· Il
coro dell’Età dell’oro conclude il primo
atto dell’Aminta, un dramma pastorale
diviso in cinque atti disuguali, preceduti da un prologo e intervallati da cori,
che risale alla primavera del 1573, quanto Tasso, uomo di nobili e dotte origini,
stava componendo la Gerusalemme Liberata.
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I personaggi
di questo tipo di azione scenica interpretano dei pastori, ma in realtà, dietro
a questi attori si celano i personaggi della corte ove l’opera è stata messa in
scena.
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L’Aminta
fu rappresentato nei giardini di Belvedere sul Po, durante una festa di corte.
Da un lato l’opera si propone di idealizzare e celebrare la vita di corte, dall’altro
rivela una profonda sofferenza per i suoi rituali che si traduce in un bisogno
di vita semplice di sentimenti e comportamenti spontanei, a contatto e in
armonia con la natura, e in un bisogno di evasione in un mondo di favola fuori
dalla realtà e dalla storia.
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Quest’opera
narra dell’amore non corrisposto che il povero pastore Aminta prova per Silvia.
La fanciulla catturata da un satiro e legata nuda ad un albero, è liberata da
Aminta, ma per la vergogna fugge via; il povero pastore si dispera e tenta il
suicidio, quando viene a sapere che Silvia durante la fuga, è stata assalita e
sbranata da un branco di lupi. Il dramma ha però un lieto fine, in quanto
Silvia è riuscita a salvarsi dai lupi, e, il tentativo di suicidio di Aminta
non è riuscito, perché una siepe ha attutito la sua caduta, dopo essersi
buttato in un precipizio. Silvia, commossa per il gesto d’amore, si concede ad
Aminta.
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Giambattista
Guarini scrisse il Pastor fido circa
vent’anni dopo l’Aminta di Tasso: tutt’e
due le due vicende sono ambientate nella bella età dell’oro, già presente nelle
ecloghe di Teocrito e Virgilio, quel locus
amoenus in cui gli uomini sono in pace fra loro e non esistono stragi,
vendette o guerre.
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Negli
anni Settanta Tasso visse a Ferrara il periodo di massimo splendore, durante il
quale fu apprezzato da dame e da gentiluomini. In tutta l’opera Tasso attuò la
fusione tra due generi letterari: il teatro e la lirica amorosa come si
evidenzia anche da questo passo in cui il teatro è presente in quanto è un
canto del coro.
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Tutta
l'azione si sviluppa in una giornata e in uno stesso luogo, una selva e il tema
principale è l'amore tra la ninfa Silvia e il pastore Aminta, del quale si
innamora solamente dopo essere stata salvata dall'attacco dei satiri.
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Nell’Aminta, Tasso, rende omaggio ai cori
classici greci e latini, infatti, la funzione che gli attribuisce nella sua
opera è quella di commentare l’azione scenica come un pubblico ideale che guida
le reazioni del pubblico reale. Il coro ha il ruolo di tramite tra i personaggi
e il pubblico ed è quindi una voce intermedia che trasferisce la
ricezione del destinatario, la corte. Il coro indirizza il pubblico a
determinate reazioni.
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Questa
canzone è il primo intervento del coro che esalta l'amore istintivo e la legge
della natura e si ispira all'età dell'oro tanto decantata dai poeti Virgilio e
Ovidio nella quale l'uomo segue gli istinti e vive nella felicità primitiva poiché
non è vincolato da alcun tipo di legge morale e d'onore. Qui il coro esalta
l’amore e la condizione d’innocenza originaria dell’uomo, accusando l’onore di
aver inquinato e amareggiato la felicità primitiva. E tale felicità è
rintracciabile nell’età dell’oro descritta da poeti quali Virgilio, Ovidio,
Tibullo, in cui l’amore era istintivo e si seguiva la legge della natura: Si ei piace, ei lice.
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Alla
legge della natura si contrappone la legge civile, incarnata dalla città e
dalla corte. Le leggi della morale e dell’onore, hanno imposto un controllo e
una regola a tutti quei gesti naturali che nell’età dell’oro si svolgevano
liberamente e ora invece hanno perduto la loro primitiva felicità. A questo
punto quello che era piacere è diventata colpa. Così nella parte conclusiva del
coro l’autore, facendo una evidente critica alla civiltà, invita l’onore ad
associarsi alle classi di potere e agli intellettuali e di lasciar vivere i
pastori nei modi antichi. In questo modo si rovesciano i valori e si mette
sotto accusa l’intero sistema dei valori affermati dagli altri personaggi,
stabilendo la corrispondenza fra amore
e oro, onore e corte, piacere ed età dell’oro.
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Il
brano è una canzone di cinque stanze di tredici versi di settenari e di
endecasillabi, alternati con lo schema abCabCcdeeDfF, e da un congedo, che ricorda
quello di Petrarca in Chiare, fresche et
dolci acque.
