I
MODULO
Preistoria
e protostoria[1]
La
preistoria - La preistoria
è il periodo della storia precedente l'invenzione della scrittura[2].
Con la comparsa di testimonianze scritte infatti gli storici hanno, per la loro ricostruzione degli eventi, una più ampia documentazione che giustifica questa periodizzazione convenzionale.
Con la comparsa di testimonianze scritte infatti gli storici hanno, per la loro ricostruzione degli eventi, una più ampia documentazione che giustifica questa periodizzazione convenzionale.
La lunghissima fase della storia
dell'uomo prima dell'invenzione della scrittura inizia 100 mila anni fa quando
nella regione dell'attuale Sud-Africa emerse un tipo umano detto Homo Sapiens Sapiens che fisicamente
risulta in tutto identico all'uomo attuale.
Tuttavia due milioni di anni fa, nella
regione intorno al Lago Vittoria, un ominide utilizzò per la prima volta degli
utensili e con questi creò altri utensili, dando inizio alla storia della
tecnica e alla storia del pensiero anche se proprio nella tecnica, il pensiero
umano ha avuto la sua preistorica applicazione prima di divenire in seguito
anche religione[3], arte[4], filosofia[5] e scienza[6].
Perciò si prova un sentimento
religioso per quel primo utensile che non ha paragoni in tutta la storia
dell'universo giustifica l’inizio della preistoria umana appunto circa 2
milioni di anni fa con il primo utensile anche se i gruppi di ominidi che
utilizzarono utensili non erano fisicamente come gli umani attuali cioè homo
sapiens sapiens.
Queste considerazioni hanno allungato
di molto il periodo di cui la preistoria si occupa.
Il termine Preistoria indica pure la disciplina, la paleontologia[7] che studia la
presenza e l'attività dell'uomo nella preistoria.
L’età della pietra è suddivisa in due
fasi principali:
·
la
fase paleolitica o della pietra antica che comprende tutto il periodo dalla
comparsa dell’uomo fino all’invenzione dell’agricoltura.
·
la
fase neolitica o della pietra nuova che coincide con la nascita e
l’affermazione dell’agricoltura e dei primi villaggi stabili.
Il
paleolitico – È
un periodo di continui cambiamenti climatici in cui si alternano quattro
glaciazioni, epoche caratterizzate da clima polare, ed interglaciazioni.
Durante le glaciazioni l’Europa era completamente ghiacciata escluse le coste
del Mediterraneo, mentre durante i periodi interglaciali il clima era temperato
e piovoso.
Durante il paleolitico si verificò
l’ominazione ossia la comparsa dell’uomo sulla terra.
Secondo la teoria evolutiva l’uomo si
è evoluto dai primati.
Durante il Paleolitico inferiore
compare l’Australopiteco fra i 3 ed i
4 milioni di anni fa.
L’Homo
abilis, primo membro della famiglia umana, compare successivamente:
diversamente dai precedenti ominidi era capace di usare utensili ed aveva una
più grande struttura cerebrale. L’Homo
abilis comincia ad usare strumenti di pietra ed utilizza grandi animali
come fonte di cibo, e durante il quale la dimensione del cervello aveva
cominciato a ingrandirsi in modo significativo.
Circa 1.600.000 di anni fa l’Homo erectus compare in Africa nella
zona della Rift Valley:
dall’Africa Orientale, si diffonde rapidamente in Europa e in Asia quindi è il
primo ominide a diffusione intercontinentale. L’Homo erectus è un cacciatore e
raccoglitore, egli impara ad utilizzare ed a produrre il fuoco, a fabbricare
strumenti di pietra, a costruire capanne con le fronde degli alberi, a
costruire muri di pietra. La scoperta del fuoco è un la conquista
fondamentale. Tutto questo, insieme con la capacità di costruire efficienti
ripari, permette all’uomo di abbandonare i climi tropicali di cui è originario
e di spostarsi verso i climi più rigidi. L’Homo erectus era più alto dell’Homo
abilis, aveva un cervello più sviluppato e viveva regolarmente in luoghi in cui
restava per un tempo più prolungato. L’Homo erectus era in grado di dare
la caccia a grossi animali, spesso utilizzava la pelliccia per ripararsi dal
freddo. Macellava le prede ed era in grado di costruire muri in pietra come
riparo. L’Homo erectus scompare circa 250.000 anni fa.
Nel Paleolítico Medio compaiono l’Homo di Neanderthal e l’Homo sapiens, che hanno perso tutti i
caratteri primitivi: i loro strumenti rivelano una tecnica notevole. Le mani
possiedono le nostre stesse abilità: abile nella caccia, è capace di pensiero
astratto e di idee creative. Conosce e produce il fuoco; costruisce oggetti
complessi.
La sua economia era fondamentalmente
predatoria: caccia, pesca, raccolta. Gli ominidi nomadi e la popolazione era
molto ridotta. Alcune tribù praticavano l’infanticidio, non potendo nutrire i
piccoli per cui le tribù erano poco numerose. Non possedevano il concetto di
conservazione delle provviste, né quelli di proprietà privata e di divisione
sociale del lavoro.
Nel Paleolítico Superiore comparve l’Homo Sapiens Sapiens o Uomo di Cro-magnon, capace di pensiero
astratto e di idee creative, si serve di un linguaggio codificato, abita in
case costruite e in grotte, pratica riti funebri, crea una cultura, pratica
cacce organizzate. La popolazione aumenta.
L’uomo di Cromagnon credeva che quando
la natura offriva l’abitazione, era bene sfruttarla. Sull’entrata della grotta
spesso essi stendevano alcune pelli sorrette da un’armatura di rami per
chiudere l’imboccatura e consentire all’ambiente di riscaldarsi. Al centro
della grotta un fuoco serviva per riscaldare e per cuocere le carni.
Per ventimila anni, dal 30.000 al
10.000 a.C., essa produsse anche un’enorme quantità di opere d’arte: statuette
d’argilla e di pietra e pitture e graffiti rinvenuti sulle pareti delle caverne
scoperte in Francia, in Spagna e in Italia: intere pareti sono state dipinte
con figure di animali, cervi, cavalli, bisonti, mammut e di uomini.
Queste figure facevano parte
probabilmente di una sorta di rito magico per assicurarsi il successo della
caccia, si credeva forse che colpire l’animale rappresentato durante il rito
avrebbe favorito la sua cattura. Esse sono le più antiche espressioni
artistiche dell’uomo: esse non scaturivano da ciò che noi oggi chiamiamo senso estetico[8]. Gli
artisti preistorici non dipingevano per arredare le caverne: colori e forme
rispondevano certamente a un’esigenza fortemente condivisa da tutta la comunità
ed probabilmente essa cercava di placare le ansie create dalla difficoltà di
trovare cibo. Le opere di Cro-Magnon insomma, avevano certamente un significato
magico-religioso.
Il conquista del fuoco e la capacità
di costruire permise agli uomini di difendersi dal freddo e dalle animali
feroci e ancora di migliorare l’alimentazione: i membri della tribù
collaboravano nella caccia, avevano un capo, lo sciamano[9], che
dirigeva la caccia e teneva funzioni religiose per rendere la caccia più
efficace e per permettere di nutrire più facilmente i piccoli.
In questo periodo aumenta la quantità
e la qualità di strumenti di selce specializzati, ed aumentano anche gli
strumenti che servono unicamente a fabbricarne altri e che dimostrano quindi
nei loro costruttori un’elevata capacità di progettazione. Tra tutti emerge il bulino, un attrezzo appuntito di pietra,
ideato per incidere ossa, corna di cervo, avorio e legno in modo da ricavarne
altri attrezzi di uso quotidiano. Quando la selce
divenne un materiale di largo consumo non ci si accontentò più di quella che si
trovava sulla superficie della terra, ma si scavarono delle vere e proprie
miniere con pozzi e gallerie.
L’arco,
usato come arma per la caccia ai cervi e sfruttato nella sua applicazione
pacifica: il trapano. Col bulino
furono costruiti pugnali, aghi di osso dotati di cruna, fibbie e persino
bottoni: questi popoli portavano indumenti di pelle cuciti, con maniche e
pantaloni, che accrescevano notevolmente l’efficienza dei cacciatori durante i
rigidi inverni della quarta glaciazione. Tra i progressi tecnici va segnalata
anche l’invenzione della tecnica dell’incastro. Ormai le lance sono munite
regolarmente di punte uncinate d’osso, di corno di cervo o di selce e alcune
affilatissime lame di selce sono fissate in manichi di osso o di legno. Prima
di allora tutto veniva direttamente impugnato dalla mano: l’incastro è il primo
passo verso l’uso di un dispositivo meccanico.
Proseguendo su questa via, gli uomini
paleolitici inventarono l’arco.
Dal punto di vista economico,
tuttavia, i popoli dell’ultima fase del Paleolitico non avevano fatto nessun
progresso rispetto ai loro predecessori. Vivevano ancora esclusivamente di
caccia e di raccolta e la loro fiorente cultura non rispecchiava altro che un
certo grado di ozio, reso possibile da una selvaggina particolarmente
abbondante rispetto ai livelli degli stadi precedenti.
Il Neolitico
– Per migliaia di secoli gli uomini vissero di caccia e di piante selvatiche;
poi inventarono un nuovo sistema per procurarsi il cibo: la coltivazione delle
piante e l’allevamento degli animali. L’invenzione di queste pratiche produsse
un fondamentale cambiamento non solo nella vita economica, ma anche nella
mentalità e nella cultura degli uomini, segnando il passaggio ad un
atteggiamento attivo nella ricerca del cibo: l’uomo non si limitò più a cercare
le piante o gli animali che si trovavano in natura, ma cominciò a produrre i
suoi alimenti, a crearli con le sue mani, acquistando la capacità di
trasformare le risorse naturali per la propria utilità. Fu una vera e propria
rivoluzione, che diede origine a cambiamenti radicali nel modo di vivere e
rappresentò una svolta decisiva nell’evoluzione della società umana.
Le tracce più antiche di lavori
agricoli sono quelle del Vicino Oriente, tra l’Asia Minore sud-orientale e
l’attuale Iraq. In questa zona sono stati dissepolti utensili agricoli in
pietra che sembrano risalire a circa 10.000 anni fa: con essi sono stati
trovati chicchi fossili di orzo e di frumento coltivati, testimonianza che in
quelle terre, a quel tempo, l’uomo coltivava le piante e lavorava la terra.
L’agricoltura ebbe dunque le sue prime origini negli altipiani del Vicino e
Medio Oriente (Mesopotamia settentrionale, Anatolia[10]
sud-orientale, Palestina), la cosiddetta mezzaluna
fertile. Le prime piante coltivate furono l’orzo, il miglio, il frumento.
La Mezzaluna
Fertile è una regione del Medio Oriente che include l'Antico Egitto, il
Levante e la Mesopotamia. Questa regione è spesso indicata come la culla della civiltà per la sua
straordinaria importanza nella storia umana dal Neolitico all'Età del Bronzo
ed all’Età del Ferro.
Nelle fertili valli dei quattro grandi
fiumi della regione, il Nilo, il Giordano, il Tigri e l’Eufrate, si
svilupparono le prime civiltà agricole ed i primi grandi Stati dell'Antichità.
L'importanza della Mezzaluna Fertile è
tuttavia associata soprattutto al Neolitico e alla nascita dell'agricoltura.
La zona occidentale intorno al
Giordano e all'alto Eufrate diede le origini ai più antichi insediamenti
neolitici noti, intorno al IX millennio; a questo periodo risale per esempio il
sito di Gerico.
Intorno al Giordano, al Tigri e
all'Eufrate si svilupparono le prime società complesse dell'Età del Bronzo, che
divennero poi le prime nazioni e ad esse si riconducono anche i primi esempi di
sistemi di scrittura.
Diversi cause resero questa regione il
teatro ideale della rivoluzione neolitica.
Il clima della Mezzaluna Fertile favoriva la crescita di diverse specie di
cereali e legumi selvatici. Si trovavano nella regione le varianti selvatiche
delle otto coltivazioni fondamentali del Neolitico.
Inoltre erano presenti quattro delle
cinque più importanti specie animali da allevamento: le mucche, le capre, le
pecore e i maiali; la quinta specie, il cavallo, non si trovava nella
Mezzaluna, ma era diffuso in regioni limitrofe.
L’arte di coltivare le piante nacque
probabilmente da osservazioni casuali e tali casuali circostanze poterono
verificarsi un po’ ovunque tra i popoli raccoglitori. Tuttavia, la cronologia
di apparizione dell’agricoltura fa pensare piuttosto a una sua espansione
progressiva: dal Medio Oriente all’Asia, di qui all’America, forse seguendo gli
spostamenti dei popoli agricoltori. Ciò appare evidente soprattutto in Europa,
dove l’agricoltura si diffuse a iniziare circa da 8000 anni fa.
Sulle cause per cui l’uomo inventò
l’agricoltura esistono due ipotesi:
·
alcuni
studiosi la collegano alle mutate condizioni ambientali con cui gli uomini
dovettero confrontarsi dopo la fine delle grandi glaciazioni infatti il clima
diventò più caldo e più secco pertanto diminuì la selvaggina, fino ad allora,
assieme ai frutti selvatici, base dell’alimentazione umana e così la scoperta
che si potevano far crescere le piante, seminandole, aprì agli uomini un nuovo
modo per vincere la fame.
·
Altri
studiosi la collegano con la crescita demografica, che a un certo punto rese
impossibile la sopravvivenza con la sola economia di caccia e raccolta; essa
pertanto stimolò l’inventiva dei gruppi umani e provocò la nascita delle
pratiche di coltivazione.
In tutte e due le ipotesi, promotore
del cambiamento fu sempre il bisogno,
che spinse gli uomini a cercare nuovi modi per procurarsi il cibo. La crescita
progressiva delle risorse alimentari, messe a disposizione dalla pratica
dell’agricoltura, consentì agli uomini di moltiplicarsi.
Scattò così un meccanismo sconosciuto
nelle società primitive: l’abbondanza di cibo faceva crescere il numero degli
uomini e questi tendevano ad allargarsi su nuovi territori alla ricerca di
altre terre da coltivare.
A differenza di quanto era accaduto prima,
i gruppi umani dediti all’agricoltura mostrarono una naturale tendenza
all’espansione: anche questo motivo rende probabile l’ipotesi che l’agricoltura
sia stata portata nelle varie regioni del mondo dai gruppi umani che
progressivamente le occupavano.
Quasi certamente l’agricoltura fu
un’invenzione della donna: erano infatti le donne ad occuparsi della raccolta
delle piante, mentre gli uomini andavano a caccia.
La pratica dell’agricoltura richiese
la costruzione di nuovi attrezzi, adatti alla nuova attività: nacque così la
zappa, poi, molti secoli dopo, l’aratro di legno, al quale si aggiunse il giogo
quando si scoprì che gli animali potevano essere impiegati nel lavoro dei
campi.
Contemporaneamente alle tecniche
agricole, l’uomo incominciò a scoprire i modi per addomesticare e allevare gli
animali: galline, maiali, pecore, cammelli, cavalli, renne, asini, elefanti,
bovini, cani.
Spesso agricoltura ed allevamento si
integrarono: gli agricoltori erano anche allevatori e utilizzavano gli animali
non soltanto come cibo, ma anche come aiuto nel lavoro dei campi e nei
trasporti. Altre volte si formarono gruppi di uomini dediti esclusivamente alla
pastorizia che conservavano abitudini nomadi ormai abbandonate dagli
agricoltori.
In questi casi poteva accadere che i
pastori entrassero in conflitto con gli agricoltori, in quanto i primi avevano
bisogno di spazi aperti e di spostamenti frequenti, i secondi invece avevano
necessità di recintare la terra, per proteggerla dal passaggio degli animali.
Per migliaia di anni il materiale più
usato fu la pietra dura. Poi si scoprirono i metalli che a poco a poco si
rivelarono di grande utilità e diventarono di larghissimo impiego: armi,
attrezzi ecc.
L’età
dei metalli – La
scoperta dei metalli è stato un ulteriore passo decisivo nell’evoluzione delle
culture umane.
L’età dei metalli ebbe inizio in tempi
diversi a seconda delle regioni e si suddivide in:
·
età del rame o eneolitica
·
età del bronzo
·
età del ferro che per le sue caratteristiche di
durezza e resistenza si diffuse come il metallo di più largo impiego.
II MODULO
Le civiltà dell’età del bronzo – Nel IV millennio
l'uomo compie un notevole progresso nel campo delle invenzioni e raggiunge un grado di civiltà molto più elevato:
·
inventa la ruota
ed il carro che, attaccato ai cavalli, permette di percorrere distanze fino a quel momento insuperabili;
·
inventa la vela, che gli permette di spostarsi sul mare,
sfruttando la forza dei venti;
·
scopre e
perfeziona la metallurgia.
Dapprima la
lavorazione del rame, poi quella del bronzo, rendono possibile la costruzione di oggetti metallici che si rivelano
della massima utilità nei lavori agricoli, nelle costruzioni e nel commercio. In questo periodo inizia l'era delle
relazioni commerciali che condussero
ad una più rapida evoluzione della
società.
Fino al II
millennio si assiste alla formazione di sette aree geopolitiche:
·
l’area mesopotamica
·
l’area egizia
·
l’area
siro-palestinese
·
l’area anatolica
·
l’area egeo-cretese
·
l’area greca continentale
·
l’area italica
I
popoli della Mesopotamia (3000 - 538 a. C.) - La Mesopotamia antica (la terra tra i due fiumi), è una
vasta pianura percorsa dai fiumi Tigri ed Eufrate, cui deve la propria fortuna
economica perché essi, durante le piene, ricoprivano il terreno di un limo
molto fertile che rendeva prospera l’agricoltura.
La Mesopotamia offriva facili vie di
comunicazioni con l’Asia Centrale e il Mediterraneo, per cui fu un incrocio per
i traffici tra Africa, Asia ed Europa.
Prima degli inizi del XX secolo si
credeva che non esistesse una civiltà precedente a quella assira, oggi invece
si sa che precedentemente si fosse affermata un’antichissima civiltà,
importantissima sia per cultura sia per religione.
In questo periodo, due popoli
stanziati sul corso inferiore dei due fiumi, si alternarono nella predominio
sulla regione: i Sumeri e gli Accadi.
I Sumeri giunsero in Mesopotamia
intorno al 3500 a.C. e fondarono varie città[11]-
stato[12] che ebbero
grande fioritura: l’età classica Sumera terminò con l’invasione degli Accadi
che conquistarono la Mesopotamia nel 2400 a.C.
Gli Accadi invasero la Mesopotamia
sotto Sargon I che stabilì la sua supremazia sui Sumeri. Sargon (2335 - 2279) fu il
primo sovrano a riunire l’impero[13] di
Accad e quello sumero e promosse quest’espansione, conquistando molte delle
regioni circostanti per creare un impero che si espandeva fino al Mar
Mediterraneo e all’Asia Minore.
Dopo il crollo dell’Impero di Sargon,
seguì in Mesopotamia un breve periodo di arretramento, ma dal 2200 a.C al 2000
a.C ci fu una breve rinascita della civiltà sumera, finché la Mesopotamia fu
conquistata dagli Amorrei, antica popolazione nomade di stirpe semitica[14], che
abitava la Siria e la Palestina, e che occupò le terre a ovest dell'Eufrate
dalla seconda metà del III millennio a. C, stabilendo la propria capitale, a Babilonia. La dinastia amorrea regnò
fino al 1730 a.C circa quando la Mesopotamia fu unificata sotto il dominio
Babilonese.
Si delineò così il primo Impero Babilonese (1700-1100
circa) che ebbe in Hammurabi
(1728-1686) il principale rappresentante.
Hammurabi stabilì come capitale
Babilonia, la città più importante della regione estesa dal Golfo Persico fino
alla Siria e all’Assiria; egli ebbe il merito di raccogliere tutta la tradizione
giuridica precedente nel codice di leggi più antico della storia. Grazie al codice di Hammurabi[15], si
realizzò infatti anche l’unificazione giuridica ed amministrativa del
paese.
L’impero babilonese fu messo in crisi
dall’affermazione nell’Asia Anteriore di alcuni popoli indoeuropei (Ittiti,
Urriti, Cassiti) detti anche popoli dei
monti perché provenienti dai monti dell’Asia Minore e dall’Altopiano
Iranico.
I babilonesi svilupparono una civiltà
che durò dal 2003 al 539 a.C.
L’Impero babilonese fu sottomesso
dagli
·
Ittiti
nel 1500 circa
·
Cassiti
ed Elamiti per circa 500 anni,
·
Assiri
intorno al 1100.
L’Assiria
si estendeva a settentrione, sulla sinistra del Tigri, ed aveva come città più
importanti Assur e Ninive. Per molti secoli gli Assiri
erano stati sottomessi ai Babilonesi, ma durante la crisi dell’impero
babilonese si erano costituiti in regno indipendente.
Gli
Assiri fondarono una monarchia di tipo aristrocratico-militare che si suddivide
in tre periodi:
·
il
regno antico (2003-1365).
·
l’Impero Assiro (1362-936) che conquistò la Babilonia, ma declinò
per la pressione dei nomadi aramei.
La
civiltà egizia (3000 –
1163) – Gli Egiziani erano un popolo di stirpe camitica con apporti semitici.
L’Egitto deve la sua ricchezza e la
sua antica cultura al Nilo che nasce dagli altipiani dell’Africa orientale e
attraversa tutto l’Egitto sfociando nel Mediterraneo. Durante l’estate, nel
periodo delle piogge, il Nilo inondava le sabbie desertiche rendendole fertili
e particolarmente adatte all’agricoltura alla fine della piena.
L’Alto Egitto, montuoso, era dedito
alla pastorizia, il basso Egitto, pianeggiante e vicino alle coste del
Mediterraneo, dedito all’agricoltura e al commercio.
Il periodo predinastico è la fase
precedente alla formazione dello stato unitario egiziano: il periodo comincia
indefinitamente nella preistoria e giunge fino al 3100 a.C. In quest’epoca i
distretti dell’Alto Egitto
costituivano unità politiche autonome sorte intorno ad un villaggio. Ciascun
distretto aveva divinità specifiche, alcune delle quali, anche in relazione
agli sviluppi politici, diverranno poi divinità nazionali dell'Egitto. Nel
periodo predinastico i distretti si unirono in un unico regno, dando così vita
all'Alto Egitto.
Un processo analogo avvenne a nord con
la costituzione del Basso Egitto, la Terra del giunco ossia la regione del
delta del Nilo.
Nel periodo predinastico il paese è
suddiviso in due grandi regni:
·
Il
Regno dell’Alto Egitto il cui re
portava una corona rossa bassa con la figura di un serpente;
·
Il
Regno del Basso Egitto il cui re
portava una corona bianca a forma di tiara con un avvoltoio dalle ali aperte.
A Narmer,
sovrano dell’Alto Egitto, è attribuita l'unificazione del Basso Egitto con
l'Alto Egitto intorno al 3000, dando quindi inizio al periodo dinastico. Il
sovrano regnò su tutto l'Egitto essendo questi rappresentato con in capo da un
lato la corona del Basso Egitto e, dall'altro, quella dell'Alto Egitto. A
Narmer si attribuisce la fondazione della città di Menphi: la nuova città, posta nel punto di giunzione tra Alto e
Basso Egitto, fu eretta per essere la capitale del nuovo regno unificato.
Il Regno
Antico (2850-2050) è il periodo cui risalgono le costruzioni più famose ed
imponenti della civiltà egizia: le piramidi.
Il regno antico si divide in
·
periodo thinitico (2850-2650), in cui la capitale fu Thinis, nel medio Egitto ed abbraccia la
storia delle prime due dinastie
·
periodo menfitico (2650-2050), in cui la capitale fu Menfi, nel basso Egitto ed abbraccia la
storia dalla terza alla decima dinastia.
Il fatto più noto relativo a questo
periodo è la costruzione delle piramidi[16],
monumenti funebri dei re di questo periodo storico.
Il Regno
Medio (2050-1580), detto anche primo periodo tebano ebbe come capitale Tebe. In questo periodo si succedettero
le dinastie dalla XI alla XVII.
Di queste la più ricordata è la XII
per le conquiste militari, per la prosperità economica e per alcune grandiose
realizzazioni edilizie. Senursit III
estese il dominio dell’Egitto a sud fino alla Nubia ed ad nordest fino alla
Palestina. In questo periodo l’Egitto subì l’invasione degli Hyksos ossia le popolazioni che penetrarono in Egitto
alla fine del periodo del Medio Regno. Il potere degli Hyksos terminò con
l’avvento della XVIII dinastia, che ripristinò l’unità dello stato, dando
inizio al periodo detto Nuovo Regno.
Il Regno Nuovo (1580-1163) fu il periodo più fiorente
della storia egizia.
Tra il 1570 e il 1085 a.C. l’Egitto
diventò infatti un grande impero militare: in Africa fu conquistata la Libia,
mentre il faraone Tutmosi III si
spinse fino ai paesi della Mesopotamia, costringendoli a pagargli tributi.
Nel 1480 a.C., con la battaglia di Megiddo, l’Egitto conquistò
anche la Fenicia e la Palestina.
Il faraone Amenofi IV (1377-1358 a.C.) tentò di consolidare questo impero. In
particolare introdusse il nuovo culto universale del dio Aton[17], il Sole, sia per dare
unità religiosa e morale ai diversi popoli che facevano parte del grande impero
egizio, sia per combattere il potere eccessivo dei sacerdoti del precedente dio
Amon, che pretendevano gran parte dei ricchi tributi provenienti dall’Asia
Minore e volevano controllare le stesse decisioni del faraone.
Tuttavia la riforma di Amenofi IV
fallì ed il successivo faraone Tutankhamon
(1333-1323 a.C.) ristabilì la religione tradizionale, riuscendo però a
ridimensionare il potere dei sacerdoti.
Altre guerre seguirono contro gli
Ittiti, che cercavano di espandere i propri domini a danno degli Egizi, ma
furono fermati da Ramses II nella battaglia di Kadesh nel 1296.
Ramses II è considerato il più grande
e magnifico tra i faraoni. Tra i monumenti che Ramses ha lasciato ricordiamo il
tempio al dio Ammone e il Ramesseum, suo monumento sepolcrale,
sulla riva destra del Nilo presso Karnak.
Più tardi in Egitto giunsero nuovi
invasori, i Popoli del mare,
popolazioni di incerta provenienza che furono respinte in diverse occasioni dal
faraone Ramses III (1195-1163 a.C.).
In questa difesa, tuttavia, furono perdute regioni importanti come la Palestina
e la Nubia.
Gli
Ebrei (2100 - 1200) –
Gli Ebrei abitavano la terra di Canaan,
confinante a Nord con la catena del Libano e dell’Antilibano, a sud con il
deserto del Sinai, a Est con il deserto Arabico, a ovest con il Mediterraneo.
In origine la terra di Canaan fu abitata dai Cananei, popolo etnicamente affine
ai Fenici, ma intorno al 1200 a.C., la terra di Canaan fu invasa dagli Ebrei;
essi ne occuparono gran parte e la ribattezzarono Eretz Yisrael, terra di Israele. Una parte della
regione tuttavia resistette all’occupazione e continuò a lungo ad essere
abitata da popolazioni cananee.
La regione più fertile della Palestina
era la Galilea e si estendeva dalle
montagne del Libano a sud fino al monte Tabor. Nel centro della Palestina c’era
la Samaria, a sud la Giudea, arida e dirupata, con la
capitale Gerusalemme.
A Oriente era l’attuale Transgiordania, che gli Ebrei chiamavano
Gilead.
La Palestina fu molto importante perché
diede origine a Ebraismo e Cristianesimo, inoltre essa era l’unica via
terrestre praticabile tra l’Egitto, la Siria e la Mesopotamia: fondamentale fu
quindi il suo ruolo nell’emigrazione e nel commercio.
Nel 2100 a.C. il patriarca Abramo, capo riconosciuto politicamente
e religiosamente dal popolo ebreo, viveva con la sua gente a Ur, nella Caldea
meridionale.
Secondo la tradizione, un giorno
Abramo ricevette da Dio l’ordine di abbandonare la Caldea e di guidare il suo
popolo fino alla terra di Canaan. Abramo e il suo popolo affrontarono terribili
traversie finché non giunsero ad occupare la terra ad occidente del Giordano.
Da questa occupazione nacque il nome di Ebrei, che significa abitanti
dell’altra parte del fiume.
Ad Abramo successe suo figlio Isacco,
ad Isacco successe Giacobbe.
Giacobbe fu chiamato anche Israele, che significa forte dinanzi a Dio. Giacobbe ebbe 12
figli, ma il suo preferito era Giuseppe.
I fratelli erano gelosi di Giuseppe e un giorno decisero di venderlo ad alcuni
mercanti che lo condussero in Egitto. Grazie alla sua intelligenza Giuseppe
diventò ministro del Faraone. La Palestina dovette affrontare delle gravi
carestie così i fratelli vennero in Egitto a far provviste. Giuseppe li
riconobbe e ottenne dal Faraone il permesso di trasferire il popolo ebreo in
Egitto. Dal 1650 al 1300 circa. gli Ebrei rimasero in Egitto dove prosperarono,
ma non si mescolarono mai agli Egiziani: conservarono lingua, religione,
cultura.
Dopo la cacciata degli Hyksos, gli Egiziani estesero il loro
odio nei confronti degli stranieri agli Ebrei, mai integrati, e li tennero in
Egitto come schiavi, sottoponendoli a lavori molto duri.
Gli Ebrei furono liberati
dall’oppressione egiziana da Mosè, il
quale, secondo la tradizione, aveva ricevuto da Dio l’incarico di riportare il
popolo eletto nella Terra Promessa (la Palestina).
La Bibbia racconta che il Faraone,
vedendo che gli Ebrei aumentavano in numero e in potenza malgrado i
maltrattamenti, aveva ordinato che fossero uccisi tutti i neonati maschi dei
discendenti di Giacobbe. Mosè fu
sottratto a questo destino dalla madre che lo depose in un canestro sulla riva
del Nilo in un posto dove aveva l’abitudine di bagnarsi la figlia del Faraone.
Quest’ultima lo fece portare nel palazzo reale, dove fu allevato e istruito.
Mosè riuscì a guidare gli Ebrei fuori
dall’Egitto e ad attraversare il mar Rosso. Il popolo ebreo non raggiunse però
subito la Terra Promessa, ma vagò per 40 anni nel deserto. Secondo la Bibbia,
tale ritardo fu dovuto alla necessità di una completa rigenerazione spirituale
del popolo ebraico, prima di affrontare le bellicose popolazioni cananee.
