il luogo che si attraversa per arrivare a destinazione.
Risponde alle domande: per
dove?, attraverso quale luogo?
Es.: Passai per un
cavalcavia.
Riflessioni sulla lingua. Complemento di origine o provenienza –
Il complemento di origine o provenienza indica la nascita, la provenienza,
l’origine di una persona o di una cosa.
Risponde alle domande: donde?, da dove?, da chi?
Es.: Il Tevere nasce dal
M. Fumaiolo;
Paolo è di modesta
famiglia.
Riflessioni sulla lingua. Complemento di distanza - Il complemento
di distanza indica la distanza fra due luoghi
Risponde alla domanda: quanto?
A quale distanza?
Benevento dista da Napoli 70
Km.
Riflessioni sulla lingua. Complemento di estensione - Il
complemento di estensione indica la lunghezza, la larghezza, l’altezza e la
profondità di una cosa.
Risponde alla domanda: quanto esteso, lungo, alto, profondo?
A quale distanza?
Il ponte era lungo 300
metri.
La torre era alta 30
metri.
Riflessioni sulla lingua.
Proposizione locativa - La proposizione subordinata locativa indica la
posizione nello spazio in cui si compie l’azione avvenuta nella reggente.
Esiste solo in forma
esplicita, introdotta da un avverbio o da una locuzione avverbiale di luogo
come dove, da dove, nel punto
in cui, dal luogo in cui, ed usa il verbo all’indicativo.
Es.: Dove lo zio
viveva da ragazzo, hanno
costruito un ipermercato con quattro parcheggi.
Es.: Da dove abito, vedo il mare.
Educazione letteraria. Lo spazio - La dimensione spaziale, ossia lo spazio in cui si
svolge la storia, è pensata con attenzione dall’autore ed una sua analisi
consente di comprendere meglio il testo: le vicende narrate sono, infatti,
collocate in uno spazio in cui si svolge la storia spesso, è scelta con cura
dall’autore che la usa con funzioni diverse.
Lo studio dello spazio nell’opera letteraria avviene
attraverso tre fondamentali operazioni:
1.
Individuazione
dello spazio geografico in
cui è ambientata la vicenda (e se questo non è indicato per quale motivo)
2.
Individuazione
della descrizione dei
luoghi se essi sono:
·
Luoghi reali o immaginari
·
Chiusi o aperti
·
Limitati o illimitati
·
Ristretti o ampi
·
Quali oggetti si trovano
·
Trovare
eventuali collegamenti tra situazioni (di
tensione, gioia, aspettativa) e spazi.
·
Relazioni tra luoghi e personaggi (come i personaggi vivono il luogo, vi
sono analogie o discordanze tra i tipi di personaggio e il luogo in cui si
trovano)
·
Relazioni tra i luoghi (ad esempio opposizione tra spazi
vicino/lontano, aperto/chiuso, ecc.)
3.
Individuazione
della funzione rivestita
nella descrizione degli spazi:
·
ambientazione quando fornisce uno sfondo generale per la storia (ad esempio, il romanzo I
Malavoglia di Giovanni Verga è ambientato ad Aci Trezza, un piccolo paese
della Sicilia, negli ultimi anni del XIX secolo). Più specificamente, il
termine “ambientazione” può anche
indicare il momento e il luogo in cui si svolge una singola scena di una lunga
storia.
·
Narrativa come oggettivazione del carattere del
personaggio, rappresentazione di una situazione sociale o morale, come
proiezione soggettiva dello stato d’animo del personaggio
·
Simbolica quando è filtrato attraverso la coscienza dei
personaggi che istituiscono una corrispondenza tra la propria condizione
esistenziale e il paesaggio in sintonia o in contrasto con il loro mondo
interiore (ad esempio il palazzo di Atlante nell’Orlando furioso diventa
il simbolo della prigione delle passioni)
Educazione letteraria. Le macrosequenze e i nuclei narrativi -
I diversi tipi di sequenze di solito si aggregano tra loro, per lo più intorno
a una o più sequenze di tipo narrativo, a costituire un’unità narrativa di un
certo respiro, detta parte del racconto.
Queste parti sono per lo più facilmente individuabili nel
testo: in linea di massima, infatti, si ha una nuova parte di racconto quando:
·
si
verifica un mutamento di luogo o un salto temporale
·
entra
in scena un nuovo personaggio.
·
si
verifica un mutamento nello stato d’animo del protagonista
·
si
compiersi di un’esperienza psicologica.
L’insieme
di più parti riunite a costituire un insieme narrativo organico formano delle macrosequenze che rappresentano i nuclei narrativi del racconto, cioè i momenti fondamentali in cui si
articola il racconto dal punto di vista del contenuto.
[1] Denotazione e connotazione - Denotazione e connotazione
sono termini che si riferiscono ai diversi modi di intendere il significato di
una parola.
Per denotazione si
intende il rapporto tra la parola e l’oggetto che vuole significare.
Es.: Deserto indica
un luogo geografico (denotazione).
In generale la denotazione è tipica della prosa e dei
testi non letterari.
Per connotazione
invece si intende il significato nascosto (metaforico) di una parola che si
riconduce spesso ai sentimenti
dell’autore.
Es.: deserto, può
indicare una condizione umana (connotazione: deserto dell’anima = solitudine).
In genere la denotazione
è tipica del testo non letterario, mentre la connotazione è diffusa nel testo letterario e più in particolare
nel testo poetico.
Ogni parola ha un significante, un significato e un
referente.
- il significante è
il suono della parola o la sua grafia è cambia a seconda della lingua che si
usa.
- il referente è
l’oggetto a cui diamo quel nome determinato (esempio “cavallo”) associato a
quel suono (cavallo = mammifero con certe caratteristiche).
- il significato è
il senso che diamo a un simbolo grafico o a un suono; il significato è dunque l’insieme di stati d’animo, di esperienze
passate, di aspettative che ciascuno
di noi associa al referente e quindi varia in modo soggettivo.
Dal significato delle parole nasce la loro capacità di
associarsi ad immagini diverse a seconda di chi le utilizza e di chi le
ascolta; l’uso delle figure di significato è quindi personale e questo le rende
suggestive, ma talvolta di difficile interpretazione.
[2] Frase – Una
frase o proposizione è un gruppo di
parole che esprime un pensiero completo.
Per comporre una frase devono essere presenti come
minimo tre cose:
1.
Le parole devono essere nella giusta posizione.
2.
Deve contenere un soggetto, ossia la persona o l’animale o la cosa di cui
si parla.
3.
Deve contenere almeno un predicato, ossia quello che si dice a proposito
del soggetto; Un predicato contiene sempre un verbo.
Struttura della frase – La maggioranza delle frasi
consistono in un verbo e in un nome, anche se la sola presenza di un verbo è
sufficiente per individuare una frase.
Es. Io mangio,
Gianni dorme.
Ci sono tuttavia frasi in cui il verbo è assente e in cui
sono presenti solo sintagmi nominali
Es:. Bella giornata! Davvero? Sì.
Il verbo può essere anche sostituito da eventuali altri
sintagmi nominali, come nel caso delle frasi ellittiche:
Es. A Mario piacciono i
dolci, a me no.
Per eliminare ambiguità di significato, sono indispensabili
segni non verbali che nella comunicazione orale si esprimono nell´intonazione e
che nella lingua scritta si esprimono nella punteggiatura.
Il
periodo – Il
periodo
o frase
complessa è un’unità complessa del discorso, composta da più
frasi semplici o proposizioni combinate in una sola struttura di senso
compiuto. Ogni periodo termina con un segno di interpunzione forte.
Un periodo può essere
·
Semplice, quando è costituito
da una sola proposizione
Es. Gli
allievi studiano il latino volentieri
Composto, quando è costituito da due
proposizioni legate fra loro da rapporto di coordinazione. Esse sono coordinate
mediante dei segni di interpunzione o da congiunzioni. I diversi tipi di
coordinazione sono divisi in due gruppi:
1)
coordinazione per asindeto, quando sono coordinate per semplice accostamento
logico di una proposizione all’altra (giustapposizione), ma sono utilizzati i segni di interpunzione.
