Michelangelo
aveva appena completato il cartone della battaglia di Cascina a figure
intere quando nel 1506 fu improvvisamente richiamato a Roma da Papa Giulio II
della Rovere a causa della spiacevole e difficile situazione che si era creata
per la realizzazione rinviata della tomba del Papa.
Michelangelo
aveva studiato da vicino e con attenzione la statuaria antica e specialmente il
“gruppo del Laocoonte”, rinvenuto qualche mese prima a Roma, proprio in sua
presenza.
Quando
il maestro era partito per Bologna per riconciliarsi con il Papa e poi insieme
per Roma per iniziare i lavori della Sistina, il cartone si trovava nella Sala
dell’Ospedale di Sant’Onofrio, dove Michelangelo lo aveva lasciato.
Alla
visione panoramica di Leonardo, Michelangelo contrappose un momento preciso
della Battaglia di Cascina del 1364, narrata da Filippo Villani, nipote del
più noto Giovanni, di cui aveva continuato la “Cronica”.
Fino
ad allora Leonardo e Michelangelo si erano guardati e odiati a distanza, ma fu
nella Sala del Maggior Consiglio che avvenne il vero confronto tra i due
grandi artisti toscani.
Diversamente
dal cosmopolita Leonardo che rappresenta un momento, anche se topico della
battaglia ma di una qualunque battaglia della sua epoca, il fiorentinissimo
Michelangelo sceglie invece di rappresentare la scena specifica che
immediatamente precedette lo scontro di Cascina, un episodio molto connotativo
di quell’assolato luglio del 1364, che riporta la vicenda dei soldati
fiorentini sorpresi dall’attacco dei pisani, mentre, per difendersi dalla
calura, si stavano rinfrescando nelle acque dell’Arno.
Michelangelo
quindi rappresenta il momento cruciale in cui i fiorentini escono dal fiume e
si armano, e afferma anche in quest’opera l’assoluta centralità del nudo
maschile che avrebbe accompagnato l’artista lungo l’intero percorso della sua
carriera.
Il
cartone preparatorio cui ora ci si riferisce, quello fedelmente copiato da
Aristotele da Sangallo, racconta, infatti, la scena in cui i soldati
dell’esercito fiorentino si erano fermati presso Cascina e, credendosi al
sicuro, avevano deciso di rinfrescarsi facendo il bagno nell’Arno per la
canicola di fine luglio. I pisani però, avendoli sorpresi impreparati,
pensarono di averne facilmente ragione, ma non fu così.
Grazie
alla prontezza di Manno Donati, uno dei capitani, al suo coraggio e alla sua
capacità di comando, ma grazie anche alla disperazione, che diede ai soldati
fiorentini la forza di rivestitisi in fretta e di battersi, essi sconfissero i
nemici pisani, pur non essendo ancora adeguatamente equipaggiati.
L’episodio
del bagno offrì a Michelangelo maggiore possibilità di dipingere il suo
soggetto preferito, un’enorme composizione di nudi rappresentati nelle più
diverse movenze, mostrando la sua eccezionale conoscenza dell'anatomia e la sua
perfezione nell’uso del disegno.
Per
Michelangelo, come per tutti gli artisti del Rinascimento, il corpo umano era il
principale oggetto di studio, ma per lui la figura umana era qualcosa di più:
era la celebrazione del corpo e in particolare del nudo, che l’artista portava
al massimo grado della sua forza espressiva, perché il corpo doveva esprimere
eroismo e mostrare, attraverso una potente struttura muscolare, una forza
morale titanica. La nudità per Michelangelo è sempre dinamica, viva, colta
nelle posture e nei movimenti più audaci e articolati, affinché si potesse
mettere in evidenza la bellezza, l’armonia e la plasticità.
La
sua arte è antinaturalistica e rifiuta pertanto l’illusione mimetica: se si
osserva attentamente il cartone, ci si accorge infatti che il maestro non
rispetta la composizione prospettica e rappresenta le figure di scorcio,
presentando il punto più lontano come prossimo al più vicino e coprendo con il
tratto più corto lo spazio più lungo.