Durante la peregrinazione nel deserto
Mosè, secondo la tradizione, ricevette le Tavole
della Legge (I dieci comandamenti) da Dio sul monte Sinai. Mosè morì prima
di raggiungere la Terra Promessa.
Il comando fu preso da Giosuè, il quale, attraversato il
Giordano, riuscì ad espugnare la città di Gerico
e ad occupare gran parte della Palestina dopo una serie di battaglie terribili
contro i Cananei.
Il territorio fu diviso tra undici
tribù di Israele, che era composto da dodici tribù. La dodicesima, la tribù di
Levi da cui erano tratti i sacerdoti, fu esclusa da ogni proprietà e sarebbe
vissuta disseminata tra le altre dalle quali avrebbe ricevuto la decima parte
dei prodotti dell’agricoltura.
Alla morte di Giosuè le dodici tribù
ripresero la loro autonomia e si governarono da sole, conservando tra loro
soltanto legami religiosi.
I
Fenici (1600-1100
a.C.) – I Fenici occupavano una striscia di terra lunga circa 250 chilometri
compresa tra il mare Mediterraneo a Ovest, le montagne del Libano a est, la
Palestina a Sud.
Il territorio offriva poco dal punto
di vista agricolo, ma le coste offrivano buoni porti e le montagne erano ricche
dei famosi cedri del Libano, alberi adattissimi alla costruzione di navi, sia
per i tronchi dritti e lunghi e sia per la qualità del legno, molto resistente
all’acqua.
I principali centri dei Fenici furono
tutte città di mare divenute ricche e potenti con i commerci: Biblo, Berito (odierna Beirut), Sidone
e Tiro.
I Fenici vivevano nelle valli che si
dipartivano dalla catena del Libano. Non formarono mai uno stato unitario, ma
città-stato spesso in lotta tra loro. Per questo non si può tracciare la storia
dei Fenici come un racconto unitario, ma seguendo le vicende delle singole
città stato.
·
Biblo fu stata la prima città della Fenicia
a raggiungere ricchezza: ebbe rapporti commerciali molto antichi con l’Egitto,
ma poi i rapporti commerciali si trasformarono in rapporti di sudditanza e
durarono fino al 1730, anno in cui l’invasione degli Hycsos tagliò fuori
l’Egitto dal commercio con il Mediterraneo. Quando nel 1500 circa i Faraoni
riuscirono a cacciare gli Hycsos, Biblo e le altre città della Fenicia
ricaddero sotto il dominio egizio.
·
Sidone raggiunse il massimo della sua
potenza tra il 1500 e il 1100, approfittando del crollo della potenza marittima
cretese. La sua potenza fu tale che anche quando fu sotto il dominio egiziano,
Sidone riuscì comunque a conservare propri re, una propria flotta e completa
libertà di commercio. Sidone fondò numerose colonie in tutto il Mediterraneo
Orientale; la sua potenza fu abbattuta da uno dei Popoli del mare, i Filistei che abitavano le coste della Palestina.
La
civiltà cretese (3000
- 1450 a.C.) – La civiltà cretese o minoica si sviluppò lungo le coste e nelle isole dell’Egeo dal III
millennio al 1400 a.C. e prende il nome dall’isola di Creta, dove gli scavi
archeologici hanno portato alla luce le testimonianze di questa civiltà.
Dopo una fase neolitica iniziata intorno
al 7000 a.C., iniziò il periodo dell'età dei metalli, corrispondente all'epoca
che va dall’età del rame all'inizio dell'età del bronzo, durante il quale nuove
genti di origine anatolica si stanziarono sull'isola.
Questo periodo è caratterizzato da un
consistente incremento demografico, cui seguì una progressiva estensione delle
aree abitate, e dalla comparsa della scrittura ideografica. Già in quest'epoca
sono attestati contatti con l'Egitto.
La vantaggiosa posizione geografica di
Creta favorì il sorgere della prima civiltà mediterranea e di un fiorente
impero marittimo che dal Mare Egeo controllava una rete commerciale che
raggiungeva l'Egitto, la Siria, le regioni a nord del Mar Nero e l'Occidente.
Il periodo di massima fioritura della
civiltà minoica inizia verso il 2000 a.C. con il Minoico medio. Caratteristiche
peculiari della nuova fase protopalaziale sono la comparsa della scrittura
alfabetica, la costruzione dei primi palazzi a Cnosso ed a Festo e l'inizio
della ceramica policroma.
Due grandi città, Cnosso e Festo, si
dividevano il territorio dell’isola, che fu poi unificato sotto il dominio di
Cnosso.
La civiltà cretese si basava
prevalentemente sull’agricoltura, grazie al fertile suolo dell’isola che
produceva olio, grano e vino in abbondanza, e sul commercio marittimo.
Dotata di una potente flotta e
governata da sovrani amici fra loro, Creta godeva di prosperità e pace che,
grazie anche ad un florido commercio con altre città della Grecia, dell’Egitto
e della Siria, le consentirono di arricchirsi in modo considerevole.
Era un’isola fertile, dove si
coltivava grano, orzo e una cospicua varietà di spezie, vi crescevano gli ulivi
e i fichi, le api davano un ottimo miele, il bestiame forniva pelli, latte e
formaggio.
Alcuni di questi prodotti erano
esportati su larga scala; in cambio i Cretesi acquistavano rame, stagno, oro,
argento, avorio, le materie prime che erano lavorate dagli artigiani locali e
spesso riesportate sotto forma di prodotti finiti. La loro abilità commerciale
era famosa quanto quella degli abitanti di Biblo o di Ugarit; e in entrambi i
casi abilità mercantile significava anche pirateria. Tra il commercio e la
razzia il mondo antico non faceva molta differenza.
Le città cretesi erano prive di mura,
forse perché il mare proteggeva gli isolani da pericoli esterni e rari erano i
conflitti interni. Nelle città più importanti sorgevano i palazzi che, oltre ad
essere la residenza del re, erano anche il centro delle attività economiche,
con i loro grandi magazzini per la raccolta del cibo, le botteghe artigianali,
gli archivi, gli spazi teatrali dove si svolgevano cerimonie pubbliche.
La presenza di diversi palazzi
dimostrerebbe che l’antica società minoica era divisa in piccoli regni
indipendenti, ognuno retto da un sovrano, tra i quali il minosse di Creta doveva avere un ruolo preminente.
Il palazzo non aveva nulla della
fortezza e non ospitava solo re e regine, principi e principesse, ma anche una
folla di artigiani. I palazzi erano composti di numerosi saloni, stanze,
terrazze, scalinate, giardini. In essi trovavano sede gli uffici
dell’amministrazione e della corte, i depositi dei viveri, i magazzini dei
prodotti destinati al commercio. Erano, nello stesso tempo, residenze dei re e
templi religiosi.
Verso
la prima metà del XVII secolo, i grandi palazzi furono distrutti, forse a causa
di un terremoto.
La fase del medio minoico, vide la
ricostruzione dei palazzi delle grandi città cretesi e l'inizio del massimo
splendore dell'architettura e dell'arte minoica.
Sono ignote le cause per cui tale
civiltà, verso il 1450 a.C., improvvisamente crollò. Due sono comunque le
ipotesi prevalenti:
·
la
conquista violenta da parte degli Achei, provenienti dalla città greca di
Micene che segnò la fine della grande civiltà: Creta non fu più in grado di
riprendersi, ma gran parte della sua tradizione e della sua cultura furono
raccolte dalla vicina Grecia;
·
una
devastante eruzione vulcanica della vicina isola di Santorini cancellò in poche
ore all’incirca nel 1400 a.C., dopo una serie di scosse, il vulcano esplose con
una violenza inaudita. Quando il vulcano esplose, gran parte dell’isola
sprofondò, lasciando appunto un buco,
occupato dal mare. Enormi quantità di detriti e ceneri furono scagliate ad
incredibili distanze.
Gli
Indoeuropei - Verso
la fine del III millennio a.C., alcune popolazioni, si insediarono gradualmente
in un’area compresa tra la penisola del
Deccan (attuale India) e le isole britanniche. Esse erano accomunate tra
loro dal fatto di parlare lingue geneticamente imparentate perché discendenti
da un’ipotetica madrelingua, l’indoeuropeo.
Il termine indoeuropeo designa dunque un fatto essenzialmente linguistico cui
è stata aggiunta una valenza storica, indicando anche tutte quelle genti che
parlano quelle lingue.
Ci sono due teorie sull’origine di
queste popolazioni:
·
la
prima, anche in ordine di tempo, le vuole originarie del bacino della Vistola,
tra il mare del Nord e il mar Nero, dal quale poi si sarebbero portate verso i
Balcani e l’area egeo-anatolica.
·
la
seconda le identifica con i portatori della civiltà
kurganica (a causa della caratteristica delle tombe a tumulo rinvenute; kurogan)
sorta a partire dal V millennio a.C. intorno al mar Nero, e che mostra affinità
con la cultura dei popoli indoeuropei: tombe
a fossa ricoperte da tumuli, gli insediamenti
fortificati, le mazze di guerra,
i vasi di ceramica cordata, l’uso del rame. Alcune testimonianze
evidenziano che avessero anche addomesticato il cavallo e facessero uso del
carro con ruota piena.
Le grandi migrazioni iniziarono tra il
quarto e il terzo millennio a.C., dopo la definitiva scomparsa dell’ultimo
periodo glaciale. Ampie comunità di cacciatori, nuovamente coagulate,
iniziarono a partire da una vasta area nordica che si estendeva nello spazio
compreso tra la Scania, le rive meridionali e orientali del Baltico, e le
propaggini occidentali delle steppe caucasiche. Presto nacquero la civiltà
indiana e quella persiana: allo stesso modo le asce e il carro da guerra
segnarono l’arrivo degli Indoeuropei in Anatolia, così come nel bacino del
Tarim.
L’arrivo degli Indoeuropei sovvertì
l’organizzazione sociale precedente, imponendo un nuovo modello. Sorsero
arroccamenti, incastellamenti, città-stato; si impose il rito della cremazione;
le strutture urbane e gli oggetti d’uso comune, si ispirano a forme rigidamente
geometriche e strutturate.
L’improvvisa comparsa dei nuovi
signori crea società patriarcali, guerriere e gerarchiche.
Attraverso più ondate, l’Europa fu
completamente indoeuropeizzata:
·
i
Celti occupano la maggior parte
dell’area occidentale,
·
le
migrazioni illiriche, venete e latine penetrano verso sud in Italia e nei Balcani,
·
i
Germani occupano una vasta e fluida
area verso il nord;
Gradualmente le lingue si
differenziano.
La struttura sociale e culturale era
complessa: la società doveva essere di tipo pastorale, ma al suo interno erano
presenti un gruppo sacerdotale e uno cavalleresco-guerriero. I contadini che
dovevano costituire un gruppo numeroso della popolazione, erano probabilmente
le popolazioni locali con le quali gli indoeuropei si fusero durante le loro
migrazioni.
Gli
Ittiti – Popolo
di origine indeuropea, gli Ittiti comparvero in Anatolia agli inizi del II
millennio a.C. e si scontrarono con gli Hatti,
una popolazione autoctona insediata da più secoli, e con le colonie commerciali
assire stabilite dalla metà del III millennio a.C. nella regione, fondando in
Asia Minore uno Stato con capitale Attusas.
L’invasione di popolazioni indeuropee
comprese, oltre agli Ittiti, i Luviti
o (Luvii) insediatisi a Sud, e i Palaiti,
stanziatisi a Nord-Ovest. Gli Ittiti si stabilirono nella zona centrale.
Nella storia ittita si distinguono in
genere due fasi:
·
un
Regno Antico (1650-1430 a.C.) durante
il quale verso il 1530 a.C. conquistarono la Mesopotamia, dopo cinque secoli di
regno babilonese. Con la Mesopotamia e parte della Siria, il loro impero arrivò
dall’altopiano anatolico fino all’Eufrate. Queste conquiste furono facilitate
da un’arma nuova da loro costruita, il carro da guerra veloce.
·
un
Periodo Imperiale (1430-1200 a.C.)
terminato con la sparizione dello stato.
L’Impero ittita non ebbe una lunga
durata: verso il 1200 a.C. esso non esisteva più, per cause non ancora ben
note. L’ipotesi più accreditata è l’invasione dei Popoli del mare, che si abbatterono su tutto il territorio
siro-palestinese e sull’Anatolia il cui altopiano fu occupato dai Frigi, venuti
forse dalla Tracia.
Dell’impero ittita rimarranno solo
staterelli sparsi qua e là che, nei secc. IX e VIII a.C., furono i centri di
sopravvivenza della civiltà ittita, finché non diventarono province assire.
Questi stati, detti neo-ittiti,
situati nella Siria settentrionale, ci hanno lasciato i documenti. In questi
stati la popolazione ittita si fonderà con quella semitica, che si affermerà
nella regione alla fine del II millennio.
Gli ittiti impararono la scrittura dai
babilonesi, come risulta dalle migliaia di tavolette d’argilla scritte a
caratteri cuneiformi. Esse sono state decifrate e ci hanno fatto conoscere
diversi aspetti originali della vita di quel popolo. Il re, presso gli ittiti,
non era considerato un dio, né un vicario delle divinità, ma solo un uomo
particolarmente valoroso che esercitava il potere non in forma dispotica ma con
la collaborazione dell’assemblea dei nobili, dai quali egli derivava la sua
autorità. Un altro aspetto originale della civiltà degli ittiti è lo spirito di
pace e di tolleranza che essi mostrarono sia con i popoli assoggettati, sia con
i regni confinanti.
La civiltà elladica (2800 – 1100) – Il nome Elleni
è sinonimo di Greci, sebbene alcuni studiosi tendano a considerare greci le popolazioni preelleniche o pelasgiche, ed elleni le
genti che a diverse ondate invasero la Grecia nel II millennio a.C.: gli Ioni
la prima e gli Eoli la seconda, che furono entrambi assimilati dai greci, gli Achei furono la terza ondata, che invece
riuscì ad imporre la propria egemonia culturale.
Con il termine civiltà elladica si indica la civiltà sviluppatasi nella
Grecia continentale nell’età del Bronzo e divisa convenzionalmente in tre
periodi:
·
Antico
Elladico (2800 – 2000),
·
Medio
Elladico (2000-1580),
·
Tardo
Elladico (1580-1100).
All’inizio dell’Antico Elladico agli
originari abitanti, i Pelasgi, popolazioni greche autoctone che
abitavano la penisola greca, mar Egeo e coste anatoliche, si sarebbero aggiunti
popoli provenienti dall’Asia Minore; poi, tra la fine del III e l’inizio del II
millennio a.C., si verificò l’invasione dei popoli indoeuropei fra cui gli achei che si stabilirono nel
Peloponneso.
Questi popoli, la cui civiltà si fuse
con quella degli antichi abitanti e caratterizzò tutto il Medio Elladico, erano
portatori di una cultura diversa: conoscevano l’uso della ruota da vasaio, si
servivano dei cavalli, fino ad allora sconosciuti, ed usavano sepolture
individuali.
Alla fine del Medio Elladico era
praticato anche il commercio marittimo, soprattutto con i cretesi che
esercitarono un forte influsso culturale ed economico sui più importanti
insediamenti achei nel Peloponneso (Micene, Tirinto, Argo, Pilo, Sparta,
Corinto).
La civiltà micenea (1580-1100) - Dall’incontro fra
la cultura medio-elladica e quella minoica si sviluppò la civiltà micenea,
così chiamata da Micene la città più potente e importante.
Della civiltà micenea si conosceva,
fino alla fine del XIX secolo, solo quanto si poteva desumere dai poemi di
Omero, l’Iliade e l’Odissea. Importanti perciò furono i risultati
degli scavi compiuti, a partire dal 1878, da Heinrich Schliemann che riportò alla luce i resti dell’antica città
di Micene, basandosi sul racconto di Omero; inoltre, la decifrazione nel 1952
da parte degli inglesi Michael Ventris
e John Chadwick della scrittura micenea, detta lineare B, contribuì
a fornire un quadro più preciso della civiltà e dell’organizzazione sociale dei
micenei.
Anche nel mondo miceneo, il palazzo,
difeso però da solide mura e caratterizzato da un vasto mégaron (eredità
delle popolazioni preindoeuropee), era il centro della vita amministrativa,
politica e religiosa.
Il potere supremo era esercitato da un
sovrano, chiamato wánax, che svolgeva anche mansioni religiose, mentre
l’esercito era comandato dal lawagétas.
L’economia era basata
sull’agricoltura, sull’allevamento e sull’artigianato, i cui prodotti erano
esportati nel bacino del Mediterraneo grazie alla florida attività commerciale.
I micenei, infatti, dapprima si affiancarono, poi scalzarono gli stessi cretesi
nel dominio sul Mediterraneo: a partire dal XVI secolo a.C. cominciarono a
conquistare le Cicladi e nel XV
secolo a.C. stabilirono basi commerciali a Rodi e sulle coste dell’Asia Minore
(Mileto, Rodi, Cnido, Alicarnasso) e occuparono Creta e Cipro; parteciparono
anche all’attacco mosso dai Popoli del mare[18] contro l’Egitto
nel XIII secolo a.C.
Nel periodo della massima espansione
(Miceneo III) si sviluppò il commercio con l’Italia, soprattutto verso la
Toscana, la Sardegna e le isole Eolie, ma la politica di espansione dei micenei
continuava a rivolgersi anche all’Oriente: una coalizione di città achee, verso
il 1200 a.C., mosse infatti una guerra (raccontata poi da Omero nell’Iliade)
contro la città di Troia che controllava, grazie alla sua posizione strategica
sullo stretto dei Dardanelli, il commercio nel bacino che collega l’Egeo al Mar
Nero.
La
penisola italica – Le
prime comunità umane in Italia risalgono al tardo Paleolitico. Gradualmente si
passò dalla caccia e dalla raccolta alla coltivazione del terreno e quindi a
forme stabili di insediamento. Nella seconda metà del III millennio a.C. si
cominciò a lavorare il rame.
Agli inizi del II millennio a.C. si
formarono alcune civiltà al nord, intorno ai laghi lombardi e, verso la metà
del II millennio, si diffuse la civiltà detta delle terramare, dai
depositi di terre grasse rinvenuti archeologicamente (terra marna, terra
grassa), nelle zone di Modena e Piacenza.
La civiltà più progredita, la villanoviana[19], comparve alla
fine del II millennio a.C.; dalla zona di Bologna si spinse verso sud fino al
Piceno, costruendo villaggi di capanne.
Dal XIV secolo si era diffusa una
popolazione di pastori semi nomadi, lungo la dorsale dell’Appennino centrale,
da cui il nome di civiltà appenninica.
III
MODULO
La
grande migrazione del tredicesimo secolo: l’età del ferro - Il ferro fu il grande protagonista di
questi anni. Esso fornì alle popolazioni del nord, la seconda ondata di genti indoeuropee, l’incontenibile strumento
che sbaragliò le difese della più progredita civiltà mediterranea, che tuttavia
già da alcuni decenni attraversava, in zone come la Grecia, una fase di
declino.
Così, se l’epoca precedente,
coincidente cronologicamente con la civiltà micenea e con quella ittita, è
definita Età del Bronzo, il successivo
periodo è denominato invece Età del Ferro,
ed inizia con le invasioni e le devastazioni indoeuropee del XIII secolo, cioè
con il generale declino della precedente civiltà.
Alla base di tutto vi fu forse il
movimento degli Illiri, popolazioni
situate a nord della Grecia le quali, partendo dalle loro sedi originarie e
mettendo in moto altre popolazioni, determinarono una sorta di effetto domino. Gli effetti di tali
spostamenti si avvertirono così un po’ in tutta l’area egea e in quella vicino
orientale, dalla Grecia all’Anatolia alla Mesopotamia.
In Grecia tali popoli coinvolsero
nella propria discesa anche le popolazioni doriche e quelle nord occidentali,
con fortissime ripercussioni sugli equilibri delle zone più interne e
storicamente più interessanti, quella
cioè che dall’Etolia giungono fino al Peloponneso.
In Anatolia, si pensa che furono
soprattutto i Traci, spinti in avanti
dall’invasione illirica, a invaderla.
In Oriente invece furono gli Assiri (un’etnia estremamente aggressiva
situata nelle regioni a nord della Mesopotamia, e le cui innovative tecniche
belliche colsero di sorpresa i popoli asiatici) ad approfittare della
situazione di destabilizzazione politica dovuta alle invasioni per sottomettere
le zone circostanti: dalla Babilonia, nel X secolo, fino all’Egitto nel VII.
Ma furono soprattutto i Popoli del mare, probabilmente un
miscuglio di varie popolazioni originarie di diverse aree rivierasche del
Mediterraneo alla ricerca di terre su cui insediarsi e la cui corsa fu infine
fermata dall’esercito egiziano a guidare le scorribande migratorie nell’area
asiatica.
I Popoli
del mare attaccarono e distrussero il regno ittita all’inizio del XII
secolo. Dopo avere razziato i principali centri delle coste orientali, si
diressero contro l’Egitto, dove furono respinti dal faraone Ramses III, che celebrò la sua vittoria
in un famoso rilievo del tempio di
Medinet Habu. Secondo alcuni studiosi, il movimento dei Popoli del mare fu originato da
movimenti più ampi di popolazioni partite dal continente europeo.
Le conseguenze principali che tali
eventi ebbero sulla precedente compagine degli stati furono:
·
la
scomparsa o profonda trasformazione dei
regni Micenei, assieme a quella quasi totale dell’Impero ittita;
·
l’instaurarsi di un dominio assiro sulla
più antica civiltà babilonese, nonché successivamente sulle zone limitrofe e su
quelle a sud;
·
la
chiusura politica dell’Egitto (un
paese da sempre caratterizzato da marcate tendenze isolazioniste, dalle quali
però nei secoli precedenti, costretto anche dalla generale apertura tra gli
stati asiatici, si era fortemente emancipato).
Complessivamente si può parlare di un forte ridimensionamento delle comunicazioni
e dei traffici, quindi anche delle contaminazioni culturali, tra le regioni
che avevano composto la precedente unità mediterranea, un’interruzione che in
tutto il mondo mediterraneo, durò per alcuni secoli.
È molto probabile che gli Etruschi
fossero in origine delle popolazioni anatoliche che, in fuga dalle proprie sedi
verso le regioni occidentali, raggiunsero le regioni italiche.
Le conseguenze di tali invasioni su
società ancora primitive, le cui basi
non erano certamente solide, poiché fondate su tecniche produttive e su
strutture politiche ancora estremamente fragili, furono devastanti. Da una
parte vi furono le molteplici e inevitabili devastazioni legate alle guerre,
dall’altra vi fu la sostituzione delle vecchie classi dirigenti con le nuove, più barbare e più primitive.
A ciò si aggiunga il forte arretramento nelle tecniche produttive,
il collasso dello stato e della quantità
dei traffici, ed infine il calo
demografico.
Si interruppe insomma quel clima di
serena comunione tra popoli legati al Mediterraneo orientale, che aveva
caratterizzato l’epoca precedente, sia nell’area egea sia in quella medio orientale.
E un tale cambiamento di rotta determinò un impoverimento materiale e culturale
delle zone in questione.
Soltanto i Fenici costituirono
un’eccezione a questo clima di chiusura. Essi infatti continuarono a portare
avanti gli scambi commerciali: un’attività nella quale per un lungo periodo
detennero un primato pressoché assoluto.
Non fu un caso poi se essi tesero a
sviluppare i loro traffici prevalentemente verso l’occidente, cioè verso
l’Africa e la Spagna, in quanto zone ricche di metalli e non toccate da tali
eventi traumatici.
I
Fenici e la potenza di Tiro – La
potenza di Tiro ebbe inizio con la
fine della potenza di Sidone e copre il periodo che va dal 1100 all’800.
Per evitare parzialmente la rivalità
dei Popoli del mare nel Mediterraneo
Orientale, Tiro fondò molte colonie nel Mediterraneo Occidentale a Malta, nelle
Baleari, in Sicilia (Panormo, Drepano, Lilibeo), nella Sardegna (Caralis), in
Corsica, in Africa settentrionale (Cartagine, Utica) e nella Penisola Iberica
(Malaga, Cartega, Cades ecc.). Varcato lo stretto di Gibilterra raggiunsero le
coste dell’Inghilterra, da cui traevano lo stagno necessario per la
fabbricazione del bronzo, fino al Mare del Nord e del Mar Baltico da cui
traevano l’ambra. I marinai di Tiro costeggiarono l’Africa fino al Capo Verde.
La potenza di Tiro fu abbattuta dagli Assiri, dai Babilonesi e infine di
Persiani, ma occorre notare che anche sotto il dominio persiano i Fenici
dominavano i commerci nel Mediterraneo orientale, mentre il mediterraneo
occidentale era dominato da Cartagine.
Il predominio commerciale fenicio nel
Mediterraneo Orientale fu definitivamente abbattuto solo in seguito alla
fondazione di Alessandria sulla costa egiziana.
Gli
Ebrei nell’età dei Giudici e dei Re (1230-922) – Verso il 1200 a.C. la Palestina fu
occupata lungo il litorale dai Filistei,
uno dei Popoli del mare, esperti
navigatori e guerrieri, che precedentemente avevano servito come mercenari i
faraoni egiziani e i re ittiti. Dai Filistei deriva alla terra di Canaan il
nome Palestina.
Dovendo lottare duramente contro i
popoli confinanti, gli Ebrei avevano bisogno di una maggiore unità: quindi nei
momenti di maggiore pericolo sceglievano dei capi militari e politici detti Giudici, i quali riportarono diverse
vittorie contro i nemici, senza mai riuscire a batterli definitivamente.
La minaccia dei popoli confinanti si
faceva sempre più pericolosa e pressante: fu quindi necessario costituirsi in
monarchia.
La monarchia acquistò fin dall’inizio
carattere sacro perché Samuele,
ultimo dei giudici e sommo sacerdote, consacrò Saul (1020-1000), secondo la tradizione su indicazione divina.
Saul sconfisse i Filistei e altri
popoli nemici in diverse battaglie, ma, sconfitto dai Filistei presso il monte
Gelboè, si uccise sul campo di battaglia.
Successore di Saul fu suo genero Davide. Davide fu il più grande tra i re
d’Israele. Si fece notare per il suo valore quando, semplice pastorello,
sconfisse ed uccise il gigante Golia, campione dei Filistei, armato
solo di una fionda. Davide sconfisse definitivamente i Filistei e gli altri
nemici d’Israele ed estendendo i confini del regno fino alla Siria a nord,
l’Eufrate a est e il mar Rosso a sud. Conquistò Gerusalemme e ne fece la
capitale del regno, nonché centro politico e religioso del suo popolo. Approfittando
del suo immenso prestigio, limitò molto l’autonomia delle tribù, accentrando i
poteri nelle mani del re. Davide fu grande poeta e musicista; di lui rimangono
nella Bibbia molti inni religiosi, i Salmi,
cantati dai sacerdoti e dai popoli in onore di Dio.
Grande e famoso fu anche Salomone (961 – 922), figlio di Davide,
il quale diede al suo popolo prosperità e splendide opere edilizie. Salomone
protesse gli artisti, si fece costruire una magnifica reggia nella quale furono
impiegati anche artigiani fenici, strinse relazioni politiche e commerciali con
gli Egiziani e con la favolosa regina di Saba che si mosse dal suo regno
lontano per conoscere Salomone e la sua sapienza. Salomone, divenuto
leggendario per la sua sapienza, scrisse anche tre libri sacri: I Proverbi, l’Ecclesiaste, il Cantico dei
Cantici. I forti tributi imposti per la costruzione di edifici pubblici e
per il lusso della corte provocarono un gran malcontento tra la gente.
Roboamo, figlio di Salomone fece le spese di
questi malcontenti: in seguito a una grande insurrezione ben dieci tribù si
staccarono dal regno, scegliendo come capo Geroboamo,
un uomo forte e valoroso al servizio del re Salomone, contro cui si ribellò e
si rifugiò in Egitto.
Alla morte di Salomone, Geroboamo tornò in Israele, e, siccome Roboamo non alleggerì il peso del
popolo, dieci tribù si separarono e fecero Geroboamo re (930-909 a.C.). Si
verificò dunque una secessione da cui si formarono due regni:
·
a
Nord il regno d’Israele (922-586),
formato dalle dieci tribù secessioniste, con capitale Samaria;
·
a
sud il regno di Giuda (922 al 586),
formato dalle tribù di Giuda e di Beniamino, rimaste fedeli alla stirpe di
Davide, con capitale Gerusalemme.
L’invasione dorica della Grecia - La distruzione
di Troia, avvenuta secondo la tradizione nel 1184 a.C., segnò il culmine
della potenza micenea; subito dopo, infatti, Micene, Tirinto e Pilo furono
espugnate e devastate probabilmente dai Dori che, muovendosi dall’Epiro e dalle
regioni balcaniche del Nord, si spinsero verso il Peloponneso e, vinti gli
Achei grazie ad un più efficace armamento in ferro, si insediarono nella parte
sudorientale della penisola e diedero inizio all’età del Ferro.
I Dori occuparono tutto il
Peloponneso, eccetto l’Arcadia, rimasta immune dall’invasione, come del resto
anche l’Attica, e successivamente le Cicladi, Creta, Rodi e la costa
sudoccidentale dell’Asia Minore.
I rapporti fra i nuovi invasori e le
popolazioni indoeuropee già stanziatesi in Grecia (ioni, eoli e achei) non furono sempre facili: molti
achei trovarono rifugio nel Peloponneso settentrionale, nella regione chiamata
da allora in poi Acaia; altri
(soprattutto gli abitanti della Laconia e della Tessaglia) tentarono di opporre
resistenza e, dopo essere stati soggiogati, furono fatti schiavi. Tra le
popolazioni che dal Peloponneso si
trasferirono in Attica e nell’isola di Eubea, alcune migrarono insieme agli
eoli verso le coste dell’Asia Minore, che fu colonizzata nei secoli successivi
al 1200 a.C. però soprattutto verso Oriente che si diresse l’espansione
micenea. Sulle coste dell’Asia Minore, furono stabiliti insediamenti di una
certa rilevanza, che con il tempo si svilupparono: fu questa la cosiddetta prima colonizzazione.
Il medioevo ellenico - L’invasione dorica segnò comunque
l’inizio di una nuova fase, non molto conosciuta, chiamata tradizionalmente Medioevo
Ellenico (XII-VIII secolo a.C.), in cui la Grecia non subì ulteriori
invasioni esterne.