2) coordinazione per polisindeto cioè mediante le
varie congiunzioni coordinanti dalle quali prendono il nome i diversi tipi di
proposizioni coordinate. Asindeto e polisindeto non si escludono a vicenda, ma
spesso si integrano.
·
Es. Molti
studiano senza entusiasmo, // ma poi se ne pentono
·
Complesso, quando è costituito da almeno due
proposizioni legate fra loro da un rapporto di subordinazione. Le subordinate
hanno un grado (I se si subordinano alla principale; II se si subordinano a una
subordinata di I grado, e così via); sono esplicite
quelle che hanno un verbo di modo finito (indicativo, congiuntivo, condizionale
ed imperativo), implicite quelle col
verbo di modo indefinito (gerundio, participio, infinito); infine, esse svolgono
una funzione logica in relazione al verbo della frase cui si subordinano e
possono quindi essere soggettive (se svolgono la funzione di soggetto, ad
esempio: È chiaro che tu studi),
oggettive (se sono l’oggetto, ad esempio: Gli studiosi tramandano che Romolo
fondò Roma), oltre che complementari indirette, svolgendo la funzione di
complementi (come le proposizioni finali, consecutive, causali, ecc.)
L’analisi del periodo
consiste nel determinare i rapporti esistenti fra le varie frasi semplici che
compongono il periodo: si individua la frase reggente o principale e quelle
subordinate o dipendenti, o quelle coordinate, designandone il tipo di rapporto
coordinante o subordinante implicito o esplicito, il grado, la funzione logica
svolta.
[3] Funzione - ruolo svolto
da un elemento linguistico all’interno di una frase: funzione di soggetto, di complemento oggetto
[4] Il
lessico: Si definisce lessico
·
L’insieme
di tutte le parole di una lingua in un determinato spazio temporale.
·
L’insieme
di tutte le parole di una lingua che un singolo parlante conosce o utilizza.
In questo significato, il lessico si distingue tra:
·
lessico passivo, compreso tramite il senso, ma
tuttavia non utilizzato attivamente;
·
lessico attivo o produttivo,
utilizzato anche mentre si parla e le sue possibilità di impiego sono così
conosciute che vi si possono formare frasi sensibilmente comprensibili.
In generale bastano dalle 400 alle 800 parole per la lingua
quotidiana. Per comprendere testi più difficili (riviste, giornali o classici)
sono necessarie dalle 4.000 alle 5.000 parole, in casi eccezionali come in
Dante o James Joyce, dalle 80.000 alle 100.000.
Il lessico di una persona dipende da:
·
livello di istruzione, quanto sarà più elevato tanto più il
suo lessico sarà ricco.
·
campo di interessi di questa persona (oltre alla
terminologia specifica)
Un lessico più ampio
serve per uno scambio di informazioni più differenziato.
Lo studio del lessico è collegato con il termine lessema, ossia le forme base di una
parola, le unità di lessico considerate in astratto:
·
l’infinito
per i verbi,
·
il
singolare maschile per i sostantivi; i sostantivi femminili con forma autonoma
sono registrati a parte.
·
gli
aggettivi per i quali è riportato il grado positivo, ma le forme irregolari del
comparativo e del superlativo sono classificate come forme autonome.
·
i
pronomi,
·
gli
articoli.
Il lemma è la
singola forma registrata in ordine alfabetico nel dizionario; rappresenta in
genere un sostantivo, un aggettivo, un pronome, un verbo, ma può anche
consistere in un sintagma o in una locuzione, considerate come un’unità
lessicale, oppure un prefisso o un suffisso.
I sottolemmi non costituiscono vere e proprie unità
lessicali, e quindi non sono registrati autonomamente, ma sono relegati in
posizione secondaria, in fondo alla trattazione del lemma.
Sono collocate fra i sottolemmi:
·
le
forme alterate dei sostantivi e degli aggettivi (diminutivi, vezzeggiativi,
spregiativi, accrescitivi, peggiorativi);
·
gli
avverbi in –mente, quando il loro uso e significato coincidono con quelli
dell’aggettivo dal cui tema sono formati;
·
il
participio presente e il participio passato, quando siano usati con funzione
d’aggettivo o di sostantivo, senz’aver tuttavia un’autonomia semantica e d’uso
che ne richieda una registrazione autonoma.
Ogni lemma è formato da una sequenza fissa di più elementi:
·
intestazione
della voce
·
definizione
della voce, con l’indicazione del significato o dei significati e relativa
esemplificazione, fraseologia, citazioni
·
eventuali
sottolemmi
[5] Autore
- L’autore, in senso generalissimo, è l’iniziatore di qualcosa, colui che fa aumentare l’insieme dello
sapere e del fruibile.
La parola autore è spesso
usata per indicare il creatore di un’opera letteraria, artistica o dell’ingegno
ovvero di chi, per primo, ha inventato qualcosa non precedentemente esistente.
[6] Prosa
- La prosa è una forma di espressione linguistica non sottomessa alle
regole della versificazione.
Il concetto di prosa si oppone a quello di poesia: esso, infatti, indica una
struttura che non presenta l’a capo del
verso, ma procede diritta, completando il rigo ed usando l’a capo solo per indicare una separazione non metrico-ritmica ma
concettuale, tra sequenze non obbligate da vincoli formali.
L’origine etimologica e la storia della prosa testimoniano
questi caratteri: Prosa era in latino la forma femminile dell’aggettivo prorsus (diritto, di seguito); unita al
sostantivo oratio indicava il discorso orale o scritto non in versi.
Le funzioni della prosa colta sono molteplici:
·
Narrativa
·
Storiografia
·
Didattico-scientifica
·
Saggistico-critica
·
Oratoria
·
Epistolare
·
Drammatica
[7] Poesia
- La poesia è l’arte di usare,
per trasmettere un messaggio, tanto il significato semantico delle parole
quanto il suono ed il ritmo che queste imprimono alle frasi;
la poesia ha quindi in sé alcune qualità della musica e riesce a trasmettere emozioni e stati d’animo più
evocativamente e potentemente di quanto faccia la prosa.
Questa definizione è, tuttavia, minimale e limitata di poesia. Il termine poesia, dal greco poiesis,
rimandava all’idea di creazione, creatività, produttività, a un’attività
demiurgica,, senso recuperato da Friedrich
Nietzsche e da Martin Heidegger.
Gli elementi caratteristici della poesia soni tre:
1.
Una
poesia non ha un significato necessariamente e realmente compiuto come
un brano di prosa, o il significato è solo una parte della comunicazione che
avviene, quando si legge o si ascolta una poesia; la parte non verbale è
emotiva.
2.
Poiché
la lingua nella poesia ha questa doppia funzione di vettore sia di significato
sia di suono, di contenuto sia informativo sia emotivo, la sintassi e
l’ortografia possono subire variazioni se questo è utile ai fini della
comunicazione complessiva.
3.
Quando
una poesia è ascoltata, con il proprio linguaggio
del corpo ed il modo di leggere, il
lettore interpreta il testo,
aggiungendo una dimensione teatrale.
4.
La
poesia è nata prima della scrittura: anzi le prime forme di poesia erano
essenzialmente orali, come l’antichissimo canto
a batocco dei contadini e i racconti dei cantastorie.
Altre forme di componimento poetico:
·
La
poesia didascalica, che è quella che
mira a insegnare poeticamente verità utili all’uomo. Comprende questi
componimenti:
·
il
poema didascalico
·
il
poema allegorico
·
l’epistola
·
la
satira
·
l’epigramma
·
la
favola
·
epicedio
·
Ballata
·
Cinquina
·
Sestina
[8] Poema
- Un poema è una composizione letteraria in versi, per lo più di carattere
narrativo o didascalico e di ampia estensione, spesso suddivisa in più parti.
