La Primavera è un dipinto a tempera su
tavola (203x314 cm) di Sandro Botticelli, databile all’incirca
nel 1482.
Realizzata per la villa
medicea di Castello, il dipinto è attualmente conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.
La Primavera è considerata il capolavoro dell'artista e faceva forse
anticamente pendant con
l'altrettanto celebre Nascita di
Venere, con cui condivide provenienza, formato e alcuni riferimenti
filosofici.
La Primavera fu dipinta per Lorenzo di Pierfrancesco dei Medici,
appartenente al ramo cadetto della potente famiglia fiorentina e cugino di
Lorenzo il Magnifico. La sua collocazione originaria era nel Palazzo Medici di Via Larga, dove rimase
prima di essere trasferita nella Villa di Castello accanto alla Nascita di Venere; con il riordino delle
collezioni fiorentine l’opera fu trasferita agli Uffizi nel 1919.
I critici sono discordi
sulla datazione. In ogni modo l’opera è stata sicuramente dipinta tra il
1477 e il 1482. Lightbrown ipotizzò una datazione immediatamente successiva al
rientro del maestro da Roma, nel 1482, coincidente con le nozze del
committente Lorenzo il Popolano con Semiramide Appiani.
In un ombroso boschetto,
sullo sfondo di un cielo azzurrino, sono disposti nove personaggi. Il primo
personaggio a sinistra dello spettatore è una figura maschile vestita con una
sola mantella rossa ed un pugnale, nell'atto di cogliere un frutto. Il primo
gruppo è rappresentato da tre figure femminili che danzano. Nella parte centrale
del dipinto è presente una donna con una veste rossa e blu, sopra di essa un
angelo ondeggia mentre è nell'atto di scagliare una freccia dal suo arco.
A destra sono presenti altre
due figure femminili: la prima è una donna con una veste decorata di fiori, la
seconda indossa semplicemente una veste con un velo e sembra nell'atto di
fuggire dalla figura maschile posta alle sue spalle.
Il suolo è composto da un
verde prato, disseminato di un'infinita varietà di specie vegetali e di un
ricchissimo campionario di fiori.
Nell'iconografia della Primavera, Botticelli esprime una
chiara rappresentazione dello stile del Rinascimento italiano, dove il recupero
della cultura classica si pone come elemento caratterizzante in tutte le arti.
Nell'opera, per certi aspetti
ancora di oscura interpretazione, è combinata la mitologia e l'iconografia
classica con la ricerca di nuove forme:
realtà e fantasia si scontrano per dare vita ad nuovo modo di concepire
l'arte.
Anche se possiamo
distinguere i tre diversi gruppi raffigurati nel dipinto, essi tuttavia si
dispongono su diversi piani prospettici, dando profondità ed una lieve
prospettiva alla raffigurazione.
La linea di disposizione
delle figure procede quindi come una “S”
disposta orizzontalmente: la prima figura è disposta lievemente più indietro
rispetto alle tre damigelle danzanti, mentre la figura centrale acquisisce il
ruolo di riferimento simmetrico rispetto a tutte le altre. L'artista sceglie di
porre in primo piano la figura centrale, facendo uso di un'accennata
prospettiva. Le ultime due figure sulla destra sono disposte in modo obliquo ed
orientate verso lo spettatore.
Il dipinto va letto da
destra verso sinistra.
Il primo personaggio presente è Zefiro, il
vento primaverile, mentre rincorre la sua amata, la ninfa Clori, divinità dei
fiori e della Primavera.
Al centro è
presente Venere, la dea della bellezza, posta dinanzi ad un cespo di
mirto, mentre allunga il braccio verso le tre Grazie poste alla sua
sinistra.
Cupido, la divinità dell'amore, aleggia sopra di lei, nell'atto di
scoccare la potente freccia, capace di far innamorare gli uomini e gli dei.
Le tre
Grazie, Aglaia (lo splendore), Eufrosine (la
gioia), Talia (la prosperità), nate da Zeus ed Eurinome, danzano
una carola.
A sinistra di queste ultime è presente Mercurio, dio
dell'eloquenza, del commercio e dei ladri, nell'atto di allontanare le nubi con
il Caduceo, bastone di araldo, sormontato da ali, con due nastri bianchi
attaccati.