Questo fu un periodo di crisi
economica, caratterizzato da un certo regresso culturale e materiale:
scomparvero infatti la scrittura e l’architettura monumentale che avevano
caratterizzato la civiltà micenea e l’economia si ridusse esclusivamente alla
pastorizia e all’agricoltura. Si determinarono inoltre cambiamenti politico-istituzionali: al wánax miceneo si
sostituì il basiléus che non era propriamente un re, ma un capo
militare, di origine nobile, cui erano attribuiti anche compiti religiosi e
civili. Nell’esercizio del potere, che tese a divenire ereditario, questi era
affiancato da un consiglio di anziani, capi dei gruppi gentilizi, i ghéne,
che costituiranno l’aristocrazia nella futura società greca e che erano i
proprietari delle terre lavorate dai ceti più bassi della popolazione.
Il Medioevo Ellenico non fu però solo
un periodo di crisi, poiché furono introdotte dai Dori alcune significative
novità che caratterizzeranno lo sviluppo delle età successive. Comparvero
infatti i primi edifici religiosi, i templi,
dedicati esclusivamente al culto, nella ceramica si affermò lo stile geometrico, si sviluppò la
lavorazione del ferro e, soprattutto, si andò embrionalmente, costituendo una
nuova struttura politico-sociale, la polis (stato–città)[20].
IV MODULO
L’età arcaica (VIII-VI secolo a.C.)
La
Mesopotamia – Il
grande impero assiro costruito da Tiglat-Pileser
I iniziò a sgretolarsi a causa di:
·
sovrani
deboli ed incapaci,
·
logoranti
guerre con la vicina Armenia
·
continue
invasioni da parte dei nomadi aramaici.
Gli Assiri affrontarono un periodo di
declino, che durò quasi due secoli fino al periodo neoassiro: dal IX secolo a.C., con Assurnasirpal II
(883-859 a.C.), ci fu una decisa affermazione politica e militare sui popoli
vicini e con Assurbanipal (668-629 a.C.) l’impero assiro conobbe il suo
culmine, annettendo il regno di Babilonia, Israele, la Fenicia la Siria e
l’Egitto.
Alla morte di Assurbanipal,
l’impero fu preda della potenza meda che, coalizzata con i Babilonesi, pochi
anni dopo, conquistò Assur nel 614 e Ninive nel 612.
Alla caduta di Ninive nel 612, il
generale caldeo Nabopolassar creò
l’impero neobabilonese, Babilonia si liberò dal giogo assiro e divenne la
capitale del nascente Impero
neobabilonese (612-539).
Il re più importante di questo periodo
fu Nabucodonosor II (604-562) che
giunse fino al Mediterraneo, portando l’Impero babilonese al più alto grado di
potenza e di grandezza. Nabucodonosor distrusse il regno ebraico di Giuda,
deportando gli Ebrei a Babilonia. Volle anche la ricostruzione e l’abbellimento
di Babilonia che divenne la città più splendida d’oriente.
Dopo
Nabucodonosor incomincia la decadenza dell’Impero babilonese a causa di lotte
dinastiche e della minacciosa vicinanza dei Persiani. Nel 539 Ciro, re dei
Persiani, dopo aver sottomesso la Media e la Lidia, espugnò Babilonia e depose
l’ultimo re Nabonide, abbattendo per
sempre l’Impero babilonese.
I
Medi – I Medi furono tributari degli Assiri dal IX al VII
secolo. Ogni anno dovevano consegnare loro i migliori cavalli che possedevano.
In seguito fondarono un Impero con capitale Ecbatana.
Solo nel 612 a.C. riuscirono ad avere ragione dei loro oppressori. Il re Ciassare (633-584 a.C.), con l'aiuto dei
Babilonesi, dopo un lungo assedio durato 3 anni, riuscì a conquistare Ninive.
L'Impero dei Medi raggiunse la sua massima espansione comprendendo Assiria,
Mesopotamia settentrionale e Cappadocia. Ciassare stipulò anche un trattato di
amicizia con la Lidia e assoggettò i Persiani.
Il figlio Astiage (585-550 a.C.) non riuscì a conservare
ciò che il padre aveva costruito. Il disaccordo con i suoi stessi sudditi portò
a una crisi interna di cui seppe approfittare il persiano Ciro che con l'aiuto di alcuni ufficiali sconfisse Astiage in
battaglia e si proclamò re dei Medi
e dei Persiani.
I Persiani – La Persia, regione storica del Medio
Oriente, corrisponde all'odierna repubblica dell'Iran.
L'ascesa
del popolo persiano fu guidata da Ciro
il Grande (590-529),
della dinastia degli Achemenidi. Succeduto al padre Cambise, sconfisse i Medi
(553-550), conquistò quindi la Lidia (546 a.C.) facendone prigioniero il re
Creso, le città greche dell'Asia Minore e Babilonia nel 539. Tra il 546 e il
540 sottomise le province a oriente della Persia sino al fiume Iassarte. Morì
nel 529 a.C. combattendo contro gli Sciti Massàgeti. Nella Bibbia è ricordato
per aver liberato gli Ebrei prigionieri a Babilonia e aver consentito loro di
tornare in patria. Fu famoso per la sua tolleranza religiosa, la clemenza verso
i vinti, la sollecitudine per i sudditi. La sua figura di sovrano ideale fu
tratteggiata da Senofonte nella Ciropedia.
Il
figlio Cambise assoggettò l'Egitto nel 525 riducendolo a provincia
dell'Impero. Il successore Dario I si scontrò con gli Sciti e i
Greci; occupò la Tracia e la Macedonia. Fu duramente sconfitto dai Greci nella
battaglia di Maratona nel 490.
Nei
secoli V e IV la Persia si inserì stabilmente nelle dinamiche politiche e
diplomatiche degli Stati greci, tentando di instaurare invano una egemonia sul
mondo ellenico.
Sull'Impero
persiano governava il Re dei re. Egli
aveva un potere assoluto di istituzione divina. Ogni suddito, compresi i più
alti funzionari, gli doveva obbedienza assoluta.
L'Impero
era diviso in satrapie,
distretti territoriali retti da governatori di nomina regia, i satrapi. L'esercito era molto potente ed
efficiente: alle truppe di guarnigione
di ogni città si affiancavano i diecimila
immortali, così chiamati perché
appena uno di essi veniva a mancare era prontamente sostituito così che il loro
numero restava invariato.
La
religione persiana fu istituita dal profeta Zarathustra nel VI secolo tuttora praticata da
circa 100.000 fedeli, la maggior parte dei quali in Indio (Parsi). Responsabile
del culto è la casta sacerdotale dei magi. Dio, Ahura Mazda, è considerato nel suo
aspetto personale come Dio della luce, in continua lotta con Arimane il dio delle
tenebre e del male. L'uomo è considerato libero di scegliere fra il bene o il
male. Gli imperatori persiani erano vicari in terra di Ahura Mazda, incaricati
della missione di far trionfare il bene mediante un Impero universale.
La
decadenza dell’Egitto - Dopo
il regno di Ramses III era cominciato un lungo periodo di decadenza, durante il
quale l’Egitto si divise più volte in diversi regni.
Seguirono secoli di vera e propria
decadenza:
·
nel
670 il re assiro Assaraddon invase il
paese e conquistò Menfi.
·
nel
666 il re assiro Assurbanipal, dopo
che gli Egiziani avevano riconquistato Menfi, riprese la guerra, si spinse fino
a Tebe e la saccheggiò.
Ma anche questa conquista assira durò
poco: Psammetico, aveva ereditato dal padre Neco il principato di Sais sul
delta del Nilo, ma ottenne dal Re d’Assiria il comando su tutto l’Egitto dopo
che gli Assiri avevano fiaccato la potenza egiziana e nel 667 avevano occupato
la capitale Tebe.
Psammetico, pur continuando ad essere
alleato fedele dell’Assiria, verso il 650 prese il titolo di Faraone e si
considerò vero sovrano. Psammetico I continuò a tenere la sua reggia a Sais,
sicché inizia il periodo di storia dell’Egitto detto appunto saitico dal nome
della capitale Sais.
Il periodo saitico fu caratterizzato
da un’intensa attività economica: i commerci furono sorretti con la costruzione
di una buona flotta ed il paese, sempre chiuso all’influenza straniera, si aprì
ai forestieri, che largamente vi affluirono come soldati mercenari e
funzionari. Il Faraone condusse anche guerre contro gli Etiopi che tentavano di
spingere i loro confini verso settentrione, ma poco sappiamo di queste imprese.
Questa floridezza ebbe però una durata
relativamente breve (663-525): Cambise infatti minacciava ai confini lo stesso
Faraone Psammetico III fu catturato e tenuto prigioniero per qualche mese a
Menfi, quindi fu costretto ad avvelenarsi. L’Egitto assoggettato fu ridotto a
provincia dell’impero persiano[21].
I
due regni di Israele -
Il regno d’Israele, maledetto dai profeti, ebbe una storia caratterizzata da
molte discordie interne: non ci fu mai una dinastia che riuscisse ad affermarsi
a lungo, ma solo per poche generazioni, poi con un colpo di stato o per altre
vicende il potere passava ad una casa diversa. Il regno di Israele terminò
sotto il re Sargon II nel 722 che conquistò la Samaria contro il re Osea e
deportò gran parte del popolo in Assiria.
Dopo la fine del regno d’Israele gli
unici Ebrei superstiti furono quelli del regno di Giuda.
Il Regno di Giuda durò un secolo in
più (586), cadde sotto la conquista babilonese del re Nabucodonosor e gran
parte della popolazione fu deportata in Babilonia (cattività Babilonese). Durante
i combattimenti tra Babilonesi ed Ebrei, Gerusalemme fu distrutta. La cattività
babilonese durò cinquanta anni, fino a quando Ciro, re di Persia, conquistò la
Babilonia e permise agli Ebrei con un editto di ritornare in Palestina.
Gli Ebrei ricostruirono Gerusalemme e
il tempio, ma passarono prima sotto il dominio della Macedonia, dell’Egitto,
della Siria e infine dell’impero romano.
La
Grecia arcaica -
Quando finirono i movimenti migratori nella regione dell’Egeo, la Grecia
continentale, le isole e le coste dell’Asia Minore erano occupate da
popolazioni che, sebbene divise in unità territoriali politicamente
indipendenti, riconoscevano di avere una comune identità culturale, basata
sulla lingua, sulla religione e sulle comuni tradizioni; esse adottarono anche
la denominazione di Elleni.
L’età arcaica, sebbene caratterizzata
dall’assenza di invasioni dall’esterno e di conflitti con i popoli confinanti,
fu tuttavia un periodo travagliato da forti tensioni sociali: i fenomeni più
importanti furono
·
la
nascita delle póleis (stato - città),
·
il
passaggio dalla monarchia ai regimi aristocratici,
·
l’insorgere
di tirannidi[22] o di
regimi democratici
·
la
colonizzazione.
La nascita della pólis
greca – Le poleis
si formarono nel corso dell’VIII secolo, come effetto del progressivo
allentarsi dei legami aristocratici che nell’epoca precedente avevano avuto il
sopravvento su quelli politici. Alcune poleis si svilupparono da antiche
città micenee, altre invece furono fondate ex novo o in zone fertili o vicine
al mare, che avessero però anche facilità di comunicazione con l’interno;
tuttavia, indipendentemente dalla loro origine, gli stati-città
caratterizzarono la storia greca per quattro secoli e furono al tempo stesso
centro politico, economico e militare.
Ogni polis era organizzata
autonomamente, secondo le proprie leggi e le proprie tradizioni.
Le poleis erano piccole comunità
autarchiche[23], rette da governi
autonomi; una sorta di piccoli staterelli indipendenti l'uno dall'altro. Il
carattere autonomo della città greca deriverebbe dalla conformazione geografica
del territorio greco, che impediva facili scambi tra le varie realtà urbane
poiché prevalentemente montuoso. Spesso, le varie poleis erano in lotta tra loro per l'egemonia del territorio greco.
Ciascuna pólis era costituita:
·
dal
centro urbano, cinto da mura, e dall'acropoli,
cioè la città alta, la parte più fortificata dell’abitato, dove i
cittadini potevano rifugiarsi in caso di pericolo e dove vi era il tempio della
divinità protettrice della città centro della vita politica e culturale della
città stato;
·
dall'agorá
dove si tenevano il mercato e le assemblee del popolo e dove ci si dedicava
di solito ad attività commerciali, dalle abitazioni e dalle botteghe degli
artigiani;
·
dal
territorio circostante, la cosiddetta
chora (χώρα) la parte fuori delle
mura, era il luogo dove i contadini coltivavano i campi e si dedicavano
all'agricoltura o al pascolo.
Le strade principali, che univano
l'agorà, i santuari, le porte della città, avevano un aspetto monumentale ed
erano lastricate con grande cura. Per il resto, la rete stradale era fatta di
stradine piccole, che consentivano a stento il transito dei pedoni e degli
animali da soma. Questo perché le attività economiche e quelle residenziali
erano concentrate in aree specifiche. Questo assetto urbanistico riduceva il
traffico dei quartieri residenziali.
Oltre all'unità territoriale le poleis
erano caratterizzate da un'unità sociale ed una strettamente politica: si
trattava, infatti, di un gruppo di cittadini che si dotava di leggi che si
impegnava a rispettare. I cittadini, dunque, non erano più sudditi come nelle
società antecedenti, ma esercitavano il proprio potere eleggendo i
rappresentanti (magistrature).
Le póleis avevano una
dimensione limitata, ma erano politicamente indipendenti e autonome: ciascuna,
infatti, aveva culti, leggi e feste sue. Proprio la limitata estensione del
territorio che spesso non forniva sufficienti risorse agli abitanti spinse le
città a cercare di espandersi a discapito dei centri vicini, che talora persero
la loro autonomia a vantaggio della città più forte attraverso il meccanismo
del sinecismo[24].
Frequenti erano però le anfizionìe o leghe sacre, alleanze di
più póleis, solitamente limitrofe, che si riunivano intorno ad un santuario
molto venerato: i membri di ciascuna Anfizionia erano tenuti a cooperare
nell'amministrazione e nella difesa del santuario, e ad inviare periodicamente
ciascuno due delegati in occasione del sinedrio
anfizionico, l'organo collegiale preposto al controllo della
confederazione. In un primo momento le anfizionìe si occupavano solo di
finanziare il santuario e di organizzare le feste religiose, in seguito
cominciarono a risolvere le questioni sorte fra le póleis e,
trasformandosi in federazioni di contenuto sempre più politico, potevano
decidere anche una guerra sacra contro qualche città della lega che non
rispettava i patti. Leghe Anfizioniche erano quelle che sorgevano intorno ai
santuari di Zeus a Dodona e Olimpia, o al santuario di Poseidone a capo Micale,
in Ionia. L'Anfizionia più importante fu, però indubbiamente quella
Delfico-Pilaica, che associava i culti di Apollo, a Delfi, e di Demetra, alle
Termopili. L’anfizionìa più importante fu quella che aveva sede a Delfi.
Sebbene le poleis greche
avessero ciascuna una propria autonomia ed una vasta gamma di forme politiche (oligarchia[25], timocrazia[26], democrazia[27], tirannide), esse furono comunque
caratterizzate da un comune sviluppo politico e solo Sparta costituì
un’anomalia rispetto alla situazione generale, bisogna anche ricordare che essa
non ebbe mai eguali né nel mondo antico né in quello moderno. Alle originarie
monarchie che dominavano le poleis nella fase del loro consolidamento,
tra l’800 e il 650, si sostituirono governi aristocratici formati da
oligarchie, che detenevano, oltre al controllo delle terre, anche quello
politico.
La maggior parte della popolazione,
composta da piccoli proprietari terrieri, artigiani, contadini, mercanti, aveva
scarso peso politico; importanti erano invece le aggregazioni tribali che
talora prendevano forma più ampia, assumendo così il nome di fratrie[28].
La colonizzazione greca - Un altro fenomeno di importanza
rilevante fu la seconda colonizzazione, che interessò vaste zone del
Mediterraneo dall’VIII al VI secolo a.C. e alla cui origine vi furono fattori
determinanti:
·
la
caduta dell'Impero assiro, nel VII secolo, e la rinascita dell'antica Babilonia
facilitarono gli scambi commerciali e quelli culturali, favorendo una ripresa
generale dell'area medio-orientale.
·
il
bisogno di terre coltivabili (scaturito dall’incremento demografico),
·
la
connaturata povertà del suolo greco e l’affermarsi del latifondo a discapito
della piccola proprietà,
·
il
desiderio di esportare le merci in sovrabbondanza e la ricerca di materie
prime.
Ma anche le lotte all’interno delle
città tra le opposte fazioni per la conquista del potere facevano sì che gli
esponenti delle fazioni sconfitte o scegliessero o fossero costretti ad andare
in esilio.
Questa seconda espansione coloniale si
diresse sia verso Occidente (Magna Grecia, Sicilia, Francia) sia verso Oriente
(penisola calcidica e costa della Tracia). I coloni greci non incontrarono
resistenza nelle zone in cui si insediarono e la convivenza con gli indigeni fu
solitamente pacifica.
La città fondata, pur mantenendo un
legame particolare con la metropolis (madrepatria,
città colonizzatrice) conservandone il dialetto, i costumi e le tradizioni, era
politicamente indipendente.
La colonizzazione fu importante sia
perché diffuse la cultura greca nel Mediterraneo sia perché accelerò lo
sviluppo economico e politico della Grecia.
L’espansione del mondo greco provocò
l’afflusso di molte ricchezze che contribuirono alla nascita di una classe
media economicamente indipendente, ben presto in lotta con gli aristocratici.
L’economia greca divenne mercantile e manifatturiera, grazie anche alla
diffusione della moneta, introdotta per la prima volta dagli Ioni dell’Asia
Minore nel VII secolo. I Greci investivano il denaro per creare nuova
ricchezza. I centri più produttivi erano situati nelle colonie dell’Asia
Minore, le città si ampliarono e si sviluppò l’arte nautica.
Le
classi sociali emergenti tolsero ben presto però il monopolio della difesa
militare della polis agli
aristocratici, introducendo l’arruolamento dei cittadini: il nuovo esercito, la
falange, poggiava sulla fanteria e sulla sua forza d’urto, anziché sul vecchio
duello cavalleresco. Era ormai inevitabile che il ceto emerso da questi
cambiamenti ambisse a ricoprire ruoli più importanti nella gestione della polis.
L’esistenza
di una borghesia ricca accanto all’aristocrazia non aveva eliminato il problema
di una classe di poveri sfruttati, ma anzi, sfruttando proprio questo
malcontento, la borghesia si alleò con il popolo per insidiare i privilegi
della nobiltà. Il valore su cui si basava il nuovo ceto sociale era il denaro
(censo) e proprio su questo esso voleva fondare un’organizzazione comunitaria
(timocrazia).
Il
primo passo in questa direzione fu costituito da un’intensa attività
legislativa, che non riuscì però ad eliminare le profonde disuguaglianze
sociali. Ben presto la crisi fra latifondisti e piccoli proprietari da una
parte e borghesia e popolo dall’altra riesplose, rendendo necessario
l’intervento di principi assoluti (tiranni).
Certo è che questa fase storica
contribuì a rafforzare le istituzioni statali, tanto che rappresentò il ponte
verso la successiva fase democratica di molte poleis.
Il
passaggio dalla monarchia ai regimi aristocratici – Dall'VIII secolo la crisi della
monarchia condusse alla formazione della polis aristocratica, dominata da
proprietari terrieri, in costante competizione per la supremazia.
In età arcaica le esigenze delle
poleis aumentarono considerevolmente. L’economia aveva sperimentato una
crescita grazie alla colonizzazione ed all’apertura della Grecia verso il
Mediterraneo da cui le condizioni di vita avevano ricevuto un netto
miglioramento. L’agricoltura è sempre più spesso affiancata da fiorenti
attività commerciali ed artigianali, che permettevano di arricchirsi e
guadagnare.
Questo ampliamento di interessi e di
orizzonti definisce l’aumentare dei bisogni e delle necessità amministrative di
uno stato, cui il re non può più far fronte: avviene una progressiva presa di
potere del consiglio degli anziani rispetto all’autorità del re. Se
precedentemente il re aveva avuto in mano il consiglio e l’assemblea popolare
ed aveva esercitato il proprio potere su entrambi, adesso la sua figura è
talmente sminuita da essere condannata all’estinzione.
Ciò avvenne perché il re non possedeva
molti più beni degli aristocratici e ciò contribuiva ad aumentare l’importanza
del consiglio rispetto all’autorità del monarca, contro la quale egli non
poteva far pesare neppure il suo predomino economico. Inoltre, mancarono quelle
situazioni da cui un re poteva ricavare un potere fuori del comune, come le
guerre ed i pericoli esterni.
L’età arcaica fu un periodo
relativamente pacifico, in cui nelle singole comunità si sviluppò un grande
senso della libertà, soprattutto nelle coscienze dei grandi proprietari
terrieri. Giocarono molto anche le migliorate condizioni economiche generali:
adesso molti più cittadini erano in condizione di collaborare alla vita della
comunità. I membri del consiglio, i magistrati,
affiancarono in misura sempre maggiore, fino a sostituire, il re.
In questo periodo si verifica una rivoluzione del vecchio modo di
combattere affidandosi principalmente alla cavalleria ed ai carri da guerra.
Queste erano attrezzature che solo i nobili potevano permettersi, ed era quindi
inevitabile che il loro ruolo di primo piano fra le fila dell’esercito si riflettesse
anche all’interno della vita politica degli stati. Il più diffuso benessere
dell’età arcaica, permise a molta più gente di procurarsi l’equipaggiamento da
fante. Da qui nasce la classica figura dell’oplita ellenico, inquadrato nella
formazione a falange[29].
Queste nuove situazioni convergevano
tutte a vantaggio delle masse popolari che continuavano a crescere per
importanza e per condizioni economiche. Si inaugurò un periodo di vaste
riforme, nel tentativo di adattare la politica degli Stati alla nuova
situazione sociale.
Nacquero nuovi modelli organizzativi,
in cui la figura del re era definitivamente sostituita da alcuni uomini
aristocratici che ricoprivano delle cariche annuali e che erano eletti dal
popolo. Questo evento risultò di capitale importanza nel percorso che portò
alla democrazia, non solo perché la figura del monarca ereditario era stata
portata all’estinzione, ma anche perché la creazione della magistratura annuale
comportò un notevole allargamento della classe dirigente: nelle comunità che si
sono appena liberate dal regime monarchico, ci si vuole premunire affinché non
si verifichino più le condizioni per un eventuale ritorno delle precedenti
condizioni. Così si decide di evitare le rielezioni dei vari arconti per più
anni consecutivi, così come che i membri di una sola famiglia si guadagnino
tutte le posizioni di potere.
L’insorgere
di tirannidi o di regimi democratici - Tra
il VII e il VI secolo si verificò una fase di forti tensioni sociali che
opposero l’aristocrazia fondiaria al popolo, il démos, che, grazie allo sviluppo delle
attività artigianali e commerciali, si arricchiva sempre di più e aspirava ad
un maggiore peso politico.
L’aristocrazia fondiaria si era
indebolita:
·
per
il carattere competitivo dell'etica aristocratica,
·
per
lo sviluppo dei commerci e della colonizzazione,
·
perché
alla cavalleria subentrò, come nerbo dell'esercito, la fanteria oplitica.
Le conseguenze socio-economiche della
colonizzazione greca furono notevoli: l'espansione e l'incremento degli scambi
commerciali e delle attività artigianali ed industriali e l'introduzione della
moneta favorirono la formazione di una nuova classe di commercianti ed
industriali, che progressivamente mise in crisi il predominio
dell'aristocrazia.
Il mutato assetto sociale ebbe delle
ripercussioni politiche, poiché il ceto medio, presa coscienza della propria
forza e della propria importanza, cominciò ad avanzare richieste per una
parificazione giuridica con l’antica aristocrazia.
Tra il VII e il VI secolo, Questi
continui contrasti sociali, aumentati dal malcontento delle classi meno
abbienti, portarono all’avvento di due nuove e diverse figure politiche: da un
lato i legislatori, con la codificazione scritta delle leggi, e dall'altro al
sorgere della tirannide.
A figure di legislatori dapprima nelle
colonie poi nella metropolis (Licurgo
a Sparta, Zaleuco a Locri, Dracone ad Atene), si affiancarono uomini ambiziosi,
(Gelone a Siracusa, Policrate a Samo), che, facendo leva sul
malcontento popolare con colpi di stato si impadronirono del potere degli
aristocratici, in moltissime città greche.
Alcune città, come Corinto, Tebe, Sparta ed Atene, salirono alla ribalta della scena
politica greca, espandendo la propria influenza sulle città vicine. Ad
eccezione di Sparta, una polis estremamente conservatrice che rimase per lungo
tempo legata alla costituzione di Licurgo e non conobbe rivolgimenti sociali e
fenomeni di emigrazione, le altre poleis greche sperimentarono il governo dei
tiranni.
A Corinto la famiglia dei Bacchiadi, che governava la città, fu
rovesciata da Cipselo nel 657 circa,
il quale assunse il titolo di tiranno trasmettendolo al figlio Periandro.
Ad Atene Pisistrato stabilì un governo tirannico che resse la città con fasi
alterne per circa trent'anni (561-528 circa), trasmettendo il potere al figlio Ippia.
L'elemento che accomuna tutti i
tiranni di prima generazione consiste nella loro appartenenza all'esercito e
mostra l'importanza dell'apparato militare nella crisi dell'aristocrazia e
nell'ascesa dei tiranni.
Alla fine del VI secolo, dopo il
rovesciamento della tirannide di Ippia nel 510, Clistene realizzò una profonda riforma della costituzione ateniese
che segnò la nascita della democrazia ad Atene e nel mondo nel 507.
L’età dei tiranni fu un momento di
grande sviluppo culturale: anche se il potere fu conquistato illegalmente, i
tiranni Periandro di Corinto, Gelone di Siracusa o Policrate di Samo furono
buoni governanti, che garantirono il rispetto di certe regole e in cui molti
poveri poterono migliorare la loro situazione economica: i tiranni, infatti,
erano nemici dell’aristocrazia e, in molti casi, alleati del popolo, pur
perseguendo un interesse privato.
La fioritura della cultura greca – Dagli inizi dell'VIII secolo, la
ripresa economica e la reintroduzione della scrittura mediante l'alfabeto
fenicio favorirono l'inizio della grande stagione culturale greca.
Al rafforzamento economico e politico
si affiancò una notevole fioritura della cultura greca, anche grazie alla
reintroduzione della scrittura agli inizi dell’VIII secolo: si fissarono per
iscritto i poemi di Omero; nella Ionia[30]
nacque il pensiero filosofico[31].
Nel contesto della cultura greca il
significato del termine filosofia
oscilla tra due poli estremi:
·
da
un lato esso indica la cultura in generale e l’educazione;
·
dall’altro
indica una determinata disciplina scientifica che ha per oggetto i princìpi
primi, le strutture generali dell’essere e dio.
I fattori che hanno stimolato la
nascita della filosofia in una serie di elementi tipici della società greca di
quell’epoca sono:
·
la
posizione geografica di ponte fra Europa e Asia;
·
lo
spirito amante del bello e del sapere;
·
una
religione che non pone ostacoli allo sviluppo della riflessione, ma anzi la
favorisce;
·
una
struttura politica che garantisce un certo margine di libertà ai cittadini;
·
un
commercio in costante sviluppo e che richiedeva lo sviluppo di una riflessione
che potesse essergli utile;
·
un
primo tentativo di spiegare i fenomeni secondo una visione naturalistica
presente nei miti di Omero e di Esiodo.
Nel VI secolo la contrapposizione fra
mito e logos, dove il primo è
sostenuto dalla tradizione, mentre il secondo da operazioni logiche della
mente, costrinse il primo ai soli ambiti della religione e della poesia.
La riflessione filosofica non coinvolse
il pensiero di larghe masse di uomini, ma ebbe la sua base sociale in una
minoranza progressista appartenente alla classe dominante. Questi intellettuali
tolsero l’alone sacrale che ricopriva le cose per scoprire l’oggettività dei
fenomeni.
La nuova cultura, che i primi filosofi
creano, rispondeva ad una serie di problemi nuovi, nati nelle città ioniche del
VI secolo, problemi che difficilmente sarebbero potuti sorgere in una società
agricola, quale era quella greca precedente, dove la natura consisteva
nell’insieme dei fenomeni che non dipendono dall’uomo, e tutto si risolveva nel
culto della divinità e nel rituale.
È proprio la città che compie questa
rottura che toglie l’uomo dal contatto con la natura e lo porta ad inventare
nuovi mestieri e un modo diverso di vivere e di strutturarsi socialmente.
Il filosofo
prese il posto che nell’antica società tribale era occupato dal sacerdote, e cioè quello di depositario
del sapere.
Tra VII e VI
secolo il panorama delle produzioni letterarie d’area greca era molto
diversificato: anche
politicamente siamo alla presenza di una civiltà policentrica, si accentuano le
caratteristiche cittadine, rispetto alla fase esiodea e le letterature
riflettono la maggiore complessità anche sociale.
Gli autori di cui conosciamo l’opera,
sono spesso biografici, si indirizzano a un gruppo di amici oppure a un gruppo
allargato fino a comprendere tutta la comunità dei cittadini liberi delle poleis. Si composero elegie gambi e
monodie per piccole cerchie di persone, ma anche lirica corale per celebrazioni.
Questa poesia è molto vicino a noi,
per ciò che essi esprimono e per il modo con cui lo fanno: la loro
individualità e la loro capacità a esprimere qualcosa che noi definiamo come
passione e vivacità d’umore. Ma anche quando essi parlano di sé stessi,
enucleano sensi generali, che hanno valore per tutti e che riguardano il senso
stesso della vita, dell’esistere tra gli altri.
La lirica poteva essere, monodica (a
una sola voce) o corale. Tra questi poeti lirici si ricordano Archiloco, Mimnermo, Alcmane, Alceo, poeta spesso dell’amore, del vino, dell’esaltazione del piacere
quali esclusivi rimedi dinanzi al carattere effimero e precario della vita
umana e Saffo, considerata la più
grande poetessa dell’antichità.
Unità culturale del mondo greco - Nel popolo greco non si era formata
un’unità politica, ma solo la coscienza di appartenere ad un unico gruppo
etnico e linguistico. A differenza degli orientali, i greci hanno un carattere
particolarista che favorisce l’inventiva personale e non ama l’accentramento
del potere nelle mani di pochi.
La Grecia tuttavia riconosceva la
propria identità sul comune terreno della cultura, della lingua e della religione.