Con questo termine si intende generalmente il genere letterario che comprende tali composizioni.
Un poema è in genere scritto in versi endecasillabi, perché
sono versi narrativi, serve per raccontare, ed è molto più lungo di una poesia.
Ha tre
momenti fissi:
·
Protasi: riassunto in pochi versi di tutto il
contenuto dell’opera;
·
Invocazione: richiesta di aiuto (ispirazione) ad
un’entità superiore (dèi, muse della letteratura nell’età
classica, Maria nella letteratura
religiosa del cristianesimo, oppure una vera donna come nel caso di Ludovico
Ariosto)
·
Dedica: nel poema classico, la dedica non è
presente in modo scritto perché era destinato alla declamazione orale, dal
medioevo in poi la dedica sarà presente per dimostrare gratitudine a chi ospita
l’autore.
Un poema può avere vario tono ed argomento e si può
distinguere fra l’altro, a seconda della materia, in:
·
Poema cavalleresco
·
Poema didascalico
·
Poema epico – Un poema epico è un componimento letterario che narra
le gesta, storiche o leggendarie, di un eroe o di un popolo, mediante le quali
si conservava e tramandava la memoria e l’identità di una civiltà o di una
classe politica. Si tratta di una delle forme
più antiche di narrazione, racconta le imprese eroiche di personaggi umani,
storici o leggendari, a cui spesso si uniscono esseri soprannaturali, ma anche
le origini del mondo, delle città, le norme dell’agricoltura e della
navigazione. La poesia epica è alla base di molte culture, in quanto si propone
di conservare e tramandare la memoria di fatti eccezionali che hanno coinvolto
tutto un popolo. Dato che non esprimono sentimenti o punti di vista
individuali, ma di tutta una comunità, i poemi epici sono spesso anonimi, cioè
non possono essere attribuiti ad un autore la cui esistenza sia certa e
provata. Quasi sempre la poesia epica di un popolo nasce in forma orale:
inizialmente è composta e tramandata a voce, da poeti o cantori che si
accompagnano spesso con strumenti musicali, e solo in un secondo momento
assumono forma scritta. Era eseguita non solo nelle regge, ma anche nei
santuari e nelle piazze, rendendo tutti gli spettatori partecipi delle stesse
memorie, delle stesse tradizioni e delle stesse conoscenze. Nell’antichità la
poesia epica fu diffusa sia nel mondo orientale sia in quello occidentale. Il poema è generalmente caratterizzato da due momenti ricorrenti:
·
La mimetica, che riporta in presa diretta i
discorsi dei personaggi.
·
La diegetica, ossia la narrazione in terza
persona.
Il fulcro dell’epica è costituito dalle gesta dell’eroe
che è sempre una persona più intelligente, forte, brillante o astuta degli
altri uomini. I segni distintivi del poema epico, oltre ovviamente
all’argomento trattato, riguardano anche lo stile e certi motivi ricorrenti.
Il poema epico si apre sempre con una protasi, in cui dopo l’invocazione alla Musa è brevemente
presentato l’argomento del poema.
·
Poema eroicomico
·
Poema sinfonico
[9] Il
nome - Il nome o sostantivo è la parte variabile del
discorso che indica un essere, una idea, un fatto. I sostantivi sono anche
detti nomi, anche se linguisticamente, il primo termine è preferito
per il suo significato più pregnante: significa infatti provvisto di una
propria sostanza, di una realtà di cui possiamo parlare, sia essa
tangibile, sia che esista solo nella nostra mente (virtù).
I nomi, insieme ai verbi,
sono gli elementi primari di una lingua
e costituiscono il pilastro su cui la frase
si costruisce.
Le caratteristiche
morlogiche – Le
caratteristiche morfologiche di un nome riguardano il genere ed il numero.
Nel genere i nomi
possono essere maschili o femminili.
Una delle maggiori difficoltà è costituita dall’apprendere
come si trasforma un nome maschile nel corrispettivo femminile (quando esiste)
e come si forma il plurale.
La trasformazione di un sostantivo maschile in femminile può
avvenire solo con nomi di persone (maestro - maestra) o di animali (asino -
asina), ma non con quelli di cose: infatti la tappa (quella del giro d’Italia)
non è la femmina del tappo (quello della bottiglia).
Nel numero sono
generalmente singolari e plurali, ma non mancano quelli che si
usano solo al singolare (buio) o solo
al plurale (forbici).
Per quanto attiene alla formazione del plurale, si osservino
queste semplici norme:
a)
la
maggior parte dei nomi, sia maschili che femminili, al plurale esce in i tranne
i femminili che al singolare escono in a perché questi al plurale vogliono la
desinenza e:
Esempi:
Singolare
|
Plurale
|
Il cavallo (m. in o)
|
I cavalli
|
Il fiume (m. in e)
|
I fiumi
|
Il poeta (m. in a)
|
I poeti
|
La mano (f. in o)
|
Le mani
|
La vite (f. in e)
|
Le viti
|
La matita (f. in a)
|
Le matite
|
b) al plurale restano invariati:
·
i
nomi monosillabici (il re - i re)
·
i
nomi tronchi (cioè con l’accento sull’ultima sillaba: la virtù - le virtù / la
verità - le verità)
·
i
nomi terminanti in i (il brindisi - i
brindisi)
·
i
nomi terminanti in consonante (il lapis - i lapis)
·
i
nomi propri di persona con desinenza a
(Enea - gli Enea)
·
i
cognomi (il Foscolo - i Foscolo / l’Alighieri - gli Alighieri)
·
i
nomi stranieri (il pullman - i pullman / il goal - i goal)
c)
i
nomi terminanti in -io, se hanno la i tonica (cioè accentata nella
pronuncia) come pigolìo e zìo, al plurale richiedono la desinenza ii (pigolii,
zii), altrimenti una sola i (figlio - figli / premio - premi);
d) i nomi che terminano in -cia e -gia,
se davanti a -cia e -gia hanno una vocale, fanno al plurale -cie e -gie
(camicia - camicie / guarentigia guarentigie); se hanno una consonante fanno
invece -ce e -ge (lancia lance / bolgia - bolge). Se però hanno la i tonica, la conservano sempre (farmacìa
- farmacìe / nostalgìa - nostalgìe).
Le eccezioni a queste norme sono numerose e
solo l’uso frequente del dizionario può farcele apprendere.
Ecco
solo alcuni dei nomi che sfuggono alle regole su accennate: il vaglia - i
vaglia , il pigiama - i pigiama, la radio - le radio, la dinamo - le
dinamo, l’arbitrio - gli arbitrii (per distinguerlo da arbitri che è il plurale
di "arbitro"), l’omicidio - gli omicidii (per distinguerlo da omicidi
che è il plurale di "omicida").
Per il plurale dei nomi in -co e -go è d’obbligo l’uso del
dizionario. Quando sorge un dubbio si consulti il vocabolario e si cerchi di
memorizzare l’esito della ricerca.
es: mago al plurale
fa magi (come i tre re del presepio)
o maghi (come dicono i presentatori
televisivi)?
L’uso del dizionario vale anche per il plurale dei nomi
composti.
