venerdì 11 settembre 2015

Italiano classe I

I MODULO IL TESTO

I UNITÀ
Comunicazione - La comunicazione è un processo di trasmissione di informazioni, costituito da un soggetto che vuole far sì che il ricevente pensi, sappia o faccia qualcosa. Comunicazione significa far conoscere, render noto.
Comunicazione significa così sia il parlare quotidiano delle persone, sia pubblicità o pubbliche relazioni.
Il concetto di comunicazione comporta la presenza di un’interazione tra soggetti diversi: la comunicazione è infatti un’attività che presuppone una cooperazione che avviene in entrambe le direzioni. Se un soggetto può parlare a molti, senza la necessità di ascoltare, siamo di fronte ad una semplice trasmissione di segni o di informazioni: per questo, non si può parlare di comunicazione quando il flusso di segni e di informazioni sia unidirezionale.
Nel processo comunicativo degli esseri umani ci troviamo invece di fronte a due polarità:
·         la comunicazione come atto di cooperazione, in cui due o più individui costruiscono insieme una realtà e una verità condivisa;
·         la trasmissione, unidirezionale, senza possibilità di replica.
Per realizzare un atto comunicativo concorrono generalmente cinque elementi:
·         Emittente: la fonte delle informazioni effettua la codifica di queste ultime in un messaggio.
·         Ricevente: accoglie il messaggio, lo decodifica, lo interpreta e lo comprende.
·         Codice: parola parlata o scritta, immagine, tono impiegato per formare il messaggio.
·         Canale: il mezzo di propagazione fisica del codice (onde sonore o elettromagnetiche, scrittura, bit elettronici).
·         Contesto: l’ambiente significativo all’interno del quale si situa l’atto comunicativo.
Il processo comunicativo ha una natura bidirezionale, quindi il modello va interpretato nel senso che si ha comunicazione, quando gli individui coinvolti sono a un tempo emittenti e riceventi messaggi.
Il registro è il tono generale, lo stile e il tipo di lessico impiegati in un discorso, adeguati al destinatario del messaggio.
Se distinguono diversi livelli di registro:
·         Registro colloquiale. È un linguaggio molto simile a quello parlato quotidianamente in ambiti informali, fra amici e in famiglia.
·         Registro formale. È freddo, distaccato ed oggettivo, non esterna alcun sentimento interiore. Si usa, quando il destinatario è uno sconosciuto oppure un’autorità.
·         Registro medio. È tipico dei messaggi semplici, ma composti: è usato per intrattenersi con l’interlocutore senza badare troppo alla forma e senza esprimere familiarità con lui.
·         Registro solenne. È il linguaggio prestabilito, da usare in occasioni ufficiali. Segue un lessico preciso, previsto dal cerimoniale o dal galateo.

Comunicazione. Il testo. Il termine testo (dal latino textus = intreccio, tessuto) indica un insieme di parole, scritte o dette, strutturato in base alle norme di una lingua per comunicare un messaggio.
Per raggiungere il suo scopo, un testo deve essere:
·         comprensibile
·         completo
·         coerente.
Per essere comprensibile, occorre che il testo sia espresso in un codice linguistico noto a chi lo legge o lo ascolta.
Per essere completo, occorre che un testo non manchi di nessun elemento fondamentale del messaggio che intende trasmettere.
Es. Se in una stazione ferroviaria leggiamo o ascoltiamo dall’altoparlante l’annuncio: Il treno delle ore 11 per Parigi. Che cosa capiamo? Nulla, poiché al testo manca l’elemento fondamentale che ci dica che cosa fa il treno per Parigi delle ore 11: arriva? ritarda? parte? E’ stato soppresso?
Per essere coerente, occorre che un testo sia strutturato secondo un’organizzazione logica di pensiero: altrimenti non comunica nulla e perciò non ha alcuno scopo.
Es. Un testo che affermi: Le pantere sono solite esplodere nell’universo, essendo privo di coerenza logica, non ha valore comunicativo.

Comunicazione. Tipi di testo - Sul testo scritto si può individuare subito una prima fondamentale suddivisione:
1.    Testo letterario, scritto per costituire un’opera d’arte. Dopo aver deciso ciò che vuole comunicare, l’autore studia attentamente l’uso della lingua e dei suoi mezzi espressivi per raggiungere la forma  più adeguata e più ricca di significato, stimolando la sensibilità emotiva e la capacità interpretativa del lettore. Il testo letterario sorge dall’interiorità dell’autore, è una finzione che nasce dalla sua fantasia, anche quando riguarda la realtà, e dalla sua sensibilità, costituendo un’interpretazione personale dell’animo umano e del mondo. Per comprendere pienamente un testo letterario non basta conoscere il codice linguistico in cui esso è scritto, ossia il livello denotativo, poiché termini ed immagini si caricano di significati che vanno ben oltre il piano letterale, rendendo più ricco e complesso significato del testo, ossia il livello connotativo. Questi due livelli danno origine al fondamentale concetto di denotazione e connotazione[1].
2.    Testo non letterario, detto anche pragmatico o d’uso perché, è scritto per uno scopo pratico e privo d’intenti artistici. Si serve di un linguaggio ordinario, preciso, spesso essenziale ed univoco nel significato. L’attenzione di chi lo fruisce è completamente attirata dal contenuto che non necessita d’ulteriori e sottili interpretazioni. Il mondo in oggetto è quello reale, cose ed avvenimenti sono concreti. Per comprendere il testo non letterario basta la conoscenza del codice linguistico in cui è scritto ossia il livello denotativo.
I testi non letterari possono essere usati:
·         Per informare: descrivono com’è fatta una cosa.
Es.: un articolo di un giornale di moda, che descrive un abito.
·         Per esporre un argomento e per spiegarlo al destinatario.
Es.: una voce d’enciclopedia.
·         Per narrare un fatto
Es.: un articolo giornalistico di cronaca.
·         Per esprimere emozioni o giudizi
Es.: una lettera, un diario
·         Per spiegare e valutare opere letterarie o d’arte.
Es.: una recensione di un libro oppure un saggio critico;
·         Per prescrivere comportamenti e persuadere: dettano regole
Es.: un testo giuridico, oppure le istruzioni per l’uso di un apparecchio o di un medicinale.
·         Per argomentare (cioè sostenere con argomenti) un’opinione
Es.: un discorso politico, un articolo di fondo, un saggio di filosofia.

Riflessioni sulla lingua. La punteggiatura - La punteggiatura o interpunzione
·         indica le pause tra le frasi[2] o tra parti che compongono una stessa frase,
·         esprime rapporti di coordinazione e di subordinazione,
·         suggerisce il tono del discorso.
Un uso appropriato della punteggiatura è quindi importante, non solo dal punto di vista sintattico, ma anche dal punto di vista espressivo e stilistico.
La funzione della punteggiatura è di rendere chiaro il significato della frase e di rendere facile la lettura.
Sebbene ci sia un certo grado di arbitrarietà nella punteggiatura, ci sono alcuni principi che colui che scrive deve conoscere.
I segni d’interpunzione sono:
·         Il punto indica una pausa lunga e si mette alla fine di una frase. Se tra due frasi o tra due gruppi di frasi c’è uno stacco molto netto, dopo il punto si va a capo e si comincia un nuovo paragrafo.
·         La virgola indica una pausa breve, la più piccola interruzione nella continuità del pensiero o nella struttura della frase. I suoi impieghi sono molti e complessi: si usa nell’elencazione, negli incisi, tra la proposizione principale e vari tipi di subordinate ecc.
·         Il punto e virgola indica una pausa intermedia tra quella lunga segnata dal punto e quella breve segnata dalla virgola. Può dividere due o più frasi collegate tra loro ma troppo estese per essere delimitate da una semplice virgola.
·         I due punti introducono un discorso diretto, un’elencazione, una spiegazione. In alcuni casi hanno lo stesso valore di una congiunzione subordinante (causale).
·         I punti di sospensione indicano il tono sospeso, il discorso lasciato a metà (per reticenza, per convenienza, per un sottinteso allusivo), impiego decisamente sconsigliato nella comunicazione scientifica, oppure l’eliminazione di alcune parole o frasi nella citazione di un brano.
·         Le virgolette “...” delimitano un discorso diretto o una citazione. Per quest’ultima è meglio ricorrere ai segni «...». Talvolta sono usate per evidenziare una parola (ma, se si dispone dei caratteri in corsivo è meglio usare questi ultimi), oppure per sottolinearne un particolare significato o uso, diverso dal solito.
·         Le parentesi tonde e quadre: le prime delimitano le parole che si vogliono isolare in un discorso, le seconde sono usate per racchiudere parole o frasi che non fanno parte del testo ma che sono inserite per maggior chiarezza (ad esempio, nelle traduzioni). Nella scrittura scientifica le parentesi tonde sono anche usate per indicare le unità di misura, le parentesi quadre per indicare le citazioni bibliografiche.
·         La barra /: è usata per indicare un rapporto di contrapposizione o di complementarità.

Riflessioni sulla lingua. Le congiunzioni – La congiunzione è una parte invariabile del discorso che unisce due unità sintattiche in un rapporto di coordinazione o subordinazione
L’uso corretto delle congiunzioni è essenziale per collegare in modo corretto diversi elementi (due parole, aggettivi, ecc. o due proposizioni), oppure per collegare diverse frasi, in modo logico.
Questo collegamento può avere due funzioni[3],
·         Coordinante, quando mettono insieme due proposizioni che hanno la stessa funzione,
·         Subordinante quando mettono insieme due proposizioni in cui una dipende da un’altra.
Le congiunzioni coordinanti si usano per connettere due elementi che non sono indipendenti tra loro.
Esse si classificano in:
·         Copulative: (accoppiare, unire) è il più semplice collegamento perché collega due proposizioni  dello stesso valore: la più comune è la congiunzione e, altre sono: anche, pure, eppure, né, ecc.
Es.: Mariella va al cinema e Giovanni va a teatro.
Non parlo mai, né voglio palare
·         Disgiuntive: esprimono una separazione tra proposizioni o tra due elementi sintattici aventi la stessa funzione – o, oppure, ovvero, ecc.
Es.: Vuoi un caffè o un cappuccino?
·         Avversative: esprimono una contrapposizione tra due elementi sintattici aventi la stessa funzione – ma, però, tuttavia, piuttosto, ecc. Esse devono essere sempre precedute dalla virgola.
Es.: Mariella è andata al cinema, ma il film era scadente.
·         Dichiarative o esplicative: esprimono una dichiarazione o una spiegazione – cioè, infatti, ecc.
Es.: Mariella è un’amica, infatti mi aiuta sempre.
·         Conclusive: segnalano una conclusione o una conseguenza – dunque, quindi, ebbene, perciò, ecc.
Es.: Ho studiato molto, quindi ho preso un buon voto.
·         Correlative: stabiliscono una relazione o corrispondenza tra due proposizioni o tra due elementi sintattici aventi la stessa funzione – e…e, sia…sia, né…né, o…o, non solo…ma anche.
Es.: Posso prendere sia un caffè sia un cappuccino.
Le congiunzioni subordinanti, invece, collegano due proposizioni, una delle quali è subordinata all’altra, cioè dipende dall’altra, la quale si identifica come reggente.
Le più comuni sono:
·         Dichiarative: introducono una dichiarazione, che, come, ecc.
Es.:afferma   che non ha visto niente
·         condizionali: indicano una condizione, senza la quale il fatto espresso nella principale non può avverarsi, se, purché, qualora, a condizione che, nel caso se, ecc.
Es.: Se fossi in te, agirei diversamente
Nel caso che ci vai, comportati bene
·         Causali: indicano una causa, una ragione, un motivo, perché, poiché, siccome, visto che.
Es.: Non è venuto perché si sentiva poco bene
Siccome è tardi, prenderò un tassì
·         Finali: indicano il fine per il quale il fatto tende a realizzarsi, affinché, perché, acciocché.
Es.: Ho dato queste istruzioni affinché possiate completare il lavoro.
Parlo a voce alta perché tutti mi possano sentire.
·         Concessive: indicano una concessione, negando nello stesso tempo la conseguenza, benché, seppure, sebbene, malgrado, ecc.
Es.: Benché fosse giugno, faceva freddo
Quantunque avessimo camminato molto, non eravamo stanchi
·         Consecutive: indicano la conseguenza di quello che è stato detto nella principale, così… che, a tal punto, talmente che, ecc.
Es.: Aveva così fame che finì di mangiare in pochi minuti
Ero stanco al punto che non mi reggevo in piedi
·         Temporali: indicano una circostanza di tempo, quando, prima, dopo, finché, ogni volta.
Es.: Quando l’ho visto gli sono corso incontro
Dobbiamo prendere una decisione prima che sia troppo tardi.
·         Comparative: stabiliscono tre tipi di comparazioni, maggioranza, più…di, più che; minoranza, meno…di, meno…che; uguaglianza, tanto…quanto, così…come.
Es.: Non è così furbo come credevo
Marisa è più intelligente di Giovanna
·         Modali: indicano una circostanza di modo, come, come se, quasi.
Es.: Fa’ come se fossi a casa tua
Urlava come se fosse impazzito
·         Avversative: introducono una contrapposizione, quando, mentre, ecc.
Es.: Lo ha fatto in fretta, mentre doveva farlo lentamente.
·         Esclusive: esprimono un’eccezione, un’esclusione, una limitazione a quello che si afferma nella principale, tranne che, fuorché, eccetto che, salve che, senza che, ecc.
Es.: Non fa niente tutto il giorno fuorché divertirsi
Senza che ce ne accorgessimo, si è fatto tardi.

La comunicazione – Il riassunto
Riassumere un testo significa togliere qualcosa al testo originale. Con il riassunto si perde qualcosa.
Il segreto del riassunto sta nel mantenere ciò che è necessario e togliere quello che non lo è.
Questa operazione, se il testo originale non è particolarmente lungo, avviene in modo più semplice: basta togliere aggettivi, frasi ed espansioni non necessarie.
Se il testo originale è più lungo occorrerà svolgere le seguenti operazioni:
1) dividere il testo in sequenze
2) sottolineare le informazioni necessarie per la comprensione 
3) collegare le informazioni tramite connettivi. (All’inizio, dopo, infatti, invece, tuttavia, pertanto)


II UNITÀ
Riflessioni sulla lingua. Il verbo – Il verbo è una parte variabile del discorso che denota azione (“portare”, “leggere”), occorrenza (“decomporsi”, “scintillare”), o uno stato dell’essere (“esistere”, “vivere”, “stare”).
I modi e i tempi - Le diverse modalità con le quali può avvenire un’azione sono rese con i diversi modi verbali.
I modi della lingua italiana sono sette.
Modi finiti - I modi finiti si chiamano così perché le loro desinenze definiscono sempre una persona (prima, seconda o terza) e un numero (singolare o plurale).
Indicativo - È il modo della realtà, della sicurezza, della certezza.
Ha otto tempi: quattro semplici (presente, imperfetto, passato remoto, futuro semplice), chiamati così perché non hanno bisogno di un verbo ausiliare, e quattro composti (passato prossimo, trapassato prossimo, trapassato remoto, futuro anteriore), che invece necessitano di un ausiliare.
Congiuntivo – È il modo della possibilità, dei desideri, delle opinioni.
Ha quattro tempi: due semplici (presente, imperfetto) e due composti (passato, trapassato).
Condizionale – È il modo delle azioni che avvengono a una data condizione.
Ha due tempi: il presente, (semplice) e il passato, (composto).
Imperativo – È il modo delle richieste, degli ordini, degli inviti.
Ha solo la seconda persona (tu e voi) e un solo tempo, il presente.

Modi indefiniti – Questi modi non permettono di identificare la persona e il numero (fatta eccezione per il participio, in cui si può distinguere il singolare dal plurale).
Infinito – È la forma base del verbo. Si usa in dipendenza da un altro verbo (p. es.: Sai guidare una motocicletta?), ma si può usare anche come verbo principale per indicare ordini, desideri, ed altro.
Es.: Uscire, uscire fuori, subito!
Ne esistono il tempo presente (“riflettere”) e passato (“aver riflettuto”).
Participio - È simile a un aggettivo e, per questo, può indicare il numero e talvolta anche il genere ( es., il participio mangiata indica un femminile singolare). Si usa con i verbi ausiliari nella costruzione dei tempi composti.
Ha due tempi, il presente (“riflettente”) e il passato (“riflettuto”).
Gerundio – Si usa nelle subordinate per esprimere un certo tipo di rapporto con la reggente. Ha due tempi: il presente (“riflettendo”) e il passato (“avendo riflettuto”).

Riflessione sulla lingua. Il lessico[4]: gli scarti linguistici – Si definisce scarto linguistico una trasgressione, un’infrazione ad una norma linguistica di uso comune.
Essi si distinguono in:
·         Arcaismo – Forma grammaticale, parola o espressione di una fase linguistica anteriore sopravvivente nell’uso, di solito per fini stilistici.
·         BarbarismoIl fenomeno dell’uso di termini stranieri.
·         ClassicismoL’insieme dei caratteri stilistici e dei concetti teorici che sono stati ricavati dall’antichità classica e rielaborati formandone un canone proposto come modello supremo per ogni produzione artistica e letteraria.
·         DialettalismoVocabolo o espressione di origine dialettale
·         NeologismoParola o locuzione nuova, o anche nuova accezione di una parola già esistente, entrata da poco tempo a far parte del lessico di una lingua.
·         Tecnicismo - Parola o locuzione che fa parte di un linguaggio tecnico.


Educazione letteraria. I generi letterari – Per classificare un’opera letteraria bisogna individuare il genere letterario cui essa appartiene, perché un testo è legato ad altre opere appartenenti allo stesso genere. Tale rapporto rende riconoscibile il testo e, al tempo stesso, consente di coglierne l’originalità.
Il genere letterario è un raggruppamento di opere omogenee, accomunate da una serie di caratteristiche riguardanti le scelte tematiche e stilistiche e le regole di costruzione.
Per definire un genere letterario non sono indicativi né i temi, né l’uso di particolari tecniche espressive isolatamente considerate, quello che lo caratterizza è il rapporto fra l’organizzazione tematica ed il piano formale.
Tre elementi definiscono il genere letterario:
1.    Un preciso rapporto fra temi e forme espressive, comune a una serie di opere;
2.    La codificazione di tali relazioni che permette di individuare le costanti e di fissare il modello;
3.    La conoscenza, comune sia all’emittente sia ai destinatari, dei caratteri del genere letterario.
In tal modo il lettore, posto di fronte a un testo appartenente a un certo genere letterario, sa già, almeno nelle linee essenziali, che cosa troverà nel testo e, proprio secondo tale conoscenza, potrà valutarne l’originalità.
Le caratteristiche del genere letterario, non vanno considerate come uno schema rigido e immutabile, ma piuttosto come un programma costruito su leggi generali, nel cui ambito egli può operare con una certa libertà, adeguandosi ad esse fedel­mente o mutandole in modo originale con l’introduzione di elementi nuovi che, una volta codificati, trasformano, a loro volta, le leggi del genere che tende a modificarsi nel tempo.
Adottando una suddivisione pratica, possiamo distinguere tre fondamentali tipi di testo letterario: quello di narrativa (in prosa), quello di poesia (in versi), quello teatrale (destinato ad essere recitato in teatro).
Ciascuno di essi comprende vari generi, cioè raggruppamenti d’opere omogenee caratterizzate da un preciso rapporto tra argomento trattato e forma espressiva.
Es.: Il poema epico è tale perché tratta di guerra, d’eroi e delle loro eccezionali imprese ed è scritto in versi, in un linguaggio alto e solenne, denso di formule espressive ricorrenti.