Il santuario di Delfi, con il suo
oracolo, acquisì grande importanza in tutto il territorio greco; a costituire
una coscienza religiosa comune contribuì la partecipazione ai quattro grandi
giochi panellenici, tutti a carattere religioso: i Giochi olimpici, istmici,
pitici e nemei; i primi (che si tenevano regolarmente ogni quattro anni) erano
così importanti che invalse l’uso di calcolare il trascorrere degli anni a
partire dalla prima Olimpiade, svoltasi nel 776.
Della religione, il mito costituisce
il filo conduttore; bisogna inoltre notare che manca una casta sacerdotale che
detiene il potere attraverso l’elaborazione di dogmi di fede, per questo
l’autorità del mito è affidata ai poeti. Per i greci il mito era religione,
poesia e filosofia, ovvero un modo di pensare i problemi dell’esistenza
attraverso immagini simboliche.
Comuni
sono anche i miti sorti in epoca micenea (Atridi,
Perseo, Edipo, Sette contro Tebe, Elena, Menelao) precursori dei poemi omerici,
comune è la scrittura ricevuta dai Fenici e l’alfabeto che i Greci ne hanno
derivato (designazione delle vocali con segni consonantici fenici superflui:
prima scrittura fonetica pura), comune è la religione con santuari di importanza
nazionale (Delfi, Delo, Samo, Olimpia).
Il
tipo di religione diffuso fra gli aristocratici non soddisfaceva però le
esigenze del popolo, per questo presto ci fu un’apertura agli influssi
religiosi orientali: si diffusero così le pratiche
misteriche che prospettavano la sopravvivenza dell’anima nell’aldilà e una
sua redenzione. Molto successo ebbe allora il culto di Dioniso, al quale si
opponeva la versione spirituale dell’orfismo.
Oligarchia e democrazia in Grecia:
Sparta e Atene - Tra
l’VIII e il VI secolo a.C. Sparta e Atene emersero come i centri più potenti
della Grecia, dopo aver unito in una confederazione, sotto la loro guida, le
città vicine.
Sparta, stato - città aristocratica a
carattere militare, affermò la sua supremazia con la forza. L’unificazione
dell’Attica fu invece raggiunta attraverso accordi pacifici da Atene, che
riconobbe la cittadinanza ateniese agli abitanti delle città minori.
Sparta aveva un ordinamento
costituzionale antichissimo fra l’VIII ed il VII secolo, la cui natura
strettamente oligarchica si mantenne costante nel tempo; la tradizione fa
addirittura risalire la costituzione spartana al mitico legislatore Licurgo. A capo dello stato vi erano due
re, discendenti delle nobili famiglie degli Agiadi
e degli Euripontidi, che governavano
collegialmente. Accanto a loro fungeva da organo consultivo la gherusía,
ristretto consiglio di ventotto anziani eletti dai cittadini liberi, gli
spartiati, riuniti nell’apélla
(assemblea di uguali). Importante fu anche la presenza di cinque efori, originariamente ministri del
culto che assunsero sempre più funzioni di natura politico-giudiziaria.
Ad Atene e nella sua area di influenza
la monarchia fu abolita all’inizio del VII secolo dall’aristocrazia, i cui
esponenti, gli eupatrìdi,
esercitarono il potere attraverso la carica di arconte; nove arconti, eletti dall’ecclesia, si avvicendavano
annualmente e governavano col concorso dell’areopago,
consiglio di ex arconti che fu organo custode delle leggi e tribunale per i
reati più gravi.
Nel 621 il legislatore Dracone pubblicò il primo codice scritto
di leggi, limitando la discrezionalità del potere giudiziario dei nobili.
Successivamente l’arconte Solone nel 594 riformò il codice
draconiano, dividendo il corpo civico timocraticamente, cioè in base al censo,
in quattro classi, che furono, in ordine di ricchezza:
- i pentacosiomedimni (gli unici che
potessero aspirare all’arcontato);
- i cavalieri;
- gli zeugiti;
- i teti.
All’areopago affiancò la bulè,
consiglio di quattrocento nominati per sorteggio dalle prime tre classi, e il
tribunale popolare dell’eliéa.
Durante il regno del tiranno Pisistrato (560-527 a.C.) che salì al
potere facendo leva sul malcontento del ceto medio-basso, alcuni caratteri
democratici delle istituzioni ateniesi furono ulteriormente accentuati in
chiave demagogica.
Ippia e Ipparco, suoi figli ed eredi, si rivelarono
molto più dispotici del padre e, dopo l’uccisione di Ipparco, Ippia fu cacciato
da un’insurrezione scoppiata nel 510 a.C.: la memoria collettiva di Atene
associò questa fase alla figura dei due tirannicidi, Armodio
e Aristogitone, gli uccisori di Ipparco nel 514, salutati dalle generazioni
successive come campioni della democrazia.
Ne seguì una lotta politica che vide
vincitore, contro una fazione oligarchica, il partito democratico guidato da Clistene che promulgò ad Atene una nuova
Costituzione basata su principi democratici e isonomici (cioè di uguaglianza politica), la cui entrata in vigore
nel 502 segnò l’inizio del periodo di maggior splendore della storia ateniese.
Alla base della costituzione di
Clistene c’era un complesso meccanismo di ripartizione territoriale
dell’Attica, suddivisa in tre regioni: città, costa, entroterra. Ma la vera
novità fu la mescolanza del popolo che si ottenne con l’istituzione di
dieci tribù cui venivano iscritti cittadini di vari démi di ognuna delle
tre grandi regioni che avrebbero dovuto fornire l’esercito di Atene, ciascuna
sotto la guida di uno stratega. Gli
arconti diventarono dieci e i loro poteri furono ridotti, come quelli
dell’areopago, ora unicamente tribunale per i reati di sangue; la bulè
(che si ampliò a cinquecento membri) e l’ecclesía accrebbero invece le
loro funzioni, diventando il fulcro della vita politica di Atene: la bulè come sede di proposte di
provvedimenti legislativi, l’ ecclesìa
come luogo della loro discussione ed eventuale approvazione. A garanzia
dell’istituzione democratica fu inoltre introdotto l’ostracismo un istituto politico ateniese con cui erano banditi per
dieci anni i cittadini ritenuti pericolosi per il mantenimento
dell’egualitarismo civico.
Attraverso il progressivo sviluppo
dell’agricoltura e del commercio, Atene divenne il centro più importante di
cultura artistica e del bacino del Mediterraneo.
La
migrazione indoeuropea in Italia - Prima
del 1200 gli abitanti dell’Italia centrale erano gli Umbri, uno dei
popoli più antichi della penisola italiana, di stirpe indoeuropea.
Dopo il 1200 a.C. scesero,
attraversando le Alpi, in Italia gruppi indoeuropei provenienti dall’Europa
centro-orientale. Questi gruppi spinsero le tribù che li avevano preceduti
sempre più a sud e assunsero una fisionomia ben definita solo dopo essersi
stabiliti nelle loro sedi definitive. Tra queste popolazioni indoeuropee vi
erano gli Italici, che occuparono la
parte centro-meridionale della penisola.
Alla fine della migrazione, nell’VIII
sec. a.C. gli stanziamenti sulla penisola erano definitivi, le principali
popolazioni in Italia erano così stanziate: Liguri e Veneti a
nord; Iapigi, Lucani e Bruzi a sud; Siculi e Sicani
in Sicilia; Sardani e Liguri in Sardegna; nell’Italia centrale vi
erano:
·
gli
Osco-Umbro-Sabelli: divisi nelle tribù dei Piceni, Sabini,
Marsi, Peligni, Marrucini, Sanniti;
·
i
Latini:
stanziati tra la foce del Tevere e i Colli Albani, divisi nelle tribù dei Latini
propriamente detti, dei Volsci, Equi e Ernici.
In questo periodo, mentre l’Italia
meridionale era colonizzata dai Greci, si sviluppava al centro-nord la civiltà
etrusca.
Le
colonie della Magna Grecia -
I Greci frequentarono i porti italici già in età micenea (sec XVI - XI
a.C.).
Alla prima metà del secolo VIII.
risale l’insediamento calcidese sull’isola di Ischia che aprì la prima
fase della colonizzazione greca d’Italia. I Calcidesi fondarono poi
Cuma, Napoli, Reggio, Catania e Zancle; i Corinzi fondarono Selinunte e
Siracusa, i Rodiesi Gela e Agrigento; gli Achei dell’Acaia
Sibari, Metaponto e Crotone, mentre Taranto fu l’unica colonia fondata da
immigrati spartani.
Dal VI secolo si scatenarono tra
colonie greche feroci lotte per l’egemonia e successivamente furono
oggetto delle mire egemoniche dell’Atene di Pericle.
Le tre città achee distrussero verso
l’inizio del secolo Siri, mentre fallì il tentativo di Crotone di sottometterne
l’alleata Locri. Attorno al 510 a.C. ci fu uno scontro tra Sibari e Crotone;
Sibari fu rasa al suolo.
In età arcaica la Magna Grecia
costituì una delle aree culturalmente più vivaci del mondo greco: nel tardo VI
secolo la conquista persiana dell’Asia Minore produsse un movimento
migratorio verso Occidente che vi trapiantò un gran numero di filosofi,
intellettuali e artisti (tra i quali Pitagora e Senofane di Colofone), il
fenomeno contribuì al sorgere di scuole filosofiche (ad Elea, con Parmenide e
Zenone) e mediche (a Crotone) di primissimo piano.
La Magna Grecia svolse così un ruolo
cruciale nella trasmissione della cultura greca a Roma.
Gli
Etruschi – La civiltà
etrusca fu il frutto dell'innesto di elementi stranieri (attorno ai quali non
si hanno notizie certe) sulla preesistente cultura villanoviana, nell'area
compresa tra l'Arno e il Tevere. Essenzialmente urbana, si organizzò in
città-stato (Volterra, Fiesole, Arezzo, Cortona, Perugia, Chiusi, Todi,
Orvieto, Veio, Tarquinia ecc.) che, a scopi religiosi ed economici, diedero
vita a una Lega formata da dodici
città, la dodecapoli.
Ogni città era retta da re, detti lucumoni e magistrati eletti
tra i membri della casta aristocratica. Una prima fase espansiva (VIII-VI secolo)
portò gli Etruschi a contendere a Greci e Cartaginesi il controllo delle rotte
tirreniche e adriatiche e a estendere il proprio dominio dalla pianura padana
alla Campania, fondando centri come Bologna, Mantova, Piacenza, Pesaro, Rimini,
Ravenna, arrivando fino a Roma, che la tradizione vuole governata da re
etruschi dal 616 al 509.
L'autonomia di Roma e quindi la
crescita della sua potenza si intrecciarono con la decadenza etrusca,
acceleratasi dopo la sconfitta patita a Cuma nel 474 a opera dei Greci di
Siracusa. La Campania fu persa di lì a poco per opera dei Sanniti e
contemporaneamente i Galli dilagarono nella pianura padana. A partire dalla
distruzione di Veio nel 395, entro il sec. III a.C. Roma si impossessò di tutta
l'Etruria.
La scarsità di notizie precise attorno
agli Etruschi deriva dal fatto che non hanno lasciato una letteratura, la loro
lingua (che utilizza un alfabeto assimilabile a quello greco) è stata decifrata
con l'aiuto di testi brevissimi, perlopiù iscrizioni sepolcrali.
A speciali sacerdoti (gli aruspici, la
fama dei quali rimase viva anche in età romana) era affidato il compito di
prevedere il futuro e capire la volontà degli dei scrutando le viscere degli
animali sacrificati e analizzandone il fegato.
La centralità
del culto dei morti presso gli Etruschi è attestata dalle numerose
necropoli e tombe isolate disseminate in Toscana e nel Lazio: convinti che il
defunto conservasse l'individualità congiunta alle proprie spoglie mortali,
concepirono il sepolcro come un abitazione sotterranea, arredata con letti,
tavoli, utensili e affrescata da vivaci pitture.
La società
era formata da nobili, discendenti dei primi dominatori, e servi, discendenti delle
popolazioni preesistenti all'occupazione etrusca. Vi erano schiavi adibiti ai
lavori più pesanti, ma anche schiavi semiliberi che, per i loro meriti,
potevano condurre vita migliore e anche elevarsi socialmente.
Le
origini di Roma: l’età dei re
- Tra l'VIII e il VII secolo, per motivi di
difesa dall'invasione etrusca, il villaggio del Palatino, ingranditosi e
sviluppatosi in età precedente, si fuse con quelli vicini, Esquilino, Celio,
Viminale, Quirinale, Capitolino. Da questo processo di fusione (di cui rimane
il ricordo della festa religiosa del Septimontium, a sottolineare anche
il carattere religioso dell'unione), unito all'arrivo di popolazioni sabine, si
formò la città di Roma.
Secondo la
tradizione, a Roma regnarono 7 re, fino al 509; probabilmente furono di più e
quelli ricordati sono solo i più importanti.
I primi quattro
avevano origine latino-sabina, gli ultimi tre etrusca.
Morto Romolo durante un temporale (i Romani
credettero in una sua ascesa al cielo e lo adorarono col nome di Quirino), gli
successe Numa Pompilio.
A lui vengono attribuite l'introduzione delle prime istituzioni religiose, la
riforma del calendario con l'anno di 12 mesi e 365 giorni e l'occupazione della
fortezza etrusca del Gianicolo.
A Tullo Ostilio sono legate le prime azioni militari,
la conquista di Albalonga, la vittoria dei tre fratelli romani, gli Orazi,
contro i tre fratelli albani, i Curiazi e l'espansione a danno delle
popolazioni confinanti.
Anco Marzio conquistò Ostia e
Roma ottenne l'accesso sul mare stabilendo contatti con Etruschi, Cartaginesi e
Greci.
Tarquinio Prisco fu il primo re di origine etrusca. Fece costruire il Circo Massimo, il tempio di Giove Capitolino, la Cloaca
Massima. In campo amministrativo aumentò il numero dei senatori (da 100 a
200) permettendo l'accesso alla carica anche per meriti personali e non più
solo per nobiltà di nascita.
Servio Tullio (secondo re etrusco) espanse ulteriormente il dominio verso
sud; emanò una nuova costituzione basata sul censo (i comizi centuriati) e
portò a 300 il numero dei senatori.
Tarquinio il Superbo (terzo re etrusco e ultimo re di Roma) fu un re dispotico e
crudele, sospese le costituzioni e governò arbitrariamente con ogni tipo di
sopruso. Secondo una tradizione, Tarquinio fu cacciato dai Romani e chiese
aiuto al lucumone di Chiusi, Porsenna,
che fu però sconfitto dagli eroi Orazio Coclite e Muzio Scevola. Secondo il
racconto di Tacito, invece, fu lo stesso Porsenna a cacciare l'ultimo re. Da
allora cominciò a prendere corpo l'ordinamento repubblicano. Dei sette re di
Roma, quelli su cui comunque ci sono notizie più attendibili sono gli ultimi
tre, perché è certo che la potenza etrusca influenzò anche Roma; per gli altri,
purtroppo, spesso la fantasia si sovrappone alla realtà.
L’ordinamento
monarchico a Roma - Le
principali istituzioni di governo nella Roma monarchica erano tre:
·
Il re la cui carica non
era ereditaria: il sovrano aveva anche il potere religioso (era sommo
sacerdote) militare (era comandante dell’esercito) e giudiziario (era giudice
supremo del popolo). Se il re pronunciava delle condanne a morte, però, il
cittadino poteva fare appello all’assemblea del popolo, la provocatio ad
populum, e rimettersi al suo giudizio;
·
Le funzioni di governo, compresi
i poteri legislativo e giudiziario, erano svolte con l’assistenza di due
assemblee: il senato e i comizi curiati;
·
Il senato era composto da
membri dell’aristocrazia scelti dal re e consultati per decisioni sia di
politica estera sia di politica interna; il senato doveva anche approvare o
respingere le proposte di legge del sovrano e le deliberazioni dei comizi
curiati. Alla morte del re dieci senatori sceglievano un nuovo candidato e lo
proponevano ai comizi curiati;
·
Comizi
curiati erano formati
da cittadini facenti parte delle 30 curie (ripartizioni della popolazione);
ogni curia era formata da 10 genti (o gentes, gruppi gentilizi) doveva
fornire all’esercito 100 fanti (una centuria) e 10 cavalieri oltre a un
senatore per ogni gens. Le curie potevano riunirsi in assemblea,
dichiarare la guerra, nominare il re, approvarne le proposte di legge e
ratificare le condanne a morte. La sede delle riunioni era il Foro.
Le
classi sociali a Roma -
Due erano le grandi classi sociali:
·
I
patrizi, aristocratici proprietari terrieri;
·
I
plebei, contadini, commercianti e artigiani, utilizzati anche
dall’esercito.
I patrizi avevano l’accesso alle cariche
pubbliche, mentre i plebei ne erano esclusi. Con il miglioramento delle
condizioni economiche, anche alcuni plebei diventòrono benestanti e iniziarono
una serie di lotte per ottenere la parità di diritti. Al servizio dei patrizi
vi erano i clienti che ricevevano dai loro padroni terreni da lavorare,
bestiame e protezione in cambio del servizio militare e di un aiuto nella vita
pubblica.
Gli schiavi, prigionieri di guerra o
plebei insolventi ai debiti, erano completamente nelle mani dei loro padroni, che
potevano decidere della loro vita o anche donare loro la libertà; gli schiavi
liberati erano detti liberti.
La
religione romana - I
culti delle diverse divinità erano affidati a dei collegi sacerdotali,
il più importante dei quali era quello dei Pontefici, retto dal Pontefice
massimo. Questi, che in età monarchica e imperiale coincideva con il re e con
l’imperatore, presiedeva le cerimonie, stabiliva le feste e annotava i fatti
storici gli Annales.
Vi erano poi il collegio dei Salii
(che presiedeva il culto di Marte), quello delle Vestali (officiava il
culto di Vesta, simbolo dell’eternità romana), quello degli Auguri (che
dall’osservazione del volo e del canto degli uccelli e delle viscere degli
animali sacri, i polli, traeva consigli sulle vie da seguire in caso di
decisioni importanti) e quello dei Feziali (depositari del diritto
riguardante guerre e alleanze).
Tra gli dei, i tre più importanti
erano Iuppiter (Giove), Marte e Quirino. Rilevante era
anche l’importanza attribuita alle divinità familiari i Lari, gli
spiriti degli antenati, e i Penati, protettori della dispensa.
I
Sanniti – I Sanniti
erano un antico popolo italico, insediato sugli
aridi altipiani dell'Appennino meridionale, parlante lingua del gruppo osco. Ramo del
più ampio gruppo dei Sabini, i Sanniti erano a loro volta un popolo dalle molte
ramificazioni: i più importanti erano gli Irpini, i Caraceni, i Pentri e i Caudini.
Nei secoli V e IV,
alcune tribù si staccarono dal gruppo originario dirigendosi verso le zone
costiere alla ricerca di nuove terre più fertili e ricche: un gruppo di Irpini
si stabilì nella zona compresa tra il Sele e il Bradano dando
origine al popolo dei Lucani; un ramo di
questi, i Bruzi, invasero la Calabria sottomettendo parecchie
città greche, tra cui Sibari; altri gruppi
occuparono invece la Campania dove si amalgamarono velocemente con Etruschi e
Greci dando origine a quella che è
indicata come civiltà osca.
A differenza di
questi gruppi di invasori che assimilarono facilmente la civiltà greco-etrusca, le tribù rimaste nel Sannio conservarono abitudini e forme di vita
originarie: dedite alla pastorizia e distribuite in villaggi, (tra cui la
capitale Bovianum Vetus,
oggi Pietrabbondante), non riuscirono
mai a costituire un'unità politica o amministrativa; i vari gruppi, a capo di
ognuno dei quali era un meddix (giudice), erano però riuniti in una
forte federazione. La
figura arcaica del pastore-guerriero
prende valenza rispetto alle tradizioni legate alle attività di allevamento,
praticate nell’area appenninica centromeridionale fin dall’Età del Bronzo, ed
il fondamento di una forte economia rurale sono i tratturi e la rete viaria della transumanza.
Con la nascita della Lega Sannitica come organismo di
coordinamento militare già dal V secolo, altre tribù stanzianti nell’Italia
centrale si unirono a loro. Il cuore del popolo sannita era la tribù dei
Pentri: forti e temibili, essi erano la spina dorsale della nazione. Di stirpe
sannita erano sicuramente anche i Campani.
Cartagine - Intorno all’800 alcuni abitanti di Tiro migrarono in Africa e
fondarono Qart Hadasht, per i Greci Carcedonia, per i Romani e per noi Cartagine.
Da qui iniziò lo sviluppo
della cultura cartaginese, simile per
molti versi a quella di Tiro sebbene la storia della sua civiltà, in cui il
fenicio si può difficilmente separare da ciò che è libico, presenti
un’alternanza di influssi ellenici e di ritorni alla tradizione propriamente
punica.
Fino nel 654 quando fu
fondata una colonia ad Ibiza, mancano notizie precise sulle sue vicende.
La creazione dell’impero
Cartaginese si basò innanzi tutto sul controllo dei territori africani:
Cartagine ampliò le sue conquiste in Nord Africa, occupando e fondando città,
soprattutto lungo le coste, per la natura desertica di molte aree interne del
continente africano, ma anche per la sua spiccata vocazione commerciale.
Questo progetto
espansionistico fu attuato con una manovra a ventaglio sia verso l’attuale
Libia, sia verso le coste dell’Algeria e del Marocco. In questo modo Cartagine
diventò presto il principale centro fenicio d’Occidente, riuscendo ad imporre
la propria autorità e supremazia a tutte le altre colonie fenicie preesistenti.
Le ragioni cartaginesi della
creazione di una propria zona d’influenza furono determinate:
·
dall’infiltrazione greca nell’area mediterranea, fonte di costante
pericolo per le numerosissime colonie fenicie sulle coste del Mediterraneo,
·
dalla natura stessa delle colonie fenicie, che, diversamente dalle
colonie greche, erano luoghi di sosta o di approdo, indispensabili per le navi
di piccolo cabotaggio che si orientavano di giorno col sole e di notte con le
stelle dell’Orsa Minore.
Il crescente sviluppo di
Cartagine è riconducibile alla progressiva crisi di Tiro e dell’Oriente fenicio
che, sotto i colpi di Assiri, Babilonesi e Persiani, aveva perduto la propria
autonomia, giungendo alla condizione di sudditanza.
Nel 654, epoca della
fondazione della colonia di Ibiza, i Cartaginesi avevano fissato basi anche in
Sardegna ed in Sicilia e, già nel VII secolo, la espansione di Cartagine nel
Mediterraneo era complessivamente un fatto reale e di grande rilievo.
Intorno al 600 i
Cartaginesi subirono una pesante sconfitta navale da parte dei Focesi che erano
riusciti ad insediarsi a Marsiglia, una colonia che permetteva loro di
controllare la ricca zona della valle del Rodano.
In questa congiuntura,
Cartagine strinse rapporti con gli Etruschi, nel tentativo comune di ostacolare
l’espansione greca nel Mediterraneo.
L’alleanza
etrusco-cartaginese permise una rivincita sui Focesi: nel 537, nella battaglia
di Alalia i Greci furono sconfitti in una dura battaglia sul mare, la potenza
Focese fu annientata: alcuni patti sancirono poi la zona d’influenza tra
Etruschi e Cartaginesi e determinarono un periodo di forti scambi commerciali,
ma anche culturali ed artistici tra le due civiltà.
La vittoria di Alalia
segnò un punto di rottura nell’equilibrio commerciale che si era formato nei
secoli precedenti tra Etruschi, Greci e Cartaginesi, il punto di discesa della
breve parabola Etrusca, e l’apparizione della coalizione latino-cumana.
L’alleanza fra Cartaginesi
ed Etruschi ha però un significato più vasto sul piano mediterraneo: essa,
infatti, saldava in Occidente la politica anti-ellenica stabilita dalle nazioni
orientali sotto la tutela dell’impero persiano.
Con il declino etrusco
e con la proclamazione dell’indipendenza
di Roma sancita dalla cacciata dei Tarquini nel 510, la Repubblica Romana stipulò come primo atto di politica
internazionale un patto d’amicizia con Cartagine: questo dimostra come nulla
potesse accadere di politicamente rilevante in Occidente senza suscitare
immediatamente l’intervento di Cartagine che, in quel periodo, era il vero
fondamento della storia mediterranea. È sintomatico inoltre che, quando la
Grecia bloccò l’avanzata persiana, anche Cartaginese subì una serie di rovesci
in Sicilia, rinunciando alle sue pretese egemoniche sull’isola in cui la
presenza greca era forte.
Prima di illustrare le
fasi dello scontro con i Greci in Sicilia è opportuno comprendere l’eccezionale
grado di potenza militare e commerciale raggiunta da Cartagine, citando le
colonie più importanti sparse lungo le coste del Mediterraneo occidentale.
È difficile riconoscere
gli insediamenti originalmente punici e quelli fenici passati sotto il diretto
controllo di Cartagine. Generalmente dove già c’erano numerose colonie fenicie,
Cartagine si sostituiva alla madrepatria nell’opera di colonizzazione in
Occidente.
I Celti – La cultura dei Celti pare si sia formata già verso il III
millennio a.C. Anche se i Celti rappresentano il più importante nucleo di
popolazione dell’Europa dell’età del Ferro, le loro origini certe risalgono
alla coltura dei campi di urne della tarda età del Bronzo, diffusa nell’Europa
centrale e orientale tra il 1300 e l’800. Questa cultura comprendeva genti
diverse unite da comuni usanze funerarie.
Verso il 1000 iniziò un
vasto movimento migratorio cui parteciparono anche i Celti, i quali discesero
verso le regioni occidentali del continente europeo, occupando vasti territori
dell’attuale Francia, della penisola iberica e, muovendosi poi verso nord,
della Britannia e dell’Irlanda. Continuando le loro migrazioni, oltrepassarono
le Alpi e giunsero nella parte occidentale della pianura padana, allora abitata
dai Liguri.
Quella avvenuta in Italia
non fu un’invasione massiccia, ma continue infiltrazioni di tribù diverse.
Nell’ampia area lungo il corso del Po fino alla costa adriatica, regione alla
quale i Romani avrebbero in seguito dato il nome di Gallia cisalpina, si
stabilirono gli Insubri, i Cenòmani e i Sénoni. Verso est penetrarono nel
territorio occupato dai Veneti e verso sud raggiunsero invece alcune zone sotto
l’influenza etrusca. Continuarono le loro incursioni in direzione sud.
Gli archeologi dividono la
preistoria celtica in fasi che prendono il nome da località austriache e
svizzere dove sono stati reperiti molti oggetti:
·
Periodo di Hallstatt (VIII-VI secolo a.C.)
·
Periodo di La Tène (VI-II secolo a.C.).
V MODULO
L’età classica (V-IV
secolo a.C.)
Le guerre greco-persiane -
Nel 499
la confederazione ionica, assistita da Atene ed Eretria, sotto la guida di
Aristagora, tiranno di Mileto, si
ribellò al dominio dell’impero persiano la cosiddetta rivolta
ionica. Cinque anni dopo, il nuovo sovrano persiano Dario I marciò su Mileto e, dopo averla saccheggiata, ristabilì il
controllo assoluto sulla Ionia.
Postosi quindi a capo di
una grande flotta, nel 491 fece rotta verso Atene, per punirla dell’appoggio
fornito ai ribelli, ma la maggior parte delle navi naufragò al largo del monte
Athos. Dario mandò allora messaggeri in tutte le città greche pretendendone un
atto di sottomissione. Se la maggior parte di queste cedette, Sparta e Atene
respinsero però gli inviati persiani. Dario, a seguito di tale provocazione,
preparò una seconda spedizione, che partì nel 490 (prima guerra persiana).
Distrutta Eretria,
l’esercito persiano procedette verso la piana di Maratona vicino ad Atene. I capi
della città inviarono una richiesta di aiuto a Sparta, ma il messaggio giunse
durante una festa religiosa che impedì agli spartani di partire immediatamente.
Le forze ateniesi, guidate da Milziade, conseguirono nella battaglia
di Maratona un’importante vittoria sull’esercito persiano, molto più
numeroso, che fu costretto a ritirarsi.
Dario intraprese allora
una terza spedizione (seconda guerra persiana), ma morì prima di poterla portare
a termine: lo sostituì il figlio Serse I,
succeduto al padre nel 486, che si mise alla testa di un ingente esercito.
Nel 481 i persiani
attraversarono lo stretto dell’Ellesponto e si diressero a sud.
I greci opposero il primo
tentativo di resistenza nel 480 a.C. al passo delle Termopili, difeso dal re spartano Leonida. Dopo aver vinto l’eroica resistenza del piccolo
contingente greco (trecento spartani e settecento tespiesi), i persiani
raggiunsero Atene, ormai abbandonata, e la saccheggiarono. Gli ateniesi, nel
frattempo, avevano allestito una flotta in grado di competere con quella
persiana che seguiva l’esercito a terra.
Al largo dell’isola di
Salamina, di fronte ad Atene, 400 navi greche, guidate dello stratega Temistocle, vinsero sulle oltre 1200
nemiche, costringendo Serse a un’affannosa ritirata verso i suoi possedimenti
asiatici; nel 479, le residue forze persiane ancora presenti in Grecia furono
definitivamente sconfitte nella battaglia
di Platea e nella battaglia navale di
capo Micale.
Nel 478 l’ultima
guarnigione persiana che si trovava a Sesto sull’Ellesponto fu cacciata. La
lunga contesa ebbe fine solo nel 449 con la pace
di Callia, che allontanò definitivamente la minaccia persiana e diede ad
Atene il pieno dominio dell’Egeo.
L’ascesa di Atene - In seguito alla vittoria
conseguita sui persiani e quale maggiore potenza navale del suo tempo, Atene
divenne la città-stato più influente della Grecia, mentre Sparta perse
progressivamente prestigio e supremazia militare.
Nel 477 numerose
città-stato si unirono, per iniziativa ateniese, nella lega delio-attica allo
scopo di liberare dalla presenza persiana l’intero territorio greco (comprese
le coste dell’Asia Minore).
Raggiunto l’obiettivo
grazie all’abile guida politica di Aristide
e poi di Cimone, Atene iniziò a
esercitare un ruolo egemone all’interno della lega, trasformando il rapporto di
alleanza con gli altri membri in una sudditanza di fatto, tanto da riscuotere
regolari tributi e giungere a distruggere le fortificazioni dell’isola di
Náxos, quando questa annunciò di voler abbandonare la lega.
Nel V secolo a.C. Atene
segnò il culmine della sua supremazia politica e il punto di massima fioritura
culturale, in particolare con Pericle,
capo del partito popolare e leader
della città dal 460.