Come per altri capolavori
del Rinascimento, la Primavera nasconde
vari livelli di lettura: uno strettamente mitologico, legato ai soggetti
rappresentati, la cui spiegazione è ormai accertata; uno filosofico, legato
alla filosofia dell'Accademia
neoplatonica e ad altre dottrine; uno storico-dinastico, infine, legato
alle vicende contemporanee ed alla gratificazione del committente e della sua
famiglia.
Mirella Levi
D'Ancona ha ipotizzato che il dipinto possa essere l'allegoria del
matrimonio tra Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici e Semiramide
Appiani; Botticelli lo avrebbe oltretutto eseguito in due momenti successivi,
perché l'opera era stata inizialmente commissionata da Giuliano de'
Medici in occasione della nascita del figlio Giulio, il futuro papa
Clemente VII, avuto con Fioretta
Gorini che egli avrebbe sposato in gran segreto nel 1478. Ma
Giuliano morì nella congiura dei Pazzi in quello stesso anno, un mese
prima della nascita del figlio, per cui il quadro incompiuto fu riciclato dal cugino qualche tempo dopo,
per celebrare le sue nozze, inserendovi il suo ritratto e quello della moglie,
che si diceva essere donna dall'estrema bellezza.
Il gruppo di destra
rappresenterebbe l'istintività e la passionalità notoriamente condannate dal
Neoplatonismo, perché portatrici di atteggiamenti irrazionali. I fiori presenti
nella scena alluderebbero a vari significati matrimoniali: fiordalisi,
margherite e nontiscordardime alludono alla donna amata, i fiori d'arancio
sugli alberi sono ancora oggi un simbolo di felicità matrimoniale, così come la borrana che
si vede sul prato.
In base ad altri ritratti,
dipinti da Botticelli o da altri artisti della sua cerchia, nei vari personaggi
della rappresentazione sono stai individuati vari esponenti di casa
Medici, ma trattandosi spesso di opere altamente
idealizzate, si possono fare per lo più semplici ipotesi, più o meno
suggestive.
La presenza di Flora sarebbe
pertanto un'allusione a Florentia e
dunque alle antiche origini della città. Le altre figure sarebbero città legate
in vario modo a Firenze: Mercurio-Milano, Cupido (Amor)-Roma, le Tre
Grazie Pisa, Napoli e Genova, la ninfa Maya Mantova, Venere
Venezia e Borea Bolzano.
L’opera è densa
di significati allegorici di difficile ed incerta interpretazione.
Tra le ipotesi più
accreditate c’è quella dell’interpretazione del regno di Venere. Il dipinto
sarebbe quindi la rappresentazione di Venere dopo la nascita, raffigurata
nell'altro celebre dipinto di Botticelli, durante l'arrivo nel suo
regno. Vi si narrerebbe come l'amore, nei suoi diversi gradi, arrivi a staccare
l'uomo dal mondo terreno per volgerlo a quello spirituale. In tal caso la scena
si svolgerebbe nel giardino sacro di Venere, che la mitologia collocava
nell'isola di Cipro, come rivelano gli attributi tipici
della dea sullo sfondo e la presenza di Cupido e Mercurio a
sinistra in funzione di guardiano del bosco. Le Tre Grazie rappresentavano
tradizionalmente le liberalità: la parte più interessante del dipinto è
tuttavia quella costituita dal gruppo di personaggi sulla destra, con Zefiro,
la ninfa Cloris e la dea Flora, divinità della fioritura e
della giovinezza, protettrice della fertilità. Zefiro e Clori
rappresenterebbero la forza dell'amore sensuale e irrazionale, che però è fonte
di vita – dalla loro unione nasce Flora – e, tramite la mediazione di Venere ed
Eros, si trasforma in qualcosa di più perfetto – le Grazie – per poi spiccare
il volo verso le sfere celesti guidato da Mercurio.