Educazione letteraria. Il testo narrativo – Il testo narrativo è un tipo particolare di composizione letteraria in prosa o in versi, sia orale sia scritta.
Questo modello di scrittura presuppone l’esistenza di:
·         Una storia;
·         Un narratore, che si assume il compito di raccontare agli ascoltatori-lettori-destinatari la storia.

Educazione letteraria. Il testo poetico – Il testo poetico è un tipo particolare di composizione letteraria in versi in cui l’autore esprime un messaggio.
Questo modello di scrittura presuppone l’esistenza di:
·         un linguaggio che segue regole totalmente diverse da quello della lingua comune;
·         dei versi che si riconoscono visibilmente rispetto alle righe del testo in prosa;
·         una musicalità estranea ai normali testi in prosa ed alla conversazione;
·         un significato che il testo poetico riesce a esprimere con un certo livello di complessità, grazie al modo in cui il messaggio è organizzato.

Educazione letteraria. Il testo teatrale – Il testo teatrale è tipo particolare di composizione letteraria, chiamato copione usato per le rappresentazioni sulla scena di un teatro.
Questo modello di scrittura presuppone:
·         il discorso diretto da parte dei personaggi, attori che recitano una parte e descrivono gli ambienti, gli stati d’animo, la vicenda con delle battute.
·         le didascalie (per descrivere l’ambiente, i personaggi o il modo in cui sono dette le battute).

Educazione letteraria. Testo e contesto - L’autore[5], nel produrre un testo letterario, agisce attribuendo un particolare significato a qualcosa e rappresentando nel suo testo il modo di vivere, di pensare e di fantasticare degli uomini e delle donne del suo tempo.
Per realizzare questa rappresentazione si serve di due modalità:
1.    o inventa storie con personaggi che mostrano al lettore situazioni di vita e idee, sentimenti, stati d’animo del suo tempo trasferiti ai personaggi;
2.    o esprime, attraverso situazioni minime che gli servono da spunto, gli stati d’animo, le emozioni, le idee che possono essere solo sue personali o condivise dai suoi contemporanei.
L’autore può realizzare questa rappresentazione in prosa[6] o in poesia[7].
Nel corso dei secoli, la prosa ha finito col divenire la forma delle storie con personaggi, la poesia la forma delle situazioni minime che sono solo lo spunto per esprimere emozioni, idee, stati d’animo: per le storie con personaggi, scritte utilizzando versi si usa, infatti, il termine poema[8], non il termine poesia.
Nella costruzione di un testo letterario, lo scrittore fa riferimento a due immaginari:
1.    l’immaginario collettivo, ossia il patrimonio di immagini simboliche cui fanno riferimento gli appartenenti ad una stessa cultura per rappresentare sentimenti, situazioni, esperienze.
Es.: la donna fatale, che ammalia gli uomini e li rende incapaci di decidere da soli è rappresentata nella cultura greca dalla maga Circe.
Nella cultura europea Romeo e Giulietta rappresentano i giovani amanti ostacolati nel loro amore.
L’agnello è il simbolo della innocenza sacrificata.
La bilancia esprime il concetto di giustizia.
2.    L’immaginario personale, ossia l’elaborazione dell’immaginario collettivo di un proprio immaginario da parte dello scrittore, ma che caratterizza in modo specifico la propria produzione poetica rispetto a quella dei suoi contemporanei e rendendola personale. Riconoscere l’immaginario personale di un autore è un elemento costitutivo dell’analisi storico-letteraria del testo.
Scrittori, poeti e drammaturghi non sono gli unici autori che rappresentano: anche un’opera lirica ed un film sono rappresentazioni di azioni, di sentimenti, di stati d’animo, di idee e di fantasie.
Di fronte ad un testo letterario, un lettore/spettatore consuma il prodotto senza porsi domande su chi ne sia l’autore, su quando questi sia vissuto, su quali fossero i suoi scopi; il modo di consumare del lettore/spettatore fa riferimento al piacere che avverte e alla consonanza di sentimenti che prova con quel che legge/vede/ascolta.
In tal caso, il lettore/spettatore si confronta con il singolo testo  che sta consumando.
Ma consumare in questo modo è un atteggiamento passivo: appena, infatti, un lettore/spettatore comincia a chiedersi perché gli piaccia oppure no, smette di essere passivo di fronte al prodotto di un autore e comincia a giocare con il testo e con l’autore: la fabula, l’intreccio, i termini usati, l’alternarsi delle sequenze, la costruzione dei personaggi, le situazioni descritte.
Il primo passo verso l’interpretazione è chiedersi come funziona un testo: questo tipo di indagine vuole dire cercare di comprendere come l’autore ha lavorato, quali mezzi ha usato per fare piacere il suo prodotto.
Il lettore critico però va oltre e si chiede:
·         per quale scopo l’autore ha scritto ciò che ha scritto
·         di che cosa vuole convincere
·         quale sua verità vuole dimostrare.
Il lettore che si pone queste domande deve comprendere quindi i propositi dell’autore, che ha voluto rappresentare proprio
·         quelle azioni,
·         quei sentimenti,
·         quei comportamenti,
attribuendo a queste azioni, sentimenti e comportamenti alcuni significati precisi.
Il lettore che comprende i propositi dell’autore (il suo scopo nel produrre l’opera) comincia a cercare interpretazioni al testo.

II MODULO IL TESTO NARRATIVO

III UNITÀ.
Riflessioni sulla lingua. La proposizione - Una proposizione è una frase, un pensiero di senso compiuto. Una frase è il massimo segmento in cui può essere suddiviso il discorso umano.
Es.: Luigi gioca.

Riflessioni sulla lingua. Il soggetto - Il soggetto indica la persona, l’animale o la cosa che compie o subisce l’azione.
Il soggetto in genere è un nome[9] o un pronome personale[10].
Es: Maria lavava; egli guarda, ecc.

Riflessioni sulla lingua. Il predicato - Il predicato è la voce verbale che dichiara l’esistenza del soggetto.
Il predicato può essere:
·         predicato verbale: se è formato da un verbo,
es.: Luca ascolta;
·         predicato nominale: se la voce verbale è rappresentata dal verbo essere seguita da un aggettivo o nome,
·         es.: egli è gentile, io sono un bambino.
Il verbo essere si chiama copula, e nome del predicato la parola che segue.
Es.: Luca è diligente - Luca (soggetto) è (copula) diligente (nome del predicato), oppure si può dire: Luca (soggetto) è diligente (predicato nominale).
Quando il verbo essere significa esistere, appartenere ecc. ha valore di predicato verbale.
Es.: La casa della zia è a Roma diventa predicato verbale.

Riflessioni sulla lingua. Il periodo – Il periodo è l’unione di due o più proposizioni  in una espressione logica­mente ordinata.
Es.: «Agnese vi s’avviò, come se volesse tirarsi alquanto in disparte, per parlar più liberamente.» (Manzoni).
In questo periodo vi sono tre proposizioni perché tre sono le forme verbali; una è la proposizione principale, o reggente, in quan­to può reggersi grammaticalmente da sola, mentre su di essa poggiano le altre che, proprio perchè dipendono dalla principale si chiamano proposizioni dipen­denti o subordinate o secondarie.

Riflessioni sulla lingua. Vari tipi di proposizioni principali - Le proposizioni principali, secondo le varie sfumature che assume il predi­cato, si possono distinguere in:
·         enunciative o narrative sono le più frequenti fra le proposizioni principali; esse riferiscono, enunciano e raccontano un episodio sia in forma negativa sia in forma positiva.
In genere usano l’indicativo.
Es.: Questo alunno né studia, né sta attento alle lezioni.
Con i verbi potere, dovere, usano il condizionale.
Es.: Avresti dovuto accettare;
·         interrogative dirette sono proposizioni che contengono in sé una domanda e si concludono con il punto interrogativo.
Es.: Chi ti ha parlato?;
·         esclamative sono proposizioni che esprimono un sentimento di meraviglia, dolore, gioia, ecc.
Usano l’indicativo o il modo infinito e si concludono con il punto esclamativo.
Es.: Che gioia parlarti!;
·         imperative sono proposizioni che esprimono un ordine un comando, una proibizione. Usano l’imperativo.
Es.: Va’ via di qua;
·         dubitative sono proposizioni che esprimono dubbio, incertezza. Usano indicativo e il condizionale.
Es.: Che cosa dovevo fare? A chi dovrei parlare?;
·         esortative sono proposizioni che esprimono una preghiera, un invito. Usano il modo congiuntivo.
Es.: Su, si faccia avanti. Andiamo dal professore e chiediamogli una spiegazione;
·         concessive sono proposizioni che esprimono una concessione, un permesso; esse usano il congiuntivo seguito in genere da pure, finché.
Es.: Ammettiamo pure che lo abbia fatto;
·         potenziali sono proposizioni che esprimono un fatto come possibile; esse usano il condizionale e l’indicativo.
Es.: Avrei dovuto ascoltarlo.
Potrei andare da lui;
·         desiderative o ottative sono proposizioni che servono ad esprimere un desiderio o un augurio. Queste proposizioni sono spesso introdotte da espressioni come: Voglia il cielo, che. Esse usano il congiuntivo o il condizionale.
Es.: Voglia il cielo che tu possa ve­nire.
Oh, come vorrei che tu mi fossi vicino!

Riflessioni sulla lingua. Proposizioni coordinate e subordinate - In un periodo formato da proposizioni sintatticamente indipendenti l’una dall’altra vi sono una proposizione principale, che esprime l’idea più importante, ed altre proposizioni dette coordinate alla principale, perché unite ad essa senza idea di subordinazione.
Es.: Sono andato a Roma, ho visitato il Colosseo ed ho proseguito per il Vaticano.
In una frase complessa, la combinazione di più proposizioni può avvenire non solo mediante la coordinazione, ma anche mediante la subordinazione. La proposizione subordinata non può stare da sola, ma ha bisogno di un’altra proposizione a cui appoggiarsi.
In un periodo si possono avere diverse proposizioni subordinate.
Sono invece subordinate quelle proposizioni che per la loro struttura non possono sostenersi da sé ma, si appoggiano ad altre frasi (principali o anche subordinate) dalle quali sono rette.
In genere la subordina­zione avviene per mezzo di congiunzione, di pronomi, di aggettivi o di avverbi relativi o interrogativi.
Es.: Il cane che hai incontrato, è di mio fratello.
Ti ho parlato per convincerti a portare tuo marito dal medico.

Riflessioni sulla lingua. Vari tipi di periodo - Il periodo può essere di tre tipi:
·         semplice: quando è formato da una sola proposizione.
Es.: Ieri ho studiato a lun­go;
·         composto: quando è formato da due o più proposizioni indipendenti.
Es.: Quell’uomo aveva incontrato un cane: proposizione principale, si era fermato: proposizione coordinata alla principale, poi aveva ripreso il cammino: proposizione coordina­ta alla principale;
·         complesso: quando è formato da una proposizione principale e da una o più pro­posizioni secondarie.
Es.: Non sono stato al cinema: proposizione principale, perché avevo un grosso impegno: proposizione secondaria di 1° grado che non potevo evitare: proposizione secondaria di 2° grado.


Riflessioni sulla lingua. Proposizioni implicite ed esplicite - Una proposizione si dice esplicita quando il predicato verbale è un verbo di modo finito (indicativo, congiuntivo, condizionale, imperativo).
Es.: La mae­stra dice ai suoi alunni: (dice indicativo) «Studiate di più!» (studiate imperativo).
Si dice implicita quando il predicato verbale è un verbo al modo indefini­to (infinito, participio, gerundio).
Es.: Ascoltando capii molto.
Una proposizione implicita può sempre essere trasformata in una equivalente proposizione esplici­ta.
Es.: Penso di andare al mare - Penso che andrò al mare, ecc.

Riflessioni sulla lingua. Modi indefiniti - Questi modi non permettono di identificare la persona e il numero (fatta eccezione per il participio, in cui si può distinguere il singolare dal plurale).
Infinito  - L’infinito è la forma base del verbo. Si usa in dipendenza da un altro verbo (p. es.: Sai guidare una motocicletta?), ma si può usare anche come verbo principale per indicare ordini, desideri, ed altro (es.: Uscire, uscire fuori, subito!). Ne esistono il tempo presente (riflettere) e passato (aver riflettuto).
Participio  - Il participio è simile ad un aggettivo e, per questo, può indicare il numero e talvolta anche il genere (es., il participio mangiata indica un femminile singolare). Si usa con i verbi ausiliari nella costruzione dei tempi composti. Ha due tempi, il presente (riflettente) e il passato (riflettuto).
Gerundio – Il gerundio si usa nelle subordinate per esprimere un certo tipo di rapporto con la reggente. Ha due tempi: il presente (riflettendo) e il passato (avendo riflettuto).

Riflessioni sulla lingua. Le subordinate completive - Le proposizioni subordinate completive (o sostantive o complementari dirette) sono proposizioni dipendenti che completano il senso della proposizione reggente, svolgendo nel periodo la medesima funzione che nella proposizione ha un sostantivo non preceduto da preposizione, cioè usato in funzione di soggetto o di complemento oggetto.

Riflessioni sulla lingua. La proposizione soggettiva - La proposizione subordinata soggettiva è una proposizione subordinata che fa da soggetto al predicato della reggente:
Es.: È evidente che sei triste  (prop. subordinata soggettiva).
La tua tristezza (soggetto) è evidente.
La proposizione soggettiva dipende sempre da verbi o locuzioni verbali impersonali o usati impersonalmente.
In particolare, dipende:
·         da verbi impersonali o usati impersonalmente alla 3a persona singolare, come accade, avviene, capita, bisogna, occorre, sembra, pare, dispiace, basta, importa, interessa ecc.
Es.: “Sembra che tutti siano d’accordo;
Bisogna che partecipiate anche voi;
Mi basta vederti ogni tanto;
Bastava che arrivassi un’ora prima;
·         da verbi costruiti con il si passivante, come si dice, si crede, si pensa, si teme, si spera.
Es.: “Si dice che il sindaco si dimetterà”;
“Si temeva che fossi già partito”;
·         da locuzioni verbali impersonali costituite dal verbo essere + un nome, come è ora, è tempo, è compito, è dovere, è una vergogna, è un piacere.
Es.: “È ora di alzarsi”;
“È un’indecenza che possano succedere queste cose”;
“È dovere di tutti provvedere al bene comune”;
·         da locuzioni verbali impersonali costituite dai verbi essere, parere, sembrare, riuscire, venire, accompagnati da un aggettivo o da un avverbio in funzione di nome, come è bello, è brutto, è necessario, è tanto, è poco, è molto, è bene, è male, pare certo, sembra sicuro, pare opportuno, riesce facile, riesce difficile, viene opportuno ecc.
Es.: “È stato brutto da parte tua comportarti così”;
“È tanto che non lo vedo”;
“Sarà opportuno chiedere un prestito alla banca”;
“Non ci sembra necessario informarli del nostro progetto”;
“Mi riesce difficile immaginare una cosa simile”.
Nella forma esplicita, la proposizione soggettiva è introdotta dalla congiunzione subordinante che e ha il verbo:
·         all’indicativo, quando la reggente esprime certezza: “È chiaro che il responsabile sei tu”;
·         al congiuntivo, quando il verbo della reggente esprime possibilità, probabilità, dubbio, speranza e simili: “Si dice che il responsabile sia tu”;
·         al condizionale, quando il fatto indicato dalla soggettiva dipende da una condizione (espressa o sottintesa): “È chiaro che verrebbe volentieri (se potesse)”.
Nella forma implicita, la proposizione soggettiva ha il verbo all’infinito, con o senza la preposizione di:
“È ora di partire”;
“Bisogna avvertire subito Paolo”.

Educazione letteraria. Le forme del testo narrativo – I testi narrativi possono presentarsi in forma diverse: come mito, favola, leggenda, parabola, novella e romanzo.
·         Il mito è la narrazione di eventi riguardanti le origini di un gruppo di gente, e ha per protagonisti divinità ed eroi
Es.: I miti greci e latini.
·         La fiaba è una narrazione breve originaria della tradizione popolare, caratterizzata da componimenti brevi e di fatti fantastici caratterizzati da due elementi: eccezionalità e magia; e centrati su avvenimenti e personaggi fantastici come streghe, fate, orchi, giganti e così via. Dopo aver sconfitto le forze del male, l’eroe-positivo riesce sempre a realizzare gli scopi prefissati e a conquistare l’oggetto di attrazione.
·         La favola è una narrazione breve, in cui spesso protagonisti sono animali in grado di parlare, aventi gli stessi caratteri degli uomini, con i loro difetti e le loro qualità ed in esse la componente fantastica è generalmente assente, e la narrazione ha un intento allegorico[11] e morale più esplicito.
·         La leggenda è un racconto, in genere immaginario, di vicende riguardanti la vita di personaggi famosi, che hanno lasciato un’impronta nel campo della storia o in quello religioso. L’esagerazione, elemento caratteristico di questa forma di narrazione, serve ad esaltare e a rendere esemplare la figura del personaggio.
Es.: le leggende riguardanti i santi o quelle legate a personaggi storici celebri, come Muzio Scevola, Masaniello o Garibaldi.
·         La parabola è un racconto breve il cui scopo è spiegare un concetto difficile con uno più semplice o dare un insegnamento morale. La parabola divenne famosa dall’uso fatto nei Vangeli con le parabole di Gesù. La parabola introduce un esempio che vuole illuminare la realtà specificata, con un unico punto di contatto tra la immagine e la realtà.Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Parabola_%28letteratura%29"
·          
·         La novella è un racconto non eccessivamente lungo, che tratta fatti reali o immaginari, accaduti in un arco di tempo alquanto breve, con un limitato numero di personaggi.
·         Il romanzo è un racconto di ampia estensione, che narra di fatti reali o immaginari, accaduti in un lungo lasso di tempo, con un proporzionato numero di personaggi. I filoni del romanzo sono numerosi, i più noti sono:
§  il romanzo storico
§  il romanzo d’avventura
§  il romanzo naturalista e verista
§  il romanzo di fantascienza
§  il romanzo epistolare
§  il romanzo psicologico
§  il romanzo autobiografico
§  il romanzo giallo o poliziesco.

Educazione letteraria. Temi centrali e temi periferici – Il tema centrale, cioè l’argomento fondamentale del testo, è il filo conduttore che unisce organicamente le varie parti dell’opera.
Accanto al tema centrale vi sono poi dei temi periferici, che sono propri di ogni singola parte dell’opera e che sono comunque convergenti verso il tema principale.
Individuare il tema centrale e quelli periferici significa procedere a una prima generale scomposizione del testo e serve a capire la struttura portante dell’opera stessa.
Es.: Nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni il tema centrale è l’amore fra Renzo e Lucia, ostacolato da don Rodrigo. Il tema periferico è la vita di Gertrude; quest’ultima, però, è parte anche del tema centrale, poiché ella dà ospitalità a Lucia e consegna la ragazza ai bravi dell’Innominato al momento del rapimento.