Rivestendo per trent’anni
consecutivi la carica di stratega, egli completò l’evoluzione democratica della
Costituzione di Clistene,
introducendo forme di retribuzione per i cittadini che assumessero pubbliche
funzioni: permise così anche a membri di classi meno abbienti l’accesso alle
magistrature e ai tribunali popolari. Fu inoltre il massimo fautore di quella
politica imperialistica nei confronti degli alleati della lega delio-attica cui si è già accennato. Politicamente, infatti,
auspicava il sorgere ovunque di regimi democratici, e debellò pertanto presso
gli alleati ogni tentazione oligarchica. Dal punto di vista fiscale, invece,
accentuò nei loro confronti la pressione tributaria, necessitato anche dalla
politica di spesa per le opere pubbliche, ad Atene e nell’Attica, della quale
si era fatto promotore.
Nel corso dell’età di
Pericle, infatti, fu costruito il complesso monumentale più significativo
dell’arte greca, l’Acropoli di Atene
su cui si insedia il Partenone[32].
Dopo la costruzione del Partenone i cantieri attivi sull’Acropoli continuarono
la loro attività e l’officina organizzata da Iktinos e Kallikrates
continuò a dominare la creazione architettonica in Grecia fino alla fine del V
secolo a.C. Sull’Acropoli il nuovo tempio esigeva un accesso monumentale. Il
precedente ingresso costruito nel VI secolo a.C. non rispondeva più alle
esigenze del grande tempio. I lavori cominciarono nel 437-436 a.C. ma non
furono mai terminati per l’inizio nel 432-431 a.C. della guerra del Peloponneso
tra Atene e Sparta. A un nuovo architetto Mnesikles
strettamente legato all’officina del Partenone per stile e modi costruttivi fu
affidato l’incarico per la costruzione dei Propilei.
A sud dei Propilei s’innalzava il Tempio
di Athena Nike mentre lungo
il lato sud delle mura fu costruito l’Eretteo.
Durante il V secolo,
inoltre, la letteratura greca raggiunse le sue più alte espressioni con le
tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide e le commedie di Aristofane,
con le opere storiche di Erodoto e Tucidide e il sapere filosofico di Socrate: molti di loro vissero negli
anni del governo pericleo.
La guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) – Il
declino politico di Atene si manifestò tuttavia nell’ambito della politica
estera.
Allo scontento degli
alleati-sudditi della lega delio-attica si aggiunse una rinnovata capacità di
competizione di Sparta. Una lega tra le città del Peloponneso che gravitavano
attorno a Sparta esisteva dal 550; nel 431, il malessere a lungo rimasto sopito
emerse quando gli abitanti dell’isola di Corcira (attuale Corfù) chiesero aiuto
a Sparta per liberarsi del legame imposto loro da Corinto, alleata di Atene.
La lotta che seguì tra le
due confederazioni sfociò nella cosiddetta guerra
del Peloponneso, che colse Atene orfana di Pericle e in mano a politici o
poco capaci come Cleone o troppo ambiziosi come Alcibiade.
La guerra fu distinta in
tre fasi:
·
La prima, detta archidamica, durò dieci anni e si finì con
la tregua stipulata nel 421 con la Pace
di Nicia che stabilì la restituzione, non avvenuta, delle terre
conquistate.
·
La seconda fase riguardò il periodo tra la pace di Nicia e la
spedizione in Sicilia (421-413). Il nuovo capo della politica ateniese
Alcibiade, alleatosi con una lega antispartana, condusse una spedizione in
Sicilia che si rivelò rovinosa per i Greci.
·
La terza fase va dalla conquista spartana di Decelea alla caduta
di Atene, detta anche guerra deceleica. Mentre Atene era
gravemente colpita nel potenziale umano e finanziario ed era lacerata da
conflitti interni, Sparta, alleatasi con la Persia, isolò Atene dalle
comunicazioni con l’Eubea conquistando Decelea e le sollevò contro numerose
città della lega delio-attica. Dopo
alcune vittorie e grandi sconfitte, Atene fu costretta a trattare la pace nel
404, che previde la consegna delle navi, l’abbattimento delle lunghe mura che
univano il Pireo alla città, il richiamo dei fuoriusciti e l’imposizione
dell’alleanza con Sparta.
Il conflitto, protratto
fino al 404, portò alla supremazia di Sparta sulla Grecia e all’imposizione del
regime oligarchico dei trenta tiranni ad Atene; sistemi di governo
simili furono istituiti
anche in tutte le città greche dell’Asia Minore.
La dominazione spartana si dimostrò
però assai più dura e oppressiva di quella di Atene. Nel 403 la fazione
democratica degli ateniesi, guidata da Trasibùlo, si ribellò, scacciò le
guarnigioni spartane di occupazione e abbatté il potere dei tiranni restaurando
le istituzioni democratiche e la propria indipendenza.
Dall’egemonia spartana a quella tebana
- Per liberarsi del
giogo spartano, molte delle città greche non esitarono a rivolgersi al nemico
di un tempo, la Persia, che dal 399 era tornata a premere sulle colonie
dell’Asia Minore, obbligando Sparta ad effettuare ripetute missioni militari
nella regione.
Nel 396 Argo, Corinto e Tebe si
unirono ad Atene per abbattere definitivamente il potere di Sparta.
La cosiddetta guerra di Corinto, che ne seguì, si concluse nel 387 con la pace di Antalcida, dal nome del generale
spartano che si accordò con la potenza persiana, cedendole l’intera costa
occidentale dell’Asia Minore in cambio del riconoscimento dell’autonomia delle
città greche e del proprio ruolo di gendarme
contro il risorgere delle pretese egemoniche di Atene.
Nel 382 la rinnovata supremazia di
Sparta impose a Tebe un governo oligarchico, contro cui tre anni dopo si
ribellò, con l’aiuto di Atene, il generale Pelopida;
nel 371 questi, affiancato da Epaminonda,
inflisse nella battaglia di Leuttra
una disfatta militare a Sparta, che si vide così sostituita da Tebe nel ruolo
di potenza egemone in Grecia.
La nuova posizione raggiunta da Tebe
si basava tuttavia in gran parte sull’abilità politica e sulle doti militari di
Epaminonda e fu meno quando questi rimase ucciso nella battaglia di Mantinea del 362 contro le forze di una coalizione
antitebana promossa da Atene e Sparta, alleatesi tra loro.
La supremazia macedone – Mentre la Grecia era divisa da continue
lotte interne, delle quali la battaglia di Mantinea era stata un esempio
chiaro, nel vicino regno di Macedonia
salì al trono Filippo II nel 359, grande
ammiratore della civiltà greca, Filippo era consapevole della profonda
debolezza cui essa era condannata a causa della mancanza di unità politica.
Il nuovo sovrano procedette
all’annessione delle colonie greche sulle coste meridionali della Macedonia e
della Tracia, e nel giro di vent’anni, vinti i tentativi di resistenza
sostenuti dall’oratore ateniese Demostene,
stroncati con la vittoria nella battaglia
di Cheronea del 338 pose fine all’indipendenza della Grecia,
sottomettendone progressivamente tutte le città.
Nel 336 mentre si organizzava per
muovere guerra alla Persia, Filippo fu assassinato.
Sul trono gli succedette il figlio
ventenne Alessandro, che, nel corso di dieci anni, dal 334 al 323 estese
l’influenza della civiltà greca in tutto il mondo antico conosciuto, dando vita
a un impero che si estendeva dall’India all’Egitto: proprio per questo è conosciuto
con l’appellativo di Alessandro Magno.
Dotato di una solida formazione
militare e di una cultura letteraria e filosofica secondo il modello greco,
essendo stato, tra l’altro, allievo di Aristotele, Alessandro si erse, nelle
sue imprese di conquista in Oriente, a campione della grecità contro i barbari.
D’altro canto, però, assunse su di sé
i poteri propri della dinastia achemenide, il cui sovrano era detto re dei re e cercò in ogni modo di
elevare la propria figura regale al di sopra dell’umanità comune, giungendo a
farsi proclamare, nel santuario di Ammone in Egitto, figlio del dio. Niente di
simile si era visto prima nel mondo greco, che mai aveva accettato, per i
propri governanti, alcuna forma di divinizzazione.
Conclusa la campagna di conquista cominciò
per Alessandro un anno di grandi scelte: tra il 331-325 si erano accumulati
molti problemi e pericoli per la solidità e l’unità del nuovo impero.
La monarchia di tipo orientale che
Alessandro aveva adottato doveva fare i conti con popoli abituate a forme
diverse di regalità:
·
gli
Egizi, per i quali il Faraone era un dio
·
i
Macedoni, per i quali il re era solo il primo fra i nobili
·
i
Greci, contrari ad ogni tipo di monarchia per le loro tradizioni democratiche.
Alessandro dovette affrontare il problema
dei rapporti fra le diverse nazionalità. La sua risposta fu una politica di
fusione tra Greci e Persiani: a Susa diede un segno simbolico dell’integrazione
tra le due razze con le nozze in massa tra Greci e Macedoni e donne persiane;
egli stesso, già sposato alla battriana Ròxane, prese come mogli due donne
della casa reale persiana.
Cartagine
- Tra il V e il IV
secolo, Cartagine raggiunse completamente la sua affermazione, rispetto alla
madrepatria e rispetto al mondo greco: sulle coste africane aveva, infatti,
realizzato uno stato potente ed autonomo, dotato d’una politica propria e
specifica.
In tale politica, che per il suo
intento commerciale richiama l’eredità fenicia, ma su nuove basi e da un nuovo
centro di gravità, non ha alcuno spazio l’affermazione di un’idea imperiale: le
colonie Cartaginesi restano colonie e non si legano con vincoli di sudditanza
alla loro madrepatria. Proprio questa caratteristica politica determinò il
crollo di Cartagine nello scontro con Roma.
Per la prima volta Cartagine è
l’ispiratrice di una tenace resistenza al mondo greco: i Cartaginesi avevano
come obiettivo la conquista dell’intera Sicilia, di cui controllavano
inizialmente solo l’estremità occidentale, dove già i Fenici avevano stabilito
dei centri commerciali.
L’offensiva punica era coordinata con
i Persiani che stavano invadendo la Grecia: nel 480 si svolsero la battaglia di
Salamina, terminata con la vittoria degli Ateniesi sulla flotta
persiano-fenicia, e la battaglia di Imera,
terminata con la vittoria di Gelone,
tiranno di Gela e poi di Siracusa, contro i Cartaginesi che avevano assediato
Terone, tiranno di Imera, e minacciavano di dilagare in tutta l’isola.
I danni per i Cartaginesi nella
battaglia di Himera furono gravi: l’esercito fu in parte distrutto e in parte
catturato, le navi furono quasi completamente perdute, pochi superstiti
salparono e portarono in Africa la triste notizia che sconvolse i piani e gli
animi dei Fenici e dei loro alleati Persiani.
La
grecità italica - La
vittoria nella battaglia di Himera
diede a Siracusa gloria e ricchezza. Siracusa iniziò una politica
espansionistica ai danni di Atene, che dovette cedere le armi.
Quando verso il 493-492 gli Etruschi
giunsero allo stretto di Messina, attaccando le isole Lipari, e quando essi
decisero di attaccare Cuma ed i Cumani chiamarono in aiuto i Siracusani, nel
474 Ierone di Siracusa sconfisse la
flotta etrusca nella battaglia di Cuma.
La lotta di Siracusa continuò contro
Cartagine con esiti oscillanti e devastanti fino all’avvento dei Romani che
approfittarono della congiuntura a loro favorevole.
Negli anni centrali del V secolo, su
iniziativa degli Ateniesi, fu fondata sul sito dell’antica Sibari la colonia di
Turi, osteggiata dai Tarantini.
Più tardi, Dionigi I, tiranno
di Siracusa, passò gran parte della sua vita a combattere i Cartaginesi.
Più volte questi furono sul punto di
conquistare Siracusa, ma Dionigi seppe riunire Siculi e Greci, le cui forze
congiunte riuscirono a respingere gli attacchi dei Cartaginesi che furono di nuovo
confinati nella parte occidentale dell’isola.
Negli ultimi anni del V secolo
Crotone, Turi, erede di Sibari, Caulonia e Metaponto si unirono nella Lega
italiota per difendersi dagli
attacchi dei Lucani e di Dionigi I
tiranno di Siracusa; alla Lega aderì in seguito anche Reggio, mentre Locri e
Taranto furono dalla parte del tiranno. Dionigi, nel 389 sconfisse l’esercito
della Lega, espugnò e distrusse Reggio, ridusse la Lega sotto il controllo di Taranto
che, col procedere del IV secolo, dovette spesso far ricorso a condottieri
greci per difendersi dalle popolazioni sabelliche e iapigie.
Ancora Timoleonte, generale corinzio
divenuto tiranno di Siracusa, nel 339 sconfisse i Cartaginesi nella battaglia del Crimiso e li costrinse a
ritirarsi al di là dell’Alico.
Agatocle, tiranno di Siracusa, nel
310, per liberare la Sicilia, decise di portare la guerra in Africa, ma non
ebbe fortuna e, nel 307, dovette restituire le città liberate.
I
Celti - Fin dal V secolo.
i Celti (chiamati Galati dai Greci e Galli dai Romani) avevano occupato
la Pianura Padana ed erano scesi fino alle Marche e all’Umbria. Tra il IV e il
III secolo il mondo celtico attraversò un periodo di instabilità, forse dovuto
alla pressione dei popoli nordici, che provocarono una serie di migrazioni: i
Celti penetrarono nel mondo greco-romano, invadendo l’Italia settentrionale, la
Macedonia, la Tessaglia, e saccheggiando Roma (390) e Delfi (279), ma qui senza
successo, pur rimanendo nei Balcani.
Nel 225 il loro potere cominciò a
vacillare in seguito alla sconfitta inflitta dai Romani a Talamone, e la loro
supremazia in Europa cominciò a declinare, anche se occorsero altri 200 anni
prima che Cesare sottomettesse la Gallia nel 58 e un altro secolo ancora prima
che la Britannia fosse annessa all’Impero Romano. Ma la loro storia non termina
con la conquista romana. I Celti infatti continuarono ad esistere in tutta
Europa e sono rimaste vive le loro idee, le loro superstizioni, le loro feste
popolari, i nomi che hanno dato alle località. Inoltre, i Romani non riuscirono
a conquistare l’Irlanda e la Scozia, e in queste regioni, come pure nel Galles
e nell’isola di Man, la cultura celtica continuò a sussistere, e con essa
l’arte, la religione e le lingue celtiche.
La
crisi degli Etruschi – Alleati
di Cartagine, gli Etruschi erano riusciti ad imporsi alle colonie greche del
meridione d’Italia, contrastandone con efficacia l’espansione sia sulla terra
che sul mare.
Nel frattempo nelle città etrusche si era consolidato il sistema istituzionale delle repubbliche oligarchiche, dominate da
un’oligarchia gentilizia, con magistrati genericamente designati come principes. Anche in Etruria si avverte
la tendenza a spezzettare il potere ed a porlo sotto un costante reciproco
controllo, per evitare l’affermarsi del potere personale.
L’irrigidimento
delle istituzioni oligarchiche è molto accentuato in Etruria: anche i movimenti
di rivendicazione pubblica delle classi inferiori in Etruria non hanno
generalmente la possibilità di inquadrarsi in uno sviluppo progressivo delle istituzioni
verso l’avvento al potere della classe plebea, ma si risolvono talvolta in
parentesi di anarchia popolare.
La loro politica espansionistica li
portò a scontrarsi con i Greci e con i Romani a sud e con i Celti a nord. Verso
il 493-492, gli Etruschi giunsero allo stretto di Messina, attaccando le isole
Lipari, mentre gli Etruschi della Campania decisero di attaccare Cuma.
In seguito alla sconfitta subita nel
474 nella battaglia di Cuma, la decadenza etrusca si accelerò e con
essa gli Etruschi persero il controllo del Mar Tirreno.
Dalla seconda metà del V secolo a.C.
lo scenario mutò radicalmente: mentre le città etrusche avevano, infatti,
raggiunto il massimo dello sviluppo economico, le colonie greche diedero vita
ad una travolgente crescita culturale
e politica. Nel 414-413, durante la
guerra tra Atene e Siracusa, gli Etruschi fornirono aiuti navali ad Atene, che
tuttavia fu sconfitta.
Roma fu la prima a liberarsi dalla
supremazia etrusca con la cacciata dei Tarquini verso il 510, poi se ne liberarono
i Latini, che, sostenuti da Aristodemo di Cuma, ad Ariccia, nel 506 li
sconfissero in battaglia.
Gli avamposti degli Etruschi in
Campania rimasero in tal modo isolati si indebolirono dopo la sconfitta navale
a Cuma ed andarono del tutto perduti nel 423 con la conquista di Capua da parte
dei Sanniti.
Al nord la discesa dei Celti travolse
i centri etruschi della pianura Padana all’inizio del V secolo.
Anche ai confini tra Etruria e Lazio
era sorto un nuovo consistente pericolo: Roma, un tempo dominata e governata da
una dinastia etrusca si era resa indipendente quindi con la crescita della sua
potenza, passò all’offensiva, scontrandosi con gli Etruschi.
Con la caduta della monarchia
filoetrusca, la rivalità tra Roma e Veio si accese per il controllo del Tevere
e delle saline alla sua foce. Nel 485 i Romani iniziarono la lunghissima guerra contro Veio che si concluse nel 394 con la conquista di Veio.
Dalla
Monarchia alla repubblica romana - Cacciato
l’ultimo re, Tarquinio il Superbo, dalla rivolta del nobile Collatino, la cui moglie era stata
oltraggiata da Sesto, figlio del re, la monarchia fu sostituita da un governo
repubblicano a carattere aristocratico. In quel periodo, per alcuni anni,
Roma dovette combattere contro Porsenna e contro le popolazioni latine,
preoccupate della sua ascesa.
In realtà le ragioni erano più
profonde: Roma stava crescendo ed il re non riusciva più ad attendere a tutti
gli impegni; il suo governo si era fatto dispotico e i patrizi avevano perso il
loro potere politico. Tutto ciò fu motivo di ribellione. Il potere fu affidato
a due consoli, Bruto e Collatino nel 509.
Delle teorie
proposte per spiegare il passaggio dalla monarchia romana alle magistrature
repubblicane due sono le più diffuse:
·
il concetto dell’evoluzione continua e necessaria,
·
l’idea di un’innovazione improvvisa ricollegabile
all’imitazione di istituti stranieri (greci, latini o anche etruschi).
Agli inizi
dello stato repubblicano, prima dell’affermazione delle magistrature collegiali,
ci fu una fase di magistrature singole o preminenti, a carattere
prevalentemente militare, quasi dittature stabili, sostituitesi alla regalità
arcaica.
L’ordinamento
repubblicano – Le
maggiori cariche della Repubblica romana, delineatasi tra il V e il IV secolo
erano di carattere elettivo, erano rinnovate periodicamente, erano un servizio prestato gratuitamente ed erano
collegiali, cioè vi erano almeno due magistrati per ogni carica.
·
I
due consoli, che restavano in carica un anno, comandavano l’esercito,
convocavano il senato e i comizi, e giudicavano i reati più gravi.
·
i
questori che si occupavano originariamente della finanza ebbero in
seguito parte dei compiti dei consoli.
·
un
dittatore che poteva essere nominato nei momenti di grande pericolo per
lo Stato, in carica per sei mesi, sostituiva i consoli.
·
i
pretori, in origine comandanti delle truppe fornite dalle tre tribù dei Ramnii,
Tizii e Luceri e poi amministratori di funzioni giudiziarie
·
i
censori (dal 443) che rimanevano in carica diciotto mesi, ogni cinque
anni, con l’incarico di compilare le liste del censo e dei senatori, in
seguito, di vigilare sulla condotta morale dei cittadini.
·
il
senato era composto da coloro che avevano già esercitato una delle
magistrature superiori. Aveva un potere di tipo consultivo, ma, di
fatto, diventò l’organo più importante in quanto doveva approvare le proposte
di legge, controllare le finanze, deliberare sulla guerra e sulla pace,
concedere la cittadinanza e l’autonomia a città e popolazioni e istituire le
province.
·
i
comizi curiati già esistenti in età regia, conservarono il solo compito
di conferire la formale investitura sacrale ai magistrati
·
i comizi centuriati costituivano le assemblee popolari,
eleggevano consoli e magistrati, approvavano le proposte del senato ed
esercitavano funzioni giudiziarie. La popolazione fu divisa in 193 centurie,
ognuna portatrice di un voto; le prime 98 erano costituite dai cittadini più
ricchi (anche plebei) che così avevano la maggioranza.
Le
prime guerre di Roma repubblicana
– Le prime guerre condotte dalla Roma repubblicana mirarono a riaffermare la
propria importanza in seno della Lega
latina: le città latine, preoccupate del rafforzamento di Roma, la
affrontarono federate nella Lega latina, un’alleanza di tipo difensivo,
e, dopo un conflitto (496-493) da cui le città latine uscirono sconfitte, il
console Spurio Cassio firmò con
queste città il Foedus Cassianum,
un patto favorevole a Roma.
Iniziò così la fase espansiva di Roma e fino al 430 Roma
combatté altre guerre: con l’aiuto delle città-stato latine, di cui si era
posta a capo in base al Foedus Cassianum,
la città si annesse nuovi territori, sconfiggendo i Volsci e gli Equi,
dando inizio alla pratica della deduzione delle colonie. Di queste due guerre
rimasero leggendarie le gesta di Coriolano che passò dalla parte dei
Volsci, ma poi si ritirò, andando incontro alla morte, e di Cincinnato
che ritornò all’attività di agricoltore dopo aver sconfitto valorosamente i
Volsci, senza pretendere alcun tributo di ringraziamento.
Dopo la sconfitta dei Volsci, ragioni
economiche spinsero Roma alla guerra contro la città etrusca di Veio
che, dopo un lungo assedio, fu espugnata e distrutta da Furio Camillo nel 396.
Roma, per la prima volta annesse i territori conquistati, che non diventarono
colonie latine, ossia cioè di tutta la compagine, ma territori esclusivamente
romani. Ciò perché Roma in questo caso agì da sola, non essendo la guerra
contro Veio e contro le città confinanti d’interesse per le altre città che
componevano la Lega.
La pratica dell’annessione d’ora in
avanti si diffuse sempre più, trasformando progressivamente Roma nella massima
potenza italica e permettendole di sciogliere la stessa Lega latina.
Successivi alla conquista dei
territori etruschi furono l’invasione ed il saccheggio gallico di Roma del 390.
Da questo episodio Roma ebbe una nuova
alleata, la vicina città etrusca di Caere,
col cui aiuto essa riuscì a frenare l’avanzata gallica nel 383: Caere ottenne i
legami più stretti con Roma, come ad esempio il diritto di ospitalità.
In questi anni Roma continuava a
crescere (sia a nord sia a sud), tanto sul piano dei territori quanto su quello
delle zone d’influenza.
Le
tensioni interne a Roma tra patrizi e plebei - Fin dai primi anni della Repubblica si diffuse il
malcontento tra i plebei, costretti al servizio militare senza ricevere il
ricavato dei bottini ed esclusi dall’accesso alle magistrature e dal matrimonio
con i patrizi.
La prima protesta fu attuata nel 494
a.C. quando i plebei, ritiratisi sul Monte Sacro o, secondo un’altra tradizione
sull’Aventino, decisero di non lavorare e di non combattere. Il patrizio Menenio
Agrippa riuscì a convincerli a tornare, promettendo delle riforme in loro
favore.
I plebei ottennero così l’istituzione:
·
dei tribuni della plebe, che difendevano i loro interessi e
avevano diritto di veto sulle decisioni dei magistrati,
·
dell’assemblea
·
dell’edilità, una magistratura in cui due
rappresentanti plebei, gli edili,
affiancando i tribuni, curavano gli interessi della plebe.
Nel 451-450, alcuni patrizi, riuniti
nel collegio dei decemviri, redassero un corpo scritto di leggi penali e
civili, la Legge delle XII tavole, con cui i plebei ottenevano diritti
pari ai patrizi.
La lotta continuò e, con le leggi
Licinie Sestie del 367 i plebei ottennero:
·
l’abolizione
del divieto dei matrimoni misti,
·
l’accesso
alla questura, al consolato e ai collegi sacerdotali,
Con la legge Ortensia del 287 i
plebei ottennero il riconoscimento giuridico delle assemblee della plebe, dette
comizi tributi le cui deliberazioni, i plebisciti erano
vincolanti per tutto il popolo.
I
Sanniti conquistano la Campania
- La costituzione di uno stato federale del Sannio, con la Lega sannitica, nacque dall’esigenza di tutelare interessi
economici comuni alle genti appenniniche, ma anche delle attività economiche
che si differenziavano dalle popolazioni di pianura. I Sanniti erano stanziati
nelle terre e negli altipiani compresi nella catena montuosa degli Appennini,
per un lungo tratto del centro e del meridione d’Italia, avevano un’economia
prevalentemente basata sull’allevamento animale, rispetto alle popolazioni
delle pianure che si estendevano dagli Appennini verso i mari e dove
l’agricoltura era l’attività preponderante.
Durante il V secolo i Sanniti
iniziarono a scendere dai monti del Matese lungo la Valle del Volturno, per
espandersi nell’attuale Campania, ricca zona di confine tra le influenze
etrusca e greca. Alla metà del secolo, approfittando della debolezza etrusca e
delle discordie interne tra i Greci, i Sanniti si impadronirono di Capua e di
Cuma. Queste lotte di espansione dei Sanniti nascevano dall’esigenza di
reperire nuovi pascoli per il proprio bestiame a discapito delle terre
coltivate dalle popolazioni di pianura e quindi, da una contesa tra allevatori ed agricoltori.
All’epoca, i mercati più ricchi erano
gli insediamenti degli Etruschi dell’agro campano e, spostandosi verso la costa
tirrenica lungo il corso del Volturno, giungevano fino alle colonie di Cuma e
del suo golfo, da secoli dominio dei Greci.
Le direttrici d’espansione dei Sanniti
furono essenzialmente due:
·
la
prima fu la conquista ed il controllo di Capua, grande mercato nell’enclave etrusco delle merci e delle
mercanzie da e per i territori del Lazio e dell’Etruria;
·
la
seconda fu verso le colonie greche di Cuma e di Poseidonia, dove si puntava a
raggiungere ed a mantenere una discreta presenza commerciale per usufruire
della rete comunicativa esistente tra le colonie della Magna Graecia e dei
traffici tra queste e gli stanziamenti dell’Etruria meridionale e dell’alto
Lazio.
Il controllo di questi stanziamenti
rappresentò il traguardo da raggiungere, per portare a maggior profitto le
merci prodotte nel Sannio e per controllare che gli Etruschi non ostacolassero
lo sviluppo dell’economia pastorale a favore degli appezzamenti di terreno
coltivato, sottraendo così fertili aree alle grandi masse di mandrie di cui i
Sanniti avevano bisogno per l’allevamento.
La loro espansione si scontrò quindi
con gli insediamenti agricoli degli Etruschi, che dell’agro capuano avevano
fatto il loro ricco granaio.
Quando la Lega Sannitica si spinse verso i territori che si aprivano verso le
coste tirreniche, riuscirono a trasformare le sparse popolazioni indigene di
quelle terre in un’unità tribale e la città etrusca di Capua diventò capitale
dei Campani, estromettendo l’etnia etrusca a vantaggio delle popolazioni natie.
I rapporti commerciali e di amicizia
tra i Touti stanziati e confinanti in
quell’area si incrinarono, quando gli interventi romani per la salvaguardia dei
propri interessi economico-espansionistici verso il sud dell’Italia diventarono
pressanti.
La
decadenza degli Etruschi -
A metà del IV secolo gli Etruschi avevano ormai perso la Campania, passata ai
Sanniti, la Corsica, passata ai Greci, ed ampie zone dell’Etruria meridionale,
passate ai Romani.
Dalla metà del IV secolo la potenza
commerciale e militare degli Etruschi si era ridotta a città-stato, arroccate
nei loro territori di origine nell’Italia centrale. In Padania i Celti
continuavano infatti ad avanzare: avevano oltrepassato il Po ed erano arrivati
all’Adriatico. La Padania etrusca era scomparsa.
Alla distruzione romana di Veio
nel 395 seguì la conquista di Sutri e
Nepi, poi, avendo i Tarquinati cominciato a saccheggiare l’agro romano
nelle zone di confine dell’Etruria, Roma scese in guerra contro Tarquinia.
Nel 312 gli Etruschi decisero di
armarsi contro Roma, allora alle prese con i Sanniti. Una guerra su due fronti
era pericolosissima per Roma. Era la prima
guerra etrusca contro Roma. Nel 311 iniziarono le ostilità. Nel 302 scoppiò
una guerra civile ad Arezzo: la plebe si sollevò per scacciare la potente
famiglia etrusca dei Cilnii, di
stirpe reale, e questi chiamarono in aiuto i Romani, con cui avevano stretto
una pace trentennale: il dittatore Marco Valerio Massimo sconfisse le forze
etrusche nei pressi di Roselle e fu concluso un armistizio biennale.
Dall’irruzione
dei Galli all’espansione di Roma nella penisola – Verso il 400 i Celti superarono le
Alpi, abbandonando il loro stanziamento nella Germania meridionale ed entrarono
nella pianura padana e continuarono la loro calata verso sud. Quando i Celti
valicarono l’Appennino, nessun esercito fu schierato a difesa dell’Etruria: nel 390 alcune migliaia di uomini, guidati da Brenno, devastarono Chiusi e
calarono sul Lazio, saccheggiando e incendiando anche Roma. Lo scacco subito
dalla città spinse i vecchi nemici, alleati o sottomessi, a ribellarsi, ma
Roma, in una serie di guerre svoltesi in circa 40 anni, riuscì a ristabilire il
suo potere.
Lo
scontro romano-sannita
– Nel 343, in cambio della completa
sottomissione, Roma intervenne in aiuto di Capua contro i Sanniti che, dopo il
crollo etrusco, avevano occupato la Campania. Iniziò così un conflitto per il
controllo dell'Italia centro-meridionale che durò oltre 50 anni.
Tra il 343 e il 341
a.C. i Romani ottennero le prime vittorie.
Un secondo conflitto,
tra il 340 e il 338 a.C., oppose i Romani ai Sanniti affiancati dalla Lega
latina. Al termine i Romani vittoriosi trasformarono le città laziali in
municipi o città federate.
Tra il 326 e il 304,
Roma, nonostante lo scacco delle Forche
Caudine (i
militari denudati dovettero passare sotto un giogo di lance davanti ai nemici)
ottenne altre vittorie.