Le caratteristiche
semantiche - Dal
punto di vista semantico i nomi si suddividono nelle seguenti categorie:
·
nomi comuni e nomi propri
·
nomi concreti e nomi astratti
·
nomi individuali e nomi collettivi
Nomi comuni e nomi propri di cose - I nomi comuni indicano persone, animali, cose, luoghi,ecc. in modo generico come appartenenti ad una classe;
il nome libro può indicare uno qualsiasi dei possibili libri esistenti,
se non viene a esso aggiunto qualche maggiore elemento di identificazione:
·
il
mio libro
·
il
libro di latino che ho lasciato sul tavolo
I nomi propri, invece, sono nomi o cognomi di persone,
appellativi geografici, storici, letterari, culturali e sociali; indicano non
ciò che è generico ma ciò che è individuale, non la classe ma l’elemento
singolo. E questa singolarità è evidenziata con l’uso della lettera maiuscola:
Parigi
Nomi concreti e nomi astratti - Sono concreti i nomi comuni usati per
designare persone, animali o cose percepibili con i nostri sensi:
ragazza,
sedia, fragore, profumo, superficie
Sono astratti i nomi comuni con cui si
designano entità accessibili solamente al nostro spirito e al nostro
pensiero:
Nomi individuali e nomi collettivi - Il nome individuale designa
un’entità singola che può essere una persona, un animale, una cosa o un
concetto, indicandola con il nome proprio o con il nome comune della classe a
cui questo appartiene. Per indicare una pluralità di individui, questi nomi
devono essere usati al plurale Questa categoria comprende la maggior parte dei
nomi:
Luisa,
donna, lupo, tazza, virtù.
Il nome collettivo, invece, pur
essendo al singolare designa gruppi o insiemi di persone (folla),
cose (fogliame) o animali (mandria). Quando il nome collettivo è
in funzione di soggetto, il verbo va al singolare
[10] I
pronomi personali - I pronomi personali sono quei pronomi che rappresentano
la persona che parla, la persona che ascolta oppure la persona, l’animale o la
cosa di cui si parla, senza specificarne o ripeterne il nome.
Es.: Io sono pronto per
la partenza, tu no.
Es.: Abbiamo discusso
con loro dei risultati elettorali.
I pronomi personali hanno forma diversa, secondo la persona,
il numero, il genere e la funzione. Tale funzione può essere di soggetto o di
complemento.
Persona
|
funzione
soggetto
|
funzione
complemento
|
||
forma
tonica
|
forma
atona
|
|||
1a singolare
|
|
Io
|
Me
|
Mi
|
2a singolare
|
Tu
|
Te
|
Ti
|
|
3a singolare
|
Maschile
|
Egli,esso
|
lui, esso, sé
|
lo, gli, ne, si
|
Femminile
|
Ella, essa
|
lei, essa, sé
|
la, le, ne, si
|
|
1° plurale
|
|
Noi
|
Noi
|
ci, ce
|
2° plurale
|
Voi
|
Voi
|
vi, ve
|
|
3° plurale
|
Maschile
|
Essi
|
essi, loro, sé
|
li, ne, si
|
Femminile
|
Esse
|
esse, loro, sé
|
le, ne, si
|
Pronomi personali soggetto - I pronomi personali soggetto indicano
la persona che è protagonista dell’azione o che effettua la comunicazione.
Es.: Tu sei stato
proprio bravo;
Es.: Egli ascolta la
musica di Puccini.
In italiano, a differenza di quanto accade in altre lingue,
il pronome personale soggetto è spesso sottinteso, ma è preferibile evitarlo
nella lingua scritta.
Il pronome deve essere espresso. Ciò avviene:
·
quando
si vuole specificare il maschile o il femminile; Egli/Ella gioca;
·
quando
il verbo presenta la stessa forma per più persone, ad esempio nel congiuntivo
presente: Bisogna che io sappia la novità; Bisogna che tu sappia la novità;
·
quando
si vuole dare rilievo al soggetto: Voi formate una bella compagnia;
·
quando si vogliono
contrapporre più soggetti: Io lavoro ed egli si diverte.
[11] NOTA DI
RETORICA L’allegoria - L’allegoria è una figura retorica per cui un
concetto astratto è espresso attraverso un’immagine concreta: in essa, come
nella metafora, vi è la sostituzione di un oggetto ad un altro ma, a differenza
di quella, l’accostamento non è basato su qualità evidenti o sul significato
comune del termine, bensì su un altro concetto che spesso attinge al patrimonio
di immagini condivise della società. Essa opera comunque su un piano superiore
rispetto al visibile e al primo significato: spesso l’allegoria si appoggia a
convenzioni di livello filosofico o metafisico.
[12] La
sensazione – La sensazione è la
modificazione dello stato del nostro organismo, causato del contatto con
l’ambiente, i cui stimoli sono percepiti dai nostri organi di senso; ognuno di essi è destinato alla ricezione di un
particolare stimolo e sono:
·
udito,
·
vista,
·
olfatto,
·
gusto,
·
tatto,
·
cinestesia ed equilibrio,
·
sensazione di dolore.
La relazione tra la sensazione
e lo stimolo è complicata dal fatto
che non tutti gli stimoli fisici sono percepiti dall’individuo. Per essere
percepito da un determinato organo di senso (soglia assoluta), uno stimolo deve
infatti raggiungere una determinata grandezza e deve essere abbastanza diverso
in intensità per poter essere distinto da un altro, simile per grandezza
(soglia differenziale).
La distinzione tra sensazione,
legata agli effetti immediati ed elementari in grado di suscitare una risposta,
e la percezione, corrispondente
all’organizzazione dei dati sensoriali in un’esperienza complessa, cioè al
prodotto finale di un processo di elaborazione dell’informazione sensoriale, è
che la percezione finale è la somma
di sensazioni.
[13] L’emozione – L’emozione è
uno stato affettivo, caratteristico
di tutti gli esseri viventi.
L’emozione è un’impressione
viva, un intenso moto, un impulso affettivo, di durata relativamente breve,
piacevole o penoso, accompagnato da modificazioni fisiologiche e mentali,
dovuto a forte impressione.
Le emozioni sono determinate non solo da uno stato interno
dell’organismo, ma anche da una percezione di quanto avviene esternamente.
Ogni emozione implica una reazione cognitiva e fisica ad uno
stimolo improvviso di approvazione, sorpresa, paura, dispiacere, disgusto, aspettativa, rabbia, gioia, per questo ogni emozione è collegata a reazioni
psicofisiologiche di vario genere, mescolate tra loro in modo complesso e
particolare a seconda delle persone e delle situazioni.
L’emozione può provocare reazioni
·
Fisiologiche, ossia modificazioni somatiche
diffuse (pallore o rossore, reazioni motorie ed espressive ecc.).
·
Cognitive ossia diminuzioni o miglioramenti
nella capacità di concentrazione, confusione, smarrimento, allerta, e così via.
·
Comportamentali
L’emozione si distingue dal
sentimento, perché quest’ultimo è meno intenso e più durevole e dà una
particolare tonalità affettiva alle nostre sensazioni, alle nostre
rappresentazioni ed alle nostre idee: mentre l’emozione è quindi involontaria
ed istintiva, il sentimento, come il pensiero, è una funzione razionale.
[14] Sentimento
- Il sentimento è la capacità di
provare consapevolmente sensazioni ed
emozioni. Il sentimento dunque non è più solo una percezione fisica, ma uno stato d’animo, un’emozione che è possibile razionalizzare e comunicare.
I sentimenti sono espressione di ciò che ci circonda e che
agisce direttamente o indirettamente su di noi. La maggior parte dei sentimenti
è controllata dal nostro subconscio e per questo ogni elemento
esterno ci coinvolge anche internamente: in altri termini dal nostro subconscio si innesca una catena logica,
maturando così risposte logiche non
esprimibili con parole, ma che si sviluppano nella nostra mente come concetti.
Ogni risultato, ottenuto da questa catena logica, è posto in
una zona, ancora scientificamente ignota, chiamata anima, e perciò a volte si possono provare sentimenti contrastanti
tra di loro e non sapere il motivo di tutto ciò.
Es.: L’innamoramento,
che può effettuarsi tra due persone completamente diverse e perciò c’è uno
scontro tra opinione soggettiva, che
cerca profitto nei fatti per il soggetto stesso, ed opinione oggettiva (o del subconscio).