Educazione letteraria. L’individuazione del tema - Emozioni e sentimenti pervadono continuamente la vita quotidiana di ogni periodo storico influenzano un elevato numero di comportamenti sociali; essi sono oggetto di ogni forma di produzione umana e si traducono in:
·         sensazioni[12],
·         emozioni[13],
·         sentimenti[14],
·         passioni[15]
·         stati d’animo[16]
le cui differenze tra sono estremamente sfumate.
Un testo letterario, di qualsiasi natura esso sia narrativo, sia poetico sia teatrale ne è sempre impregnato.
Alcune aree affettive come il , il malessere, l’eudemonia, l’inadeguatezza, il timore, la prosocialità, lo sdegno, la rivalità e l’aggressività sono oggetto di ogni forma di produzione umana.
1. Il intende la totalità interiore rispetto a cui l’Io, la nostra parte cosciente, è solo una piccola parte; i sentimenti legati al sono:
·         ambizione desiderio di eccellere, volontà di ottenere qcs
·         avarizia gretto attaccamento al denaro; scarsa disponibilità a spendere e a donare ed avidità desiderio intenso di beni materiali;
·         coraggio forza d’animo che permette di affrontare responsabilmente situazioni complesse e difficili della vita o molto rischiose;
·         egoismo interesse quasi assoluto per se stessi;
·         narcisismo eccessiva ammirazione di sé e vanità fatuo compiacimento di sé e delle proprie doti, reali o presunte, accompagnato da uno smodato desiderio di piacere, di suscitare plauso e ammirazione;
·         onore buona reputazione, prestigio di cui una persona gode in base ai propri meriti e alle proprie capacità o in rapporto ai valori etici e sociali dominanti;
·         orgoglio eccessiva considerazione di sé, che porta a ritenersi superiori agli altri atteggiamento sdegnoso e sprezzante;
·         superbia eccessiva stima di sé che porta a comportarsi in modo arrogante e sprezzante nei confronti degli altri.
2. Il malessere è uno stato di inquietudine, di turbamento e di disagio interiore, che si condensa in una sensazione di angoscia[17]; i sentimenti legati al malessere sono:
·         abbandono prostrazione morale, sfiducia, scoramento, derivante dall’essere abbandonato
·         accidia avversione all’operare mista a noia e indifferenza
·         burnout
·         depressione stato di abbattimento fisico e psichico che porta stanchezza, malinconia, malumore, pessimismo, sfiducia
·         frustrazione impossibilità o incapacità di soddisfare un desiderio o un bisogno, con conseguente tensione emotiva
·         indifferenza atteggiamento di chi prova o mostra disinteresse, noncuranza, distacco
·         lutto sentimento di intenso dolore che si prova per la perdita di una persona cara
·         malinconia stato d’animo di vaga tristezza, di struggente inquietudine e depressione costanti, caratterizzato dalla propensione al pessimismo, alla chiusura in se stessi e alla meditazione
·         melanconia stato psichico caratterizzato da alterazione dell’umore e dei sentimenti che provoca un’ingiustificata tristezza spesso unita ad ansia
·         noia sentimento di insoddisfazione, inquietudine o fastidio determinato dal ripetersi monotono delle stesse azioni, dalla mancanza di distrazioni o di stimoli, da uno stato di ozio o di tristezza
·         nostalgia stato di tristezza e di rimpianto per la lontananza da persone e luoghi cari o per una situazione passata che si vorrebbe rivivere, che talvolta può evolvere in manifestazioni di carattere patologico
·         solitudine condizione di chi vive solo, in modo permanente o per un lungo periodo, ricercata per acquisire pace interiore o subita per assenza di affetti o appoggi materiali:
·         tristezza stato d’animo di chi è triste, addolorato, malinconico
3. L’eudemonia, correntemente tradotta con felicità, indica uno stato di benessere che comprende sia la soddisfazione personale dell’individuo, sia la sua collocazione nel mondo. Quando oggi si parla di felicità, si intende la semplice soddisfazione individuale; i sentimenti legati all’eudaimonia sono:
·         felicità stato d’animo di chi è felice
·         gioia stato d’animo di pieno godimento, di allegria, di contentezza
·         umorismo capacità di percepire la realtà mettendone in risalto, con un atteggiamento improntato al distacco critico, gli aspetti divertenti.
4. L’inadeguatezza nasce dal fatto che la società da sempre impone stili e modelli di vita e di comportamento e chi è diverso e si scosta da questi modelli, per qualsiasi ragione, può sentirsi inadeguato. I sentimenti legati all’inadeguatezza sono:
·         colpa sentimento che si prova per aver compiuto o di credere di aver compiuto un’azione contraria alla morale o alle leggi
·         imbarazzo condizione di forte disagio, spec. connessa alla difficoltà o impossibilità di adottare un comportamento dignitoso, opportuno
·         pudore sentimento di ritrosia, vergogna e riserbo, specialmente per ciò che concerne la sfera sessuale.
·         timidezza disagio di fronte a estranei provocato da insicurezza, riservatezza o soggezione, che si manifesta con comportamenti impacciati o anche scontrosi
·         vergogna sentimento di profondo turbamento e di mortificazione, derivante dalla consapevolezza che un atto, un comportamento, un discorso, ecc., propri o anche altrui, sono riprovevoli, disonorevoli, sconvenienti.
5. Il timore deriva dalla religiosità dove indica il sentimento che pervade l’uomo che avverte la presenza di un essere che lo trascende e che manifesta la sua potenza senza rivelare la sua natura nascosta. I sentimenti legati alla sfera del timore sono:
·         ansia stato di agitazione dovuto a timore, incertezza o attesa di qualcosa
·         paura emozione, spesso improvvisa, che si determina in relazione a situazioni o nei confronti di persone o cose che costituiscono pericolo o che vengono avvertite come minacciose e che comporta turbamento, smarrimento, ansia
6. La prosocialità indica genericamente una condotta diretta a beneficiare una o più persone e al concetto di comportamento altruistico il significato più specifico di condotta messa in atto volontariamente, senza che vi sia alcuna aspettativa di ricevere vantaggio in qualsivoglia forma, con l’implicazione di un puro sacrificio dei propri interessi da parte di chi ha agito a favore dell’altro. I sentimenti legati alla sfera della prosocialità sono:
·         amicizia sentimento e legame tra persone basato su reciproco affetto, stima, fiducia
·         amore sentimento intenso ed esclusivo verso qualcuno, basato sul desiderio erotico e sull’affetto
·         fiducia sentimento di sicurezza, tranquillità, speranza, che deriva dal confidare in qualcuno o qualcosa, nelle possibilità proprie o altrui
·         pena e pietà sentimento di compassione, partecipazione e solidarietà per la sofferenza o l’infelicità altrui
·         simpatia sentimento di attrazione istintiva verso una persona derivato da una visibile affinità sentimentale, accompagnata dal piacere della reciproca compagnia
·         solidarietà partecipazione umana e morale o impegno diretto offerti a chi è in una situazione critica o dolorosa
·         tenerezza sentimento di affetto delicato e partecipe; affettuosa commozione.
7. La rivalità è la contesa prolungata nel tempo tra due persone o gruppi motivati dal desiderio di conquistare ciascuno una supremazia sull’altro; i sentimenti legati alla rivalità sono:
·         antipatia avversione istintiva verso una persona o una cosa
·         gelosia sentimento doloroso che nasce da un desiderio di possesso esclusivo nei confronti della persona amata e dal timore, dal sospetto o dalla certezza della sua infedeltà
·         invidia sentimento di astio, ostilità e rammarico per la felicità, il benessere, la fortuna altrui
·         risentimento
8. L’ostilità è un senso di avversione manifesto e nascosto verso il prossimo che può esprimersi in forme meditate o impulsive per ragioni di antagonismo, pregiudizio o inimicizia. Essa si manifesta in:
·         cattiveria  sentimento commisto di animosità, rancore e desiderio di rivalsa, provocato da un comportamento altrui ritenuto ingiusto
·         collera, ira e rabbia stato di violenta irritazione che tende a manifestarsi con parole di sdegno e gesti di collera aggressiva, indignazione
·         crudeltà insistenza compiaciuta, nel tormentare gli altri, cieca violenza, inesorabilità.
·         disgusto sensazione sgradevole, ripugnanza, avversione, repulsione
·         disprezzo mancanza totale di stima verso qcn., qcs. scarsa considerazione
·         fanatismo manifestazione di entusiasmo eccessivo e irrazionale che induce a un atteggiamento radicale e intollerante verso chi non la professa,
·         indignazione sentimento di sdegno e risentimento, spec. provocato da ciò che si considera riprovevole, immorale o sconveniente
·         odio sentimento di forte ostilità e avversità nei confronti di qcn. di cui si desidera il male
9. La socialità è il complesso dei rapporti più o meno affettivi che regolano la vita degli individui che fanno parte di una data società o di un determinato ambiente; la coscienza di tali rapporti e degli obblighi che essi comportano, determinano le dinamiche di interazione che regolano la vita affettiva dell’individuo nel gruppo, nelle organizzazioni e nelle istituzioni sociali.
·         ammirazione l’ammirare, il contemplare, grande stima, apprezzamento.
·         appartenenza il senso di appartenere, di fare parte di un gruppo
·         sicurezza l’insieme delle condizioni esteriori che consentono di vivere o di esistere e durare al riparo da pericoli, in uno stato di tranquillità e di operoso esercizio delle proprie funzioni e attività
·         tolleranza atteggiamento di chi permette o accetta convinzioni politiche, religiose, etiche, o comportamenti diversi dai propri, dimostrando comprensione o indulgenza per gli errori o i difetti altrui.

Educazione letteraria. Il narratore – Si è detto che un testo narrativo presuppone l’esistenza di una storia e di un narratore, che si assume il compito di raccontare la storia.
Qualche volta, ma raramente, autore e narratore coincidono: è il caso di un'autobiografia o di un diario. Più spesso, per non dire quasi sempre, si tratta invece di «entità» separate, diverse.
Uno scrittore dispone di due tipi di narratore:
          esterno (o eterodiegetico) è al di fuori della storia narrata, cui non partecipa e rispetto alla quella è dunque estraneo; di solito si esprime in terza persona.
          interno (o omodiegetico) è un personaggio della storia, di cui è o è stato protagonista e che racconta in prima persona (io narrante).
Con l'espressione punto di vista si intende quella particolare posizione in cui il narratore si pone per raccontare i fatti, descrivere i personaggi o lo spazio, organizzare la scansione temporale degli eventi, ecc.
Letteralmente, focalizzare vuol dire «mettere a fuoco»: il fotografo che regola la distanza per ottenere un'immagine nitida del gruppo sorridente che ha davanti.
Nell'ambito dell'analisi dei testo, le cose vanno più o meno allo stesso modo che in fotografia: il narratore focalizza i fatti, cioè li orienta collocandosi in una prospettiva ben precisa.
Lo scrittore, attribuendo al narratore un determinato punto di vista, compie una vera e propria scelta di stile. A seconda della focalizzazione adottata, infatti, sarà obbligato a costruire l'intreccio in un certo modo: dovrà decidere, per esempio,
          se inserire dei flashback o delle prolessi;
          se descrivere accuratamente un personaggio oppure lasciarlo alla nostra immaginazione;
          se riportarne i pensieri o raccontarne soltanto le azioni ecc.
Ugualmente limitata è anche la libertà del lettore, che entrerà nella storia seguendo il percorso che l'autore ha tracciato per lui.
Il punto di vista non rimane costante per tutta la durata di una narrazione; non è dunque riferibile all'intero sviluppo di un'opera (sia questa racconto o romanzo), ma piuttosto a segmenti narrativi determinati, le sequenze, che possono essere anche molto brevi.
Fatta salva questa precisazione, a seconda del punto di vista complessivamente prevalente si possono distinguere tre tipi di narrazione:
1.    Narrazione non focalizzata o a focalizzazione zero: il narratore mostra di sapere più cose di quante ne conoscano i personaggi. Questo tipo di narrazione viene tradizionalmente chiamata narrazione «con narratore onnisciente» perché egli conosce gli atti di coscienza (pensieri, stati d'animo, percezioni ecc.) dei personaggi meglio degli stessi personaggi. In questo caso il narratore occupa una posizione di assoluto privilegio, che gli consente di seguire la vicenda in ogni suo particolare, anche quello più piccolo e nascosto. esprime un giudizio personale riguardo ai fatti;informa il lettore sui retroscena della storia, intervenendo con flashback o prolessi. Insomma: ne sa più dei personaggi e del lettore stesso.
2.    Narrazione a focalizzazione interna: il narratore dice solo quello che sa il personaggio di cui assume il punto di vista. In questo caso il narratore conosce i pensieri, gli atti di coscienza di un personaggio quanto il personaggio stesso. Questo accade quando il narratore è anche un personaggio della storia oppure quando, pur non essendolo, fa coincidere il suo punto di osservazione con quello di un personaggio. Questo tipo di focalizzazione è coinvolgente, perché trasmette i pensieri, le emozioni, le sensazioni del personaggio stesso.
3.    Narrazione a focalizzazione esterna: il narratore dice meno cose di quante ne sappiano i personaggi. Il narratore racconta solo quello che si può vedere dall'esterno e gli atti di coscienza dei personaggi vengono conosciuti non in se stessi, ma nelle loro manifestazioni. In questo caso il narratore può essere esterno oppure coincidere con un personaggio che è stato soltanto un testimone. Si tratta di un narratore che si colloca al di fuori della storia e non partecipa emotivamente alle vicende. Espone i fatti in modo impersonale e ne sa meno dei personaggi, dei quali non esplora i pensieri ma racconta soltanto le azioni. Questo tipo di focalizzazione è presente in particolare nelle descrizioni oggettive o nel dialogo, in cui il narratore riporta ciò che i protagonisti dicono, come se l'avesse registrato. Difficilmente in una narrazione compare solo un tipo di focalizzazione: poiché in genere sono ben più di una, variamente combinate fra loro, per semplificare ci si riferisce, nell'analisi del testo e negli esercizi, a quella prevalente.

Educazione letteraria. La struttura generale della storia narrata – Nei testi narrativi è possibile individuare una struttura generale di base valida per la quasi totalità dei testi.
Questa struttura è costituita da quattro momenti:
·         situazione iniziale
·         complicazione: un evento che viene ad alterare, più o meno improvvisamente, l’equilibrio iniziale;
·         evoluzione della vicenda: una serie di eventi, che possono migliorare o peggiorare la situazione del personaggio principale;
·         conclusione della vicenda: alla fine della narrazione si ristabilisce un equilibrio, che può essere positivo o negativo, e la vicenda si scioglie.

Educazione letteraria. Fabula e intreccio – La distinzione, introdotta dai formalisti russi, tra fabula e intreccio.
Con fabula si indica la sequenza dei fatti raccontati, disposti nell'ordine cronologico in cui si sono svolti e selezionati in base ai loro rapporti di causa-effetto.
Con intreccio si intende il modo in cui i fatti raccontati sono disposti dal narratore, spesso alterando l'ordine cronologico della fabula e/o introducendo fatti che non hanno rapporto di causa-effetto con altri, ma sono liberi (digressioni, descrizioni ecc.)

Educazione letteraria. Nuclei narrativi e sequenze – In ogni testo narrativo troviamo una serie di informazioni: alcune sono indispensabili per capire lo svolgimento della storia, altre invece aggiungono particolari meno importanti, utili tuttavia a comprendere meglio determinate situazioni. Le prime costituiscono gli eventi essenziali, le seconde gli eventi accessori. Gli eventi essenziali formano i pilastri del racconto, mentre quelli accessori hanno la funzione di far comprendere meglio il contesto e l’atmosfera in cui si svolge il racconto stesso. Ogni evento essenziale, con i relativi eventi accessori, forma un nucleo narrativo, cioè una porzione di testo più o meno completa, che sviluppa una parte ben precisa del racconto.
Un altro sistema di scomposizione del testo narrativo è costituito dalle sequenze, unità narrative minime, che sono dei segmenti di testo, inferiori rispetto ai nuclei narrativi per estensione e complessità, forniti di senso logico compiuto.
Anche se ogni sequenza, in sé conclusa e dotata di piena autonomia sul piano sintattico e di significato compiuto, essa acquista pieno significato solo all’interno del testo di cui fa parte, integrata nel sistema di relazioni con tutte le altre sequenze del racconto.
Non è possibile precisare l’ampiezza di una sequenza le sequenze cambiano quando:
·         entra in scena o esce un nuovo personaggio;
·         cambiano le modalità espositive (es.: il passaggio dal discorso diretto all’indiretto e viceversa).
·         c’è una variazione di tempo e di luogo.
Inoltre, rispetto al loro contenuto, le sequenze si dividono in:
A seconda del particolare significato, le sequenze si suddividono in:
·         sequenze narrative: parti del racconto che registrano le azioni dei personag­gi e gli avvenimenti in cui sono coinvolti, poiché immettono nel racconto fatti e accadimenti, le sequenze narrative portano avanti lo sviluppo della trama e sono dun­que sequenze dinamiche.
·         sequenze descrittive[18]: parti del racconto che hanno il compito di dare con­sistenza ai personaggi e al contesto della vicenda. Le sequenze di questo tipo sono statiche e rallentano il ritmo della narrazione, arricchendo però la storia di determi­nazioni che la rendono più viva e consistente. La loro presenza è indispensabile per delineare, attraverso la descrizione dell’ambiente e delle sue caratteristiche, il contesto in cui si svolge una vicenda;
·         sequenze riflessive: parti del racconto che registrano e analizzano i sentimenti e gli stati d’animo dei personaggi e le riflessioni e i giudizi che essi esprimono in ordi­ne alla vicenda, oppure riportano la voce stessa del narratore che manifesta le sue considerazioni su quanto sta avvenendo nella storia o sull’agire e il carattere dei personaggi. Al pari di quelle descrittive, anche le sequenze riflessive sono statiche e se­gnano una pausa nella narrazione, rallentando il procedere degli eventi.
·         sequenze dialogate: parti del racconto che riportano i discorsi diretti dei personaggi. A seconda del contenuto e dell’impostazione dei dialoghi, questo tipo di se­quenze può svolgere molteplici funzioni narrative: può contribuire allo sviluppo del­l’azione (sostituendo in un certo senso le sequenze narrative), può rivelare lo stato d’animo e il carattere dei personaggi e le relazioni che intercorrono tra loro o, anche, commentare la vicenda con considerazioni, giudizi e così via. Il ritmo delle sequenze dialogiche può essere molto diverso, a seconda che le battute che vengono pronunciate siano brevi e scarne o, viceversa, ridondanti e prolisse; in ogni caso le sequenze dialogate mettono in primo piano i personaggi, con un effetto di presa diretta che tende a ridurre il ruolo del narratore.


IV UNITÀ
Riflessioni sulla lingua. Verbi transitivi e verbi intransitivi - Un verbo è transitivo quando l’azione transita direttamente su qualcosa o qualcuno; in altre parole, quando il verbo può reggere un complemento oggetto.
Per esempio il verbo dirigere è transitivo perché regge un complemento oggetto come un’azienda, un’orchestra, il traffico, ed altro.
Il verbo nuotare, invece, è intransitivo perché non può reggere in alcun modo un complemento oggetto.
Alcuni verbi transitivi, in certi casi, possono avere un significato intransitivo.
Possiamo dire: “Piero legge il quotidiano”, ma possiamo dire soltanto: Piero legge, per dire che è impegnato nell’attività della lettura.
Ugualmente si può dire: Baglioni canta Questo piccolo grande amore, ma se togliamo il complemento oggetto, resta Baglioni canta, il che significa che l’attività di Baglioni è cantare.
Viceversa, alcuni verbi intransitivi possono avere un complemento oggetto (detto complemento oggetto interno) che ha la stessa radice del verbo o che comunque ha una correlazione con esso.
Ha vissuto una vita intensa. (Vivere e vita hanno la stessa radice.)
Egli pianse lacrime amare. (Fra piangere e lacrime c’è un nesso di significato.)

