martedì 3 maggio 2016

A tu per tu con l’opera d’arte: Francesco Staiano e le «Vedute italiane» di Camille Corot

Camille Jean-Baptiste Corot nacque il 17 luglio 1796 a Parigi. Figlio di un mercante si dedicò al mondo dell'economia e solo a ventisei anni sentì una vocazione per l'arte.
Gli anni di maturazione artistica e culturale dell'artista francese furono quelli dei suoi soggiorni presso le città italiane, tra il 1835 e il 1843; in particolare Corot si interessò alle opere dei maestri italiani e alla paesaggistica, che compare in numerosi schizzi che l'artista eseguì tra Roma, Ischia, Venezia e il Lago di Garda.
Le opere del periodo italiano possono essere accomunate nel cosiddetto ciclo delle Vedute italiane.
Tra le tante opere di questo ciclo la più famosa è Il ponte di Narni. Quest'opera tratta del celebre ponte a Terni; l'opera fu dipinta nel 1825 ed è tuttora esposta al Museo del Louvre.
Il ponte di Narni segue la tradizionale struttura del paesaggio classicista, con una certa attenzione ai particolari. Nell'opera si evidenzia però un nuovo modo di intendere la pittura, basata sull'accostamento degli elementi del paesaggio, come macchie di colore accostate con un sottile equilibrio di accordi tonali. L'opera ha un significato profondo, poiché il ponte rappresenta il collegamento tra il passato ed il futuro delle scuole e dei movimenti artistici.
Corot in questo capolavoro cerca di inserire i caratteri paesaggisti di Nicolas Poussin (1594-1665)  ed i caratteri del romantico Dughet (1615-1675) . A Narni Corot si rifà a Nicolas Poussin per gli elementi naturali.
Corot soggiornò anche a Roma, dalla quale prese ispirazione per l'opera Il Colosseo visto dai giardini Farnese, del 1826, custodito presso il Museo del Louvre a Parigi.
In quest'opera il pittore rappresenta il Colosseo circondato dalla verdeggiante e luminosa vegetazione. Corot rende bene l'idea della luminosità, che fa apparire il paesaggio molto armonico. È molto evidente l'elemento chiaroscurale nella rappresentazione della vegetazione; tale elemento chiaroscurale è reso con varie sfumature di colore verde.
L'altra opera di rilievo, che riguarda il suo soggiorno a Roma, è Roma, Castel Sant'Angelo ed il fiume Tevere; l'elemento fondamentale dell'opera è la luminosità che è visibile con il riflesso dell'acqua.
Durante il suo viaggio in Italia Corot fu ospite presso la laguna veneta, dove dipinse Studio di Venezia, la piazzetta del 1828. Anche in quest'opera l'elemento in primo piano è la luminosità e proprio la ricerca di questo particolare fa è che Corot sia un precursore dell'Impressionismo, con l'uso della tecnica en plein air, ossia dipingere immergendosi nella natura, ponendole basi per una paesaggistica realista.
Un'altra opera di rilievo è "Firenze vista dal Giardino di Boboli" del 1835, custodita al Museo del Louvre di Parigi. Corot rappresenta una piacevole conversazione tra due monaci, su di un ampio terrazzo. Rispetto ai paesaggi dipinti da Corot, in questa veduta si avverte l'intenzione dell'artista nel voler prestare maggior attenzione alla natura.
Corot, a differenza di chi coglie nel paesaggio italiano il richiamo del passato, è colpito dalla luce e dal sole che accendeva i colori rendendoli strumento diretto per la stesura pittorica, iniziando a dipingere secondo la propria sensibilità e slegandosi dal procedimento tradizionale. Da questa tecnica derivano opere come “Foro romano visto dai giardini Farnese”, “Campagna romana con acquedotto Claudio” alla National Gallery di Londra e “Roma: Trinità dei Monti vista dai giardini dell’Accademia di Francia”, conservato al Louvre.
Corot iniziò la sua maturazione artistica, ispirandosi agli artisti del neoclassicismo come: Achille Etna Michallon (1796-1822), Pierre Henri Valenciennes (1750-1819) e Jean Victor Bertin (1720-1792). Corot si ispirò spesso alla libertà stilistica dei paesaggisti inglesi, cui si lega per il comune amore nel dipingere all'aria aperta.