I sentimenti
influenzano il nostro umore, il nostro modo di agire, il nostro modo di
parlare, ma sopratutto il nostro modo di vivere e di essere: in altri termini i
sentimenti influenzano tutta la sfera dell’affettività, un ambito che
definisce i sentimenti e le emozioni proprie dell’uomo nell’ambito
delle sue relazioni sociali, in particolare di quelle familiari, sentimentali e
amicali caratterizzate da una particolare intimità.
[15] Passione
– La passione è una tensione
violenta e di una certa durata. L’idea di passione
indica un cambiamento che subisce l’individuo (si è sopraffatti dal dolore,
travolti dall’amare, ecc.).
Diversamente dall’emozione,
che è passeggera, la passione è
cronica, acuta, complessa, che polarizza l’attenzione attorno di un soggetto su
un unico oggetto.
Nell’antichità le passioni sono state quasi sempre condannate
come elementi disturbanti: i filosofi identificavano le emozioni con le passioni e
Platone definiva le passioni come una
malattia dell’anima. Tra queste forze
interne il soggetto cerca un equilibrio
che è sempre precario e instabile pertanto costituiscono una continua minaccia
all’armonia del soggetto, se non guidate e indirizzate verso fini razionali e
moralmente validi.
Le passioni hanno occupato
l’attenzione dei filosofi fin dall’antichità classica, ma solo recentemente le
scienze sociali hanno prestato attenzione alle diverse componenti della cultura emozionale, presenti nelle
espressioni letterarie e nelle manifestazioni massmediali, ma anche nella
dinamica dell’interazione sociale.
[16] Stato d’animo – Gli stati d’animo sono sentimenti
o emozioni di intensità bassa e
durata relativamente lunga: in altri termini lo stato
d’animo è un modo di essere
temporaneo o permanente, una situazione, una condizione psicologica che noi
stessi ci creiamo mediante specifiche azioni mentali e fisiche.
Le componenti che determinano uno stato d’animo sono due:
1.
Le rappresentazioni interiori: le imitazioni di modelli familiari,
le situazioni del passato, le nostre credenze, i nostri atteggiamenti, valori
ed esperienze condizionano le rappresentazioni interne che ci facciamo;
2.
L’uso della fisiologia: la tensione muscolare, ciò che
mangiamo, il modo di respirare, hanno un’incidenza enorme sul nostro stato
d’animo.
L’esperienza interna e quella fisiologica influiscono l’una
sull’altra, quindi i cambiamenti di stati d’animo implicano cambiamenti di
rappresentazioni interne e di fisiologia: di conseguenza, per controllare il
nostro comportamento dobbiamo controllare e dirigere i nostri stati d’animo,
per controllare questi ultimi dobbiamo controllare e dirigere le nostre
rappresentazioni interne e la nostra fisiologia.
Alcuni stati d’animo quali amore, fiducia in se stessi, forza
interiore, gioia, estasi generano la forza personale; altri stati d’animo quali
confusione, depressione, paura, ansia, tristezza, frustrazione rendono deboli.
Per questo il comportamento umano è il risultato dello stato d’animo in cui ci
si trova.
[17] Angoscia - L’angoscia
è un sentimento intenso di ansia e apprensione e a differenza della paura, è rappresenta, vista e
percepita dall’Io, (l’Io è la struttura che percepisce sé stessa ed entra in relazione
con altre persone, distinguendole come "non-Io") come una situazione
catastrofica, da mettere in crisi la capacità dell’Io di controllare e gestire
le pressioni dal Super Io e dell’Es.. Rappresenta una paura minacciosa e
catastrofica, senza nome e con cause ed origini apparenti.
Il
termine angoscia è stato utilizzato per la prima volta nell’ambito filosofico da Søren Kierkegaard (1813–1855), con il quale il filosofo
identificò la condizione preliminare dell’essenza umana, che emergeva quando
l’uomo si poneva davanti ad una scelta: la facoltà di intraprendere qualsiasi
tipo di scelta, lo getta in preda all’angoscia. L’angoscia è definita quindi
come il sentimento della possibilità, come la paura di effettuare una scelta.
A
differenza degli animali, le cui azioni sono dettate dall’istinto, l’uomo è
costretto ad operare delle scelte, consapevole che queste possano portare a
ripercussioni, positive o negative.
Attualmente,
l’angoscia è definita come un senso di frustrazione e malessere, che può
degenerare anche in diverse patologie
(si pensi all’angoscia esistenziale di derivazione kierkegaardiana).
[18] Il testo
descrittivo - La descrizione o testo descrittivo mostra con le parole com’è fatta una persona, un
animale, una cosa, un ambiente, descrivendone le caratteristiche e gli aspetti
più significativi.
La descrizione può
essere:
1.
Oggettiva o impersonale:
essa è caratterizzata dal fatto che chi comunica (scrive o parla) vuole presentare fedelmente la realtà
attraverso una serie di dati condivisibili da tutti cioè impersonalmente. Essa si ha quando sono
descritti dati fisici,
utilizzando le informazioni che ci vengono dai sensi: (udito, vista, olfatto, gusto, tatto, cinestesia ed equilibrio, sensazione di
dolore) gli atteggiamenti e le abitudini senza aggiungere
impressioni, opinioni e sentimenti personali. Il linguaggio è ricco di aggettivi qualificativi e
di termini specifici. I verbi sono generalmente usati al tempo
presente e le frasi sono brevi e semplici. Lo scopo è quello di
fornire informazioni chiare, ordinate e corrette.
Es.: E’ una ragazza di vent’anni. E’ alta e magra. Ha la carnagione chiara e
gli occhi azzurri. Indossa un maglione di lana bianca e un paio di jeans
chiari. Ha con sé un cagnolino.
2.
Soggettiva o personale:
essa è caratterizzata dal fatto che chi comunica (scrive o parla) ha
l’intenzione di rappresentare la realtà, dando particolare rilievo ai sentimenti, alle opinioni, alle riflessioni, alle
esperienze personali.
Il linguaggio è ricco di aggettivi qualificativi,
attraverso i quali sono espressi giudizi e valutazioni, di paragoni e metafore.
I verbi
sono per lo più usati al tempo passato e i periodi sono lunghi
e complessi. Lo scopo è quello di rappresentare la realtà come appare a chi
scrive, di creare un’atmosfera particolare e di suscitare emozioni
e riflessioni.
Es.: E’ una ragazza giovane, splendida, bella come il sole. Ha un viso
luminoso e sorridente. I suoi capelli sono lunghi e luminosi come la sete. I
suoi occhi, azzurri come il cielo, infondono fiducia e simpatia. Veste in modo
semplice e sportivo: comodi e pratici jeans e un caldo maglione di lana bianca.
Passeggia con un simpatico e vivace cagnolino.
Dati da considerare per descrivere:
1.
una
persona
·
chi
è
·
come
si chiama
·
aspetto
fisico (la corporatura, la statura, la carnagione, il viso, gli occhi, il naso,
la bocca, i capelli, la voce)
·
abbigliamento:
il modo di vestire
·
il
carattere: qualità e difetti, l’intelligenza, i sentimenti.
·
il
temperamento: come si comporta solitamente, gli atteggiamenti, il modo di
parlare.
·
i
suoi interessi.
·
la condizione sociale: l’età, la famiglia, il tipo di lavoro, la ricchezza,
la povertà.
·
quali
sentimenti suscita.
2. un animale
·
che
animale è
·
come
si chiama
·
ambiente
in cui vive
·
caratteristiche
fisiche
·
da
cosa è ricoperto il suo corpo
·
versi
che produce
·
il
comportamento
·
il
rapporto che ha con te
·
quali
sentimenti suscita
[19] Verbi
transitivi e verdi intransitivi – La prima importante classificazione del
verbo è quella che distingue i verbi transitivi e quelli intransitivi.
Si
chiamano transitivi i verbi che possono avere un complemento oggetto.
Es.