Riflessioni sulla lingua. Complemento diretto o complemento oggetto - Esso indica l’oggetto sul quale cade direttamente l’azione espressa dal verbo transitivo attivo[19]. Risponde alla domanda chi? che cosa?
Es.: Luca legge il giornale.
Luca (soggetto) legge (predicato) il giornale («che cosa»? complemento oggetto).

Riflessioni sulla lingua. Attributo - È un aggettivo che, accompagnando un nome, gli attribuisce una qualità o un’altra determinazione: per questo gli aggettivi si distinguono in aggettivi qualificativi ed aggettivi determinativi o pronominali[20].
Es.: I libri usati (attributo) non mi piacciono.
La mia (attri­buto) casa è in collina, ecc.

Riflessioni sulla lingua. La proposizione oggettiva - La proposizione subordinata oggettiva è una proposizione subordinata che fa da complemento oggetto al predicato della reggente:
Es Desideriamo che tu sia presente (prop. subordinata oggettiva).
Es.: Desideriamo la tua presenza (complemento oggetto).
Diversamente dalla soggettiva, la proposizione oggettiva dipende sempre da reggenti con il predicato costituito da un verbo usato in forma personale, cioè fornito di soggetto espresso o sottinteso. In particolare, può essere retta:
·         da verbi che enunciano una dichiarazione, come dire, affermare, proclamare, comunicare, informare, rivelare, raccontare, riferire, promettere, scrivere, telegrafare, telefonare, rispondere, negare ecc.:
“Gli zii hanno scritto che verranno qui a Natale”; “Ti prometto che rientrerò presto”; “Rispose che non sapeva nulla”;
·         da verbi che indicano percezione o ricordo, come vedere, sentire, udire, percepire, accorgersi, degnarsi, rifiutarsi, capire, dimenticare ecc.:
“Ho sentito che stavano litigando”;
“Ricorda che devi finire subito quel lavoro”;
·         da verbi o locuzioni che indicano opinione, giudizio, sospetto, dubbio o ipotesi, come credere, pensare, ritenere, giudicare, supporre, ipotizzare, convincere, essere conscio, essere consapevole, essere convinto, rendersi conto ecc.:
“Credo che lo spettacolo finirà fra poco”;
“Perché ritieni che abbia ragione Mario?”;
“Si convinse di essere un incapace”;
·         da verbi o locuzioni che indicano concessione, speranza, desiderio, ordine, divieto, timore, come desiderare, sperare, comandare, vietare, impedire, proibire, permettere, concedere, promettere, temere, essere desideroso, essere timoroso ecc.:
“Temo che non otterremo alcun risarcimento”;
“Gli impediremo di fare altri danni”.
Nella forma esplicita, l’oggettiva è introdotta dalla congiunzione subordinante che e ha il verbo:
·         all’indicativo, se la reggente annuncia un fatto come reale o certo:
“Paolo dice che gli hai mentito”;
·         al congiuntivo, se la reggente presenta il fatto come un’opinione o un’ipotesi:
Es: Paolo crede che tu gli abbia mentito;
·         al condizionale, se la reggente presenta il fatto come possibile:
Es: Paolo pensa che saresti capace di mentirgli.
Nella forma implicita, invece, l’oggettiva è introdotta dalla preposizione di e ha il verbo all’infinito:
Es: Spero di rientrare per le sette;
Es: Ricordati di passare dal meccanico.
Come appare dagli esempi, la costruzione implicita dell’oggettiva, di norma, è possibile solo se il soggetto della reggente è lo stesso di quello dell’oggettiva. Essa, tuttavia, è possibile, anche se i soggetti non coincidono:
·         con i verbi come ordinare, comandare, richiedere, proibire, vietare, impedire, concedere ecc.:
Es: Il generale ordinò ai soldati di attaccare battaglia;
Es: Vi prego di tacere;
Es: Il medico ha proibito al nonno di alzarsi;
·         con i verbi indicanti percezione, come sentire, udire, vedere ecc. In questo caso, però, l’infinito non è preceduto dalla preposizione di:
Es: Sento abbaiare il cane;
Es: Vide arrivare i bambini di corsa.
·         Con questi verbi, inoltre, l’oggettiva implicita può essere trasformata sia in un’oggettiva esplicita, sia in una dipendente relativa

Riflessioni sulla lingua. Discorso diretto e discorso indiretto – Il discorso diretto si ha quando il narratore riporta in forma di dialogo le parole dei personaggi. Le battute sono segnalate dall’uso di formule del tipo disse, sussurrò, chiesero … seguite dai due punti e virgolette.
Il discorso indiretto è il modo in cui vengono riportate, in una proposizione subordinata, le parole dette in precedenza.
C’è da un lato la possibilità di riportare quanto è stato detto ripetendo l’enunciato in forma invariata e usando per esempio le virgolette:
Es.: Luigi XIV disse: “Lo stato sono io”.
In questo caso si riporta l’enunciato usando il discorso diretto.
Con il discorso indiretto, al contrario, l’enunciato è integralmente incorporato in quello di chi lo sta citando:
Es.: Luigi XIV disse che lo stato era lui.
Dato che il contesto in cui l’enunciato è prodotto non è più lo stesso, nasce la necessità di adattare ogni forma di deissi, cioè tutte le indicazioni di tempo, persona e di luogo.
1)    Quando il verbo è al presente, la seconda frase non cambia.
Es.: Mario dice: “Sta per piovere”
Mario dice che sta per piovere.
2)    Quando il verbo è al passato, sono necessari alcuni cambiamenti nella seconda frase. Il presente cambia nel passato, il futuro cambia nel condizionale molte volte.
Es.:La signora ha detto: “Voglio il vestito bianco”
La signora ha detto che voleva il vestito bianco.
Io ho insistito: “Non uscirò prima delle nove”  
Io ho insistito che non uscivo prima delle nove.
Mio nonno mi ha detto: “Ti racconto una storia”.
Mio nonno ha detto che mi  avrebbe raccontato racconterò una storia”.
3)    Quando i verbi sono al presente e al passato.
Es.: Il padre dice: “So che Piero ha mangiato al ristorante italiano”
Il padre dice che sa che Piero ha mangiato al ristorante italiano
Dario  ha detto al preside : “Mi dispiace, che mi sono comportato male”
Dario ha detto al preside che gli dispiaceva di essersi comportato male.
La figlia dice alla mamma: “domani vengo con te al mercato”           
La figlia dice alla mamma che il giorno dopo va con lei al mercato.
Il papà dice al figlio: “lavati bene”.
Il papà dice al figlio di lavarsi bene.

Educazione letteraria. I personaggi – Un altro elemento base della storia è costituito dai personaggi. Essi sono coloro che eseguono le azioni o le subiscono; senza di loro è impossibile immaginare di muovere alcun atto narrativo.
La costruzione di un personaggio con le sue caratteristiche fisiche, la sua indole, le sue aspirazioni, le sue qualità, negative o positive, avviene attraverso la delineazione dei tratti caratterizzanti del suo aspetto e della sua personalità.
La costruzione del personaggio prende avvio dalla cosiddetta presentazione che può avvenire attraverso tre modalità fondamentali:
·         dal narratore, quando questi interviene a fornire informazioni esplicite sul carattere e/o su altri aspetti del personaggio, magari commentando e valutando il suo operato, in tal senso la presentazione è sostanzialmente oggettiva.
·         dal personaggio stesso, quando si tratta di un autoritratto disegnato in prima persona e perciò in tal senso la presentazione è sostanzialmente oggettiva;
·         da un altro personaggio e in tal senso la presentazione è sostanzialmente soggettiva;
·         dal narratore, dal personaggio stesso e da un altro personaggio: si tratta di una presentazione composita affidata a più persone (narratore, personaggi vari), ognuna delle quali aggiunge secondo il proprio punto di vista una nota al ritratto di un determinato personaggio.
Talvolta il personaggio è presentato solo in modo indiretto, attraverso le sue azioni, i suoi comportamenti, i suoi discorsi, che il lettore interpretare come altrettanti indizi del modo di essere del personaggio stesso.
La costruzione del personaggio prosegue per tutto il corso della narrazione, attraverso un processo di caratterizzazione, attuato mediante un accumulo di elementi che potranno emergere dalle vicende stesse, dal giudizio di altri personaggi, da annotazioni più o meno ampie del narratore e così via. Il tipo di caratterizzazione più frequente è quella fisica e psicologica a cui si possono aggiungere altri livelli di analisi, importanti ma non indispensabili:
·         Livello fisico ossia la descrizione dell’aspetto fisico (magro grasso, alto magro, atletico robusto) e dei caratteri somatici (capelli, fronte, occhi, naso, bocca)
·         Livello psicologico ossia l’analisi di sentimenti, emozioni e stati d’animo che il personaggio vive in determinate circostanze della vicenda.
·         Livello sociale ossia la analisi della classe sociale cui il personaggio appartiene connessa ai due elementi dello status[21] e della stratificazione sociale[22].
·         Livello culturale ossia l’analisi del tipo di cultura che possiede,
·         Livello ideologico ossia l’analisi dei valori e degli ideali in cui crede.

Educazione letteraria. Le parole del personaggio – In letteratura, le parole e i pensieri dei personaggi del testo possono essere riportate con il discorso diretto o il discorso indiretto.
Le battute sono segnalate dall'uso di formule delimitate da due virgolette. In questo caso la focalizzazione è esterna, e minima la distanza narratore-lettore.
Esempio: Gli dissi a voce alta: «Non proseguire, se dovessi continuare autonomamente potresti perderti».
Il discorso diretto libero le parole del personaggio entrano al posto della voce narrante. Quindi il discorso diretto libero consente al lettore di individuare con minor sforzo chi sta parlando, con che tono, a chi si rivolge, ecc.
Es.: «Non spegnere la luce» «Perché?» «Sto leggendo un articolo molto interessante»
L'inverso del diretto è il discorso indiretto, le parole dei personaggi vengono riportate dal narratore, ma senza l'uso di verbi dichiarativi:
Es.: Il maestro riferì che avevano bisogno di aiuto
Il discorso diretto quando è al presente resta sempre uguale, quindi:
Luigi dice: "Vado a casa" (Diretto)
Luigi dice che va a casa (Indiretto)
Inoltre i verbi che introducono le frasi tra le virgolette restano sempre gli stessi.
Quando è al condizionale passato la frase nel discorso indiretto si modifica così:
Luigi disse: "Andrò a casa" (Diretto)
Luigi disse che sarebbe andato a casa (Indiretto)
Invece nel caso che la frase sia interrogativa si forma nel seguente modo: Luigi mi chiede: "Dov'è Anna?" (Diretta) Luigi mi chiede dove sia Anna (Indiretta)
Ciò significa che nelle domande per trasformarle in discorso indiretto si usa il congiuntivo.
Il discorso indiretto libero è una variante del discorso indiretto che fonde le modalità del discorso diretto e di quello indiretto in una forma ibrida. Esso è discorso indiretto in quanto passa attraverso la mediazione del soggetto riferente che però mantiene stilemi, cioè quegli elementi caratteristici che sono il tratto distintivo dello stile di uno scrittore o di un testo, e strutture grammaticali del discorso diretto.
Esso era ben noto sin dagli scrittori classici e viene chiamato libero perché non viene in esso utilizzato quel legame tra discorso del narratore e discorso del personaggio che è il verbo di "dire" o "pensare".
Nel caso del discorso indiretto libero, nessun preciso "segnale" grammaticale indica il momento del passaggio tra i due discorsi. Infatti in apparenza sembra essere il narratore che continua a "vedere" e a "pensare", ma in realtà è il personaggio.
Maestri di questo stile sono stati nella letteratura europea gli scrittori Gustave Flaubert e Jane Austen.
Nella letteratura italiana, questo tipo di discorso è stato ampiamente utilizzato da Verga (vedi il capitolo Il discorso indiretto libero in Giovanni Verga)
Queste forme possono essere utilizzate anche per riportare i pensieri dei personaggi.
Tuttavia vi sono tecniche specifiche, ancora più adatte a esprimere i pensieri e il mondo interiore dei personaggi: quelle del monologo interiore e del flusso di coscienza.
          Il monologo interiore si ha quando il personaggio espone i propri pensieri in modo analitico e razionale. Il monologo interiore è un procedimento tipico della letteratura del Novecento, sensibile all'interiorità del personaggio e ai modi in cui essa si esprime. Con questa tecnica si riproduce il pensiero del personaggio, cercando di mantenersi fedeli alla spontaneità che spesso lo caratterizza, soprattutto quando chi parla è colto in un momento di meditazione e non si rivolge a uno specifico interlocutore. esso è riportato senza virgolette o trattino e non è introdotto da verbi di pensiero (penso che, credo che, ritengo che ecc.).
          Il flusso di coscienza si ha quando pensieri, stati d'animo, immagini si susseguono senza un ordine, secondo libere e spontanee associazioni, in modo irrazionale e non premeditato. Il flusso di coscienza indica un accostamento casuale di pensieri che fluiscono liberamente, immediati e spesso incoerenti, tipici di chi pensa senza imporsi un ragionamento rigoroso. Tale caratteristica si rispecchia     nella scelta di costruire le frasi in modo irregolare, spesso:
- senza rispettare le norme della sintassi,
      - nella rinuncia alla punteggiatura e alla concatenazione logica degli argomenti.

V UNITÀ
Riflessioni sulla lingua. Apposizione – L’apposizione è un nome che si colloca accanto ad un altro nome, per meglio descriverlo e determinarlo.
Es.: Il poeta (apposizione del soggetto) G. Leopardi (soggetto) scrisse (predicato verbale) le Ricordanze (complemento oggetto).

Riflessioni sulla lingua. Complemento di vocazione – Il complemento di vocazione indica la persona o la cosa personificata[23] che si chiama o si invoca. Spesso è preceduto dall’interiezione - o.
Es.: O Signore, aiutami!

Riflessioni sulla lingua. Avverbio - L’avverbio è una parte invariabile del discorso che serve a modificare il significato di quelle parole (verbi, aggettivi, altri avverbi o intere proposizioni) a cui si affianca.
Sono considerati avverbi anche le locuzioni avverbiali, ovvero espressioni formate da più parole, che hanno il significato di un avverbio (di corsa, alla carlona, di certo, in su, in un batter d’occhio, da quando, etc.).

Avverbi relativi - Gli avverbi dove e ove (= nel qual luogo), donde (= dal qual luogo) si dicono relativi perché oltre a indicare luogo, servono a congiungere due proposizioni, come i pronomi relativi.
Così pure dovunque e ovunque (= in qualsiasi luogo nel quale) e comunque (= in qualsiasi modo nel quale), hanno significato relativo (come gli indefiniti qualunque, chiunque) ossia congiungono una proposizione dipendente relativa alla reggente, senza bisogno di altro relativo.
Es: Mi trovo bene dovunque vada
Comunque faccia sbaglio. (Invece di dovunque s’usa dappertutto, se non c’è la relativa: Mi trovo bene dappertutto).
Quanto singolare si riferisce solo a cosa e significa “ciò che, tutto ciò che, tutto quello che” I plurali, quanti, quante, si riferiscono a persone e cose e significano “tutti quelli che, tutte quelle che”.
Es: Gli do quanto (ciò che) gli spetta.
Quanti (tutti quelli che) verranno saranno i benvenuti.
Chiunque, chicchessia, pronomi, e l’aggettivo qualunque oltre al valore indefinito di tutti, ogni, hanno pure valore relativo di tutti quelli che:
Es: Chiunque (tutti quelli che) tace acconsente
Ti comprerò qualunque (tutti quelli che) giocattolo tu desideri.

Riflessioni sulla lingua. Le proposizioni relative - Le proposizioni subordinate relative sono proposizioni che completano il senso del periodo, determinando o espandendo un nome della reggente cui sono collegate mediante un pronome o un avverbio relativo. Esse svolgono nella frase la stessa funzione che nella proposizione hanno l’attributo e l’apposizione.
Quando svolgono questa funzione, le relative sono dette anche attributive o appositive e sono considerate relative proprie. Quando invece svolgono, nel periodo, la funzione che nella proposizione hanno i complementi indiretti, sono considerate relative improprie o circostanziali.

Riflessioni sulla lingua. La proposizione relativa propria La proposizione subordinata relativa propria precisa un nome della reggente cui è collegata mediante un pronome o un avverbio relativi:
Es: Ho letto il libro che mi hai regalato.
La proposizione relativa è introdotta:
·         da un pronome relativo[24], come che, cui, il quale, o misto, come chi, chiunque:
Es: Voglio conoscere il ragazzo con cui esci;
Chi ha detto una cosa simile è un incompetente
·         da un avverbio relativo, come dove, da dove, o relativo indefinito, come ovunque, dovunque:
Es: La città dove vivo è Bologna.
Paolo si trova bene ovunque vada.
Nella forma esplicita, la relativa ha il verbo:
·          all’indicativo, quando esprime un fatto presentandolo come certo e reale:
Es: Ho conosciuto una persona che parla perfettamente il russo.
·         al congiuntivo o al condizionale, quando indica un fatto come incerto, possibile, desiderato, temuto, ipotizzato e simili:
Es: Ho bisogno di una persona che parli perfettamente il russo.
Mi è stata presentata una persona che potrebbe aiutarci.
Nella forma implicita, la relativa ha il verbo:
·         al participio, presente o passato, che di fatto può sempre essere risolto in forma di relativa esplicita:
Es: Antonio, pur avendo studiato ingegneria, ora fa un lavoro non rispondente alle sue aspirazioni (= che non risponde alle sue aspirazioni).
Non mi è ancora arrivato il pacco spedito da Milano sette giorni fa (= che è stato spedito da Milano sette giorni fa).
·         all’infinito, introdotto da un pronome relativo in funzione di complemento indiretto:
Es: Cerco una bella stoffa con cui foderare il divano.
Avete trovato una baby sitter (a) cui affidare i bambini?
·         all’infinito, preceduto dalla preposizione da o senza alcuna preposizione. Anche in questo caso, la relativa implicita è risolvibile in una relativa esplicita:
Es: Questo è l’abito da portare in tintoria (= che deve essere portato in tintoria).
Ho sentito il gatto miagolare (= che miagolava).