Una celebre frase di Corot evidenzia il suo avvicinamento all'arte paesaggistica: «C'è solo uno scopo che perseguirò con costanza nella mia vita: fare paesaggi».
Corot intendeva dipingere il paesaggio attraverso la messa in evidenza del naturalismo classico. La sua piena maturazione in questo campo avvenne nel momento in cui inizia a dedicarsi alla paesaggistica dell’Italia. Durante il proprio soggiorno italiano, Corot non si interessò ai soggetti del tipico paesaggio classico, bensì amò ritrarre gli aspetti marginali della natura e volle rendere soprattutto la percezione della luce e dell’atmosfera, cercando di catturare la fugacità di un istante.
Corot è strettamente legato alla scuola di Barbizon, da cui prese ispirazione per quanto riguarda alcune tecniche pittoriche, come l'accostamento di colori, tramite pennellate ampie che non definisce più un disegno rifinito nei contorni e nelle figure.
Nel momento in cui il pubblico iniziò ad entusiasmarsi per una pittura nuova, intorno al 1850 Corot si legò ad un tipo di paesaggio che mise in evidenza i soggetti naturalistici e gli elementi romantici.
Corot lavorò con lo stile degli artisti realisti e romantici del suo tempo. L'artista francese non guarda al significato morale del paesaggio, ma cercò di vedere in modo corretto. Questo concetto è visibile tramite l'uso di alcuni punti fondamentali: l'eliminazione dell'effetto pittoresco, la creazione di mosse di colore e l’utilizzazione della luce per rappresentare il campo visivo in modo sintetico, ma esatto. Egli condivise con i romantici la convinzione che la natura possa essere compresa dall’artista solo attraverso il sentimento.
Corot si dedicò anche allo studio della figura umana; un esempio di questo studio è “Roma, vecchio seduto su un baule appartenente a Corot“, dove Corot mette a fuoco un personaggio umano universale.
Il paesaggio di Corot hanno per oggetto immagini fresche, vicine alla realtà e non filtrate dall'intelletto.
Le immagini sono "povere", differenti dai colori sfolgoranti di Delacroix e dalle forme di Ingres, valorizzando il lato umano.  
Corot fu un pittore dalla "doppia vita", una sorta di Dottor jekyll e Mister Hyde dell'arte del paesaggio, poiché egli accostava al gusto classicheggiante e accademico la ricerca della luce colta dal vero.
Corot è votato a cercare la resa veritiera, quindi rivoluzionaria, delle atmosfere.
Sotto la cura di Vincent Pomerède , furono recuperate un centinaio di opere che raccontano l'estro raffinato di Corot e che furono modello di ispirazioni per l'artista impressionista Claude Monet.
«Delacroix è un'aquila, io sono un'allodola», dice Camille Corot. "Ma si fa torto. Se il suo canto è certamente il più squisito dell'Ottocento, bisogna aggiungere che esso annuncia l'alba, cioè la luce moderna, esattamente come l'allodola di Giulietta e Romeo dopo l'ultima notte d'amore. La sua pittura, nell'istante stesso in cui chiude il turno di notte della classicità, si fa vigile e per nulla assonnato portiere di giorno di un tonalismo senza il quale non si arriverebbe  a Monet (1840-1926) né a Matisse (1869-1954)" (Flavio Caroli). 
Negli anni conclusivi della sua vita, Corot è pronto a visioni estreme ed apocalittiche. Lune che escono da alberi d pece e si riflettono in acque fosforescenti. Alberi di spugna, con ninfe, su tramonti di seta beige chiarissima. 
"Poiché il "Bon Homme Corot" è insaziabile estimatore del femminile,anzi è un forsennato, ancorché segregato, erotista. L'espressione dell'eros è evidentemente più repressa che dichiarata, più tormentosa che felice, più correggesca che rubensiana" ( Flavio Caroli).
L’artista francese fu una fonte di ispirazione per i più importanti dei giovani impressionisti, ai quali fece diverse raccomandazioni: «Non imitate, non seguite gli altri, o resterete dietro di loro».

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