Marco legge un libro
Non
sempre però i verbi transitivi, per avere senso compiuto, devono essere seguiti
da un complemento oggetto;
Es.
Marco legge
In
tal caso il verbo transitivo è usato in forma assoluta, senza complemento
oggetto, ma continua a rimanere transitivo.
Sono
intransitivi i verbi che non possono avere un complemento oggetto:
Es.
L’uomo impallidì;
Es.
Giovanni è partito;
Es.
Siamo finalmente arrivati;
Es.
Io esco.
Nel
primo caso il verbo impallidire indica uno stato; negli altri tre i verbi
(partire, arrivare, uscire) indicano un’azione. Si tratta comunque di uno stato
e di un’azione che si esauriscono nel soggetto, tant’è vero che i verbi non
sono nemmeno seguiti da un complemento. Anche se il complemento ci fosse,
servirebbe solo a precisare alcune circostanze dello stato o dell’azione, ma
non potrebbe mai essere un complemento oggetto.
La forma del verbo – La seconda importante classificazione del verbo e
quella che riguarda la forma Esistono tre modi di coniugare i verbi:
1.
per esprimere
un’azione compiuta dal soggetto, si
coniugano i verbi nella forma attiva;
2.
per esprimere
un’azione subita dal soggetto, si usa la forma passiva, formata dal verbo
essere (o, in certi casi, venire, andare, finire, restare), seguito dal
participio passato del verbo;
3.
per esprimere
un’azione che è compiuta dal soggetto e che termina sul soggetto stesso, si usa
la forma riflessiva, in cui il verbo è preceduto da una delle particelle mi,
ti, si, ci, vi.
La
forma riflessiva a sua volta può essere:
·
propria:
soggetto e complemento oggetto coincidono ("Piero si
veste").
·
apparente: le
particelle mi, ti, si, ci, vi
non svolgono la funzione di complemento oggetto, ma di complemento di termine ("Piero si asciuga i capelli"
= "Piero asciuga i capelli a sé", dove "i capelli" è il
complemento oggetto e "si" = "a sé" è il complemento di
termine).
·
reciproca:
l’azione è compiuta e subita scambievolmente da due soggetti ("Piero e
Carlo si salutano" = "Piero saluta Carlo e Carlo saluta Piero").
N.B.: Alcuni verbi hanno una forma pronominale che è simile a quella
riflessiva, ma non c’entra affatto: le particelle mi, ti, si, ci, vi fanno
parte del verbo stesso. Per esempio, "Piero si pente" non significa
"Piero pente se stesso": infatti "pentirsi" è un verbo che
ha la forma pronominale.
[20] Gli aggettivi
determinativi – Detti anche
aggettivi pronominali, perché sono simili ai rispettivi pronomi, solo che non
fanno le veci di un nome, ma lo accompagnano come aggettivo.
Tra
gli aggettivi determinativi sono da includere:
·
L’aggettivo possessivo indica a chi
appartiene il sostantivo a cui si riferisce. Essi sono: mio, tuo, suo, proprio,
nostro, vostro, loro, altrui
Es.: La mia casa, la tua automobile, i
suoi libri.
·
Gli aggettivi interrogativi introducono una
domanda diretta o indiretta al fine di chiedere indicazioni circa il nome a cui
si riferiscono. Essi sono: che, quale, quanto.
·
L’aggettivo correlativo stabilisce un
confronto. Essi sono: tale, quale.
Es.: Tale il padre, tale il figlio.
Sono due fratelli. Tali e quali.
·
L’aggettivo dimostrativo (detti anche
indicativi o identificativi) determinano vicinanza o lontananza da chi sta
parlando o a chi ascolta (questo, codesto, quello) oppure rapporti di
identità (stesso, medesimo, altro ecc.)
Es.: Questo libro è interessante.
·
Gli aggettivi indefiniti qualificano il nome
con una quantità o qualità approssimata o indeterminata. Questi aggettivi
indicano una quantità generica: alcuno
(significa nessuna persona e si usa nelle frasi negative) Es.:
Non ho incontrato alcuno dei miei amici.
alquanto (indica una quantità intermedia fra poco e
molto) Es.: Marco è alquanto ingrassato.
altrettanto (indica una quantità uguale a un’altra) Es.:
Questo vino è altrettanto buono di quell’altro.
altro (indica una quantità nuova ma non precisa) Es.:
Abbiamo deciso di seguire un altro percorso.
certo (indica una piccola quantità o una persona che
non si conosce) Es.: Ho un certo appetito.
ciascuno (significa tutti, uno per uno) Es.: Ciascuno dei
dipendenti ha ricevuto in regalo un dizionario.
molto (indica una grande quantità) Es.: La nostra
azienda ha investito molto denaro per questo progetto.
diverso (inserito prima del nome indica una quantità
grande, anche se non quanto l’aggettivo molto;
inserito dopo il nome significa di altro tipo) Es.: Sandro ha incontrato diverse persone al ricevimento.
nessuno (indica l’assenza totale di quantità) Es.: Oggi
non è venuto nessun amico a trovarmi.
ogni (significa tutti uno per uno) Es.: Ogni socio ha
partecipato all’assemblea di fine anno.
parecchio (indica una quantità intermedia fra poco e
molto) Es.: Per svolgere questo lavoro è necessario parecchio tempo.
poco (indica una quantità piccola ma imprecisata.)
Es.: Lo spettacolo ha avuto poco successo.
qualche (indica una quantità appena più grande di poco;
a volte indica incertezza) Es.: Qualche anno fa eravamo andati in vacanza in
Olanda.
quanto (in correlazione con ‘tanto’ indica una quantità
uguale a un’altra) Es.: Giulia ha tanto fascino quanta intelligenza.
tale (preceduto dall’articolo indica una cosa o una
persona in modo indeterminato. Preceduto da ‘quello/a’ indica cosa o persona
nota) Es.: Mi ha detto che doveva incontrare la tale persona.
taluno (indica una quantità di persone o di oggetti
imprecisata) Es.: Taluni studenti parteciparono alla manifestazione.
tanto (indica una quantità anche più grande di molto) Es.:
Possiede tanto denaro.
troppo (indica una quantità eccessiva) Es.: Ho messo
troppo zucchero nel caffè.
tutto (indica una quantità totale) Es.: Siamo partiti
con tutta calma. vario (prima
del nome indica una quantità grande, ma meno di quella indicata dall’aggettivo
molto; dopo il nome indica diversità) Es.: Per vario tempo non l’ho più
incontrato.
Questi aggettivi indicano una qualità generica: qualsiasi (indica una persona o
una cosa generica, senza importanza) Es.: Qualsiasi persona saprà indicarti la
strada per arrivare alla stazione. qualunque
(indica una persona o una cosa generica, senza importanza.) Es.: Possiamo
andare a trovare mio zio in qualunque momento.
[21] Status
sociale - Lo status identifica la
posizione di un individuo nei
confronti di altri soggetti nell'ambito di una comunità organizzata.
Le norme sociali di attribuzione dello status dipendono dal gruppo
sociale e possono essere molto
variegate: possesso di beni materiali, posizione lavorativa, cultura, posizioni di potere.
Queste disuguaglianze generano la stratificazione sociale.
Lo status si
differenzia dal potere in quanto
quest'ultimo consiste nel costringere le persone a fare ciò che non vogliono;
quando ad un individuo, invece, viene tributato un particolare rispetto si
parla di attribuzione di prestigio o
di status.
Si parla di status
ascritto quando questo è assegnato in base alle proprie caratteristiche
naturali, quali l'età, il sesso, la salute fisica.
Si parla di status acquisito quando una condizione si
acquisisce e si modifica nel corso della vita attraverso capacità e volontà
personali, ad esempio una persona è un "medico" in quanto laureato in
medicina.
Lo status infine si colloca su una dimensione orizzontale della
stratificazione sociale, quella delle relazioni
tra pari, mentre il potere è indicativo del posizionamento sulla dimensione verticale.