Con l'ultimo
conflitto, tra il 298 e il 290, i Sanniti furono definitivamente sconfitti con
i loro alleati Galli, Etruschi e Umbri. Roma, padrona dell'Italia centrale,
mirò alla Magna Grecia.
VI MODULO
L’età ellenistica (323-146 a.C.) – L’età ellenistica è compresa tra la
morte di Alessandro Magno e la
trasformazione della Grecia in provincia romana nel 146. Essa segnò il
trionfo della cultura e della civiltà greche, che si elevarono a modello
universale in ogni regione del Mediterraneo antico.
La morte di Alessandro Magno, nel
giugno del 323, pose fine al progetto di uno stato universale. Il suo impero
era troppo vasto e vario per qualunque sistema politico e sicuramente il
sistema monarchico macedone non era all’altezza di questo compito.
Il potere macedone passò nelle mani
dei suoi generali, che entrarono ben presto in conflitto tra loro per la
suddivisione del vasto impero che Alessandro aveva creato, e la lunga serie di guerre, tra il 322 e il
281, ebbe come teatro la Grecia.
In mancanza di un erede diretto di
Alessandro la reggenza era stata affidata a Cratero e l’esercito a Perdicca, ma
ben presto prevalsero le forze disgregatrici, favorite:
·
dall’ambizione
personale dei singoli generali,
·
dall’enorme
estensione e dalla disomogeneità dell’impero.
·
Ad
Antipatro fu affidato il governo
della Macedonia e della Grecia, a Lisimaco
la Tracia, ad Antigono l’Asia Minore,
ad Eumene la Cappadocia, a Tolomeo l’Egitto e a Perdicca Babilonia e le province
orientali.
Alla fine dell’età dei diadochi (dal greco diádochos, cioè successore), i generali di Alessandro si
erano consolidati tre grandi regni ellenistici:
·
il
regno di Macedonia, che comprendeva
la Grecia, appartenente agli Antigonidi,
discendenti del generale Antigono;
·
il
regno d’Egitto appartenente ai Tolomei, discendenti del generale
Tolomeo;
·
il
regno di Siria, comprendente anche la
Mesopotamia e la Persia, appartenente ai Seleucidi,
discendenti del generale Seleuco;
A questi tre regni si aggiunse poi il regno di Pergamo, appartenente agli Attalidi, discendenti del generale
Attalo.
I regni ellenistici, nati dalla
frantumazione dell’impero di Alessandro, ebbero una storia durata quasi tre
secoli. Tuttavia lo stato di guerra continuò anche dopo il 281 tra gli epigoni, successori dei diadochi.
La
fine dell’esperienza della polis – L’esperienza
della libertà civica delle singole póleis era ormai superata e, dopo la
costituzione dell’impero di Alessandro e dei suoi successori, assolutamente
irripetibile; non si era persa quella libertà intellettuale e quella
creatività, che aveva contraddistinto il genio dell’uomo greco nei secoli precedenti.
La Grecia aveva perso la sua stabilità
economica e subiva la concorrenza economica dei regni orientali, che
l’impoverivano.
Nel 290 le poleis greche tentarono di riguadagnare l’indipendenza, unendosi in
istituzioni di tipo federale come la Lega etolica e la Lega achea
280.
Entrambe le leghe cercarono di porre
fine al dominio macedone, ma la crescente potenza acquisita dalla Lega achea,
la spinse ad ottenere il controllo della Grecia: guidata da Arato di Sicione, entrò in conflitto con
Sparta, in una guerra in cui si appellò alla potenza macedone per avere ragione
della resistenza spartana, che infine fu piegata, ma a costo di consolidare
definitivamente la dipendenza della Grecia dalla Macedonia.
La
cultura ellenistica –
I regni ellenistici portarono in Oriente ed in Egitto la cultura greca.
Quest’espansione politica e culturale rappresentò per il mondo greco-macedone
un momento di forte crescita economica, grazie alla circolazione di grandi
quantità di metallo prezioso, bottino conquistato nelle guerre persiane.
Nuove città furono fondate, altre
preesistenti furono rifondate o abbellite: le più importanti furono Pergamo in
Asia Minore, Antiochia in Siria e, soprattutto, Alessandria
(fondata dallo stesso Alessandro Magno nel 332) in Egitto.
L’Egitto
ellenistico, sotto i Tolomei,
conobbe una nuova fase di prosperità e di ricchezza. I Tolomei utilizzarono le
loro ricchezze per richiamare a corte poeti, eruditi, artisti e scienziati, ed
Alessandria diventò il massimo centro economico, culturale e religioso di tutto
il Mediterraneo. Crocevia di razze, lingue, merci di ogni provenienza, i
Tolomei fondarono ad Alessandria una grande biblioteca,
presso la quale prosperarono parimenti le discipline scientifiche e quelle
umanistiche, ed il Museo, un
importante istituto di ricerca in cui letterati, astronomi, matematici, medici,
dove potevano dedicarsi ai propri studi a spese dello Stato.
Centri culturali ragguardevoli furono
anche:
·
Rodi,
sede di un’importante scuola oratoria;
·
Antiochia,
capitale del regno di Siria e sede di una grande biblioteca, in competizione
con Alessandria
·
Pergamo,
sede di un’importante scuola di scultura.
Questa nuova cultura greco-orientale è
giunta a noi attraverso Roma, Bisanzio e l’Islam. Questa è la più importante
eredità di Alessandro: a lui si deve, se la civiltà greca ha esercitato una
così forte influenza su tutta la cultura occidentale, perché fu Alessandro che
ne promosse la sua divulgazione attraverso l’ellenismo.
Le aristocrazie urbane di questi regni
utilizzavano il greco come lingua comune dell’economia e della tecnica, perché
il commercio era praticato soprattutto da mercanti greci che svilupparono anche
il credito e il sistema bancario; l’oro e l’argento furono utilizzati per
coniare nuove monete, le quali favorirono gli scambi commerciali praticati su
larga scala dalla Scizia meridionale, attraverso il mar Nero e il Mediterraneo,
fino alle coste celtiche e a Cartagine.
Ciò ebbe un’importanza enorme nella
diffusione della cultura greca. Ogni popolo continuò a mantenere le proprie
tradizioni e i propri valori, ma la cultura adottata dai gruppi sociali più
ricchi fu quella greca.
Le città furono costruite secondo i
modelli greci: con teatri, palestre, terme, ippodromi, biblioteche, templi e
altari. In queste grandi città, da Alessandria a Tiro, da Antiochia ad Atene,
poeti, storici, matematici, ingegneri, astronomi scrissero e pubblicarono le
loro opere in greco.
L’arte e la letteratura si
svilupparono attraverso la combinazione di elementi greci e di tradizioni
locali. Sorsero anche nuovi generi letterari, grazie a poeti come Callimaco,
Apollonio Rodio e Teocrito:
·
il
mimo, breve composizione teatrale di
argomento comico;
·
l’idillio, poema di argomento pastorale;
·
il
romanzo d’avventura e d’amore;
·
la
novella;
·
la
favola, d’origine orientale, tradotta
in greco da Esopo (VI secolo) .
Il settore scientifico ebbe un grande
sviluppo, vi furono studiosi di grande rilievo nel campo della matematica,
della geometria, dell’astronomia e della medicina, come Euclide, Archimede, Apollonio di Perge, Eratostene, Aristarco di Samo, Ipparco di Nicea, Erone di Alessandria.
Molte conoscenze trasmesseci in lingua
greca dagli studiosi dell’epoca erano tuttavia frutto di studi e ricerche
precedenti.
Anche nella scultura e nella pittura
si ebbero alcune novità. La scultura in particolare tentò di rappresentare i
sentimenti e le emozioni dell’uomo, ma riuscì anche a cogliere momenti della
vita quotidiana, raffigurati con grande realismo.
Infine, l’influenza greca e la
diffusione in tutto il mondo orientale di una base culturale comune,
modificarono anche la vita religiosa. Ebbero un’enorme diffusione i culti
legati a divinità come Dioniso e Orfeo, i quali davano a tutti la speranza di
una vita oltre la morte.
Molto viva fu anche la speculazione
filosofica con pensatori come Epicuro e Zenone.
L’età ellenistica fu un periodo
fiorente per le arti, le lettere e le scienze: Alessandro aveva fondato città
greche in tutto il vicino Oriente, così la cultura greca non solo fu diffusa,
ma profondamente assimilata nelle culture delle varie regioni. Questo creò
spesso tensioni fra le popolazioni dell’ex impero alessandrino che spesso si
dividevano tra filo-greci e tradizionalisti. Non tutti i popoli furono capaci
di conservare le loro tradizioni di fronte all’influenza greca. Comunque
l’influenza culturale tra Grecia ed oriente fu reciproca, per questo l’Oriente
si impose nel campo religioso, gli Egiziani in campo filosofico e scientifico.
Ma il quadro politico rappresentato
dai regni ellenistici era destinato a mutare sotto la spinta dell’emergente
potenza di Roma.
La
fine del mondo etrusco - Durante
il III secolo le città stato etrusche furono coinvolte nella lotta contro la
potenza romana. Prive di una forte identità nazionale le superbe città-stato,
non riuscirono a coordinare una resistenza efficace, e furono così sconfitte
una ad una.
Con la perdita dell’indipendenza
politica si concludeva il ciclo di un antico popolo che per secoli aveva
primeggiato, per cultura e per ricchezza, nel bacino del Mediterraneo
occidentale.
La
grecità italica – Logica
conclusione delle guerre sannitiche
fu per Roma lo scontro con le città magno-greche del sud d’Italia.
La richiesta d’aiuto di Turi contro i
Lucani, la città magno-greca, governata da un’oligarchia in crisi, minata dalla
presenza di movimenti democratici, fu la molla che portò alla guerra contro
l’intera compagine greca.
Roma intervenne nelle questioni
interne di Turi, incontrò l’opposizione di Taranto con cui aveva firmato
un trattato di non interferenza nel 303.
Di lì a poco scoppiò la guerra tra le
due città nel 282. Taranto chiese contro i Romani, a loro volta intervenuti in
aiuto di Turi, l’intervento di Pirro,
re dell’Epiro, una regione della Grecia nord-occidentale, che nel 280 sbarcò in
Italia con 30 000 uomini e 20 elefanti.
I Romani furono inizialmente
sconfitti.
Quando Pirro intervenne in Sicilia a
favore delle città greche contro i Cartaginesi, la guerra riprese e terminò con
la vittoria romana nel 275 nella battaglia di Maleventum, nome che fu allora trasformato dai
Romani in Beneventum.
Pirro (dopo un conflitto lungo e logorante) tornò nel 275.
Il risultato del conflitto (280-275)
fu la sottomissione della Magna Graecia a Roma.
Per la prima volta, Roma si farà
sentire anche oltre gli angusti confini del mare Adriatico e la sua fama giunge
fin nei territori della compagine ellenistica, riconobbe in Roma una grande
potenza internazionale.
In questi anni Roma inizia una propria
attività di monetazione, smettendo di utilizzare per le proprie transazioni
commerciali le monete di altri paesi: un altro segno della sua crescente
importanza e della sua apertura ad un più ampio orizzonte economico e
culturale.
L’espansione
di Roma nella penisola -
Dopo aver combattuto l’invasione dei Galli a nord ed aver conquistato l’Italia meridionale, sconfiggendo i Sanniti
ed occupando Taranto
e la Magna Grecia, Roma
esercitava ormai il suo potere fino allo stretto di Messina, secondo
ordinamenti diversi:
·
i
municipi avevano autonomia amministrativa, ma dovevano fornire truppe e
pagare un tributo, solo alcuni avevano i diritti politici;
·
le
città federate, liberamente alleatesi con Roma, avevano autonomia
amministrativa, non pagavano tributi, ma non avevano diritti politici e
dovevano fornire le truppe;
·
le
colonie, pratica consistente nel trasferire in veste di coloni alcuni
dei propri abitanti sui territori sottratti ai vinti, se gli abitanti erano
Romani avevano diritti civili e politici, mentre se gli abitanti erano Latini
avevano gli stessi diritti delle città federate.
Lo
scontro Roma-Cartagine – Giunta
al culmine del suo apogeo economico e politico, Cartagine, che aveva acquisito
il monopolio commerciale nel Mediterraneo imponendo che le navi
commerciali potessero approdare solo a Cartagine e non nelle sue colonie, si
vide sulla strada la potenza crescente dei Romani che miravano ad impadronirsi
della Sicilia. Cartagine avvertì subito la pericolosità dell’avversario e
l’urgenza di contrastarlo ad ogni costo.
Conquistata l’Italia meridionale, Roma
si trovò a confronto con Cartagine, che dominava nel Mediterraneo
occidentale, possedendo parte della Sicilia e colonie in Sardegna, Corsica,
Spagna e Baleari. A causa degli intralci reciproci nei traffici commerciali, a
lungo andare, la convivenza di queste due grandi potenze, che erano state
alleate, subì una rottura.
Lunghi conflitti opposero allora Roma
e Cartagine tra il III e il II secolo, al cui termine Roma cominciò l’ascesa a
massima potenza del Mediterraneo. La terza guerra si concluse addirittura con
la completa distruzione della città africana.
Lo scontro tra Roma e Cartagine durò
più di cento anni e subito tutti si resero conto che il risultato avrebbe
deciso le sorti di tutto il Mediterraneo occidentale. Per questo, le guerre
romano-puniche assunsero dimensioni drammatiche, poiché c’era in gioco la
sopravvivenza stessa delle due potenti città e civiltà da esse scaturite.
Dal 510 al 306 Cartagine aveva stretto
con Roma tre patti di collaborazione, mantenendo intatti i traffici, dando aiuto
ai romani nei porti, aiutandosi a vicenda in caso di aggressione da altri
popoli, non costruendo città in Sardegna.
I primi rapporti tra le due città
furono di tipo amichevole: nel 508 fu stipulato un trattato di navigazione e di
commercio con cui entrambe le potenze si impegnavano a limitare le espansioni
l’una a danno dell’altra. Questo trattato fu rinnovato nel 348 e nel 306,
definendo ancora più precisamente le rispettive zone di influenza.
La rottura avvenne nel 264 quando i Mamertini
di Messina chiesero l’intervento dei Romani per difendersi dai Cartaginesi.
Roma inviò così un esercito, guidato dal console Appio Claudio, contro Cartagine
e il suo alleato Gerone II di Siracusa, che però dal 263 passò dalla
parte dei Romani.
La prima guerra sferrata da Roma
contro Cartagine (265-241) mirava alla conquista della Sicilia, secondo un
disegno strategico militare ed economico. Cartagine non seppe prevedere il
pericolo romano, né contrastarlo con tutta l’energia necessaria, dovendo anche
combattere contro le città della Magna Grecia, ed affrontare le sollevazioni
indipendentiste in Africa che cominciavano a guardare con favore l’Impero romano
nascente.
Decisiva per l’esito della guerra fu
la capacità dei Romani di fronteggiare la tradizionale superiorità navale di
Cartagine. Nel 260, grazie all’uso dei corvi (ponti mobili che
permettevano di agganciare le navi nemiche), la flotta romana comandata da Caio
Duilio sconfisse quella Cartaginese a Milazzo.
Dopo il fallimento della spedizione in
Africa di Attilio Regolo nel 256, che fu fatto prigioniero ed ucciso, i
Romani, al comando di Lutazio Catulo, colsero la vittoria decisiva alle
Egadi nel 241, costringendo i Cartaginesi ad evacuare la Sicilia e a pagare una
forte indennità di guerra.
La Sicilia, tranne il
territorio di Siracusa, divenne la prima provincia romana; nelle province che
dovevano pagare un tributo, ogni tipo di potere e amministrazione era nelle
mani dei Romani che vi inviavano ex consoli (proconsoli) o ex pretori
(propretori).
Da questo momento le costanti nella
politica cartaginese furono due:
·
guardare
al nuovo colonialismo con favore contro l’antico;
·
affrontarlo
nella divisione e nel tradimento dei capi l’un l’altro, fomentato dai nuovi
conquistatori.
Oltre alla Sicilia, Roma s’impossessò
della Sardegna e cominciò la pirateria lungo le coste africane.
Nel frattempo, espulsi dalle isole, i
Cartaginesi si erano volti verso la Spagna. Sotto la guida di Amilcare,
Cartagine si riprese e costruì, assieme al successore, il genero Asdrubale, un
considerevole stato in Spagna. Fu fondata Cartagena, che sembrava richiamare la
leggenda della città punica. I Barca attuarono una politica più personale che
filocartaginese tra gli iberici.
Nel 238, a pace conclusa, i Romani
sottrassero ai Cartaginesi anche la Sardegna e la Corsica.
Prima di iniziare un secondo conflitto
con Cartagine, Roma conquistò la regione adriatica dell’Illiria (230-228), riducendola a un piccolo principato e
controllando così il canale d’Otranto.
Nel 226 i Cartaginesi firmarono un
trattato con i Romani in cui ci si impegnava a non superare il fiume Ebro.
Questo trattato costò l’indipendenza dei Celtiberi che furono combattuti da
entrambi. Intanto, Cartagine si rafforzava ed aveva un’economia sempre più
florida, mentre i Romani, in seguito ad un tentativo di incursione dei Galli,
affrontandoli, giunsero ad occupare Mediolanum (Milano), affacciandosi
sulla Pianura Padana nel 225.
La decisione di Annibale di attaccare Sagunto,
alleata di Roma, provocò nuovamente la guerra.
Nel 219 scoppiò la seconda guerra
punica: Roma riapriva le ostilità contro Cartagine per il possesso della Spagna
dove i Barca avevano cominciato a ricostruire un nuovo potente Impero. In un
primo momento, Roma subì soprattutto il genio di Annibale che inflisse pesanti
perdite agli eserciti romani. Prima che i Romani furono riusciti a mandare un
esercito in Spagna, Annibale invase l’Italia per via terra, con una
traversata delle Alpi, cogliendo vittorie al Ticino (218), al Trasimeno (217) e
soprattutto a Canne (216), ma senza riuscire a spaccare la confederazione
romano-italica. Nel frattempo, un esercito romano, comandato da Publio e Gneo
Scipione, impediva che dalla Spagna giungessero rinforzi ad Annibale, pressato
dalla tattica di logoramento di Quinto Fabio Massimo, eletto dittatore,
ma presto rimpiazzato dai consoli Lucio Emilio Paolo e Terenzio Varrone, che nel
216 ripresero il combattimento in campo aperto.
Nello scontro di Canne, in
Puglia, 30 000 dei 50 000 soldati romani rimasero uccisi; Annibale non poté
terminare la sua opera, più per l’opposizione politica in patria che per la
bravura dei Romani. Un esercito inviato in Sicilia espugnò Siracusa e la rese
tributaria di Roma (211); un altro in Macedonia combatté contro Filippo V
(prima Guerra macedonica) a scopo puramente difensivo (Pace di Fenice, 205
a.C.).
Quando Asdrubale, fratello di
Annibale, riuscì a portare in Italia un esercito dalla Spagna, fu sconfitto e
ucciso al Metauro (207).
Ma i Romani si assicurarono l’appoggio
dei Numidi che fu decisivo nell’ultima battaglia svolta sul suolo africano. A
contendersi il trono della Numidia, ci sono Siface contro Massinissa, tutti e
due innamorati di Sofonisba, figlia di Asdrubale, figlio di Giscone e che
finirà suicida.
Nel 206, Publio Cornelio Scipione,
chiamato l’Africano dopo la vittoria, subentrato al comando dell’esercito
romano in Spagna, colse una vittoria decisiva a Ilipa e invase l’Africa,
costringendo Annibale ad abbandonare l’Italia. La vittoria di Scipione a Zama,
nel 202 (determinante nella vittoria romana fu Massinissa, che salì al trono di
Numidia, sotto protettorato romano), e costrinse Cartagine alla resa,
all’abbandono di tutti i possedimenti europei e della Numidia e al pagamento di
una forte indennità di guerra.
Annibale governò, portando Cartagine
ad un certo benessere, ma Roma voleva Annibale e questi scappò prima in Siria,
formando un esercito che fu sconfitto, e poi in Bitinia, dove fu tradito e
preferì il suicidio nel 183.
Roma:
dall’espansione in Oriente alla terza Guerra punica – Con l’espansione romana in Illiria
del 229 e del 219 Roma passò ben oltre i propri stanziamenti e soppresse la
pirateria illirica che aveva reso l’Adriatico un mare pericoloso.
Con l’alleanza stipulata tra il Regno
di Macedonia e Cartagine, dopo la Battaglia di Canne, Filippo V di Macedonia era intenzionato a procurarsi uno sbocco sul
mar Adriatico. Il patto stretto tra Filippo e Annibale si proponeva
l’espulsione dei romani dal loro protettorato sulle coste orientali
dell’Adriatico.
Nel 214 il console Marco Valerio Levino guidò un piccolo
contingente militare romano sulla costa illirica e poi strinse un’alleanza con
la lega etolica, ostile a Filippo, e
con Attalo I re di Pergamo, che
voleva espandere il proprio regno nell’Egeo a scapito della Macedonia. La
coalizione riuscì così a contenere le mire espansionistiche del re macedone. La
guerra si esaurì da sola e si giunse alla pace di Fenice del 205: Filippo
ottenne uno sbocco sull’Adriatico.
Fra Roma e la Macedonia non correva
tuttavia buon sangue e la pace di Fenice
non era destinata a durare. Dopo la vittoria su Cartagine, Roma intervenne
ancora in Macedonia, per richiesta di Atene che chiedeva aiuto contro Filippo
V. I Romani dichiararono immediatamente guerra a Filippo, sebbene il Senato
incontrasse delle difficoltà a far accettare al popolo questa iniziativa.
Nel 200 iniziò così la seconda
Guerra macedonica. Tito Quinzio
Flaminino sbarcò con un esercito, ma Filippo rifiutò di dare battaglia e
tentò di negoziare. Flaminino richiese che il re macedone abbandonasse la
Grecia: era una pretesa impossibile, e Flaminino lo sapeva, la dichiarazione di
guerra fu la logica conseguenza. Nel 197 i Romani sconfissero Filippo nella battaglia di Cinocefale, costringendolo
a consegnare la flotta, a pagare un’indennità di guerra ed a riconoscere la
libertà alle città greche: al protettorato macedone si sostituì quindi quello romano.
Il re però non fu deposto, infatti il regno di Macedonia era utile ai Romani
per contenere le invasioni dei barbari verso la Grecia, che senza Filippo
sarebbe stata vulnerabile.
Nel frattempo Roma strinse alleanza con Attalo II (197-159)
reggente di Pergamo, combattendo insieme contro altri sovrani ellenistici, in
particolare contro Antioco III il Grande,
re di Siria, che premeva sui confini.
In seguito della sconfitta di Filippo
V di Macedonia ad opera dei Romani, Antioco invase la Grecia per rivendicare la
supremazia su tutti i domini di Alessandro Magno. Poiché Antioco III si
rifiutò di ritirare le sue truppe dalla Grecia liberata dai Romani, nel 191
Roma lo attaccò, sconfiggendolo alle Termopili. Nel 190 Lucio Cornelio Scipione
sbarcò in Asia e sconfisse le truppe siriache nella battaglia di Magnesia, ed Antioco III fu costretto a cedere i
territori in Asia Minore, a mandare ostaggi a Roma ed a pagare un’esorbitante
indennità di guerra.
Quando nel 171 salì al trono Perseo, figlio di Filippo V, profondamente
ostile ai Romani, si delineò un nuovo conflitto con la Macedonia. Dopo
tre anni Lucio Emilio Paolo sconfisse l’esercito macedone nella battaglia di Pidna, la Macedonia fu
divisa in 4 repubbliche che diventarono alleate di Roma. Perseo sfilò prigioniero
per Roma in un trionfo.
Nel
frattempo, molti a Roma, tra cui il senatore Catone, sostenevano la necessità
di abbattere definitivamente Cartagine.
Massinissa, re dei Numidi, provocava
Cartagine con saccheggi, fino al punto che ci fu la risposta dei punici,
contravvenendo agli accordi di pace con Roma: i Romani attendevano il momento
propizio e nel scoppiò la terza guerra
punica.
Nonostante Cartagine fosse ritornata
sui suoi passi, avesse consegnato ostaggi e pagato altri debiti, quando i
Cartaginesi seppero che tra le condizioni di pace c’era la distruzione della
città, vi si asserragliarono e resistettero. La città fu difesa casa per casa e
dopo sei giorni capitolò, nonostante il generale Asdrubale l’avesse difesa
valorosamente. Rasa al suolo, Cartagine continuò a bruciare per 17 giorni
consecutivi, infine, fu sparso del sale sul terreno per renderlo sterile.
Scipione Emiliano trasformò il suo territorio nella provincia d’Africa.
Due rivolte seguirono alla vittoria
romana in Grecia, quella di Andrisco in Macedonia nel 149 sedata solo
nel 146 da Cecilio Metello, e quella della Lega achea, sedata anch’essa
nel 146: il console Lucio Mummio espugnò e distrusse Corinto, radendola al
suolo dalle fondamenta e proibendo alla popolazione di tornare ad abitarvi,
dichiarando il luogo maledetto 146.
La ferocia romana si può interpretare
in due modi:
·
la
distruzione come un segnale di forza, un monito, una lezione che avrebbe dovuto
far capire una volta per tutte che non era più conveniente ritentare nuove
insurrezioni.
·
la
distruzione come fatto politico e commerciale perché, distruggendo Corinto e
Cartagine e ridimensionando Rodi, i tre più grandi centri commerciali del
Mediterraneo, Roma diventava la potenza marittima dominante.
La seconda guerra punica era stata
combattuta anche sul suolo iberico e parte di esso era stato conquistato dai
romani: i territori erano stati divisi in due province, l’Hispania citerior e l’Hispania
superior.
Le popolazioni iberiche al di fuori
del dominio romano erano ostili agli occupanti, mantenendo un
clima di continua guerriglia.
Fin dal 142 Cecilio Metello combatteva
nel nord dell’Iberia e aveva conquistato gran parte dei territori, ad eccezione
di alcune città: tra queste la più importante era Numanzia.
Nel 137 un esercito al comando del
console Caio Ostilio Mancino fu circondato e costretto ad arrendersi, e per
altri quattro anni la situazione non ebbe sviluppi.
Nel 133 Attalo III ultimo re di
Pergamo morì lasciando il regno in eredità ai romani, e il suo territorio
costituì la provincia romana d’Asia; nello stesso anno, dopo una lunga
guerriglia, Roma decise di inviare Publio Cornelio Scipione Emiliano in Spagna
per domare la resistenza di Numanzia: Scipione assediò Numanzia con una doppia
linea di fortificazioni, la città, ridotta alla fame, fu vinta, i suoi abitanti
furono fatti schiavi e la città fu distrutta. Iniziò la romanizzazione del
territorio spagnolo.
Con la caduta di Numanzia i romani
posero fine alle rivolte ed estesero il loro dominio in Spagna alle regioni del
nord.
Fu il termine del primo periodo di
espansione che vide i romani acquisire una netta supremazia nel Mediterraneo
trasformando profondamente le attitudini di uno stato che fino a un secolo e
mezzo prima estendeva i suoi domini alla sola Italia.
VII
MODULO
L’età
romana (146 – 31) – Il
periodo dagli anni delle riforme dei Gracchi fino ai primi imperi
personalistici di Mario e di Silla, arrivando a toccare l’inizio del consolato
di Pompeo, ruota essenzialmente attorno agli eventi interni, poiché le guerre contro
i nemici esterni hanno un’importanza marginale.
Roma fu impegnata in un gigantesco
sforzo di riassestamento organizzativo, conseguenza dei profondi mutamenti
sociali e strutturali introdotti dall’ampliamento territoriale dei decenni
precedenti.
Nel II secolo Roma da semplice
città-stato si trasforma in Impero a livello territoriale, economico, giuridico
e politico. Furono anni segnati dalla lotta per il potere tra due opposte
fazioni politiche: quella oligarchica senatoria e quella popolare.
In questo periodo, si assiste al
declino dell’oligarchia senatoria e all’affermazione progressiva di poteri
personalistici ad essa antagonistici.
Le trasformazioni interne e esterne
hanno determinato esigenze profondamente nuove nella gestione dello Stato.
Il Senato tenta in qualche modo di
‘aggiornarsi’ rispetto alla nuova situazione, per arginare il dilagare delle
forze antagonistiche e rimanere quindi l’istituzione centrale, ma appare
evidente l’impossibilità di tale cambiamento. Esso, infatti, finirebbe per snaturare
la sostanza stessa di un’istituzione che si basa sul principio di eguaglianza
tra pari e sul dominio, esercitato da questi nei confronti della società.
Roma che per sei secoli era stata
governata dal Senato, dal 110 a.C. passa nelle mani di uomini ambiziosi. Inizia
Caio Mario che per quasi dieci anni esercita un potere assoluto.
Dopo di lui è la volta di Silla, che
governa lo Stato fino al 78 a.C. Le sue riforme, miranti a rafforzare il potere
del Senato contro il partito popolare, furono poi annullate nel 70 dai consoli
Pompeo e Crasso. Entrambi avevano interesse a ottenere i voti dei plebei,
perciò ripristinarono molte leggi in loro favore.
Approfittando delle guerre interne ed
esterne di Roma, bande di pirati si erano stabilite sulle coste di Creta e
dell’Asia Minore. Infestavano il Mediterraneo con vere e proprie flotte da
guerra e procuravano danni gravissimi ai commerci di Roma. Nel 67 il Senato
affida a Pompeo il compito di reprimere la pirateria. Dotato di mezzi enormi e
di poteri straordinari, in soli tre mesi il generale romano spazza via i pirati
e distrugge le loro basi. Diventa così l’uomo più potente di Roma.
La
crisi della Repubblica -
Dopo le guerre puniche e la conquista della Grecia e dell’Oriente, a Roma
avvennero profondi cambiamenti.
La diffusione della cultura
ellenistica (molti artisti greci si stabilirono a Roma, mentre i ricchi romani
trascorrevano sempre più tempo in Grecia e in Oriente) mandò in crisi i valori
dei princìpi romani.
Dalla
crisi economica e sociale alla riforma dei Gracchi - L'incontro
con la cultura ellenistica, determinato dall'estensione dei domini romani sulla
Grecia, la Macedonia e parte dell'Asia Minore, fece sì che in Roma si
formassero due correnti: quella conservatrice di Marco Porcio Catone, che predicava
il ritorno agli antichi costumi e valori romani, e quella innovatrice del circolo degli Scipioni che, pur non rinnegando la tradizione
latina, vedeva di buon occhio la cultura greca alla quale cercò di adattare il
proprio patrimonio di conoscenze.