Per Panofsky la
Venere della Primavera sarebbe
la Venere celeste, vestita, simbolo dell'amore spirituale che spinge l'uomo
verso l'ascesi mistica, mentre la Nascita
di Venere raffigurerebbe la Venere terrena, nuda, simbolo
dell'istintività e della passione che ricacciano gli individui verso il basso.
Numerose sono le proposte di
lettura per le Grazie. Esse possono rappresentare tre aspetti dell'amore,
descritti da Marsilio Ficino: da sinistra, la Voluttà, dalla capigliatura ribelle, la Castità, dallo sguardo malinconico e dall'atteggiamento introverso,
e la Bellezza, al cui collo una
collana che sostiene un elegante prezioso pendente e un velo sottile che le
copre i capelli. Proprio verso di lei la quale Cupido sembra stare per scoccare
la freccia.
A parte le varie
interpretazioni possibili e proposte dai vari studiosi, rimane sicuramente il
significato prettamente umanistico dell’opera: Venere si identifica
con l’Humanitas che separa i sensi e
gli amori materiali a destra dai valori spirituali a sinistra. Per Humanitas si deve intendere quella
particolare concezione che promuove l’ideale di un’umanità positiva, fiduciosa
nelle proprie capacità e sensibile ai bisogni degli altri.
Tale concezione di origine
antica fu fatta propria dagli umanisti e dal circolo neoplatonico che gravitava
intorno alla corte dei Medici. Il Neoplatonismo fu una corrente filosofica ed
estetica che si rifaceva al filosofo greco Platone cercando una fusione con i
concetti più nobili del Cristianesimo. La concezione del bello e dell’amore
ideale ed assoluto tipica del Neoplatonismo
influenzò molto la cultura del tempo e lo stesso Botticelli.
Nell'opera sono leggibili
alcune caratteristiche stilistiche tipiche dell'arte di Botticelli:
innanzitutto la ricerca di bellezza ideale e di armonia, emblematiche
dell'umanesimo, grazie al disegno e alla linea di contorno. Ciò genera pose
sinuose e sciolte, gesti calibrati, profili idealmente perfetti.
L'ondeggiamento armonico delle figure, che garantisce l'unità della
rappresentazione, è stato definito musicale.
In ogni caso l'attenzione al
disegno non si risolve mai in effetti puramente decorativi, ma mantiene un
riguardo verso la volumetria e la resa veritiera dei vari materiali,
soprattutto nelle leggerissime vesti.
L'attenzione dell'artista è
tutta focalizzata sulla descrizione dei personaggi e in secondo luogo delle
specie vegetali accuratamente studiate, sull'esempio di Leonardo da Vinci che in
quell'epoca era già artista affermato. Minore cura è riservata, come al solito
in Botticelli, allo sfondo, con gli alberi e gli arbusti che creano una tinta
scura e compatta. Il verde usato, come accade in altre opere dell'epoca, doveva
originariamente essere più brillante, ma col tempo si è ossidato arrivando a
tonalità più scure.
Le figure spiccano con
nitidezza sullo sfondo scuro, con una spazialità semplificata, sostanzialmente
piatta o comunque poco accennata, come negli arazzi. Non si tratta di un
richiamo verso l'ormai lontana fantasia del mondo gotico, ma piuttosto dimostra
l'allora nascente crisi degli ideali prospettici e razionali del primo
Quattrocento, che ebbe il suo culmine nell’epoca di Savonarola (1492-1498) ed ebbe radicali sviluppi nell'arte del XVI
secolo, con un più libero inserimento delle figure nello spazio.
La Primavera è
dipinta con stesure ad olio su un fondo di tempera, la parte inferiore
corrispondente al prato e agli alberi è stesa su di una campitura nera
destinata a dare profondità al verde che vi è steso ad olio. Le figure del
cielo sono invece dipinte al di sopra di un fondo di biacca che ne evidenzia la
luminosità. L’opera è caratterizzata da diverse tonalità di colore chiaro
che si pongono in contrasto con lo sfondo in un gioco di luci ed ombre che
risalta i chiaroscuri. I dettagli naturalistici del prato, l’uso sapiente del
colore, l’eleganza delle figure, la poesia dell’insieme, hanno reso giustamente
celebre quest’importante ed affascinante opera.
Alfonso Iovino
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