[22] Stratificazione
sociale – Per stratificazione sociale si intende la divisione in gruppi generalmente non paritari che
avviene all'interno di quasi la totalità delle società, ponendo l'accento sugli elementi strutturali delle
disuguaglianze sociali, nei due principali aspetti:
1. distributivo, riguardante
l'ammontare delle ricompense materiali e
simboliche ottenute dagli individui e dai gruppi di una società,
2. relazionale, che
ha invece a che fare con i rapporti di potere
esistenti fra loro.
Nel corso dei
secoli sono sempre esistiti dei sistemi di stratificazione
La schiavitù
è la forma estrema di disuguaglianza, dove delle persone posseggono altre
persone. Essa si è manifestata in epoca antica e romana, affievolitasi nel
Medioevo, tornò alla ribalta nelle Americhe. Nell’antichità gli schiavi erano
impegnati nelle miniere, nell'agricoltura e presso le famiglie con attività
anche intellettuali.
Le caste esiste in
India da millenni. Tuttavia la loro interpretazione è mutata nel tempo. Oggi,
invece le caste sono migliaia, diverse per ampiezza e radicamento locale o
nazionale. Le caratteristiche principali delle caste sono tre:
1.
chiusura, infatti si nasce in una casta e si
rimane a vita con anche l’obbligo di endogamia
interno ad ogni casta.
2.
specializzazione ereditaria infatti ogni casta ha un ruolo
sociale preciso e differenziato dalle altre.
3.
purezza infatti le varie caste sono
socialmente e fisicamente divise per non essere infettate dalle impurità delle caste minori.
I ceti è una
divisione, esistita in Europa fino alla rivoluzione
francese, aveva i seguenti elementi distintivi:
1. Gli status
ascritti erano accettati come condizione di immobilità
sociale;
2. Fra ceti diversi vi erano differenze sociali sia di fatto
che di diritto. (Per esempio nobiltà e clero erano esenti dalle tasse)
3. Ogni ceto richiedeva
un determinato stile di vita da parte dei suoi membri.
Una classificazione dei ceti venne proposta già nel mondo
antico in base alle rendite di ogni ceto attraverso tre cerchi concentrici di
persone:
·
i
poveri strutturali (che non guadagnavano);
·
i
poveri congiunturali (lavoratori occasionali);
Le classi sociali moderne, nate dalla rivoluzione francese, sono caratterizzate dall’eguaglianza di diritto di tutti
i suoi membri. A differenza quindi delle società dell’Ancien régime, le classi moderne sono raggruppamenti di fatto, non
di diritto.
[23] Note
di retorica: la prosopopea, o personificazione – È una figura retorica e si
ha quando si attribuiscono qualità o azioni umane ad animali, oggetti, o
concetti astratti. Spesso questi parlano come se fossero persone. È una
prosopopea anche il discorso di un
defunto.
Un esempio di prosopopea si ha nelle Catilinarie
di Cicerone in cui egli immagina che la Patria sdegnata rimproveri Catilina,
reo di aver organizzato una congiura contro di essa.
[24] I
pronomi relativi - I pronomi relativi sostituiscono un componente della
frase, mettendo in relazione proposizioni diverse. I pronomi relativi possono
costituire, a seconda dell’uso, il soggetto, il complemento oggetto o un
complemento indiretto della proposizione che introducono. Il pronome relativo
serve in genere ad evitare la ripetizione di un componente della frase, detto
antecedente.
Es: Non capisco la donna che sta parlando (che serve a
sostituire la donna).
Questo componente, nella frase principale, gioca il ruolo di
complemento oggetto (non capisco la donna), e costituisce l’antecedente che non
si vuole ripetere, e che è dunque sostituito dal pronome relativo che.
I principali pronomi relativi sono i seguenti:
·
Che: questo pronome assume solo il ruolo sintattico di
soggetto e complemento oggetto.
Es: La donna che vende la verdura è una
mia amica
La donna che vedi è una amica,
che, nella frase subordinata ha nella
prima frase il ruolo di soggetto (‘la donna vende’), nel secondo invece il
ruolo di complemento oggetto (‘vedi la donna’).
Es: il gioco che ho comprato costa
molto.
il libro che leggo è molto
interessante
la gonna che ho comprato è nuova
il ragazzo che sta parlando è un mio
amico.
l’amico che mi ha prestato il libro mi
ha telefonato per riaverlo.
Questo pronome, nella lingua italiana,
non fa dunque distinzioni per il caso come avverrebbe invece in francese (qui per il soggetto oppure que per il complemento), né si tiene
conto di aspetti semantici come la distinzione tra cose e persone (in inglese,
per esempio, si distinguerebbe tra which
e who oppure whom).
·
Il quale (variabile secondo genere e numero:
la quale, i quali, le quali) Può sostituire che
nel ruolo di soggetto:
Es
Non capisco la donna
la quale sta parlando.
Il vantaggio di questo pronome sta nel
fatto di indicare esplicitamente genere e numero evitando quindi casi ambigui.
Il quale può inoltre indicare
complementi indiretti se accompagnato da una preposizione:
Es: Non capisco la donna alla quale
avete regalato i libri. (alla quale
indica il complemento di termine).
·
Cui (indeclinabile) Questo pronome indica complementi
indiretti, combinato da una preposizione.
Es:
Non capisco la donna
a cui avete regalato i libri
Questi pronomi differiscono per il
ruolo sintattico che possono svolgere nella proposizione subordinata: soggetto,
complemento oggetto, soggetto, complementi indiretti.
o
Chi
( = colui che, qualcuno che)
o
Quanto
(=ciò che, tutto ciò che, tutto quello che)
o
Chiunque
(=tutti quelli che)
Questi
pronomi non prevedono specificazione dell’antecedente, dato che lo contengono.
[25] La preposizione.
È la parte invariabile del discorso che collega mettendoli tra loro gli
elementi di una proposizione o le proposizioni di un periodo. In base alla
forma le preposizioni si distinguono in:
·
preposizioni proprie: sono così chiamate perché nella frase esse possono svolgere solo funzione
di preposizione.
·
preposizioni improprie
·
locuzioni prepositive
[26] Le
preposizioni semplici - Le preposizioni semplici sono: di, a, da, in, con, su, per, tra, fra.
[27] Le
preposizioni articolate - Le preposizioni articolate si formano
dall’unione delle preposizioni semplici più gli articoli determinativi
·
Il lo la (singolare)
·
I gli le (plurale)
Di
|
Di + il = del
|
Di + lo = dello
|
Di + la = della
|
Di + i = dei
|
Di + gli = degli
|
Di + le = delle
|
|
A
|
A + il = al
|
A + lo = allo
|
A + la = alla
|
A + i = ai
|
A + gli = agli
|
A + le = alle
|
|
Da
|
Da + il = dal
|
Da + lo = dallo
|
Da + la = dalla
|
Da + i = dai
|
Da + gli = dagli
|
Da + le = dalle
|
|
In
|
In + il = nel
|
In + lo = nello
|
In + la = nella
|
In + i = nei
|
In + gli = negli
|
In + le = nella
|
|
Con
|
Con + il = con il
|
Con + lo = con lo
|
Con + la = con la
|
Con + i = con i
|
Con + gli = con gli
|
Con + le = con le
|
|
Su
|
Su + il = sul
|
Su + lo = sullo
|
Su + la = sulla
|
Su + i = sui
|
Su + gli = sugli
|
Su + le = sulle
|
|
Per
|
Per + il = per il
|
Per + lo = per lo
|
Per + la = per la
|
Per + i = per i
|
Per + gli = per gli
|
Per + le = per le
|
|
Tra
|
Tra + il = tra il
|
Tra + lo = tra lo
|
Tra + la = tra la
|
Tra + i = tra i
|
Tra + gli = tra gli
|
Tra + le =tra le
|
|
Fra
|
Fra + il = fra il
|
Fra + lo = fra lo
|
Fra + la = fra la
|
Fra + i = fra i
|
Fra + gli = fra gli
|
Fra + le = fra le
|
[28] Pronomi
personali complemento - I pronomi personali complemento si usano quando
nella frase il pronome svolge una funzione diversa da quella di soggetto e I
pronomi personali usati come complemento hanno due forma:
·
forma forte o
tonica;
·
Forma debole o
atona.