La classe dirigente
dei senatori aveva consolidato il suo potere durante le guerre, mentre le
classi medie si erano impoverite. Era poi emersa, in campo finanziario, la
classe dei cavalieri (ordine equestre) che reclamava i propri diritti di fronte
al senato. La grande ricchezza che affluiva dalle regioni conquistate permise
ai ricchi di comprare territori dell'ager publicus cioè confiscati ai
vinti e appartenenti allo Stato. Si diffusero il latifondo e la schiavitù
(anch'essa conseguente alle guerre); molti piccoli proprietari, impoveriti, si
trasferirono a Roma in cerca di miglior fortuna.
Un primo tentativo di
riforma fu attuato da Tiberio
Gracco, un patrizio eletto tribuno della plebe nel 133. La sua
proposta di riportare in vigore la legge che vietava di possedere più di 125
ettari di terreno pubblico e di ridistribuire quindi le parti in eccesso, fu
avversata dall'aristocrazia senatoria. Tiberio, ripropostosi alla carica di
tribuno, fu ucciso in un tumulto e i suoi seguaci condannati a morte. Di ciò risentirono
anche gli Italici, che si vedevano tolti i loro territori e che, non essendo
cittadini romani, non avevano diritto alle nuove distribuzioni. Molti di loro
si ribellarono ma furono puniti duramente.
Nel 123 fu eletto
tribuno Caio Gracco,
fratello minore di Tiberio, promotore di riforme ancor più radicali.
Innanzitutto cercò l'appoggio della classe equestre, facendo in modo che i
cavalieri fossero in numero maggiore dei senatori nei tribunali che giudicavano
i reati di concussione. Per ottenere il favore della plebe, promosse la
fondazione di nuove colonie e propose una Lex frumentaria che dava
diritto ai cittadini meno abbienti di ricevere grano a prezzo ridotto. Eletto
tribuno una seconda volta, chiese la concessione della cittadinanza agli
Italici. I senatori, contrari, si servirono del tribuno Livio Druso per contrastarlo.
Druso propose riforme
demagogiche (abolizione del canone d'affitto delle terre per i piccoli
proprietari, fondazione di nuove colonie) che offuscarono la popolarità di
Caio. In un clima di tensione e di conflitti interni, nel 121, il senato
approvò il Senatus consultum
ultimum, un provvedimento che conferiva ai consoli, tra cui Lucio Opimio avversario di Caio, i pieni poteri
perché provvedessero alla salvezza dello Stato con qualsiasi mezzo. Caio,
sentendosi ormai sconfitto, si fece uccidere da uno schiavo, mentre i suoi
seguaci (circa 3000) furono massacrati.
Dalla
Guerra giugurtina all’ascesa di Mario
- Sconfitti i Gracchi, l’oligarchia senatoria, cercando il favore dei cavalieri
e quello del popolo attraverso piccole concessioni, guadagnò prestigio.
Fra il 125 e il 118
Roma ridusse a provincia la Gallia meridionale. Poco dopo dovette intervenire
in Africa, in Numidia dove Giugurta aveva massacrato Romani e Italici residenti
a Cirta e aveva usurpato il trono di Aderbale, il quale aveva chiesto l'aiuto
romano.
Nel 111 iniziò la
guerra che si protrasse fino al 107, quando il comando fu affidato a Caio Mario, affiancato
dal questore Cornelio Silla.
Quest'ultimo riuscì a farsi consegnare Giugurta, che fu giustiziato. Al termine
del conflitto tutti gli onori furono tributati a Mario che fu rieletto console,
mentre Silla mal tollerò di non essere stato considerato.
Il potere di Mario fu
consolidato in seguito alla riforma dell'esercito in cui ammise anche volontari
nullatenenti ai quali assegnò una paga. Con questo esercito ben addestrato e
con nuove tattiche di guerra, Mario, eletto console dal 103 al 100, sconfisse i Cimbri e i Teutoni, popolazioni germaniche
che insidiavano i confini settentrionali. Nell'anno 100 il tribuno della plebe Lucio Apuleio Saturnino,
affiancato dal pretore Gaio
Servilio Glaucia, fece approvare una legge
che assegnava ai veterani dell'esercito di Mario alcune terre della Gallia
Cisalpina. Il senato, contrariato, concesse pieni poteri a Mario per liberarsi
dei due politici. Egli li fece uccidere e ciò irritò il partito dei popolari.
Mario lasciò la vita
politica e si recò in Asia.
La
questione italica e le guerre sociali – Il partito degli ottimati governò da
allora incontrastato per una decina d'anni.
Nel 91 ottenne il
tribunato Livio Druso, figlio
del precedente. Le sue proposte (promozione di alcuni cavalieri a senatori e
concessione della cittadinanza agli Italici) provocarono l'ostilità del senato
che lo fece uccidere.
Dopo questo fatto i
soci (da cui il nome Guerra sociale) Italici si ribellarono per ottenere
l'indipendenza da Roma. Molte popolazioni, guidate dai Marsi e dai Sanniti,
crearono uno stato federale italico con capitale Corfinio che fu detta Italica. I Romani richiamarono
Mario per combattere contro i Marsi, mentre le altre operazioni furono condotte
da Pompeo Strabone e Cornelio Silla, eletto console nell'88 a.C. Quando Roma
decise di concedere la cittadinanza a coloro che non si erano ribellati o
avessero deposto le armi, la lotta si affievolì ma l'esercito romano piegò
definitivamente la resistenza dei Sanniti solo nell'80.
Nel frattempo, il re
del Ponto Mitridate si preparava a guidare alla ribellione
tutti gli stati greci e asiatici soggetti a Roma. Il senato decise di inviare
in Asia Silla. Nello stesso tempo, il tribuno Sulpicio
Rufo, che proponeva di dividere gli Italici nelle 35 tribù già
esistenti e non di crearne delle nuove, fece votare questa proposta, insieme a
quella di mandare Mario in Asia, da senatori e cavalieri, i quali, non gradendo
Silla, le approvarono entrambe. Silla, contrariato, dopo aver sconfitto i
seguaci di Mario (che fuggì), marciò su Roma impadronendosene.
Nell'87 ottenne di
nuovo il comando delle truppe dirette in Oriente. In Grecia saccheggiò ed
espugnò Atene alleata di Mitridate. Mario, aiutato dal console Lucio Cornelio Cinna, a capo di un
esercito entrò in Roma massacrando i nemici del partito popolare. Un anno dopo,
nell'86 a.C. morì.
Silla, in Asia, vinse
Mitridate e, nell'83, tornò in Italia. Con l'aiuto di Gneo Pompeo, combatté i seguaci di
Mario e gli Italici, sconfiggendoli entrambi. Si fece quindi nominare dittatore
e iniziò una serie di feroci repressioni a danno di tutti gli avversari.
Confiscò diverse terre che andarono ai suoi soldati e si arricchì a spese dei
perseguitati. In politica interna restaurò il potere del senato, limitò quello
dei tribuni e dei cavalieri. Infine, nella sorpresa generale, abdicò alla
dittatura e si ritirò a Pozzuoli dove morì nel 78.
Alla sua morte le forze più
tradizionali ripresero il potere detennero il predominio politico in Roma,
mantenendo intatti i cambiamenti portati da Silla all’assetto istituzionale e
cercando di estirpare i germi rivoluzionari antioligarchici.
Questo Fino al 70, anno del consolato
di Crasso e di Pompeo.
L’ascesa
di Pompeo – Il giovane Gneo
Pompeo, già ufficiale di Silla, si mise in evidenza attraverso
tre imprese. Nel 77 ebbe ragione di Marco
Emilio Lepido che,
nell'Etruria e nella Cisalpina, aveva tentato di abolire la costituzione
sillana. In Spagna, nel 72, domò l'insurrezione dei Lusitani guidata da Quinto
Sertorio. In Italia, pose fine a una rivolta di schiavi guidata dal
trace Spartaco nel 73,
e già affrontata dal generale Marco
Licinio Crasso. Insieme a questo fu eletto console nel 70; allo
scopo di diminuire l'attività del senato, i due restituirono l'autorità ai
tribuni e il controllo dei processi ai cavalieri. Un altro uomo stava
emergendo, Marco Tullio Cicerone,
l'oratore che era riuscito a far condannare, per le molte ruberie, Verre, ex
governatore della Sicilia. Nel 67 Pompeo, al comando di una potente flotta,
vinse i pirati che spadroneggiavano nel Mediterraneo. Nel 66 Mitridate, il re
del Ponto, tentò una nuova offensiva contro Roma. Pompeo fu mandato in Oriente
e, dopo il suicidio del re, conquistò la regione, fece della Siria e della
Giudea due provincie romane e sottomise l'Armenia e la Bitinia.
Il
primo Triumvirato – Nel frattempo a Roma il partito dei popolari
appoggiava Gaio Giulio Cesare,
un aristocratico simpatizzante di Mario.
Un altro personaggio
raccoglieva seguaci, promettendo l'allargamento della cittadinanza, la
cancellazione dei debiti e la distribuzione di nuove terre, il sillano Lucio Sergio Catilina.
Sconfitto da Cicerone nell'ascesa al consolato nel 63 a.C., ordì una congiura.
Cicerone lo smascherò in una seduta senatoria (le famose 4 orazioni Catilinarie), costringendolo a
fuggire in Etruria dove poco dopo fu sconfitto e ucciso in battaglia. Rientrato
dall'Oriente, Pompeo sciolse l'esercito e rinunciò a instaurare una dittatura;
contestato dal senato per l'ordinamento dato all'Asia, si alleò con Cesare e
Crasso formando il primo
Triumvirato.
La
conquista della Gallia -
Il carattere di questo accordo fu soltanto privato, non istituzionale. Cesare
ottenne il consolato nel 59 e fece approvare la distribuzione di terre ai
veterani di Pompeo.
Nel 58 Cesare ottenne il governo della
Gallia Cisalpina e Narbonese. Arrivato in Gallia, costrinse gli Elvezi a
rinunciare alla Gallia Narbonese e poi affrontò e ricacciò indietro il principe
germanico Ariovisto al protettorato sugli Edui.
Da allora in poi Cesare non arresta
più la sua marcia, dirigendosi dapprima verso il Nord della Gallia, poi verso
la sua parte occidentale.
Nel 57, sconfitti anche Belgi e
Aquitani, riorganizzò l’intera Gallia in una nuova provincia.
Nel giro di appena due anni riesce a
occuparla completamente fino al Reno.
Nel frattempo a Roma la vita politica
si faceva sempre più confusa e violenta: i capi delle fazioni dei popolari e
degli aristocratici organizzano bande armate, e con esse si scontrano per le
strade con gli avversari politici, provocando sanguinosi disordini.
Nel convegno di Lucca del 56,
Cesare, Pompeo e Grasso si incontrarono una seconda volta, per rinnovare i loro
accordi e dividersi le province: Cesare si assicurò il comando in Gallia per un
altro quinquennio, Pompeo si riservò la Spagna e Crasso, anch’egli desideroso
di procurarsi la gloria militare come i suoi colleghi, scelse la Siria, e diede
inizio alla conquista del regno dei Parti, che sbaragliarono l’esercito romano
a Cana, in Siria nel 53 e Crasso fu ucciso.
Rientrato in Gallia, Cesare ricacciò
al di là del Reno alcune tribù germaniche che avevano tentato di valicarlo, e
per due volte sbarcò in Britannia, senza però soffermarsi sull’isola, costretto
a rientrare in Gallia per sedare la rivolta di Vercingetorige, re degli
Arverni. Nel 52 Vercingetorige si era messo a capo di una grande rivolta contro
Roma. In breve tempo molte tribù celtiche si unirono a lui. Cesare deve
ricorrere a tutta la sua abilità per domare l’insurrezione. Vercingetorige fu
infine sconfitto nel 51 ad Alesia, e
Cesare riuscì a pacificare l’intera Gallia nel 50, trasformandola in provincia,
che assorbì rapidamente la civiltà romana. Cesare potette così celebrare un
grandioso trionfo.
La
guerra civile e la morte di Cesare –
Cesare rimase in Gallia fino al 49, quando il
senato inviò un ultimatum con l'imposizione di abbandonare la provincia.
Varcato il Rubicone (il fiume che divideva la Cisalpina dall'Italia), Cesare
marciò verso Roma.
Era l'inizio della
guerra civile. Pompeo, con il senato, fuggì in Oriente cercando di organizzare
l'esercito. Lo scontro decisivo avvenne a Farsalo,
in Tessaglia nel 48. Cesare ebbe la meglio: Pompeo si rifugiò in Egitto presso
Tolomeo XIV, il quale, per ottenere il favore di Cesare, lo fece uccidere a
tradimento.
Giunto in Egitto,
Cesare affidò il trono a Cleopatra,
sorella di Tolomeo, della quale era divenuto l'amante. Nel 47 sconfisse Farnace, figlio di Mitridate; in Africa
e in Spagna vinse definitivamente la resistenza dei pompeiani fra il 46 e il
45.
Tornato a Roma, ormai
senza rivali, si dedicò a una serie di riforme economiche e sociali. Console
dal 48 in poi, nel 46 fu nominato dittatore per dieci anni e, all'inizio del
44, dittatore a vita. Tale somma di poteri provocò il risentimento di uomini
del suo partito.
Alle Idi di marzo del 44, durante una riunione del
senato, fu ucciso in una congiura dai repubblicani Bruto e Cassio.
Esordio
e ascesa di Ottaviano
– La successione a Cesare fu contesa da Antonio, generale di Cesare, e
Ottaviano, un giovane adottato da Cesare col nome di Gaio Giulio Cesare
Ottaviano.
Dapprima Ottaviano cercò di affrontare
il rivale ma, accortosi dell’opposizione del senato, fattosi nominare console,
si alleò con lui.
Per liberarsi del controllo del
Senato, Marco Antonio, capo dei sostenitori di Cesare, propose un’alleanza a
Lepido, comandante delle legioni della Gallia, e ad Ottaviano, pronipote di
Cesare che, nel suo testamento, Cesare aveva nominato erede.
Nel 43 nacque così il secondo
Triumvirato, composto da Ottaviano, Antonio e Lepido, che ebbe il compito di
elaborare una nuova costituzione.
Tutti i rivali di Cesare entrarono
nelle liste di proscrizione. Nel 42 le truppe dei tre sconfissero a Filippi, in
Macedonia, l’esercito di Bruto e degli altri uccisori di Cesare.
I tre triumviri si spartirono
l’Impero: Antonio ebbe la Gallia e l’Oriente, Lepido l’Africa Ottaviano, pur
restando in Italia, la Spagna.
In seguito allo scontro tra Ottaviano
e i seguaci di Antonio rimasti in Italia, fu stretto un nuovo accordo a
Brindisi nel 40 a.C., secondo il quale Antonio rinunciava alla Gallia. Lepido,
che aveva aiutato Ottaviano a togliere a Sesto Pompeo (figlio di Gneo) la
Sicilia, la Sardegna e la Corsica, pretese per sé la Sicilia.
Ottaviano, contrariato, gli tolse
l’Africa e lo espulse dal Triumvirato lasciandogli soltanto la carica di
Pontefice Massimo.
Ottaviano
e Antonio - Ottaviano
diventò il padrone dell’Occidente ed Antonio dell’Oriente. Antonio, si stabilì
nelle province orientali, dove si innamorò della regina Cleopatra, che gli mise
a disposizione le immense ricchezze del suo regno, dividendo con lui il potere.
Nel 37 Antonio la sposò, dimenticando il legame con Ottavia, sorella di
Ottaviano, e cominciò a farsi adorare come un dio, secondo il modello
orientale.
Ciò indignò Ottaviano, difensore degli
austeri valori romani, e, rinfacciando al rivale gli insuccessi contro i Parti,
indusse il senato a privare Antonio della sua carica e a dichiarare guerra
all’Egitto.
Ottaviano approfittò astutamente dei
sospetti che i Romani nutrivano contro Cleopatra, regina straniera, e riuscì a far credere che Antonio fosse
diventato un nemico di Roma.
Si giunse così allo scontro decisivo
avvenuto ad Azio, davanti alle coste dell’Epiro, nel 31: la flotta
egiziana fu sconfitta dal generale Agrippa, al comando della flotta di Roma, e
ciò costrinse Antonio e Cleopatra alla fuga ad Alessandria. I due, per non
cadere nelle mani del nemico, preferirono uccidersi alcuni mesi dopo, quando
seppero dell’arrivo delle truppe di Ottaviano.
Con il suicidio di Cleopatra, l’unica
dei Tolomei che parlasse la lingua egiziana, si concluse la monarchia dei
Tolomei e l’ultima fase storica di un Egitto indipendente. Le legioni di
Ottaviano invasero l’Egitto così l’ultimo regno ellenistico rimasto
indipendente divenne una provincia romana, posta direttamente sotto l’autorità
dell’imperatore rappresentato da un prefetto.
Scomparsi gli ultimi avversari in
grado di contrastarlo, Ottaviano rimase l’unico padrone di Roma, e si preparò a
trasformare la repubblica in un suo dominio personale, in un impero.
Ottaviano, rientrato a Roma nel 29, fu
accolto da trionfatore.
Con la vittoria di Ottaviano su
Antonio ad Azio, si tirarono le fila della confusa storia tardorepubblicana.
All’inevitabile sbocco autoritario sul piano del governo corrispose un
tentativo di restaurazione morale e religiosa che mirava a presentare
all’opinione pubblica più conservatrice il nuovo ordine in termini di
continuità con il vecchio.
Tra
Repubblica e Impero: il Principato di Augusto - L’ultimo secolo della Repubblica,
percorso da conflitti civili e instabilità politica, aveva messo in
evidenza l’inadeguatezza del sistema di governo romano.
Tutti sentivano il bisogno di una
pacificazione. La classe dirigente non ammetteva la cancellazione delle
istituzioni e considerava la monarchia assoluta come una negazione della
libertà.
Ottaviano comprese questa situazione:
la solidità del governo di Augusto (titolo ottenuto dal senato) fu determinata
dalla larga adesione del popolo al suo programma e dal senso di
riconoscenza per l’instaurazione della pace.
Augusto
princeps -
Dopo la vittoria di Azio contro Antonio, Ottaviano cercò di consolidare il suo
potere, evitando atti che potessero farlo sospettare di aspirare al dominio
assoluto. Nel gennaio del 27 a.C. il senato gli confermò le funzioni precedenti
e gli conferì un potere militare, l’imperium decennale e il governo di
un certo numero di province; ricevette inoltre il titolo di Augusto, termine che indicava l’autorità
quasi sacra, sottolineandone la dignità) e onorificenze simboliche.
Dal 31 al 23 a.C. fu ininterrottamente
console, non potendo avere il consolato a vita, si fece assegnare, nel 23 a.C.,
un nuovo tipo di imperium, detto imperium proconsulare maius et
infinitum. In particolare questo potere fu conferito dal Senato ad Augusto
insieme alla tribunicia potestas a vita.
Si trattava di un imperium maius
perché era superiore a quello di tutti gli altri proconsoli, e infinitum
in senso spaziale e temporale, perché non limitato a una sola provincia e non
predeterminato nel tempo e sull’esercito, superiore a quello dei proconsoli; la
tribunicia potestas, cioè la totalità dei poteri dei tribuni, con
diritto di veto e facoltà di proporre e far approvare le leggi che egli stesso,
come princeps senatus, capo del senato, aveva il diritto di votare per
primo.
Nel 23 a.C. erano dunque poste le basi
costituzionali del Principato; altre connotazioni essenziali del nuovo regime
prenderanno corpo in seguito, per esempio il pontificato massimo nel 12
a.C. alla morte di Lepido e il titolo di padre della patria, nel 2 a.C.
In campo militare Ottaviano
ridusse il numero delle legioni a 28, dalle 60 delle guerre civili, e costituì
una guardia personale del principe, la guardia pretoriana, comandata da
due prefetti equestri. Il collocamento in congedo dei veterani richiese la
fondazione di colonie e l’istituzione di una cassa apposita, l’erario militare
(6 d.C.).
In politica estera il
principato di Augusto fu il più travagliato da guerre di quanto non lo siano
stati quelli della maggior parte dei suoi successori: furono, infatti,
coinvolte quasi tutte le frontiere, dall’oceano settentrionale fino alle rive
del Ponto, dalle montagne della Cantabria fino al deserto dell’Etiopia, in un
piano strategico preordinato che prevedeva il completamento delle conquiste
lungo l’intero bacino del Mediterraneo ed in Europa, con lo spostamento dei
confini più a nord lungo il Danubio e più ad est lungo l’Elba. Le campagne di
Augusto furono effettuate per consolidare le conquiste disorganiche dell’età
repubblicana, che rendevano indispensabili numerose annessioni di nuovi
territori. Mentre l’Oriente poteva restare più o meno come Antonio e Pompeo lo
avevano lasciato, Augusto rafforzò i confini settentrionali dell’Impero con una
serie di campagne militari e con l’istituzione di nuove province l’Europa fra
il Reno ed il Mar Nero necessitava una nuova riorganizzazione territoriale in
modo da garantire una stabilità interna e, contemporaneamente, frontiere più
difendibili: il Norico, parte dell’Austria, la Pannonia, attuale
Ungheria, la Mesia, (tra il Mar Nero e i Balcani, e la Rezia,
Trentino Alto Adige e parte della Svizzera.
Il tentativo di penetrazione della Germania, fino
all’Elba, fu interrotto dall’insurrezione di tribù germaniche (9 d.C.) guidate
da Arminio. Il confine fu così stabilito al fiume Reno.
In campo amministrativo Augusto
riformò
·
il
sistema dei servizi (corpi di polizia, riscossione delle imposte,
censimenti periodici di tutta la popolazione),
·
l’amministrazione
della città di Roma con a capo il prefetto urbano, dell’Italia
(ripartita in undici regioni) e delle province (divise in imperiali,
ovvero quelle non pacificate e direttamente dipendenti dal principe, e senatorie,
sottoposte al governo del senato).
Il senato, pur avendo perso
importanza dal punto di vista politico, fu coinvolto nell’amministrazione
dell’Impero. Dal senato provenivano
·
i
proconsoli, amministratori delle province pubbliche,
·
i
comandanti degli eserciti,
·
i
curatores addetti alle opere pubbliche
·
il
praefectus urbi, il prefetto urbano, che esercitava poteri di polizia.
Solo i senatori più ricchi o i loro
figli potevano percorrere la carriera politica, il cursus honorum fino
alle cariche più alte, dalla questura al consolato.
Generalmente i consoli, dopo sei mesi
o meno, abbandonavano la carica, cedendo il posto a sostituti, i suffecti,
garantendo un ricambio che accontentava un gran numero di aspiranti.
Coloro che possedevano almeno 400.000
sesterzi, per diritto di famiglia o per concessione dell’imperatore, potevano
aspirare alla carriera equestre. I cavalieri potevano diventare praefecti
governatori e amministratori del fisco delle province imperiali. Potevano
inoltre aspirare alla carica di prefetto del pretorio, capo della
guardia personale del princeps, o alla prefettura in Egitto, provincia
considerata dominio personale di Augusto.
I comizi persero tutto il loro
potere, limitandosi ad acclamare i candidati scelti dal senato a sua volta
influenzato dalle decisioni del princeps.
Augusto creò anche una fitta rete
di funzionari con i quali controllava l’attività degli organi repubblicani
e governava le province imperiali. Essi erano nominati e dipendevano
direttamente da Augusto che dava loro anche una retribuzione, a differenza di
quanto avveniva per i magistrati della Repubblica che svolgevano i loro compiti
gratuitamente. La carriera dei funzionari prevedeva promozioni per i più
meritevoli che potevano anche aspirare a diventare membri del senato.
L’organizzazione
del consenso -
Ottaviano riuscì a creare attorno a sé un clima di consenso e di riconoscenza
per la pace che era finalmente tornata dopo anni di lotte intestine, di
persecuzioni tra avversari politici e di instabilità amministrativa.
Tale consenso fu anche frutto di una
incisiva attività propagandistica. Augusto si presentò come il restauratore
del vecchio ordine, degli antichi valori morali e religiosi.
Tali messaggi furono ampiamente
diffusi attraverso tutti i canali della comunicazione allora disponibili
(epigrafi, monete, oggetti d’arte e monumenti), oltre che dall’attività del circolo
di Mecenate.
Mecenate svolse un ruolo molto
importante nell’organizzazione della propaganda politica di Augusto. Egli aveva
compreso l’importanza dell’arte e della poesia presso l’opinione pubblica:
intorno a lui si raccolsero i principali intellettuali del tempo come Livio,
Virgilio, Properzio e Orazio. Mecenate li sosteneva con doni e aiuti finanziari
tratti dal suo ingente patrimonio, affinché potessero dedicarsi unicamente alla
loro arte. I poeti contraccambiavano celebrando nei loro versi lo stesso
Mecenate, Augusto e il suo programma politico. Eppure, il tratto più notevole
dei letterati riuniti attorno a Mecenate è che essi mantennero gran parte della
loro indipendenza e che nessuno di loro mise direttamente in versi l’epopea di
Augusto.
Grazie alla personalità di Mecenate, i
suoi amici poeti subirono la sua influenza a loro insaputa: a Mecenate non
interessava se essi si rifiutavano di cantare Augusto nei loro versi o se
qualche altro grande poeta non faceva parte del suo circolo. L’importante era
che in quei versi aleggiasse la restaurazione augustea nella serenità e
nell’equilibrio delle passioni con cui i poeti cantavano l’amore, la vita
semplice della campagna, l’odio per la guerra, le antiche favole del mito.
Inoltre, Augusto persegue un’azione
religiosa che si ispirava agli imperativi nazionali. Ossessionato dall’angoscia
della decadenza religiosa dei suoi concittadini e dall’urgenza di rimediarvi,
egli dà vita ad una rigida restaurazione religiosa, recuperando le forme
più tradizionali del passato, riproponendo il mos maiorum, cioè gli esempi tramandati dagli avi, le virtù di
semplicità, di purezza familiare, di incrollabile fermezza, di coraggio, su cui
era fondata la grandezza di Roma. Oltre
che dal ritorno ai culti arcaici, Augusto fece restaurare vecchi templi
in rovina e riorganizzò i collegi sacerdotali di cui egli stesso fece parte, fu
caratterizzata dalla nascita di forme di culto alla persona del principe che,
spontanee in Oriente, furono associate in Occidente e in Italia alla dea Roma.
Con questo proclamato nazionalismo, la restaurazione religiosa di Augusto
combatteva i culti orientali e i loro misteri
Il nuovo equilibrio garantì una
ripresa generale della vita civile e dell’economia; furono restaurati vecchi
edifici e ne furono costruiti di nuovi per abbellire la città di Roma. Sorsero
numerosi templi, basiliche, piazze e portici (il Pantheon, il teatro
di Marcello, l’Ara pacis[33]).
La
questione della successione -
Augusto si preoccupò di assicurare una trasmissione pacifica del suo potere.
Egli non avrebbe nemmeno diritto legalmente a designare un successore: sarebbe
spettato al senato designare il successore, ma grande importanza avevano ormai
acquisito anche i cavalieri e i funzionari imperiali.
A Roma, la soluzione imperiale era
quella prevalente perciò non sarebbe dovuto essere difficile per l’Imperatore
predisporre la propria successione. Il vero ostacolo a tale impresa fu
costituito tuttavia dalle molte guerre, che causeranno la morte di tutti gli
eredi putativi di Ottaviano, in particolare i nipoti Marcello, Gaio e Lucio. La
loro morte e gli scandali che coinvolsero la figlia Giulia allontanarono e
resero sempre meno praticabile la soluzione familiare e dinastica, che egli
aveva progettato.
Augusto pensò a una successione
ereditaria e, non avendo figli maschi, individuò possibili successori che
progressivamente adottò, ma ai quali egli sopravvisse. Fu pertanto indotto ad
adottare, nel 5 d.C. Tiberio appartenente alla potente famiglia dei
Claudi e figlio di primo letto della seconda moglie Livia e a conferirgli
riconoscimenti istituzionali quali la potestà tribunizia e l’imperium
proconsulare maius associandolo al governo imperiale e preparandolo
ad accogliere la sua eredità.
L’instaurazione nel 14 di un nuovo
sovrano, fu segnata subito dall’eliminazione dei molti rivali nella successione
al trono. L’Imperatore e la sua corte sono realtà troppo ambite perché vi si
rinunci facilmente. Inizia difatti una lotta spietata per la conquista delle
cariche più prestigiose dell’Impero, lotta che è segno della nuova temperie
assolutistica, che cova sotto l’immagine illusoria dell’antica Repubblica.
[1] Protostoria – La
protostoria è il periodo in cui si passa dalle piccole comunità neolitiche allo
Stato. Questo processo avvenne in tempi e luoghi diversi, dal quarto millennio
avanti Cristo per il vicino oriente, alla conquista romana per l’Europa
settentrionale.
[2] Scrittura
- La scrittura è la rappresentazione grafica di oggetti e idee con l’uso di
lettere o altri segni. I segni delle lettere sono annotazioni di suoni o gruppi
di suoni e sono raggruppati in alfabeti.
Dopo
la tradizione orale, con cui l'uomo cominciò a comunicare attraverso il linguaggio, l'oralità fu fonte di
trasmissione del sapere, essendo il mezzo di comunicazione più diffuso e facile
da usare, la scrittura è invece il primo modo di comunicazione tra i popoli ed
il primo mezzo usato per la conservazione e la trasmissione di dati.
[3] Religione
- Una religione è un insieme di credenze, riti, comportamenti, riconosciuto da
un gruppo di persone.
Sulla
definizione del termine vi sono notevoli diversità tra le proposte dagli
studiosi di cui si possono delineate due definizioni generali:
·
in senso stretto,
la religione si riferisce al rapporto tra l'uomo e una o più divinità.
·
in senso lato, la
religione è intesa come via di salvezza naturale e/o soprannaturale
La
religione comprende in ogni caso elementi che possono essere collocati su tre
livelli:
·
soggettivo: basato su credenze di natura filosofica, etica o
metafisica riguardanti il cosmo, l'uomo, la divinità;
·
oggettivo: basato su riti-culti privati o collettivi che devono
essere seguiti per garantire un adeguato legame tra l'uomo e la divinità;
·
sociale: basato su obblighi e divieti codificati e tramandati
nel contesto sociale che regolano i rapporti tra gli individui.
Alcune
religioni (ad es. Ebraismo Cristianesimo ed Islamismo) sono dette rivelate perché si ritengono depositarie
di una rivelazione e spesso adottano
dei testi sacri nei quali sono comprese tutte o parte delle rivelazioni
divine.