Educazione letteraria. Il ruolo dei personaggi - I principali ruoli che i personaggi possono ricoprire sono:
·         Personaggio principale: è il personaggio intorno al quale ruota la storia e che dà l’impulso all’azione narrativa. Possono essere principali anche più personaggi;
·         personaggi secondari: sono i personaggi che agiscono sullo sfondo della vicenda narrata; tuttavia essi sono utilissimi a determinare il contesto, il luogo e a dare informazioni, a creare atmosfere, insomma a rendere completo il quadro.
I personaggi di un testo narrativo vanno esaminati anche in relazione ai compiti che sono loro stati assegnati e che si trovano a svolgere.
Le principali funzioni sono:
·         Protagonista: è il personaggio principale che è al centro del racconto, anche quando non compare direttamente in scena è il centro dei discorsi e delle azioni;
·         Antagonista: è il personaggio che si oppone al protagonista, che cerca di contrastarlo, ostacolarlo sul piano delle azioni o che gli si oppone anche soltanto sul piano psicologico. La ragione dello scontro col protagonista è in genere la conquista dell’oggetto di attrazione; Spesso proprio l’antagonista determina la rottura dell’equilibrio che dà inizio alla vicenda, ma può anche entrare in scena quando ormai l’equilibrio iniziale è decisamente già rotto. In ogni caso, con il suo comportamento è sempre il motore dello sviluppo dell’azione.
·         Oggetto: è il personaggio che costituisce lo scopo dell’impegno o del desiderio del protagonista, contrastato in ciò dall’antagonista. La sua funzione, in una narrazione, è fondamentale perché spesso è, senza alcuna colpa, la causa scatenante della vicenda.
·         Aiutante: è quel personaggio secondario che aiuta il protagonista nella sua azione. Gli aiutanti che dovrebbero aiutarlo a volte, per i motivi diversi, possono danneggiarlo.
·         Oppositore: è quel personaggio secondario che ostacola il protagonista nella sua azione. Di solito l’oppositore è al servizio dell’antagonista di cui quindi è l’aiutante, ma può anche agire di sua iniziativa. Anche gli oppositori possono essere più di uno e possono trasformarsi in falsi aiutanti, cambiando campo e passando dalla parte del protagonista.


VI UNITÀ
Riflessioni sulla lingua. Complementi indiretti – Si definiscono complementi indiretti tutti i complementi che per essere introdotti si servono di nessi complementari che di soliti sono preposizioni[25] semplici[26] o preposizioni articolate[27]. I complementi indiretti possono essere costituiti anche da pronomi personali[28].
Riflessioni sulla lingua. Complemento di specificazione - È così detto perché specifica il significato di un nome. Risponde alle do­mande: di chi? di che cosa?
Es.: Il cane di Mario è peloso.

Riflessioni sulla lingua. Complemento di termine - Indica la persona o la cosa in cui ha termine l’azione espressa dal predica­to verbale. Risponde alle domande: a chi? a che cosa?
Es.: Il postino mi conse­gnò la lettera. La maestra parlò ai bambini.

Riflessioni sulla lingua. Complemento di vantaggio e di svantaggio - Strettamente legati al complemento di termine sono i complementi di vantaggio e di svantaggio che introducono la persona o l'oggetto inanimato a vantaggio o a danno di cui si compie un'azione o si verifica un fatto.
I complementi di vantaggio o svantaggio sono introdotti per lo più dalla preposizione per, o da una locuzione avverbiale come a vantaggio di, a favore di, in difesa di, a svantaggio di, a discapito di, ecc.
Il complemento risponde alle domande: per chi, per che cosa, a vantaggio di chi? di che cosa? a danno di chi? di che cosa?
Es.: Cappuccetto Rosso portava un cestino per la nonna.
L'arrivo del cacciatore fu una disgrazia per il lupo.
N.B. A volte possono essere espressi anche da un pronome personale atono senza preposizione.
Ecc.: Il lupo si fece un bel pranzetto.

Riflessioni sulla lingua. Complemento di fine o scopo
Il complemento di fine o scopo indica il fine verso cui è diretta l'azione oppure lo scopo a cui tende una determinata circostanza o condizione.
Il complemento può essere introdotto da verbi o sostantivi seguiti dalle preposizioni per, a, in, da, di semplici o articolate o dalle locuzioni avverbiali al fine di, allo scopo di.
Il complemento di fine dipende:
·         da un verbo, quando indica lo scopo dell'azione
·         da un sostantivo, quando indica la destinazione o l'uso che si prevede per quella cosa.
Il complemento di fine o scopo risponde alle domande: per quale fine? per quale scopo? a che?
Es.: Il cacciatore giunse in soccorso di Cappuccetto Rosso (per scopo)
Le coperte servivano al lupo da travestimento
Il complemento di fine può presentarsi anche con le seguenti epressioni:
·         carte da gioco
·         carta da lettera
·         nave da guerra / da carico
·         cavallo da corsa / da tiro
·         cane da caccia
·         servizio da caffè
·         occhiali da vista / da sole
·         rete da pesca
·         sala da pranzo / da ballo / da conferenza

Riflessioni sulla lingua. La proposizione finale – la proposizione finale è una proposizione circostanziale che indica il fine o lo scopo per cui è compiuta l’azione della reggente.
La proposizione finale si introduce in forma esplicita ed in forma implicita:
  • in forma esplicita essa ha il verbo al congiuntivo introdotto da affinché, perché acciocché.
Es.: Alessandro si recò in Asia affinché egli sottomettesse l’Impero persiano
  • in forma implicita essa ha il verbo all'infinito introdotto da per, al fine di, allo scopo di, in modo da, o da un aggettivo o da un sostantivo.
Es.: Alessandro si recò in Asia per sottomettere l’Impero persiano
Alessandro fu coraggioso ad affrontare l’Impero persiano.

VII UNITÀ
Riflessioni sulla lingua. Complemento di mezzo – Il complemento di mezzo indica il mezzo o lo strumento con cui si compie un’azione.
Risponde alla domanda: con che cosa? Per mezzo di chi?
Es.: Ritornai con l’aereo.

Riflessioni sulla lingua. Le proposizioni circostanziali – Le proposizioni subordinate circostanziali (o complementari indirette o avverbiali) sono proposizioni dipendenti che arricchiscono la proposizione da cui dipendono con precisazioni circostanziali (relative al fine, alla causa, all’occasione e simili di ciò che è detto nella proposizione stessa). Esse, dunque, svolgono nel periodo la stessa funzione che nella frase svolgono i complementi indiretti e i complementi avverbiali.
A seconda della funzione logica che assolvono, sono chiamate, in perfetto parallelismo con i complementi indiretti ai quali corrispondono, proposizioni finali, causali, temporali ecc.

Riflessioni sulla lingua. Proposizioni strumentali - Sono proposizioni che indicano il mezzo con cui si compie l’azione espres­sa nella reggente.
Hanno sempre forma implicita, ed usano il verbo al gerundio o all’infinito introdotto dalle preposizioni con, in.
Es.: Viaggiando si scoprono nuove civiltà. (Proposizione subordinata strumentale).
Es.: Con lo studiare si im­parano molte cose. (Proposizione subordinata strumentale).

Riflessioni sulla lingua. Avverbi di modo - Gli avverbi di modo (o qualificativi) indicano, appunto, il modo in cui l’azione è compiuta. Sono avverbi di questo tipo:
·         quelli formati aggiungendo il suffisso -mente alla forma femminile di un aggettivo (es.: velocemente, morbidamente)
·         quelli formati aggiungendo il suffisso -oni alla radice di un sostantivo o di un verbo (es.: bocconi, ciondoloni)
·         quelli che hanno la stessa forma di alcuni aggettivi qualificativi al maschile singolare (es.: giusto, forte, alto)
·         bene, male, quasi, volentieri, come, così, cioè, soltanto, purtroppo, ed altro.

Riflessioni sulla lingua. Complemento di modo o maniera – Il complemento di modo o maniera indica il modo o la maniera con cui qualcosa si fa o appare.
Risponde domande come? in che modo?
Es.: Parlavo da solo.
Anche il verbo serve ad indicare una modalità, per questo esistono i modi verbali[29]
Riflessioni sulla lingua. Proposizioni modali - Sono proposizioni che indicano il modo in cui avviene l’azione espressa dal verbo della reggente. Nella forma esplicita sono introdotte da come, secondo che, comunque, senza che, ecc. ed hanno il verbo all’indicativo o al congiuntivo.
Es.: Comunque intervenga, io sono contento. (Proposizione subordinata modale esplicita).
Nella forma implicita hanno il gerundio presente o il participio preceduto da come.
Es.: La mamma parlava con il figlio sorridendo. (Proposizione subordi­nata modale implicita).
Es.: Scappò via, come sollevato dal vento. (Proposizione su­bordinata modale, implicita).

Riflessioni sulla lingua. Complemento di causa – Il complemento di causa indica la causa, il motivo di un’azione, di uno stato di cosa.
Risponde alle domande: perché? Per qual cosa?
Es.: Piangeva di gioia.
Non era molto accetta­to per il suo carattere.

Riflessioni sulla lingua. Proposizioni causali - Sono proposizioni che indicano la causa di ciò che si dice nella reggente. Possono avere la forma esplicita, con il verbo al modo indicativo o al congiun­tivo o al condizionale, se introdotte dalle congiunzioni poiché, perché, siccome.
Es.: Non studio perché sono stanca. (Proposizione subordinata causale esplicita).
Con la forma implicita sono introdotte o dal gerundio o dalle preposizioni per o da ed hanno il verbo all’infinito.
Es.: Quell’alunno fu lodato per aver studiato. (Proposizione subordina­ta causale implicita).

Riflessioni sulla lingua. Complemento di compagnia - Il complemento di compagnia indica la persona con la quale ci si trova o si compie un’azione.
Risponde alla domanda: con chi?
Es.: Vado con un’amica.
Riflessioni sulla lingua. Complemento di unione - Il complemento di unione indica la cosa con la quale si compie o si subisce l’azione.
Risponde alla domanda: con che cosa?
Es.: Partii con tre valigie.

Educazione letteraria. Personaggi statici e dinamici - Un ultimo modo di classificare i personaggi è quello di distinguerli tra personaggi statici e dinamici.
I personaggi statici sono quelli che nel corso della storia non subiscono mutamenti di alcun tipo, né fisici, né psicologici, né di condizione sociale.
I personaggi dinamici sono quelli che si modificano o dal punto di vista fisico o dal punto di vista psicologico o ancora passano da uno stato sociale a un altro.


VIII UNITÀ
Riflessioni sulla lingua. Complemento di agente e di causa efficiente - Il complemento d’agente indica la persona o l’animale da cui è compiuta l’azione espressa dal verbo passivo[30]; il complemento di causa efficiente, indica la cosa da cui è compiuta l’azione espressa dal verbo passivo. Rispondono alle do­mande: da chi? (complemento d’agente) da che cosa? (complemento di causa efficiente).
Es.: Il bambino è castigato dalla mamma.
Es.: La riva è accarezzata dalle onde.


IX UNITÀ
Riflessioni sulla lingua. Avverbi di tempo – Gli avverbi di tempo determinano il tempo di svolgimento di un’azione: ancora, ora, mai, sempre, prima, dopo, ieri, oggi, domani, subito, presto, frequentemente, spesso, etc.

Riflessioni sulla lingua. Complementi di tempo – Il complemento di tempo indica il tempo in cui accade, è accaduto o accadrà un fatto oppure il periodo durante il quale è durata o durerà un’azione.
Il complementi di tempo si distingue, quindi, in complemento di tempo determinato e complemento di tempo continuato.
Riflessioni sulla lingua. Tempo determinato – Il complemento di tempo determinato indica il tempo in modo preciso in cui avviene o è avvenuto o avverrà un fatto. Esso risponde alla domanda: quando?
Es.: Il convegno avverrà il 16 settembre.
Riflessioni sulla lingua. Tempo continuato – Il complemento di tempo continuato indica il tempo in cui dura, è durato o durerà un fatto. Risponde alle do­mande: per quanto tempo?, fino a quando?
Es.: Il governo rimase in carica per dieci mesi.

Riflessioni sulla lingua. Complemento di età - Il complemento di età indica l’età di una persona, l’età in cui una persona ha fatto qualcosa e risponde alle domande di quanti anni? a quanti anni?  
Es.: Mario ha dieci anni;
Antonio, all’età di dieci anni, vinse la sua prima gara di nuoto.

Riflessioni sulla lingua. Proposizioni temporali – La proposizione temporale è una proposizione subordinata circostanziale che indica una circostanza di tempo in cui può avve­rarsi quanto è detto nella reggente.
Le proposizioni temporali di forma esplicita sono introdotte da prima che, dopo che, quando, allorquando, allorché, ecc. e voglio­no il verbo al modo indicativo se si tratta di un fatto reale.
Vogliono, invece, il verbo al modo congiuntivo se si tratta di un’azione possibile o futura.
Es.: Arrivai alla sta­zione dopo che il treno era partito. (Proposizione subordinata temporale).
Es.: Sarò alla stazione prima che arrivi il treno. (Proposizione subordinata temporale).
Le proposizioni temporali di forma implicita hanno il verbo all’infinito retto da: su, ci, in, con, prima di, o al gerundio, o ai participio passato.
Es.: Prima di arrivare, ti telefonerò.
Entrando al cinema, ti ho riconosciuta.
Arrivato al mare, feci il bagno. (Proposizioni subordinate temporali).

Educazione letteraria. Le categorie del tempo e dello spazio – Due elementi importanti del discorso narrativo sono le categorie del tempo e dello spazio.

Educazione letteraria. Il tempo – La dimensione temporale è pensata con attenzione dall’autore ed una sua analisi consente di comprendere meglio il testo: le vicende narrate sono, infatti, collocate in un’epoca e hanno una determinata durata.
Se il testo narrativo narra fatti reali o verosimili, il tempo è quasi sempre determinato con chiarezza e la durata degli avvenimenti è spesso ricavabile da alcuni indicatori o elementi temporali presenti nel testo.
Lo studio del tempo nell’opera letteraria avviene attraverso cinque fondamentali operazioni:
1.    Individuazione dell’epoca storica in cui si svolgono i fatti (se non vi sono indicazioni dell’epoca per quale motivo) individuando se il tempo è:
·         Indeterminato,
·         Chiaramente espresso,
·         Individuabile tramite elementi interni al testo.
2.    Individuazione degli indicatori temporali precisi, le unità di tempo (giorni, mesi, ecc.):
·         Datazioni esplicite,
·         Riferimenti a personaggi realmente esistiti,
·         Descrizione di abitudini e modi di vivere propri di una certa epoca;
3.    Individuazione dell’ordine del tempo ossia come si susseguono le unità di tempo e per quale motivo vi sono delle variazioni rispetto all’ordine lineare:
·         Ordine cronologico
·         Retrospettive, dette analessi o flashback o retrospezione e consistono nell’evocazione più o meno ampia di un evento anteriore al punto della storia in cui ci si trova. Quando l’autore vuole spiegare qualcosa avvenuto in tempo passato rispetto a quello narrativo nel brano, sceglie di interrompere la narrazione nel tempo presente e di retrocedere nel passato, narrando così eventi passati come se stesse narrando eventi al presente. Il flashback è di grande effetto nei romanzi.
·         Anticipazioni o prolessi o evocazione più o meno ampia di un evento successivo al tempo della storia in cui ci si trova, ed è detta anche flash-forward.
4.    Individuazione del rapporto tra tempo della storia (durata reale) e lo sviluppo del racconto (durata narrativa). Il racconto può allungare, abbreviare, fermare lo sviluppo degli eventi della storia mediante le seguenti tecniche (con TR si indica Tempo Racconto, con TS il Tempo Storia):
·         Pausa: TR = TS = 0 (si ferma il tempo della storia per digressioni, commenti, ecc, quando il tempo del racconto è fermo, perchè il narratore indugia in riflessioni o descrizioni quindi il tempo del racconto è maggiore del tempo della storia.
·         Scena: TR=TS quando il tempo del racconto è uguale a quello della storia: questa perfetta coincidenza dei tempi, si riscontra in dialoghi, azioni brevi, ecc.).
·         Narrazione rallentata: TR>TS (descrizione minuziose, al rallentatore).
·         Sommario: TR(poche righe per una storia lunga) quando il tempo del racconto è minore del tempo della storia: il narratore riassume gli avvenimenti.
·         Ellissi: TR=0, quando c’è un’omissione di una parte della storia e di una maggiore velocità del tempo del discorso, quindi il tempo del racconto è minore del tempo della storia addirittura si annulla perchè il narratore omette gli avvenimenti verificatisi in periodi di tempo più o meno lunghi. Si ha, quando alcuni elementi della storia non sono raccontati.
·         Digressione quando il narratore devia dall’argomento principale di un discorso, di una narrazione;
5.    Individuazione della distanza narrativa ossia della distanza del tempo nel testo tra epoca dei fatti narrati ed epoca della narrazione.


X UNITÀ
Riflessioni sulla lingua. Avverbi di luogo – Gli avverbi di luogo specificano una determinazione di luogo lì, , qui, qua, giù, su, laggiù, davanti, dietro, sopra, sotto, dentro, fuori, altrove, intorno, ci, vi, etc.

Riflessioni sulla lingua. Complementi di luogo - I complementi di luogo indicano la località dove si compie un’azione e si distinguono in complementi di stato e complementi di moto, a seconda dei verbi che li introducono.

Riflessioni sulla lingua. Stato in luogo – Il complemento di stato in luogo indica il luogo in cui si trova una persona o avviene un’azione.
Risponde alla domanda: dove?, in quale luogo?
Es.: Vivo a Roma;
Io abito al quinto piano.

Riflessioni sulla lingua. Moto a luogo - Il complemento di moto a luogo indica il luogo nel quale si va o la persona cui ci si avvicina.
Risponde al­le domande: verso dove?, a quale luogo?
Es.: Vado in Sardegna.

Riflessioni sulla lingua. Moto da luogo - Il complemento di moto da luogo indica il luogo da cui si parte o si proviene.
Risponde alla domanda: da quale luogo?, per dove?
Es.: Il viaggio cominciò da Roma.

Riflessioni sulla lingua. Modo per luogo - Il complemento di moto da luogo il luogo che si attraversa per arrivare a destinazione.
Risponde alle domande: per dove?, attraverso quale luogo?
Es.: Passai per un cavalcavia.

Riflessioni sulla lingua. Complemento di origine o provenienza – Il complemento di origine o provenienza indica la nascita, la provenienza, l’origine di una persona o di una cosa.
Risponde alle domande: donde?, da dove?, da chi?
Es.: Il Tevere nasce dal M. Fumaiolo;
Paolo è di modesta famiglia.

Riflessioni sulla lingua. Complemento di distanza - Il complemento di distanza indica la distanza fra due luoghi
Risponde alla domanda: quanto? A quale distanza?
Benevento dista da Napoli 70 Km.

Riflessioni sulla lingua. Complemento di estensione - Il complemento di estensione indica la lunghezza, la larghezza, l’altezza e la profondità di una cosa.
Risponde alla domanda: quanto esteso, lungo, alto, profondo? A quale distanza?
Il ponte era lungo 300 metri.
La torre era alta 30 metri.

Riflessioni sulla lingua. Proposizione locativa - La proposizione subordinata locativa indica la posizione nello spazio in cui si compie l’azione avvenuta nella reggente.
Esiste solo in forma esplicita, introdotta da un avverbio o da una locuzione avverbiale di luogo come dove, da dove, nel punto in cui, dal luogo in cui, ed usa il verbo all’indicativo.
Es.: Dove lo zio viveva da ragazzo, hanno costruito un ipermercato con quattro parcheggi.
Es.: Da dove abito, vedo il mare.