cioè:
Persona
|
Funzione complemento
|
||
forma tonica
|
forma atona
|
||
1° singolare
|
Me
|
Mi
|
|
2° singolare
|
Te
|
Ti
|
|
3° singolare
|
maschile
|
lui, esso, sé
|
Lo, gli, ne, si
|
femminile
|
lei, essa, sé
|
La, le, ne, si
|
|
1° plurale
|
Noi
|
ci, ce
|
|
2° plurale
|
voi
|
vi, ve
|
|
3° plurale
|
maschile
|
essi, loro, sé
|
li, ne, si
|
femminile
|
esse, loro, sé
|
le, ne, si
|
·
complemento
oggetto: Ti ascolterò;
·
complemento di
termine: Le regalerò delle rose;
·
complemento
indiretto: Vieni con me a mangiare un
gelato?
I
pronomi personali complemento si distinguono in due forme differenziate:
1)
le forme toniche o forti (me, te, lui, sé, noi, voi, essi, loro ...), dette
così perché hanno un accento proprio e, quindi, assumono particolare rilievo
nella frase; possono essere usate per parecchi complementi e sono collocate
generalmente dopo il verbo:
Es.:
Penso a te;
Es.:
Cerco loro;
2)
le forma atone o deboli (mi, ti, lo, gli, si, la, ci, loro ...), dette così
perché non hanno un accento proprio e per la pronuncia si appoggiano sempre al
verbo che le precede (enclitiche) o che le segue (proclitiche):
Es.:
Verrà a trovarci (enclitica):
Es.:
Ti (proclitica) dico di sì;
Le forme atone, chiamate
anche particelle pronominali, sono adoperate esclusivamente per il complemento
oggetto (Verrò a trovarti = Verrò a trovare te) o per il complemento di termine
(Ti consiglio = consiglio a te).
[29] Il
modo verbale - Il modo del verbo indica la maniera in
cui l’azione del verbo avviene. Ogni modo comunica un aspetto diverso della
modalità del verbo.
In italiano, ci sono sette modi divisi in:
1.
I
modi definiti ossia i modi che definiscono l’azione del verbo secondo la persona e il numero.
I modi definiti sono quattro:
·
L’indicativo è il modo della realtà e
della certezza e si usa per una descrizione neutrale o per raccontare cose
vere, sicure, reali.
Es. Marco va in ufficio tutti i giorni alle 8.00.
Il modo indicativo ha otto tempi:
presente, passato prossimo, imperfetto, trapassato prossimo, passato remoto,
trapassato remoto, futuro semplice, futuro anteriore
·
Il
congiuntivo è il modo dell’opinione e
dell’incertezza e si usa normalmente per manifestare la propria opinione
personale e indica incertezza. Si usa per esprimere sentimenti, opinioni, dubbi
o per raccontare cose non sicure, non confermate.
Es: Penso che Marco ora sia a Roma, ma non ne sono sicuro.
Il congiuntivo ha quattro tempi
diversi: presente, passato, imperfetto, trapassato.
Es. Io dico che Marco è simpatico.
Questa frase esprime un’affermazione
sicura.
Es. Io penso che Marco sia simpatico.
Questa frase esprime un’opinione non
sicura.
·
Il
condizionale è il modo della
possibilità e del desiderio e si usa per esprimere desideri, richieste gentili,
inviti o per raccontare cose possibili o irreali.
Es. Vorrei una bella tazza di cioccolata.
Il condizionale ha due
tempi: presente e passato.
·
L’imperativo è il modo del comando e si
usa per esprimere ordini, consigli o inviti molto forti.
Es. Esci subito dalla stanza!
Il modo imperativo ha
solo il presente
2.
I
modi indefiniti sono
quei modi che non definiscono
l’azione del verbo secondo la persona e il numero e cioè sono
indeterminati. I modi indefiniti sono tre:
·
L’infinito esprime l’azione al grado zero
ed il modo base del verbo.
es. Essere o non essere: questo è il problema!
Il modo infinito ha due
tempi: presente e passato.
N.B. Questo modo si chiama implicito
perché la forma del verbo non esprime il soggetto.
·
Il
participio esprime una relazione con
la frase principale e ha spesso funzione di aggettivo o sostantivo.
Es. Questa è la macchina comprata da Marco.
Il participio ha due tempi: presente e
passato.
N.B. Nel presente ha generalmente un
valore attivo. Nel passato può dare valore attivo o passivo all’azione secondo
il verbo: se il verbo è transitivo il participio passato ha valore passivo se
il verbo è intransitivo ha valore attivo.
N.B. Il participio passato si usa per
costruire le forme composte del verbo.
Es: Marco ha fatto un viaggio.
N.B. Questo modo si chiama implicito
perché la forma del verbo non esprime il soggetto.
·
Il
gerundio esprime una relazione con il contenuto della frase principale. Ha
valore causale, temporale, ipotetico, strumentale, modale.
Es. Vedendo il film si è divertita moltissimo.
Il gerundio ha due tempi: presente e
passato.
N.B. Questo modo si chiama implicito
perché la forma del verbo non esprime il soggetto.
[30] La forma
passiva - Il verbo, secondo la relazione che stabilisce con il soggetto,
può essere attivo o passivo.
Nella
forma attiva il soggetto del verbo è colui che compie l’azione, cioè l’agente
della frase.
Es:
I turisti ammirano il paesaggio.
Tutti
i verbi, transitivi e intransitivi, hanno la forma attiva.
Nella
forma passiva, invece, il vero agente
della frase, l’elemento che compie l’azione, non è il soggetto, ma il
complemento, che si chiama infatti complemento d’agente.
Esempio:
la polizia insegue i ladri (sogg.) (forma v. attiva) (c. oggetto)
la polizia insegue i ladri (sogg.) (forma v. attiva) (c. oggetto)
i
ladri sono inseguiti dalla polizia
(sogg.)
(forma v. passiva) (c. d’agente)
In
italiano, la voce passiva è caratterizzata dall’ausiliare essere, seguito dal
participio passato del verbo. Quest’ultimo deve essere necessariamente
transitivo: infatti possono trasformarsi in passivi solo i verbi transitivi con
il complemento oggetto espresso, perché è proprio questo che, nella forma
passiva, diventa soggetto. Il soggetto della frase attiva diventa invece nella
frase passiva un complemento introdotto dalla preposizione da: il complemento d’agente, quando l’agente è inanimato, prende il
nome di causa efficiente. Si può avere la forma passiva anche senza che il
complemento d’agente (o di causa efficiente) sia specificato: l’orologio è
stato riparato; i tuoi consigli non sono stati seguiti; il vincitore sarà
premiato.
N.B:
il significato di una frase di forma attiva è sostanzialmente identico a quello
della corrispondente frase di forma passiva.
Es.:
Le due frasi la polizia insegue i ladri
e i ladri sono inseguiti dalla polizia
vogliono dire la stessa cosa: in entrambe le situazioni descritte c’è sempre un
solo inseguitore (la polizia) e un solo inseguito (i ladri); non cambiano i
ruoli svolti dai protagonisti dell’azione, ma solo i rapporti grammaticali con
cui sono espressi.
La
linguistica dice che tale cambiamento investe la struttura superficiale e non
quella profonda della frase. Quello che cambia moltissimo è però il punto
focale, di maggior interesse, della frase. Nel primo caso l’attenzione è posta
principalmente sull’azione dei poliziotti; nel secondo su quella dei ladri.
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