Un'altra
importante distinzione è quella tra religioni nazionali o etniche, diffuse
esclusivamente o prevalentemente all'interno di un determinato gruppo
etnico-sociale, e religioni universali, caratterizzate da una spinta
missionaria più o meno marcata.
[4] Arte - L'arte,
nel suo significato più ampio, comprende ogni attività umana che, poggiando su
accorgimenti tecnici e norme derivanti dallo studio e dall'esperienza, porta a
forme creative di espressione estetica.
L'arte
può essere considerata anche sotto l'aspetto di una professione di antica
tradizione svolta nell'osservanza di alcuni canoni codificati nel tempo.
Analizzando
la storia del concetto di arte nel corso del tempo esso subisce una
trasformazione graduale ma radicale.
Nel
periodo ellenistico iniziarono le prime classificazioni e le arti furono divise
in comuni e liberali, a seconda che richiedevano uno sforzo fisico o uno sforzo
intellettuale.
[5] Filosofia - La
definizione di filosofia è un problema filosofico di per sé, ma ancor più
problematica è la questione dell’inizio filosofico.
Se la filosofia indaga sé stessa, dove possiamo collocare la sua indagine? Si
tratta dello studio del significato e della giustificazione della conoscenza
del più generale aspetto delle cose.
La
conoscenza
è la consapevolezza e la comprensione di fatti, verità o informazioni ottenuti
·
attraverso
l'esperienza o l'apprendimento (a posteriori),
·
attraverso
l'introspezione (a priori).
La
conoscenza è l'autocoscienza del possesso di informazioni connesse tra loro,
che singolarmente hanno valore e utilità inferiori.
L'aspetto
sostanziale della conoscenza è che mentre l'informazione può esistere
indipendentemente da chi la possa utilizzare, e quindi può in qualche modo
essere preservata su un qualche tipo di supporto, la conoscenza esiste solo in
quanto esiste una mente in grado di contenerla. In effetti, quando si afferma
di aver esplicitato una conoscenza, si sta in realtà preservando le
informazioni che la compongono e parte delle correlazioni fra loro, ma la
conoscenza vera e propria torna a esser tale solo a fronte di un utilizzatore
che riassoci tali informazioni alla propria esperienza personale.
Fondamentalmente la conoscenza esiste solo in quanto esiste un'intelligenza che
possa utilizzarla.
Tornando
alla filosofia, essa è uno studio che è compiuto formulando linguisticamente i
problemi, offrendone la soluzione e giustificandola, ed usando procedure
rigorose per argomentarla. È inoltre lo studio dei principî primi e delle
ragioni ultime. Non avendo la filosofia un campo materiale d'indagine specifico
può essere considerata sia in chiave storica che sistematica, come madre delle scienze.
[6] Scienza - Per
scienza si intende quel complesso organico di conoscenze, ottenuto con un
processo sistematico di acquisizione delle stesse allo scopo di giungere ad una
descrizione precisa della realtà fattuale delle cose e di una verità condivisa.
Le
regole che governano tale processo di acquisizione di conoscenze sono
generalmente conosciute come metodo scientifico. In ambito moderno, gli
elementi chiave del metodo scientifico sono l'osservazione sperimentale di un
evento (naturale o sociale), la formulazione di un'ipotesi generale sotto cui
questo evento si verifica, e la possibilità di verifica dell'ipotesi mediante
osservazioni successive.
Settori scientifici si articolano in:
·
scienze
matematiche, fisiche e naturali
·
scienze sociali
·
tecnologia e
scienze applicate
·
geografia
·
linguistica
·
filologia
[7] Paleontologia – La paleontologia è la scienza che studia gli esseri viventi, vissuti
nel passato geologico e i loro ambienti di vita tramite il ritrovamento di
resti fossili, ossia di una qualsiasi
testimonianza di vita geologicamente passata, come resti di organismi o tracce
della loro esistenza.
[8] Senso estetico - è l’apprezzare qualcosa non perché serve, ma solo perché piace
[9] Lo sciamano
– La figura dello sciamano nasce nelle società primitive per risolvere
problematiche di base per la sopravvivenza di qualsiasi società, ovvero:
·
salute
·
riproduzione
·
sussistenza.
Secondo
queste società primitive erano gli spiriti ultraterreni a decidere le sorti e
quindi i problemi potevano essere risolti solo da un proprio simile che avesse
la capacità ed i mezzi per entrare in contatto con questi spiriti, per
affrontare quindi un viaggio
ultraterreno nel mondo degli spiriti, che potesse quindi trovare lì la
soluzione ai problemi. Lo sciamano è un ponte
tra il mondo terreno e quello ultraterreno.
Lo
sciamano, diversamente a quanto succede per il sacerdote o il re, non deriva da
un'istituzione, ma ha base empirica, possiede facoltà innate o trasmesse ed ha
un comportamento di carattere estatico, in trance è ponte fra le energie
spirituali e quelle terrene, un canale della volontà divina e delle forze della
natura che mette a disposizione dell'umanità attraverso l'amore e la
comprensione. Durante l'estasi si impadronisce di lui una forza: con questo
aiuto lo sciamano influisce sulla vita dei compagni.
Gli
Sciamani sono protettori della mitologia dei raccoglitori–cacciatori con un
ruolo fondamentale sull'evoluzione delle società di cui facevano parte. Le
regole fondamentali della pratica sciamanica sono il rispetto
dell'individualità e della libertà di ogni singolo individuo; divieto per lo
sciamano di nuocere a sé e agli altri, di mancare di rispetto alla Madre Terra e a qualsiasi espressione di
vita, nonché ricevere compensi in denaro.
[10] Anatolia -
La penisola anatolica (nel mondo antico l’Asia Minore, oggi la penisola turca),
manca di grandi fiumi. Nessun fiume è navigabile.
Alte
catene montuose circondano l'altopiano, quindi il clima è asciutto e
continentale con estati molto calde ed inverni freddi. Sulle coste la
vegetazione è di tipo mediterraneo; i monti sono molto boscosi.
[11] Città - Le
città sono insediamenti umani nei quali gli abitanti, oltre a coltivare le
terre circostanti, cominciavano ad avere occupazioni specializzate, e nelle
quali il commercio, l'immagazzinamento dei cibi ed il potere erano
centralizzati.
Secondo
questa definizione, le prime città di cui si ha notizia erano situate in
Mesopotamia, come Uruk e Ur, o lungo il Nilo, la vallata dell'Indo e la Cina.
Prima
di queste sono rari gli insediamenti che raggiungessero dimensioni
significative, sebbene ci siano eccezioni come Gerico.
[12] Stato – Lo
Stato è quel soggetto (ente sovrano,
originario ed indipendente) che comanda anche mediante l'uso della forza
armata, della quale detiene il monopolio.
Alla
parola Stato si riferiscono due concetti distinti:
·
Stato comunità:
popolo, stanziato su un territorio individuato, che è organizzato intorno ad un
potere centrale.
·
Stato governo:
quel potere centrale sovrano, organizzato in possibili differenti modi, che
detiene il monopolio della forza, e impone il rispetto di determinate norme
nell'ambito di un territorio ben definito.
Da
quest'ultima definizione emerge che lo Stato è anche un ente territoriale, in
quanto individuato da una porzione di territorio che è soggetta alla sua
sovranità.
·
Stato sovrano: lo
Stato è superiore ad ogni altro soggetto entro i suoi confini. Per essere tale,
la sovranità deve manifestarsi come "indipendenza" nei rapporti
reciproci; per tale ragione, allora, lo Stato è indipendente e sovrano; sovrano
al suo interno, indipendente nei confronti degli altri Stati. Lo Stato è
originario poiché i suoi poteri derivano solo da sé stesso e da nessun altro.
Con ciò si sostiene che esso non è subordinato ad altri soggetti e quindi è
indipendente e sovrano.
questi
poteri sono sostanzialmente
·
la sovranità
(esercitata attraverso i tre poteri pubblici Legislativo, Esecutivo e
Giudiziario)
·
il monopolio
della forza affinché vi sia un fondamento obbligatorio.
Lo
Stato si pone perciò in una condizione di necessarietà, ovvero é necessario che
esista un unico soggetto che imponga coercitivamente l'ordine e il quadro
giuridico entro il quale si svolge la vita dei cittadini e protegga l'interesse
di tutti, tanto quanto quest'organo sia controllato comunque sempre dallo
stesso popolo, tale che operi nei suoi interessi.
Numerosi
studiosi di politica hanno cercato di dare definizioni più precise del concetto
di Stato, cercando di enunciare anche le condizioni necessarie affinché esso
possa essere considerato tale.
Per
Max Weber per Stato si deve intendere «un'impresa istituzionale di carattere
politico in cui l’apparato amministrativo avanza con successo una pretesa di
monopolio della coercizione della forza legittima in vista dell’attuazione
degli ordinamenti».
Un'altra definizione è tentata da
Charles Tilly: «Un’organizzazione che controlla la popolazione occupante un
determinato territorio costituisce uno Stato se e in quanto si differenzia
rispetto ad altre organizzazioni che operino sul medesimo territorio; è
autonoma; è centralizzata; le sue parti componenti sono formalmente coordinate
le une con le altre».
[13] Impero - Un
impero è un insieme di regioni amministrate localmente da governatori, nel nome
di un imperatore. un impero è un grande stato multietnico governato da un
singolo centro.
Il
termine latino imperium indicava originariamente sia il potere sia il
territorio su cui tale potere veniva esercitato.
Impero
è però un concetto complesso che ha connessioni con la storia, la politica,
l’economia, il diritto, la linguistica.
In
realtà, più che un concetto, impero è un sistema di significati. A tale
proposito conviene partire con una definizione di Johan Galtung: “Un impero è
un insieme articolato di conquiste militari, dominio politico, sfruttamento
economico e penetrazione culturale”.
[14] Semiti - L'idea di una stirpe semita deriva dal racconto biblico sulle
origini della cultura conosciuta come ebraica. Secondo la Genesi Sem fu il padre degli Assiri, dei Caldei, degli Aramei, dei
Sabei e degli Ebrei. Anche i Cananei e gli Amorriti parlavano una lingua
appartenente a questo gruppo. Le lingue di questi popoli sono strettamente
correlate tra loro e formano appunto il ceppo linguistico semitico.
[15] Il Codice di
Hammurabi - Il codice di Hammurabi si può considerare, uno dei codici più
estesi di tutto il vicino Oriente.
L’amministrazione
della giustizia si basava su una serie di norme tramandate oralmente e
consolidate dall’uso.
Dalle
stele si ricava che la società babilonese era divisa in tre classi:
·
i nobili,
·
i dipendenti del
palazzo e i subordinati in genere
·
gli schiavi.
Il sistema penale sumero
prevedeva delle pene pecunarie o il risarcimento in natura, il Codice di
Hammurabi comminava facilmente la morte (il colpevole poteva essere bruciato,
impalato o annegato) e se si trattava di una vittima nobile, si applicava la
legge del taglione.
[16] La piramide
- La piramide fu un’evoluzione della mastaba, infatti, la più antica tra loro,
la piramide a gradoni di Djoser è una serie di mastabe sovrapposte. A
questa prima piramide ne seguirono altre, alcune abbandonate prima del termine
della costruzione.
Le
piramidi più famose sono le tre di cui non fu mai persa la memoria a causa
delle loro dimensioni, queste sono i monumenti funebri di Kheope, Khefren, cui
si deve anche la Sfinge, e Mykerinos. La piramide di Khufu, detta anche grande
piramide era considerata dagli antichi una tra le sette meraviglie del
mondo.
Tramontata
la teoria dell'utilizzo di migliaia di schiavi catturati in battaglia, per la
costruzione delle piramidi è accettato da tutti gli studiosi che queste
costruzioni sono state erette da operai specializzati, che vivevano nei pressi,
aiutati durante la stagione dell'inondazione da contadini che provenissero da
tutto l'Egitto.
Complessivamente
si contano più di cento piramidi, tra grandi e piccole, sebbene solo una
piccola parte sia tuttora in discrete condizioni.
Nelle
sepolture risalenti a questo periodo sono stati rinvenuti i primi esempi di
tecnica di imbalsamazione.
[17] La nuova religione - Il
culto di Aton, divinità solare forse
di origine semita, fu introdotto a Karnak durante il regno di Tutmosi II.
Diversamente
dalle altre divinità egizie Aton non
è rappresentato in forma antropomorfa, ma come un sole i cui raggi sono braccia
terminanti con mani, alcune delle quali reggono l'ankh, simbolo della vita.
Il
culto di Aton racchiudeva in sé il complesso politeismo egizio, perciò molti
studiosi preferiscono parlare di enoteismo
nel senso che Aton non fu l'unico dio, ma il dio supremo la cui venerazione
avrebbe potuto sostituire quella delle altre divinità.
Amenofi
IV, che assunse il nome di Akhenaton, non rinnegò il titolo di Horus vivente
e di Figlio di Ra e non fece alcun tentativo di cancellare l’infinità di
culti locali e neppure le principali divinità. La sua intenzione era quella di
porsi come principale intermediario tra l'umanità e la divinità (per questo si
veda l'inno di Aton principale testo sulla natura della nuova religione).
Comunque
si trattò di una rivoluzione che coinvolse solamente una ristretta
élite. Il popolo, che possedeva una sua religiosità fatta di divinità locali,
superstizioni e credenze ancestrali, non partecipava alle complesse cerimonie
che avvenivano nei templi e quindi fu coinvolto solo marginalmente nel
conflitto tra Amon e Aton, che si sviluppò tra clero tebano di Amon ed il
sovrano e la sua corte.
[18] Popoli del
mare – Con il termine Popoli del mare
si identifica un insieme di popolazioni, chiamate in documenti dell'antico
Egitto, Haunebu, cioè dietro le isole.
Il
primo accenno a queste genti compare in un'iscrizione del faraone Merenptah,
intorno al 1225, che ricorda la sua vittoria su una prima ondata di invasione,
nella quale avrebbe ucciso 6.000 nemici e fatto 9.000 prigionieri.
[19] La civiltà
Villanoviana - La più importante popolazione nella penisola italiana della
prima metà dell’Età del Ferro è convenzionalmente chiamata Villanoviana, da un
insediamento scoperto a Villanova, vicino a Bologna. Tale civiltà raggiunse il
suo culmine nella metà del VIII.
Dal
XII secolo si verificò un processo graduale di unificazione culturale, la cui
manifestazione principale rinvenuta è la diffusione di cimiteri di cremati,
trovati praticamente su tutto il territorio della penisola italica. Altre
caratteristiche comuni riguardarono il metodo di lavorazione della ceramica e
in seguito quello della lavorazione dei metalli, in particolare per la
produzione di lamine per secchie, elmi, gambali e l’uso di fibulae. Successivamente i Villanoviani fecero largo uso dei ricchi
giacimenti di ferro della Toscana, per utensili di uso quotidiano.
La
cultura villanoviana si diffuse dunque in tutta la costa orientale dell’Italia
fino a Rimini e si spinse in Toscana e nel Lazio. Gli archeologici distinguono
tra loro due gruppi principali:
·
i Villanoviani del nord, intorno a
Bologna, la cui civiltà fiorì dal VII al V sec. a.C.,
·
i Villanoviani del sud, in Toscana e nel Lazio settentrionale, diffusi in un’epoca
successiva, che subirono forti influssi orientali e in particolare greci
Gli
stanziamenti degli antichi villaggi, a poco a poco cominciarono a unirsi in
ricche e fortificate città, punti di accentramento di numerosissime famiglie, e
si cominciò ad abbandonare la tradizione della cremazione dei morti a favore
del nuovo metodo dell’inumazione, secondo il quale i morti erano deposti in
tombe a fossa. Contemporaneamente, si comincia ad osservare un esteso
diffondersi della lingua etrusca.
[20] La Polis -
La polis fu un modello di struttura tipicamente
greca che prevedeva l'attiva partecipazione degli abitanti liberi alla vita
politica. In contrapposizione alle altre città-stato antiche,
la peculiarità della polis non era tanto la forma di governo
democratica o oligarchica, ma l'isonomia: il fatto che tutti i cittadini liberi soggiacessero
alle stesse norme di diritto, secondo una concezione che identificava l'ordine
naturale dell'universo con le leggi della città. Queste erano concepite come un riflesso
della Legge universale preposta a governo del mondo.
[21] L’Egitto nei
secoli – Da allora in poi l’Egitto non riconquistò più l’indipendenza:
passò dalla dominazione Persiana a quella di Alessandro il Macedone e dei suoi
successori, a quella dei Romani, a quella dei Bizantini, a quella degli Arabi,
a quella dei Turchi e infine a quella degli Inglesi.
[22] Tirannide - Forma di governo nella quale il
potere di una sola persona, che assomma in sé le funzioni sovrane, si esercita
in modo arbitrario e incontrollato. Platone vide nella tirannide il vizio più
grave cui era esposto lo Stato e Aristotele la definì come la degenerazione
della monarchia. La tirannide si può verificare per difetto di titolo
(usurpazione) e per esercizio (violazione della giustizia).
[23] Autarchia – Il termine autarchia definisce un concetto di autosufficienza
economica, chiamato anche economia chiusa, in cui non sono presenti relazioni
commerciali con l'estero e l'ecosistema economico nazionale non è influenzato
dalle tendenze internazionali.
[24] Sinecismo - Processo in
forza del quale nell’antica Grecia le genti di centri sparsi si riunivano a
formare una polis. Il caso più famoso
fu quello di Atene.
[25] Oligarchia – L'oligarchia
è un termine di origine greca indicante il governo di un gruppo ristretto di
persone.
Nell'antica
Grecia il termine oligarchia indicava principalmente il governo di una classe
scelta in base al censo, invece che in base alla nascita, requisito essenziale
del governo aristocratico.
[26] Timocrazia - La timocrazia è una forma di governo nata nell'antica Grecia ed
introdotta ad Atene da Solone fu una soluzione di compromesso tra la volontà
dell'aristocrazia di essere ancora a capo della polis, e le istanze delle
classi emergenti.
La costituzione di Solone inoltre
introdusse forme di tutela dei ceti contadini più poveri, quali la
cancellazione della schiavitù per debiti.
[27] Democrazia – Il
termine democrazia deriva dal greco ed etimologicamente significa governo del
popolo.
Una
prima classificazione della democrazia può essere tra
·
democrazia
diretta, in cui il potere è amministrato direttamente dal popolo, come avveniva
nell'antica Grecia, dove i cittadini si riunivano nell'agorà (piazza).
·
democrazia
indiretta in cui il potere è amministrato da rappresentanti del popolo (il
parlamento).
La
democrazia trova una sua espressione storica nella ricerca continua per dare al
popolo la capacità di governare effettivamente. La democrazia si è diffusa
nella storia moderna. Nella millenaria evoluzione del concetto di democrazia ci
sono stati notevoli affinamenti dell'idea. Le prime definizioni di democrazia
risalgono all'antica Grecia e sono alquanto diverse da quelle usuali oggi.
Un
esempio è il principio aristotelico che distingue fra tre forme pure e tre
forme corrotte di governo:
·
monarchia
(governo del singolo),
·
aristocrazia
(governo dei migliori)
·
politeía (governo
di molti),
[28] Fratria - Raggruppamento di famiglie
discendenti da un reale o presunto capostipite comune, attestate presso molte
comunità greche, analoghe alle gentes latine. Verso il VI secolo a.C.
persero parte del loro carattere gentilizio, fondendosi con le tribù di cui
facevano parte. Avevano lo scopo di difendere la vita e i beni dei loro membri
e di rendere culto comune agli antenati.
[29] La falange – Queste formazioni sono costituite da grandi masse di uomini
perfettamente ordinati ed allineati e ciò fa sì che l’ideale dell’eroe che
combatte da solo e che compie gesta fuori dal comune, non paragonabili a quelle
dei semplici soldati, venga meno e che invece sia sostituito da quelli di
spirito di collaborazione, dove l’azione collettiva risulta più importante di
quella individuale.
[30] Ionia - Regione comprendente parte della costa dell’Asia minore (tra le città
di Smirne a nord e di Alicarnasso a sud) e le isole antistanti. Qui gli Ioni,
una delle più importanti stirpi dell’antica Grecia, provenienti verso l’XI
secolo dall’Attica e dall’Eubea fondarono i loro centri e avviarono il grande
processo della colonizzazione greca: tra i più importanti Mileto, Efeso,
Colofone, Samo e Chio.
[31] Nascita
greca del pensiero filosofico - Una
tesi molto diffusa vuole che l'origine della filosofia in Grecia sia dovuta ad
un preponderante influsso orientale. Contro questa spiegazione si schiera
Zeller, il quale mostra l’insostenibilità di questa tesi. Troppe sono infatti
le differenze fra il pensiero orientale e quello greco, per cui risulta
abbastanza chiaro che la filosofia in Grecia è da considerarsi un fenomeno
indigeno.
Presso
gli orientali non troviamo per esempio nessuna spiegazione naturalistica delle
cose, ma solo miti e cosmogonie; inoltre, mentre presso gli orientali il sapere
era monopolio della casta sacerdotale, in Grecia esso è libero perchè, come
abbiamo detto sopra, non esiste nulla di simile ad una gerarchia sacerdotale (i
cristiani dovranno infatti prendere l'impero romano come modello della loro
struttura gerarchica).
[32] Il Partenone
- Il primo edificio innalzato sull’Acropoli fu il Partenone, tempio di Athena
Parthenos, il monumento che Pericle volle fosse omaggio alla dea Athena
protettrice della città nel difficile momento dello scontro con i persiani,
anche un simbolo della potenza ateniese che dal periodo della guerra era uscita
vincitrice stabilendo la propria egemonia sulla Grecia.
Dai
resoconti finanziari desumiamo che la costruzione del Partenone fu iniziata nel
447 a.C. quando fu inaugurata la grande statua crisoelefantina, cioè in oro e
in avorio, la Athena Parthenos di Fidia, ma rimasero all’opera squadre di
scultori fino al 432 per completare la decorazione dei frontoni. Le fonti
antiche ci hanno tramandato i nomi di alcuni architetti: Iktinos, Kallikrates,
Karpion.
Fidia
fu nominato da Pericle episkopos,
cioè sovrintendente dei lavori del Partenone, comunque il tempio fu opera di
una equipe affiatata.
Lunga
e minuziosa fu la progettazione, durata almeno due anni (449 e 448 a.C.). Fu
usata, ristrutturandola e ampliandola la piattaforma del precedente tempio che
presentava già la disposizione prostila della cella, cioè con opistodomo
anteriore con quattro colonne distaccate tra le ante e la profondità del pronao
ridotta. Iktinos mantenne inoltre la divisione della cella in due settori, il
vano principale a ovest a tre navate con doppia fila di dieci colonne, il
secondo a est, a pianta quadrata, con quattro colonne che sostenevano il
soffitto. Iktinos, pur conservando questa pianta, dovette tener conto delle
proporzioni monumentali che Fidia prevedeva per la statua.
La
decorazione scultorea e pittorica ravvivava ed esaltava il tempio. Sobria
quella relativa alle modanature in marmo dotate di piccoli fregi con perle. In
quella del tetto predominava il motivo della palmetta. Contenuta anche la
cromia: poco azzurro, rosso, oro su alcune modanature e sui cassettoni
marmorei, con motivi geometrici o floreali stilizzati. Sfortunatamente ci sono
giunte in cattivissime condizioni le sculture del tempio, distribuite su
novantadue metope, su un fregio di centosessanta metri che girava
intorno alla cella e sui due frontoni.
Le sculture, in marmo a grana fina erano dipinte e arricchite da dettagli in
bronzo probabilmente dorato.
Le
metope sul lato occidentale rappresentata un’amazzonomachia, simboleggiante con ogni
probabilità la guerra contro i persiani. Del lato nord quasi nulla possiamo
dire, perché l’unica metopa leggibile è la trentaduesima: il tema era comunque
la guerra di Troia, con gli dei che assistevano alla lotta. La stessa
indecifrabilità presenta il lato orientale, rappresentante una gigantomachia. Le metope del lato
occidentale, meglio conservate, svolgono il tema della Lotta fra Centauri e Lapiti, chiara metafora della lotta tra la
bestialità e razionalità.
Il
lunghissimo fregio della cella, ideato da Fidia, rappresenta
in chiave realistica la processione delle
Panatenee, la maggiore festa civile e religiosa di Atene, che si svolgeva
in estate in onore della dea protettrice della città.
Anche
i frontoni sono in cattivo stato di conservazione.
Quello
orientale recava ai lati il Sole sul carro che sorgeva dal mare e Selene,
personificazione della luna, che con la sua quadriga vi sprofondava, al centro
la nascita di Athena; poco rimane anche di altre figure di divinità che
assistevano al prodigio.
Quello
occidentale raffigura la lotta fra Athena e Poseidone per il possesso
dell’Attica, con la partecipazione di divinità e i eroi.
Tutte queste sculture
convergevano a esaltare il capolavoro di Fidia, l’Athena Parthenos, il simulacro d’oro
e avorio, posto all’interno della cella, della dea simbolo del genio e della
libertà ateniesi. La statua era alta circa dodici metri ed erano stati
impiegati per la costruzione circa mille chili d’oro, le parti nude erano di
avorio, gli occhi di pietre preziose. La dea indossava una lunga veste, recava
sul petto una testa di gorgone d’avorio, aveva il capo coperto da un elmo
adorno al centro di una sfinge e ai lati di grifi. Nella mano destra reggeva
una Nike coronata d’oro, con la sinistra lo scudo rotondo decorato all’esterno
da una testa di gorgone e da un’amazzonomachia. Sulla spalla sinistra poggiava
la lancia. Una centauromachia ornava le suole dei sandali.
[33] L'Ara Pacis –
È una delle più alte espressioni dell'arte augustea e un'opera di profondo simbolismo,
che acquista significato nel quadro del passaggio storico dalla Repubblica
all’Impero.
La
sua costruzione fu votata dal Senato romano nel 13 a.C. per celebrare il
vittorioso ritorno di Augusto dalle province occidentali. Poiché la dedicatio del monumento fu celebrata il
30 gennaio del 9 a.C., il completamento dell'opera richiese tre anni e mezzo,
per realizzare la ricca e complessa decorazione, affidata a scultori attici
attivi a Roma nel I sec. a.C.
L'Ara Pacis è costituita da un recinto con
due fronti e due lati. Al centro dei lati più corti due aperture danno accesso
all'altare, sul quale venivano compiuti i sacrifici.
La
decorazione scultorea corre sui lati esterni e su quelli interni del recinto.
Quella
esterna si svolge su due fasce: la superiore reca un fregio figurato,
l'inferiore una decorazione vegetale a girali d'acanto. I girali si sviluppano
con simmetria rigorosa intorno all'asse disegnato dallo stelo verticale
dell'acanto e celano nel fogliame piccoli animali o si intrecciano con rami di
altre piante. L'intera composizione è sormontata dalla presenza di cigni ad ali
spiegate. La valenza simbolica dell'intero disegno e dei singoli elementi
allude allo stato aureo di natura e al ritorno di un'età di rinascita e
prosperità sotto la guida del princeps.
La
fascia superiore esterna del recinto rappresenta, sui lati nord e sud, una
processione. Sul fronte meridionale, compare Augusto a capo velato e coronato
di alloro, preceduto e seguito dai membri delle principali cariche sacerdotali
dello Stato: lo precedono i Pontifices
e lo circondano gli Augures mentre al
suo seguito si riconoscono i tre Flamines
maiores.
Il
significato della processione è oggetto di diverse interpretazioni: è possibile
che sia rappresentato il reditus di
Augusto, il suo ritorno a Roma dalle vittoriose campagne in Gallia e Spagna ed
i consoli e i massimi sacerdoti romani sarebbero rappresentati nell'atto di
accogliere il principe vittorioso, portatore di pace, prosperità e abbondanza.
Sullo
stesso fronte meridionale è ritratto Agrippa, amico, principale collaboratore e
genero di Augusto, morto durante la realizzazione dell’Ara Pacis. Agrippa apre
la sequenza dei familiari, concepita come un vero e proprio programma
dinastico. La successione dei congiunti è così sapientemente calcolata che
tutti gli imperatori romani, fino a Nerone, discendono dai membri della
famiglia Giulia qui raffigurati.
Altri
membri della famiglia imperiale, di minore spicco, compaiono sul lato
settentrionale del recinto. Qui la processione ritrae gli ordines sacerdotali dei Septemviri
epulones, addetti ai sacrifici cruenti, degli Augures e dei Quindecemviri
sacris faciundis, custodi dei libri
sibillini, esaurendo in questo modo la rappresentazione delle cariche religiose
più importanti dell’ordinamento romano.
Le
due fronti dall'edificio, ai lati delle porte, sono decorate nella fascia
superiore da quattro pannelli, due per ciascun lato.
Sui
pannelli del fronte occidentale sono rappresentati Enea che sacrifica una
scrofa ai penati, e Romolo e Remo allattati dalla lupa. Il primo motivo celebra
la discendenza della gens Julia, da
Enea e da suo figlio Julo, da cui prende il nome la famiglia di Augusto.
Il
pannello di sinistra è molto frammentario. In esso era rappresentata la lupa
che allatta Romolo e Remo alla presenza del dio Marte, padre dei gemelli, e del
pastore Faustolo. In questo modo l’Ara Pacis significava la doppia origine
divina dei romani e del principe: dal dio guerriero i primi, tramite i gemelli,
da Venere il secondo, tramite il pius
Enea.
Sul
fronte orientale il pannello di sinistra rappresenta la cosiddetta Tellus, secondo il motivo ellenistico
della terra fertile e dei suoi frutti, rappresentati dai due putti che le
siedono in grembo. La Tellus è
interpretabile come divinità polisemica, dalle molte valenze simboliche,
riassuntiva dei significati di pace e prosperità e assimilabile alle figure di
Gea, Venere e Rea Silvia. Ai lati due ninfe, una su un cigno, la seconda su un
drago marino. Del pannello di destra resta solo il frammento di una figura
femminile seduta sopra un trofeo d’armi: la dea Roma vincitrice, forse
affiancata dalle figurazioni di Honos
e Virtus.
l’Ara
Pacis accoglieva chi entrasse dalla via Flaminia con la rappresentazione della pax romana stabilita tramite l’imperio terra marique.
Anche
lungo le pareti interne del recinto si svolgono due fregi sovrapposti,
rappresentanti l'inferiore una palizzata in legno e il superiore una serie di
ghirlande di frutta e foglie.
L'altare
interno è la parte meno conservata dell'Ara.
ll'altezza della mensa rimane invece una figurazione di dimensioni ridotte,
dove si distinguono le vestali.
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