Educazione letteraria. Lo spazio - La dimensione spaziale, ossia lo spazio in cui si svolge la storia, è pensata con attenzione dall’autore ed una sua analisi consente di comprendere meglio il testo: le vicende narrate sono, infatti, collocate in uno spazio in cui si svolge la storia spesso, è scelta con cura dall’autore che la usa con funzioni diverse.
Lo studio dello spazio nell’opera letteraria avviene attraverso tre fondamentali operazioni:
1.    Individuazione dello spazio geografico in cui è ambientata la vicenda (e se questo non è indicato per quale motivo)
2.    Individuazione della descrizione dei luoghi se essi sono:
·         Luoghi reali o immaginari
·         Chiusi o aperti
·         Limitati o illimitati
·         Ristretti o ampi
·         Quali oggetti si trovano
·         Trovare eventuali collegamenti tra situazioni (di tensione, gioia, aspettativa) e spazi.
·         Relazioni tra luoghi e personaggi (come i personaggi vivono il luogo, vi sono analogie o discordanze tra i tipi di personaggio e il luogo in cui si trovano)
·         Relazioni tra i luoghi (ad esempio opposizione tra spazi vicino/lontano, aperto/chiuso, ecc.)
3.    Individuazione della funzione rivestita nella descrizione degli spazi:
·         ambientazione quando fornisce uno sfondo generale per la storia (ad esempio, il romanzo I Malavoglia di Giovanni Verga è ambientato ad Aci Trezza, un piccolo paese della Sicilia, negli ultimi anni del XIX secolo). Più specificamente, il termine “ambientazione” può anche indicare il momento e il luogo in cui si svolge una singola scena di una lunga storia.
·         Narrativa come oggettivazione del carattere del personaggio, rappresentazione di una situazione sociale o morale, come proiezione soggettiva dello stato d’animo del personaggio
·         Simbolica quando è filtrato attraverso la coscienza dei personaggi che istituiscono una corrispondenza tra la propria condizione esistenziale e il paesaggio in sintonia o in contrasto con il loro mondo interiore (ad esempio il palazzo di Atlante nell’Orlando furioso diventa il simbolo della prigione delle passioni)

Educazione letteraria. Le macrosequenze e i nuclei narrativi - I diversi tipi di sequenze di solito si aggregano tra loro, per lo più intorno a una o più sequenze di tipo narrativo, a costituire un’unità narrativa di un certo respiro, detta parte del racconto.
Queste parti sono per lo più facilmente individuabili nel testo: in linea di massima, infatti, si ha una nuova parte di racconto quando:
·         si verifica un mutamento di luogo o un salto temporale
·         entra in sce­na un nuovo personaggio.
·         si verifica un mutamento nello stato d’animo del protagonista
·         si compiersi di un’esperienza psicologica.
L’insieme di più parti riunite a costituire un insieme narrativo organico formano delle macrosequenze che rappresentano i nuclei narrativi del raccon­to, cioè i momenti fondamentali in cui si articola il racconto dal punto di vista del contenuto.


[1] Denotazione e connotazione - Denotazione e connotazione sono termini che si riferiscono ai diversi modi di intendere il significato di una parola.
Per denotazione si intende il rapporto tra la parola e l’oggetto che vuole significare.
Es.: Deserto indica un luogo geografico (denotazione).
In generale la denotazione è tipica della prosa e dei testi non letterari.
Per connotazione invece si intende il significato nascosto (metaforico) di una parola che si riconduce spesso  ai sentimenti dell’autore.
Es.: deserto, può indicare una condizione umana (connotazione: deserto dell’anima = solitudine).
In genere la denotazione è tipica del testo non letterario, mentre la connotazione è diffusa nel testo letterario e più in particolare nel testo poetico.
Ogni parola ha un significante, un significato e un referente.
- il significante è il suono della parola o la sua grafia è cambia a seconda della lingua che si usa.
- il referente è l’oggetto a cui diamo quel nome determinato (esempio “cavallo”) associato a quel suono (cavallo = mammifero con certe caratteristiche).
- il significato è il senso che diamo a un simbolo grafico o a un suono; il significato è dunque l’insieme di stati d’animo, di esperienze passate, di aspettative che ciascuno di noi associa al referente e quindi varia in modo soggettivo.
Dal significato delle parole nasce la loro capacità di associarsi ad immagini diverse a seconda di chi le utilizza e di chi le ascolta; l’uso delle figure di significato è quindi personale e questo le rende suggestive, ma talvolta di difficile interpretazione.
[2] Frase – Una frase o proposizione è un gruppo di parole che esprime un pensiero completo.
Per comporre una frase devono essere presenti come minimo tre cose:
1.          Le parole devono essere nella giusta posizione.
2.          Deve contenere un soggetto, ossia la persona o l’animale o la cosa di cui si parla.
3.          Deve contenere almeno un predicato, ossia quello che si dice a proposito del soggetto; Un predicato contiene sempre un verbo.
Struttura della frase – La maggioranza delle frasi consistono in un verbo e in un nome, anche se la sola presenza di un verbo è sufficiente per individuare una frase.
Es. Io mangio,
Gianni dorme.
Ci sono tuttavia frasi in cui il verbo è assente e in cui sono presenti solo sintagmi nominali
Es:. Bella giornata! Davvero? Sì.
Il verbo può essere anche sostituito da eventuali altri sintagmi nominali, come nel caso delle frasi ellittiche:
Es. A Mario piacciono i dolci, a me no.
Per eliminare ambiguità di significato, sono indispensabili segni non verbali che nella comunicazione orale si esprimono nell´intonazione e che nella lingua scritta si esprimono nella punteggiatura.
Il periodoIl periodo o frase complessa è un’unità complessa del discorso, composta da più frasi semplici o proposizioni combinate in una sola struttura di senso compiuto. Ogni periodo termina con un segno di interpunzione forte.
Un periodo può essere
·         Semplice, quando è costituito da una sola proposizione
Es. Gli allievi studiano il latino volentieri
·         Composto, quando è costituito da due proposizioni legate fra loro da rapporto di coordinazione. Esse sono coordinate mediante dei segni di interpunzione o da congiunzioni. I diversi tipi di coordinazione sono divisi in due gruppi:
·         1) coordinazione per asindeto, quando sono coordinate per semplice accostamento logico di una proposizione all’altra (giustapposizione), ma sono utilizzati i segni di interpunzione. 2) coordinazione per polisindeto cioè mediante le varie congiunzioni coordinanti dalle quali prendono il nome i diversi tipi di proposizioni coordinate. Asindeto e polisindeto non si escludono a vicenda, ma spesso si integrano.Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Analisi_del_periodo"
·          
Es. Molti studiano senza entusiasmo, // ma poi se ne pentono
·         Complesso, quando è costituito da almeno due proposizioni legate fra loro da un rapporto di subordinazione. Le subordinate hanno un grado (I se si subordinano alla principale; II se si subordinano a una subordinata di I grado, e così via); sono esplicite quelle che hanno un verbo di modo finito (indicativo, congiuntivo, condizionale ed imperativo), implicite quelle col verbo di modo indefinito (gerundio, participio, infinito); infine, esse svolgono una funzione logica in relazione al verbo della frase cui si subordinano e possono quindi essere soggettive (se svolgono la funzione di soggetto, ad esempio: È chiaro che tu studi), oggettive (se sono l’oggetto, ad esempio: Gli studiosi tramandano che Romolo fondò Roma), oltre che complementari indirette, svolgendo la funzione di complementi (come le proposizioni finali, consecutive, causali, ecc.)
L’analisi del periodo consiste nel determinare i rapporti esistenti fra le varie frasi semplici che compongono il periodo: si individua la frase reggente o principale e quelle subordinate o dipendenti, o quelle coordinate, designandone il tipo di rapporto coordinante o subordinante implicito o esplicito, il grado, la funzione logica svolta.
[3] Funzione - ruolo svolto da un elemento linguistico all’interno di una frase: funzione di soggetto, di complemento oggetto
[4] Il lessico: Si definisce lessico
·         L’insieme di tutte le parole di una lingua in un determinato spazio temporale.
·         L’insieme di tutte le parole di una lingua che un singolo parlante conosce o utilizza.
In questo significato, il lessico si distingue tra:
·         lessico passivo, compreso tramite il senso, ma tuttavia non utilizzato attivamente;
·         lessico attivo o produttivo, utilizzato anche mentre si parla e le sue possibilità di impiego sono così conosciute che vi si possono formare frasi sensibilmente comprensibili.
In generale bastano dalle 400 alle 800 parole per la lingua quotidiana. Per comprendere testi più difficili (riviste, giornali o classici) sono necessarie dalle 4.000 alle 5.000 parole, in casi eccezionali come in Dante o James Joyce, dalle 80.000 alle 100.000.
Il lessico di una persona dipende da:
·         livello di istruzione, quanto sarà più elevato tanto più il suo lessico sarà ricco.
·         campo di interessi di questa persona (oltre alla terminologia specifica)
Un lessico più ampio serve per uno scambio di informazioni più differenziato.
Lo studio del lessico è collegato con il termine lessema, ossia le forme base di una parola, le unità di lessico considerate in astratto:
·         l’infinito per i verbi,
·         il singolare maschile per i sostantivi; i sostantivi femminili con forma autonoma sono registrati a parte.
·         gli aggettivi per i quali è riportato il grado positivo, ma le forme irregolari del comparativo e del superlativo sono classificate come forme autonome.
·         i pronomi,
·         gli articoli.
Il lemma è la singola forma registrata in ordine alfabetico nel dizionario; rappresenta in genere un sostantivo, un aggettivo, un pronome, un verbo, ma può anche consistere in un sintagma o in una locuzione, considerate come un’unità lessicale, oppure un prefisso o un suffisso.
I sottolemmi non costituiscono vere e proprie unità lessicali, e quindi non sono registrati autonomamente, ma sono relegati in posizione secondaria, in fondo alla trattazione del lemma.
Sono collocate fra i sottolemmi:
·         le forme alterate dei sostantivi e degli aggettivi (diminutivi, vezzeggiativi, spregiativi, accrescitivi, peggiorativi);
·         gli avverbi in –mente, quando il loro uso e significato coincidono con quelli dell’aggettivo dal cui tema sono formati;
·         il participio presente e il participio passato, quando siano usati con funzione d’aggettivo o di sostantivo, senz’aver tuttavia un’autonomia semantica e d’uso che ne richieda una registrazione autonoma.
Ogni lemma è formato da una sequenza fissa di più elementi:
·         intestazione della voce
·         definizione della voce, con l’indicazione del significato o dei significati e relativa esemplificazione, fraseologia, citazioni
·         eventuali sottolemmi
[5] Autore - L’autore, in senso generalissimo, è l’iniziatore di qualcosa, colui che fa aumentare l’insieme dello sapere e del fruibile.
La parola autore è spesso usata per indicare il creatore di un’opera letteraria, artistica o dell’ingegno ovvero di chi, per primo, ha inventato qualcosa non precedentemente esistente.
[6] Prosa - La prosa è una forma di espressione linguistica non sottomessa alle regole della versificazione.
Il concetto di prosa si oppone a quello di poesia: esso, infatti, indica una struttura che non presenta l’a capo del verso, ma procede diritta, completando il rigo ed usando l’a capo solo per indicare una separazione non metrico-ritmica ma concettuale, tra sequenze non obbligate da vincoli formali.
L’origine etimologica e la storia della prosa testimoniano questi caratteri: Prosa era in latino la forma femminile dell’aggettivo prorsus (diritto, di seguito); unita al sostantivo oratio indicava il discorso orale o scritto non in versi.
Le funzioni della prosa colta sono molteplici:
·         Narrativa
·         Storiografia
·         Didattico-scientifica
·         Saggistico-critica
·         Oratoria
·         Epistolare
·         Drammatica
[7] Poesia - La poesia è l’arte di usare, per trasmettere un messaggio, tanto il significato semantico delle parole quanto il suono ed il ritmo che queste imprimono alle frasi; la poesia ha quindi in sé alcune qualità della musica e riesce a trasmettere emozioni e stati d’animo più evocativamente e potentemente di quanto faccia la prosa.
Questa definizione è, tuttavia, minimale e limitata di poesia. Il termine poesia, dal greco poiesis, rimandava all’idea di creazione, creatività, produttività, a un’attività demiurgica,, senso recuperato da Friedrich Nietzsche e da Martin Heidegger.
Gli elementi caratteristici della poesia soni tre:
1.        Una poesia non ha un significato necessariamente e realmente compiuto come un brano di prosa, o il significato è solo una parte della comunicazione che avviene, quando si legge o si ascolta una poesia; la parte non verbale è emotiva.
2.        Poiché la lingua nella poesia ha questa doppia funzione di vettore sia di significato sia di suono, di contenuto sia informativo sia emotivo, la sintassi e l’ortografia possono subire variazioni se questo è utile ai fini della comunicazione complessiva.
3.        Quando una poesia è ascoltata, con il proprio linguaggio del corpo ed il modo di leggere, il lettore interpreta il testo, aggiungendo una dimensione teatrale.
4.        La poesia è nata prima della scrittura: anzi le prime forme di poesia erano essenzialmente orali, come l’antichissimo canto a batocco dei contadini e i racconti dei cantastorie.
Altre forme di componimento poetico:
·         La poesia didascalica, che è quella che mira a insegnare poeticamente verità utili all’uomo. Comprende questi componimenti:
·         il poema didascalico
·         il poema allegorico
·         l’epistola
·         la satira
·         l’epigramma
·         la favola
·         epicedio
·         Ballata
·         Cinquina
·         Sestina
[8] Poema - Un poema è una composizione letteraria in versi, per lo più di carattere narrativo o didascalico e di ampia estensione, spesso suddivisa in più parti.
Con questo termine si intende generalmente il genere letterario che comprende tali composizioni.
Un poema è in genere scritto in versi endecasillabi, perché sono versi narrativi, serve per raccontare, ed è molto più lungo di una poesia.
Ha tre momenti fissi:
·         Protasi: riassunto in pochi versi di tutto il contenuto dell’opera;
·         Invocazione: richiesta di aiuto (ispirazione) ad un’entità superiore (dèi, muse della letteratura nell’età classica, Maria nella letteratura religiosa del cristianesimo, oppure una vera donna come nel caso di Ludovico Ariosto)
·         Dedica: nel poema classico, la dedica non è presente in modo scritto perché era destinato alla declamazione orale, dal medioevo in poi la dedica sarà presente per dimostrare gratitudine a chi ospita l’autore.
Un poema può avere vario tono ed argomento e si può distinguere fra l’altro, a seconda della materia, in:
·         Poema cavalleresco
·         Poema didascalico
·         Poema epico Un poema epico è un componimento letterario che narra le gesta, storiche o leggendarie, di un eroe o di un popolo, mediante le quali si conservava e tramandava la memoria e l’identità di una civiltà o di una classe politica. Si tratta di una delle forme più antiche di narrazione, racconta le imprese eroiche di personaggi umani, storici o leggendari, a cui spesso si uniscono esseri soprannaturali, ma anche le origini del mondo, delle città, le norme dell’agricoltura e della navigazione. La poesia epica è alla base di molte culture, in quanto si propone di conservare e tramandare la memoria di fatti eccezionali che hanno coinvolto tutto un popolo. Dato che non esprimono sentimenti o punti di vista individuali, ma di tutta una comunità, i poemi epici sono spesso anonimi, cioè non possono essere attribuiti ad un autore la cui esistenza sia certa e provata. Quasi sempre la poesia epica di un popolo nasce in forma orale: inizialmente è composta e tramandata a voce, da poeti o cantori che si accompagnano spesso con strumenti musicali, e solo in un secondo momento assumono forma scritta. Era eseguita non solo nelle regge, ma anche nei santuari e nelle piazze, rendendo tutti gli spettatori partecipi delle stesse memorie, delle stesse tradizioni e delle stesse conoscenze. Nell’antichità la poesia epica fu diffusa sia nel mondo orientale sia in quello occidentale. Il poema è generalmente caratterizzato da due momenti ricorrenti:
·         La mimetica, che riporta in presa diretta i discorsi dei personaggi.
·         La diegetica, ossia la narrazione in terza persona.
Il fulcro dell’epica è costituito dalle gesta dell’eroe che è sempre una persona più intelligente, forte, brillante o astuta degli altri uomini. I segni distintivi del poema epico, oltre ovviamente all’argomento trattato, riguardano anche lo stile e certi motivi ricorrenti.
Il poema epico si apre sempre con una protasi, in cui dopo l’invocazione alla Musa è brevemente presentato l’argomento del poema.
·         Poema eroicomico
·         Poema sinfonico
[9] Il nome - Il nome o sostantivo è la parte variabile del discorso che indica un essere, una idea, un fatto. I sostantivi sono anche detti nomi, anche se linguisticamente, il primo termine è preferito per il suo significato più pregnante: significa infatti provvisto di una propria sostanza, di una realtà di cui possiamo parlare, sia essa tangibile, sia che esista solo nella nostra mente (virtù).
I nomi, insieme ai verbi, sono gli elementi primari di una lingua e costituiscono il pilastro su cui la frase si costruisce.
Dal punto di vista linguistico i nomi possono essere analizzati morfologicamente e semanticamente.
Le caratteristiche morlogiche – Le caratteristiche morfologiche di un nome riguardano il genere ed il numero.
Nel genere i nomi possono essere maschili o femminili.
Una delle maggiori difficoltà è costituita dall’apprendere come si trasforma un nome maschile nel corrispettivo femminile (quando esiste) e come si forma il plurale.
La trasformazione di un sostantivo maschile in femminile può avvenire solo con nomi di persone (maestro - maestra) o di animali (asino - asina), ma non con quelli di cose: infatti la tappa (quella del giro d’Italia) non è la femmina del tappo (quello della bottiglia).
Nel numero sono generalmente singolari e plurali, ma non mancano quelli che si usano solo al singolare (buio) o solo al plurale (forbici).
Per quanto attiene alla formazione del plurale, si osservino queste semplici norme:
a)        la maggior parte dei nomi, sia maschili che femminili, al plurale esce in i tranne i femminili che al singolare escono in a perché questi al plurale vogliono la desinenza e:
Esempi:
Singolare
Plurale
Il cavallo (m. in o)
I cavalli
Il fiume (m. in e)
I fiumi
Il poeta (m. in a)
I poeti
La mano (f. in o)
Le mani
La vite (f. in e)
Le viti
La matita (f. in a)
Le matite
b)       al plurale restano invariati:
·         i nomi monosillabici (il re - i re)
·         i nomi tronchi (cioè con l’accento sull’ultima sillaba: la virtù - le virtù / la verità - le verità)
·         i nomi terminanti in i (il brindisi - i brindisi)
·         i nomi terminanti in consonante (il lapis - i lapis)
·         i nomi propri di persona con desinenza a (Enea - gli Enea)
·         i cognomi (il Foscolo - i Foscolo / l’Alighieri - gli Alighieri)
·         i nomi stranieri (il pullman - i pullman / il goal - i goal)
c)        i nomi terminanti in -io, se hanno la i tonica (cioè accentata nella pronuncia) come pigolìo e zìo, al plurale richiedono la desinenza ii (pigolii, zii), altrimenti una sola i (figlio - figli / premio - premi);
d)       i nomi che terminano in -cia e -gia, se davanti a -cia e -gia hanno una vocale, fanno al plurale -cie e -gie (camicia - camicie / guarentigia guarentigie); se hanno una consonante fanno invece -ce e -ge (lancia lance / bolgia - bolge). Se però hanno la i tonica, la conservano sempre (farmacìa - farmacìe / nostalgìa - nostalgìe).
Le eccezioni a queste norme sono numerose e solo l’uso frequente del dizionario può farcele apprendere.
Ecco solo alcuni dei nomi che sfuggono alle regole su accennate: il vaglia - i vaglia , il pigiama - i pigiama, la radio - le radio, la dinamo - le dinamo, l’arbitrio - gli arbitrii (per distinguerlo da arbitri che è il plurale di "arbitro"), l’omicidio - gli omicidii (per distinguerlo da omicidi che è il plurale di "omicida").
Per il plurale dei nomi in -co e -go è d’obbligo l’uso del dizionario. Quando sorge un dubbio si consulti il vocabolario e si cerchi di memorizzare l’esito della ricerca.
es: mago al plurale fa magi (come i tre re del presepio) o maghi (come dicono i presentatori televisivi)?
L’uso del dizionario vale anche per il plurale dei nomi composti.
Le caratteristiche semantiche - Dal punto di vista semantico i nomi si suddividono nelle seguenti categorie:
·         nomi comuni e nomi propri
·         nomi concreti e nomi astratti
·         nomi individuali e nomi collettivi
·         nomi numerabili e nomi non numerabili
Nomi comuni e nomi propri di cose - I nomi comuni indicano persone, animali, cose, luoghi,ecc. in modo generico come appartenenti ad una classe; il nome libro può indicare uno qualsiasi dei possibili libri esistenti, se non viene a esso aggiunto qualche maggiore elemento di identificazione:
·         il mio libro
·         il libro di latino che ho lasciato sul tavolo
I nomi propri, invece, sono nomi o cognomi di persone, appellativi geografici, storici, letterari, culturali e sociali; indicano non ciò che è generico ma ciò che è individuale, non la classe ma l’elemento singolo. E questa singolarità è evidenziata con l’uso della lettera maiuscola:
Parigi
Lombardia
Nomi concreti e nomi astratti - Sono concreti i nomi comuni usati per designare persone, animali o cose percepibili con i nostri sensi:
ragazza, sedia, fragore, profumo, superficie
Sono astratti i nomi comuni con cui si designano entità accessibili solamente al nostro spirito e al nostro pensiero:
fede, giustizia, bontà, bellezza, male
Nomi individuali e nomi collettivi - Il nome individuale designa un’entità singola che può essere una persona, un animale, una cosa o un concetto, indicandola con il nome proprio o con il nome comune della classe a cui questo appartiene. Per indicare una pluralità di individui, questi nomi devono essere usati al plurale Questa categoria comprende la maggior parte dei nomi:
Luisa, donna, lupo, tazza, virtù.
Il nome collettivo, invece, pur essendo al singolare designa gruppi o insiemi di persone (folla), cose (fogliame) o animali (mandria). Quando il nome collettivo è in funzione di soggetto, il verbo va al singolare
[10] I pronomi personali - I pronomi personali sono quei pronomi che rappresentano la persona che parla, la persona che ascolta oppure la persona, l’animale o la cosa di cui si parla, senza specificarne o ripeterne il nome.
Es.: Io sono pronto per la partenza, tu no.
Es.: Abbiamo discusso con loro dei risultati elettorali.
I pronomi personali hanno forma diversa, secondo la persona, il numero, il genere e la funzione. Tale funzione può essere di soggetto o di complemento.
Persona
funzione soggetto
funzione complemento
forma tonica
forma atona
1a singolare