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Le parole chiave sono età dell’oro e Amore, la Natura e l’Onore che sono tra l’altro personificazioni, in quanto scritte con
la lettera maiuscola. A Cupido nell’età dell’oro non servivano frecce e arco
perché l’amore era istintivo. In questo periodo invece l’amore diventa quasi
proibito e anzi che essere un dono da apprezzare, diventa un furto e tutto
regolato dall’onore. Per Tasso l’idea di divieto religioso o morale è rimossa,
ma non a causa della fine dell’età dell’oro, quanto piuttosto per la cultura
dominante di Controriforma che è repressiva e bigotta. L’onore indicare un
significato che ruota intorno alla dignità, al rispetto delle norme sociali,
alla morale tipiche di una società costruita: la corte. Per questo motivo
l’affermazione delle gioie è malinconica e appare caratterizzata più dal
rimpianto che, come dovrebbe essere, dall’abbandono.
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Per
Tasso fare poesia significa utilizzare l’immensa quantità di materiale
depositato nella tradizione e rinnovarlo attraverso un gioco di ricombinazione.
O bella età de l'oro,
non già perché di latte
se 'n corse il fiume e stillò mele il
bosco[1]:
non perché i frutti loro
dier da l'aratro intatte
le terre e gli angui errâr senz'ira o
tosco:
non perché nuvol fosco
non spiegò allor suo velo,
ma in primavera eterna,
ch'ora s'accende e verna[2],
rise di luce e di sereno il cielo;
né portò peregrino
o guerra o merce a gli altrui lidi il
pino.
Ma sol perché quel vano
nome senza soggetto,
quell'idolo d'errori, idol d'inganno,
quel che da 'l volgo insano
Onor poscia fu detto,
che di nostra natura il feo tiranno,
non mischiava il suo affanno
fra le liete dolcezze
de l'amoroso gregge;
né fu sua dura legge
nota a quel'alme in libertate avezze,
ma legge aurea e felice
che Natura scolpì: S'ei piace,
ei lice.
Allor tra fiori e linfe[3]
traean dolci carole[4]
gli Amoretti senz'archi e senza faci;
sedean pastori e ninfe
meschiando a le parole
vezzi e sussurri ed a i susurri i baci
strettamente tenaci;
la verginella ignude
scopria sue fresche rose[5]
ch'or tien ne 'l velo ascose,
e le poma de 'l seno acerbe e crude[6];
e spesso in fonte o in lago
scherzar si vide con l'amata il vago[7].
Tu prima, Onor, velasti
la fonte de i diletti,
negando l'onde a l'amorosa sete:
tu a' begli occhi insegnati
di starne in sé ristretti[8],
e tener lor bellezze altrui secrete:
tu raccogliesti in rete[9]
le chiome a l'aura sparte:
tu i dolci atti lascivi
festi ritrosi e schivi,
a i detti il fren ponesti, a i passi l'arte;
opra è tua sola, o Onore,
che furto sia quel che fu don d'Amore.
E son tuoi fatti egregi
le pene e i pianti nostri.
Ma tu, d'Amore e di Natura donno[10],
tu domator de' regi,
che fai tra questi chiostri[11]
che la grandezza tua capir non ponno[12]?
Vattene e turba il sonno
a gl'illustri e potenti:
noi qui negletta e bassa
turba, senza te lassa
viver ne l'uso de l'antiche genti.
Amiam, ché non ha tregua
con gli anni umana vita e si dilegua.
Amiam, ché 'l Sol si muore e poi rinasce:
a noi sua breve luce
s'asconde, e 'l sonno eterna notte adduce[13].
[1] Stillò: trasudava
[2] S'accende:
caldo estivo Verna: freddo dell'inverno
[3] Linfe:
acque
[4] Traean...faci: gli
Amorini facevano danze senza gli strumenti per l'innamoramento, poiché l'amore
nasceva spontaneo.
[5] Rose:
bellezze delle fanciulle
[6] Le poma...crude: seni ancora acerbi ( metafora)
[7] Il vago: l'amante
[8] In sé ristretti:
abbassati
[9] tu raccogliesti... sparte: tu raccogliesti in acconciature i capelli sparsi al vento
(cfr. Canz., XC, Erano i capei d'oro a l'aura sparsi).
[10] Donno:
signore
[11] Chiostri:
selve
[12] Capir non ponno:
non possono contenere
[13] Adduce: porta
"The golden age, ah, whither is it flown,
RispondiEliminaFor which in secret every heart repines?
When o’er the yet unsubjugated earth
Men roam’d, like herds, in joyous liberty;
When on the flowery lawn an ancient tree
Lent to the shepherd and the shepherdess
Its grateful shadow, and the leafy grove
Its tender branches lovingly entwin’d
Around confiding love; when still and clear,
O’er sands forever pure, the pearly stream
The nymph’s fair form encircled; when the snake
Glided innoxious through the verdant grass,
And the bold youth pursu’d the daring faun;
When every bird winging the limpid air,
And every living thing o’er hill and dale
Proclaim’d to man,—What pleases is allow’d..."