Io
Me
Mi
2a singolare
Tu
Te
Ti
3a singolare
Maschile
Egli,esso
lui, esso, sé
lo, gli, ne, si
Femminile
Ella, essa
lei, essa, sé
la, le, ne, si
1° plurale

Noi
Noi
ci, ce
2° plurale
Voi
Voi
vi, ve
3° plurale
Maschile
Essi
essi, loro, sé
li, ne, si
Femminile
Esse
esse, loro, sé
le, ne, si
Pronomi personali soggetto - I pronomi personali soggetto indicano la persona che è protagonista dell’azione o che effettua la comunicazione.
Es.: Tu sei stato proprio bravo;
Es.: Egli ascolta la musica di Puccini.
In italiano, a differenza di quanto accade in altre lingue, il pronome personale soggetto è spesso sottinteso, ma è preferibile evitarlo nella lingua scritta.
Il pronome deve essere espresso. Ciò avviene:
·         quando si vuole specificare il maschile o il femminile; Egli/Ella gioca;
·         quando il verbo presenta la stessa forma per più persone, ad esempio nel congiuntivo presente: Bisogna che io sappia la novità; Bisogna che tu sappia la novità;
·         quando si vuole dare rilievo al soggetto: Voi formate una bella compagnia;
·         quando si vogliono contrapporre più soggetti: Io lavoro ed egli si diverte.
[11] NOTA DI RETORICA L’allegoria - L’allegoria è una figura retorica per cui un concetto astratto è espresso attraverso un’immagine concreta: in essa, come nella metafora, vi è la sostituzione di un oggetto ad un altro ma, a differenza di quella, l’accostamento non è basato su qualità evidenti o sul significato comune del termine, bensì su un altro concetto che spesso attinge al patrimonio di immagini condivise della società. Essa opera comunque su un piano superiore rispetto al visibile e al primo significato: spesso l’allegoria si appoggia a convenzioni di livello filosofico o metafisico.
[12] La sensazione – La sensazione è la modificazione dello stato del nostro organismo, causato del contatto con l’ambiente, i cui stimoli sono percepiti dai nostri organi di senso; ognuno di essi è destinato alla ricezione di un particolare stimolo e sono:
·         udito,
·         vista,
·         olfatto,
·         gusto,
·         tatto,
·         cinestesia ed equilibrio,
·         sensazione di dolore.
La relazione tra la sensazione e lo stimolo è complicata dal fatto che non tutti gli stimoli fisici sono percepiti dall’individuo. Per essere percepito da un determinato organo di senso (soglia assoluta), uno stimolo deve infatti raggiungere una determinata grandezza e deve essere abbastanza diverso in intensità per poter essere distinto da un altro, simile per grandezza (soglia differenziale).
La distinzione tra sensazione, legata agli effetti immediati ed elementari in grado di suscitare una risposta, e la percezione, corrispondente all’organizzazione dei dati sensoriali in un’esperienza complessa, cioè al prodotto finale di un processo di elaborazione dell’informazione sensoriale, è che la percezione finale è la somma di sensazioni.
[13] L’emozione – L’emozione è uno stato affettivo, caratteristico di tutti gli esseri viventi.
L’emozione è un’impressione viva, un intenso moto, un impulso affettivo, di durata relativamente breve, piacevole o penoso, accompagnato da modificazioni fisiologiche e mentali, dovuto a forte impressione.
Le emozioni sono determinate non solo da uno stato interno dell’organismo, ma anche da una percezione di quanto avviene esternamente.
Ogni emozione implica una reazione cognitiva e fisica ad uno stimolo improvviso di approvazione, sorpresa, paura, dispiacere, disgusto, aspettativa, rabbia, gioia, per questo ogni emozione è collegata a reazioni psicofisiologiche di vario genere, mescolate tra loro in modo complesso e particolare a seconda delle persone e delle situazioni.
L’emozione può provocare reazioni
·         Fisiologiche, ossia modificazioni somatiche diffuse (pallore o rossore, reazioni motorie ed espressive ecc.).
·         Cognitive ossia diminuzioni o miglioramenti nella capacità di concentrazione, confusione, smarrimento, allerta, e così via.
·         Comportamentali
L’emozione si distingue dal sentimento, perché quest’ultimo è meno intenso e più durevole e dà una particolare tonalità affettiva alle nostre sensazioni, alle nostre rappresentazioni ed alle nostre idee: mentre l’emozione è quindi involontaria ed istintiva, il sentimento, come il pensiero, è una funzione razionale.
[14] Sentimento - Il sentimento è la capacità di provare consapevolmente sensazioni ed emozioni. Il sentimento dunque non è più solo una percezione fisica, ma uno stato d’animo, un’emozione che è possibile razionalizzare e comunicare.
Es. l’amore, l’amicizia, la rabbia, la nostalgia ed altro.
I sentimenti sono espressione di ciò che ci circonda e che agisce direttamente o indirettamente su di noi. La maggior parte dei sentimenti è controllata dal nostro subconscio e per questo ogni elemento esterno ci coinvolge anche internamente: in altri termini dal nostro subconscio si innesca una catena logica, maturando così risposte logiche non esprimibili con parole, ma che si sviluppano nella nostra mente come concetti.
Ogni risultato, ottenuto da questa catena logica, è posto in una zona, ancora scientificamente ignota, chiamata anima, e perciò a volte si possono provare sentimenti contrastanti tra di loro e non sapere il motivo di tutto ciò.
Es.: L’innamoramento, che può effettuarsi tra due persone completamente diverse e perciò c’è uno scontro tra opinione soggettiva, che cerca profitto nei fatti per il soggetto stesso, ed opinione oggettiva (o del subconscio).
I sentimenti influenzano il nostro umore, il nostro modo di agire, il nostro modo di parlare, ma sopratutto il nostro modo di vivere e di essere: in altri termini i sentimenti influenzano tutta la sfera dell’affettività, un ambito che definisce i sentimenti e le emozioni proprie dell’uomo nell’ambito delle sue relazioni sociali, in particolare di quelle familiari, sentimentali e amicali caratterizzate da una particolare intimità.
[15] Passione – La passione è una tensione violenta e di una certa durata. L’idea di passione indica un cambiamento che subisce l’individuo (si è sopraffatti dal dolore, travolti dall’amare, ecc.).
Diversamente dall’emozione, che è passeggera, la passione è cronica, acuta, complessa, che polarizza l’attenzione attorno di un soggetto su un unico oggetto.
Nell’antichità le passioni sono state quasi sempre condannate come elementi disturbanti: i filosofi identificavano le emozioni con le passioni e Platone definiva le passioni come una malattia dell’anima. Tra queste forze interne il soggetto cerca un equilibrio che è sempre precario e instabile pertanto costituiscono una continua minaccia all’armonia del soggetto, se non guidate e indirizzate verso fini razionali e moralmente validi.
Le passioni hanno occupato l’attenzione dei filosofi fin dall’antichità classica, ma solo recentemente le scienze sociali hanno prestato attenzione alle diverse componenti della cultura emozionale, presenti nelle espressioni letterarie e nelle manifestazioni massmediali, ma anche nella dinamica dell’interazione sociale.
[16] Stato d’animoGli stati d’animo sono sentimenti o emozioni di intensità bassa e durata relativamente lunga: in altri termini lo stato d’animo è un modo di essere temporaneo o permanente, una situazione, una condizione psicologica che noi stessi ci creiamo mediante specifiche azioni mentali e fisiche.
Le componenti che determinano uno stato d’animo sono due:
1.        Le rappresentazioni interiori: le imitazioni di modelli familiari, le situazioni del passato, le nostre credenze, i nostri atteggiamenti, valori ed esperienze condizionano le rappresentazioni interne che ci facciamo;
2.        L’uso della fisiologia: la tensione muscolare, ciò che mangiamo, il modo di respirare, hanno un’incidenza enorme sul nostro stato d’animo.
L’esperienza interna e quella fisiologica influiscono l’una sull’altra, quindi i cambiamenti di stati d’animo implicano cambiamenti di rappresentazioni interne e di fisiologia: di conseguenza, per controllare il nostro comportamento dobbiamo controllare e dirigere i nostri stati d’animo, per controllare questi ultimi dobbiamo controllare e dirigere le nostre rappresentazioni interne e la nostra fisiologia.
Alcuni stati d’animo quali amore, fiducia in se stessi, forza interiore, gioia, estasi generano la forza personale; altri stati d’animo quali confusione, depressione, paura, ansia, tristezza, frustrazione rendono deboli. Per questo il comportamento umano è il risultato dello stato d’animo in cui ci si trova.
[17] Angoscia - L’angoscia è un sentimento intenso di ansia e apprensione e a differenza della paura, è rappresenta, vista e percepita dall’Io, (l’Io è la struttura che percepisce sé stessa ed entra in relazione con altre persone, distinguendole come "non-Io") come una situazione catastrofica, da mettere in crisi la capacità dell’Io di controllare e gestire le pressioni dal Super Io e dell’Es.. Rappresenta una paura minacciosa e catastrofica, senza nome e con cause ed origini apparenti.
Il termine angoscia è stato utilizzato per la prima volta nell’ambito filosofico da Søren Kierkegaard (18131855), con il quale il filosofo identificò la condizione preliminare dell’essenza umana, che emergeva quando l’uomo si poneva davanti ad una scelta: la facoltà di intraprendere qualsiasi tipo di scelta, lo getta in preda all’angoscia. L’angoscia è definita quindi come il sentimento della possibilità, come la paura di effettuare una scelta.
A differenza degli animali, le cui azioni sono dettate dall’istinto, l’uomo è costretto ad operare delle scelte, consapevole che queste possano portare a ripercussioni, positive o negative.
Attualmente, l’angoscia è definita come un senso di frustrazione e malessere, che può degenerare anche in diverse patologie (si pensi all’angoscia esistenziale di derivazione kierkegaardiana).
[18] Il testo descrittivo - La descrizione o testo descrittivo mostra con le parole com’è fatta una persona, un animale, una cosa, un ambiente, descrivendone le caratteristiche e gli aspetti più significativi.
La descrizione può essere:
1.        Oggettiva o impersonale: essa è caratterizzata dal fatto che chi comunica (scrive o parla) vuole presentare fedelmente la realtà attraverso una serie di dati condivisibili da tutti cioè impersonalmente. Essa si ha quando sono descritti dati fisici, utilizzando le informazioni che ci vengono dai sensi: (udito, vista, olfatto, gusto, tatto, cinestesia ed equilibrio, sensazione di dolore) gli atteggiamenti e le abitudini senza aggiungere impressioni, opinioni e sentimenti personali. Il linguaggio è ricco di aggettivi qualificativi e di termini specifici. I verbi sono generalmente usati al tempo presente e le frasi sono brevi e semplici. Lo scopo è quello di fornire informazioni chiare, ordinate e corrette.
Es.: E’ una ragazza di vent’anni. E’ alta e magra. Ha la carnagione chiara e gli occhi azzurri. Indossa un maglione di lana bianca e un paio di jeans chiari. Ha con sé un cagnolino.
2.        Soggettiva o personale: essa è caratterizzata dal fatto che chi comunica (scrive o parla) ha l’intenzione di rappresentare la realtà, dando particolare rilievo ai sentimenti, alle opinioni, alle riflessioni, alle esperienze personali. Il linguaggio è ricco di aggettivi qualificativi, attraverso i quali sono espressi giudizi e valutazioni, di paragoni e metafore. I verbi sono per lo più usati al tempo passato e i periodi sono lunghi e complessi. Lo scopo è quello di rappresentare la realtà come appare a chi scrive, di creare un’atmosfera particolare e di suscitare emozioni e riflessioni.
Es.: E’ una ragazza giovane, splendida, bella come il sole. Ha un viso luminoso e sorridente. I suoi capelli sono lunghi e luminosi come la sete. I suoi occhi, azzurri come il cielo, infondono fiducia e simpatia. Veste in modo semplice e sportivo: comodi e pratici jeans e un caldo maglione di lana bianca. Passeggia con un simpatico e vivace cagnolino.
Dati da considerare per descrivere:
1.        una persona
·         chi è
·         come si chiama
·         aspetto fisico (la corporatura, la statura, la carnagione, il viso, gli occhi, il naso, la bocca, i capelli, la voce)
·         abbigliamento: il modo di vestire
·         il carattere: qualità e difetti, l’intelligenza, i sentimenti.
·         il temperamento: come si comporta solitamente, gli atteggiamenti, il modo di parlare.
·         i suoi interessi.
·         la condizione sociale: l’età, la famiglia, il tipo di lavoro, la ricchezza, la povertà.
·         quali sentimenti suscita.
2. un animale
·         che animale è
·         come si chiama
·         ambiente in cui vive
·         caratteristiche fisiche
·         da cosa è ricoperto il suo corpo
·         versi che produce
·         il comportamento
·         il rapporto che ha con te
·         quali sentimenti suscita
[19] Verbi transitivi e verdi intransitivi – La prima importante classificazione del verbo è quella che distingue i verbi transitivi e quelli intransitivi.
Si chiamano transitivi i verbi che possono avere un complemento oggetto.
Es. Marco legge un libro
Non sempre però i verbi transitivi, per avere senso compiuto, devono essere seguiti da un complemento oggetto;
Es. Marco legge
In tal caso il verbo transitivo è usato in forma assoluta, senza complemento oggetto, ma continua a rimanere transitivo.
Sono intransitivi i verbi che non possono avere un complemento oggetto:
Es. L’uomo impallidì;
Es. Giovanni è partito;
Es. Siamo finalmente arrivati;
Es. Io esco.
Nel primo caso il verbo impallidire indica uno stato; negli altri tre i verbi (partire, arrivare, uscire) indicano un’azione. Si tratta comunque di uno stato e di un’azione che si esauriscono nel soggetto, tant’è vero che i verbi non sono nemmeno seguiti da un complemento. Anche se il complemento ci fosse, servirebbe solo a precisare alcune circostanze dello stato o dell’azione, ma non potrebbe mai essere un complemento oggetto.
La forma del verbo – La seconda importante classificazione del verbo e quella che riguarda la forma Esistono tre modi di coniugare i verbi:
1.        per esprimere un’azione compiuta dal soggetto, si coniugano i verbi nella forma attiva;
2.        per esprimere un’azione subita dal soggetto, si usa la forma passiva, formata dal verbo essere (o, in certi casi, venire, andare, finire, restare), seguito dal participio passato del verbo;
3.        per esprimere un’azione che è compiuta dal soggetto e che termina sul soggetto stesso, si usa la forma riflessiva, in cui il verbo è preceduto da una delle particelle mi, ti, si, ci, vi.
La forma riflessiva a sua volta può essere:
·         propria: soggetto e complemento oggetto coincidono ("Piero si veste").
·         apparente: le particelle mi, ti, si, ci, vi non svolgono la funzione di complemento oggetto, ma di complemento di termine ("Piero si asciuga i capelli" = "Piero asciuga i capelli a sé", dove "i capelli" è il complemento oggetto e "si" = "a sé" è il complemento di termine).
·         reciproca: l’azione è compiuta e subita scambievolmente da due soggetti ("Piero e Carlo si salutano" = "Piero saluta Carlo e Carlo saluta Piero").
N.B.: Alcuni verbi hanno una forma pronominale che è simile a quella riflessiva, ma non c’entra affatto: le particelle mi, ti, si, ci, vi fanno parte del verbo stesso. Per esempio, "Piero si pente" non significa "Piero pente se stesso": infatti "pentirsi" è un verbo che ha la forma pronominale.
[20] Gli aggettivi determinativi – Detti  anche aggettivi pronominali, perché sono simili ai rispettivi pronomi, solo che non fanno le veci di un nome, ma lo accompagnano come aggettivo.
Tra gli aggettivi determinativi sono da includere:
·         L’aggettivo possessivo indica a chi appartiene il sostantivo a cui si riferisce. Essi sono: mio, tuo, suo, proprio, nostro, vostro, loro, altrui
Es.: La mia casa, la tua automobile, i suoi libri.
·         Gli aggettivi interrogativi introducono una domanda diretta o indiretta al fine di chiedere indicazioni circa il nome a cui si riferiscono. Essi sono: che, quale, quanto.
·         L’aggettivo correlativo stabilisce un confronto. Essi sono: tale, quale.
Es.: Tale il padre, tale il figlio.
Sono due fratelli. Tali e quali.
·         L’aggettivo dimostrativo (detti anche indicativi o identificativi) determinano vicinanza o lontananza da chi sta parlando o a chi  ascolta (questo, codesto, quello) oppure rapporti di identità (stesso, medesimo, altro ecc.) 
Es.: Questo libro è interessante.
·         Gli aggettivi indefiniti qualificano il nome con una quantità o qualità approssimata o indeterminata. Questi aggettivi indicano una quantità generica: alcuno  (significa nessuna persona e si usa nelle frasi negative) Es.: Non ho incontrato alcuno dei miei amici.
alquanto  (indica una quantità intermedia fra poco e molto) Es.: Marco è alquanto ingrassato.
altrettanto  (indica una quantità uguale a un’altra) Es.: Questo vino è altrettanto buono di quell’altro.
altro  (indica una quantità nuova ma non precisa) Es.: Abbiamo deciso di seguire un altro percorso.
certo  (indica una piccola quantità o una persona che non si conosce) Es.: Ho un certo appetito.
ciascuno  (significa tutti, uno per uno) Es.: Ciascuno dei dipendenti ha ricevuto in regalo un dizionario.
molto  (indica una grande quantità) Es.: La nostra azienda ha investito molto denaro per questo progetto.
diverso  (inserito prima del nome indica una quantità grande, anche se non quanto l’aggettivo molto; inserito dopo il nome significa di altro tipo) Es.: Sandro ha incontrato diverse persone al ricevimento.
nessuno  (indica l’assenza totale di quantità) Es.: Oggi non è venuto nessun amico a trovarmi.
ogni  (significa tutti uno per uno) Es.: Ogni socio ha partecipato all’assemblea di fine anno.
parecchio  (indica una quantità intermedia fra poco e molto) Es.: Per svolgere questo lavoro è necessario parecchio tempo.
poco  (indica una quantità piccola ma imprecisata.) Es.: Lo spettacolo ha avuto poco successo.
qualche  (indica una quantità appena più grande di poco; a volte indica incertezza) Es.: Qualche anno fa eravamo andati in vacanza in Olanda.
quanto  (in correlazione con ‘tanto’ indica una quantità uguale a un’altra) Es.: Giulia ha tanto fascino quanta intelligenza.
tale (preceduto dall’articolo indica una cosa o una persona in modo indeterminato. Preceduto da ‘quello/a’ indica cosa o persona nota) Es.: Mi ha detto che doveva incontrare la tale persona.
taluno  (indica una quantità di persone o di oggetti imprecisata) Es.: Taluni studenti parteciparono alla manifestazione.
tanto (indica una quantità anche più grande di molto) Es.: Possiede tanto denaro.
troppo  (indica una quantità eccessiva) Es.: Ho messo troppo zucchero nel caffè.
tutto  (indica una quantità totale) Es.: Siamo partiti con tutta calma. vario (prima del nome indica una quantità grande, ma meno di quella indicata dall’aggettivo molto; dopo il nome indica diversità) Es.: Per vario tempo non l’ho più incontrato.
Questi aggettivi indicano una qualità generica: qualsiasi  (indica una persona o una cosa generica, senza importanza) Es.: Qualsiasi persona saprà indicarti la strada per arrivare alla stazione. qualunque  (indica una persona o una cosa generica, senza importanza.) Es.: Possiamo andare a trovare mio zio in qualunque momento.
[21] Status sociale - Lo status identifica la posizione di un individuo nei confronti di altri soggetti nell'ambito di una comunità organizzata.
Le norme sociali di attribuzione dello status dipendono dal gruppo sociale e possono essere molto variegate: possesso di beni materiali, posizione lavorativa, cultura, posizioni di potere.
Queste disuguaglianze generano la stratificazione sociale.
Lo status si differenzia dal potere in quanto quest'ultimo consiste nel costringere le persone a fare ciò che non vogliono; quando ad un individuo, invece, viene tributato un particolare rispetto si parla di attribuzione di prestigio o di status.
Si parla di status ascritto quando questo è assegnato in base alle proprie caratteristiche naturali, quali l'età, il sesso, la salute fisica.
Si parla di status acquisito quando una condizione si acquisisce e si modifica nel corso della vita attraverso capacità e volontà personali, ad esempio una persona è un "medico" in quanto laureato in medicina.
Lo status infine si colloca su una dimensione orizzontale della stratificazione sociale, quella delle relazioni tra pari, mentre il potere è indicativo del posizionamento sulla dimensione verticale.
[22] Stratificazione sociale – Per stratificazione sociale si intende la divisione in gruppi generalmente non paritari che avviene all'interno di quasi la totalità delle società, ponendo l'accento sugli elementi strutturali delle disuguaglianze sociali, nei due principali aspetti:
1. distributivo, riguardante l'ammontare delle ricompense materiali e simboliche ottenute dagli individui e dai gruppi di una società,
2. relazionale, che ha invece a che fare con i rapporti di potere esistenti fra loro.
Nel corso dei secoli sono sempre esistiti dei sistemi di stratificazione
La schiavitù è la forma estrema di disuguaglianza, dove delle persone posseggono altre persone. Essa si è manifestata in epoca antica e romana, affievolitasi nel Medioevo, tornò alla ribalta nelle Americhe. Nell’antichità gli schiavi erano impegnati nelle miniere, nell'agricoltura e presso le famiglie con attività anche intellettuali.
Le caste esiste in India da millenni. Tuttavia la loro interpretazione è mutata nel tempo. Oggi, invece le caste sono migliaia, diverse per ampiezza e radicamento locale o nazionale. Le caratteristiche principali delle caste sono tre:
1.        chiusura, infatti si nasce in una casta e si rimane a vita con anche l’obbligo di endogamia interno ad ogni casta.
2.        specializzazione ereditaria infatti ogni casta ha un ruolo sociale preciso e differenziato dalle altre.
3.        purezza infatti le varie caste sono socialmente e fisicamente divise per non essere infettate dalle impurità delle caste minori.
I ceti è una divisione, esistita in Europa fino alla rivoluzione francese, aveva i seguenti elementi distintivi:
1. Gli status ascritti erano accettati come condizione di immobilità sociale;
2. Fra ceti diversi vi erano differenze sociali sia di fatto che di diritto. (Per esempio nobiltà e clero erano esenti dalle tasse)
3. Ogni ceto richiedeva un determinato stile di vita da parte dei suoi membri.
Una classificazione dei ceti venne proposta già nel mondo antico in base alle rendite di ogni ceto attraverso tre cerchi concentrici di persone:
·         i poveri strutturali (che non guadagnavano);
·         i poveri congiunturali (lavoratori occasionali);
·         i poveri non indigenti (con lavoro stabile ma in difficoltà nelle crisi economiche).
Le classi sociali moderne, nate dalla rivoluzione francese, sono caratterizzate dall’eguaglianza di diritto di tutti i suoi membri. A differenza quindi delle società dell’Ancien régime, le classi moderne sono raggruppamenti di fatto, non di diritto.
[23] Note di retorica: la prosopopea, o personificazione – È una figura retorica e si ha quando si attribuiscono qualità o azioni umane ad animali, oggetti, o concetti astratti. Spesso questi parlano come se fossero persone. È una prosopopea anche il discorso di un defunto.
Un esempio di prosopopea si ha nelle Catilinarie di Cicerone in cui egli immagina che la Patria sdegnata rimproveri Catilina, reo di aver organizzato una congiura contro di essa.
[24] I pronomi relativi - I pronomi relativi sostituiscono un componente della frase, mettendo in relazione proposizioni diverse. I pronomi relativi possono costituire, a seconda dell’uso, il soggetto, il complemento oggetto o un complemento indiretto della proposizione che introducono. Il pronome relativo serve in genere ad evitare la ripetizione di un componente della frase, detto antecedente.
Es: Non capisco la donna che sta parlando (che serve a sostituire la donna).
Questo componente, nella frase principale, gioca il ruolo di complemento oggetto (non capisco la donna), e costituisce l’antecedente che non si vuole ripetere, e che è dunque sostituito dal pronome relativo che.
I principali pronomi relativi sono i seguenti:
·         Che: questo pronome assume solo il ruolo sintattico di soggetto e complemento oggetto.
Es: La donna che vende la verdura è una mia amica
La donna che vedi è una amica,
che, nella frase subordinata ha nella prima frase il ruolo di soggetto (‘la donna vende’), nel secondo invece il ruolo di complemento oggetto (‘vedi la donna’).
Es: il gioco che ho comprato costa molto.
il libro che leggo è molto interessante
la gonna che ho comprato è nuova 
il ragazzo che sta parlando è un mio amico.
l’amico che mi ha prestato il libro mi ha telefonato per riaverlo.
Questo pronome, nella lingua italiana, non fa dunque distinzioni per il caso come avverrebbe invece in francese (qui per il soggetto oppure que per il complemento), né si tiene conto di aspetti semantici come la distinzione tra cose e persone (in inglese, per esempio, si distinguerebbe tra which e who oppure whom).
·         Il quale (variabile secondo genere e numero: la quale, i quali, le quali) Può sostituire che nel ruolo di soggetto:
Es Non capisco la donna la quale sta parlando.
Il vantaggio di questo pronome sta nel fatto di indicare esplicitamente genere e numero evitando quindi casi ambigui.
Il quale può inoltre indicare complementi indiretti se accompagnato da una preposizione:
Es: Non capisco la donna alla quale avete regalato i libri. (alla quale indica il complemento di termine).
·         Cui (indeclinabile) Questo pronome indica complementi indiretti, combinato da una preposizione.
Es: Non capisco la donna a cui avete regalato i libri
Questi pronomi differiscono per il ruolo sintattico che possono svolgere nella proposizione subordinata: soggetto, complemento oggetto, soggetto, complementi indiretti.
·         I pronomi relativi doppi sono quei pronomi che assumono significati riconducibili ai precedenti:
o    Chi ( = colui che, qualcuno che)
o    Quanto (=ciò che, tutto ciò che, tutto quello che)
o    Chiunque (=tutti quelli che)
Questi pronomi non prevedono specificazione dell’antecedente, dato che lo contengono.
[25] La preposizione. È la parte invariabile del discorso che collega mettendoli tra loro gli elementi di una proposizione o le proposizioni di un periodo. In base alla forma le preposizioni si distinguono in:
·         preposizioni proprie: sono così chiamate perché nella frase esse possono svolgere solo funzione di preposizione.
·         preposizioni improprie
·         locuzioni prepositive
[26] Le preposizioni semplici - Le preposizioni semplici sono: di, a, da, in, con, su, per, tra, fra.
[27] Le preposizioni articolate - Le preposizioni articolate si formano dall’unione delle preposizioni semplici più gli articoli determinativi
·         Il lo la  (singolare)
·         I gli le (plurale)
Di
Di + il = del
Di + lo = dello
Di + la = della
Di + i = dei
Di + gli = degli
Di + le = delle
A
A + il = al
A + lo = allo
A + la = alla
A + i = ai
A + gli = agli
A + le = alle
Da
Da + il = dal
Da + lo = dallo
Da + la = dalla
Da + i = dai
Da + gli = dagli
Da + le = dalle
In
In + il = nel
In + lo = nello
In + la = nella
In + i = nei
In + gli = negli
In + le = nella
Con
Con + il = con il
Con + lo = con lo
Con + la = con la
Con + i = con i
Con + gli = con gli
Con + le = con le
Su
Su + il = sul
Su + lo = sullo
Su + la = sulla
Su + i = sui
Su + gli = sugli
Su + le = sulle
Per
Per + il = per il
Per + lo = per lo
Per + la = per la
Per + i = per i
Per + gli = per gli
Per + le = per le
Tra
Tra + il = tra il
Tra + lo = tra lo
Tra + la = tra la
Tra + i = tra i
Tra + gli = tra gli
Tra + le =tra le
Fra
Fra + il = fra il
Fra + lo = fra lo
Fra + la = fra la
Fra + i = fra i
Fra + gli = fra gli
Fra + le = fra le

[28] Pronomi personali complemento - I pronomi personali complemento si usano quando nella frase il pronome svolge una funzione diversa da quella di soggetto e I pronomi personali usati come complemento hanno due forma:
·         forma forte o tonica;
·         Forma debole o atona.
cioè:
Persona
Funzione complemento
forma tonica
forma atona
1° singolare
Me
Mi
2° singolare
Te
Ti
3° singolare
maschile
lui, esso, sé
Lo, gli, ne, si
femminile
lei, essa, sé
La, le, ne, si
1° plurale
Noi
ci, ce
2° plurale
voi
vi, ve
3° plurale
maschile
essi, loro, sé
li, ne, si
femminile
esse, loro, sé
le, ne, si
·         complemento oggetto: Ti ascolterò;
·         complemento di termine: Le regalerò delle rose;
·         complemento indiretto: Vieni con me a mangiare un gelato?
I pronomi personali complemento si distinguono in due forme differenziate:
1) le forme toniche o forti (me, te, lui, sé, noi, voi, essi, loro ...), dette così perché hanno un accento proprio e, quindi, assumono particolare rilievo nella frase; possono essere usate per parecchi complementi e sono collocate generalmente dopo il verbo:
Es.: Penso a te;
Es.: Cerco loro;
2) le forma atone o deboli (mi, ti, lo, gli, si, la, ci, loro ...), dette così perché non hanno un accento proprio e per la pronuncia si appoggiano sempre al verbo che le precede (enclitiche) o che le segue (proclitiche):
Es.: Verrà a trovarci (enclitica):
Es.: Ti (proclitica) dico di sì;
Le forme atone, chiamate anche particelle pronominali, sono adoperate esclusivamente per il complemento oggetto (Verrò a trovarti = Verrò a trovare te) o per il complemento di termine (Ti consiglio = consiglio a te).
[29] Il modo verbale - Il modo del verbo indica la maniera in cui l’azione del verbo avviene. Ogni modo comunica un aspetto diverso della modalità del verbo.
In italiano, ci sono sette modi divisi in:
1.        I modi definiti ossia i modi che definiscono l’azione del verbo secondo la persona e il numero. I modi definiti sono quattro:
·         L’indicativo è il modo della realtà e della certezza e si usa per una descrizione neutrale o per raccontare cose vere, sicure, reali.
Es. Marco va in ufficio tutti i giorni alle 8.00.
Il modo indicativo ha otto tempi: presente, passato prossimo, imperfetto, trapassato prossimo, passato remoto, trapassato remoto, futuro semplice, futuro anteriore
·         Il congiuntivo è il modo dell’opinione e dell’incertezza e si usa normalmente per manifestare la propria opinione personale e indica incertezza. Si usa per esprimere sentimenti, opinioni, dubbi o per raccontare cose non sicure, non confermate.
Es: Penso che Marco ora sia a Roma, ma non ne sono sicuro.
Il congiuntivo ha quattro tempi diversi: presente, passato, imperfetto, trapassato.
Es. Io dico che Marco è simpatico.
Questa frase esprime un’affermazione sicura.
Es. Io penso che Marco sia simpatico.
Questa frase esprime un’opinione non sicura.
·         Il condizionale è il modo della possibilità e del desiderio e si usa per esprimere desideri, richieste gentili, inviti o per raccontare cose possibili o irreali.
Es. Vorrei una bella tazza di cioccolata.
Il condizionale ha due tempi: presente e passato.
·         L’imperativo è il modo del comando e si usa per esprimere ordini, consigli o inviti molto forti.
Es. Esci subito dalla stanza!
Il modo imperativo ha solo il presente
2.        I modi indefiniti sono quei modi che non definiscono l’azione del verbo secondo la persona e il numero e cioè sono indeterminati. I modi indefiniti sono tre:
·         L’infinito esprime l’azione al grado zero ed il modo base del verbo.
es. Essere o non essere: questo è il problema!
Il modo infinito ha due tempi: presente e passato.
N.B. Questo modo si chiama implicito perché la forma del verbo non esprime il soggetto.
·         Il participio esprime una relazione con la frase principale e ha spesso funzione di aggettivo o sostantivo.
Es. Questa è la macchina comprata da Marco.
Il participio ha due tempi: presente e passato.
N.B. Nel presente ha generalmente un valore attivo. Nel passato può dare valore attivo o passivo all’azione secondo il verbo: se il verbo è transitivo il participio passato ha valore passivo se il verbo è intransitivo ha valore attivo.
N.B. Il participio passato si usa per costruire le forme composte del verbo.
Es: Marco ha fatto un viaggio.
N.B. Questo modo si chiama implicito perché la forma del verbo non esprime il soggetto.
·         Il gerundio esprime una relazione con il contenuto della frase principale. Ha valore causale, temporale, ipotetico, strumentale, modale.
Es. Vedendo il film si è divertita moltissimo.
Il gerundio ha due tempi: presente e passato.
N.B. Questo modo si chiama implicito perché la forma del verbo non esprime il soggetto.
[30] La forma passiva - Il verbo, secondo la relazione che stabilisce con il soggetto, può essere attivo o passivo.
Nella forma attiva il soggetto del verbo è colui che compie l’azione, cioè l’agente della frase.
Es: I turisti ammirano il paesaggio.
Tutti i verbi, transitivi e intransitivi, hanno la forma attiva.
Nella forma passiva, invece, il vero agente della frase, l’elemento che compie l’azione, non è il soggetto, ma il complemento, che si chiama infatti complemento d’agente.
Esempio:
la polizia insegue i ladri (sogg.) (forma v. attiva) (c. oggetto)
i ladri sono inseguiti dalla polizia
(sogg.) (forma v. passiva) (c. d’agente)
In italiano, la voce passiva è caratterizzata dall’ausiliare essere, seguito dal participio passato del verbo. Quest’ultimo deve essere necessariamente transitivo: infatti possono trasformarsi in passivi solo i verbi transitivi con il complemento oggetto espresso, perché è proprio questo che, nella forma passiva, diventa soggetto. Il soggetto della frase attiva diventa invece nella frase passiva un complemento introdotto dalla preposizione da: il complemento d’agente, quando l’agente è inanimato, prende il nome di causa efficiente. Si può avere la forma passiva anche senza che il complemento d’agente (o di causa efficiente) sia specificato: l’orologio è stato riparato; i tuoi consigli non sono stati seguiti; il vincitore sarà premiato.
N.B: il significato di una frase di forma attiva è sostanzialmente identico a quello della corrispondente frase di forma passiva.
Es.: Le due frasi la polizia insegue i ladri e i ladri sono inseguiti dalla polizia vogliono dire la stessa cosa: in entrambe le situazioni descritte c’è sempre un solo inseguitore (la polizia) e un solo inseguito (i ladri); non cambiano i ruoli svolti dai protagonisti dell’azione, ma solo i rapporti grammaticali con cui sono espressi.
La linguistica dice che tale cambiamento investe la struttura superficiale e non quella profonda della frase. Quello che cambia moltissimo è però il punto focale, di maggior interesse, della frase. Nel primo caso l’attenzione è posta principalmente sull’azione dei poliziotti; nel secondo su quella dei ladri.

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