E
non solo. Già nel Tondo Doni, che realizza fra il 1505 e il 1506, quindi
quasi contemporaneamente al Cartone della Battaglia di Cascina, Michelangelo
si era rifatto a Luca Signorelli, autore anche lui di un tondo della cosiddetta Sacra Famiglia di Parte Guelfa della Galleria degli Uffizi. Ma, diversamente
da Signorelli, Michelangelo nel Tondo Doni accosta colori opposti,
complementari, di grande pulizia timbrica, colori che non si fondono insieme,
ma anzi danno un’impressione di stridore e di contrasto.
È
immaginabile la stessa cosa per il cartone, se fosse diventato affresco, e
anche dei successivi colori che avrebbe utilizzato di lì a poco nella Sistina.
Quello
stravolgimento della forma a spirale in favore della forma serpentinata già
presente nel Tondo Doni e quei nudi sullo sfondo, irriverente citazione
“umanistica” e pastorale ripresa da Signorelli, è forse già sintomo di un
turbamento dell’arte che aveva raggiunto la perfezione dei temi e della forma
nella corti dell’adulto Rinascimento.
Ebbene,
anche nel Tondo Doni con la Sacra Famiglia in primo piano, si nota come
Michelangelo continui ad essere uno scultore anche quando dipinge: San
Giuseppe la Madonna e anche il Bambino sono caratterizzati da una grande
fisicità, da muscoli ben definiti che risaltano dal fondo grazie ad una marcata
linea di contorno. Proprio in quest’opera, nell’avvitamento verso l’alto
comincia ad apparire completamente distinguibile la linea serpentinata, cioè quella
torsione delle figure che segnò il tramonto dell’equilibrio classico.
Al
primo sguardo, la Battaglia di Cascina colpisce per le posture dei
personaggi, per quelle linee serpentinate che appaiono così lontane
dall’equilibrio classico cui si è abituati dallo studio del Rinascimento e
che ne sanciscono il tramonto.
Eppure,
quel dispiegamento di addominali, di trapezi, di bicipiti e di glutei che
suscitano oggi tanta ammirazione negli appassionati di fitness, provocarono il
profondo disgusto in Leonardo, che paragonava quei corpi a grossi sacchi
di noci, e suscitarono un moralistico orrore del Perugino, forse ancora
traumatizzato dalle prediche di Savonarola, e ne rimase profondamente
scandalizzato.
Michelangelo,
piuttosto rissoso, ingiuriò il Perugino, finirono al tribunale, ma il corpo
umano rimase il centro indiscusso di tutta la sua produzione, avendo condotto e
continuando a condurre fondamentali ricerche di anatomia, per individuare
l’esatta posizione della forma del corpo, e di fisiologia, per individuare il
funzionamento dei fasci muscolari, dei tendini, delle cartilagini e delle ossa,
per rappresentare con precisione le forme del corpo sia in stasi sia in
movimento.
Analizzando
poi più attentamente il Cartone, la varietà delle posizioni è impressionante.
Ognuna ruota nel proprio spazio come una statua a tutto tondo, ciascuno in una
cinetica diversa, in base al movimento che si prepara a compiere. Eppure,
nonostante le torsioni anticlassiche a “serpentina” o forse grazie ad esse, i
movimenti si presentano sempre naturali.
La
scena dell’avviso dell’imminente pericolo del nemico aveva consentito a
Michelangelo anche di cimentarsi nella raffigurazione del groviglio di corpi, a
lui tanto cara, come aveva dimostrato, ancora giovinetto nella Battaglia fra
centauri e Lapiti e come sarebbe stato di lì a poco nella Cappella Sistina.
Si
vede chi si affretta ad armarsi per aiutare ai compagni, chi si allaccia la
corazza e molti che indossano le armi in strani atteggiamenti dettati dalla
fretta. Chi eretto, chi in ginocchio, chi piegato e chi sorpreso a giacere.
A
quelle anatomie possenti e massicce, a quei corpi che si torcono nei movimenti
più disparati, a quei volti dei combattenti si aggiunge l’elemento dello
stupore e si riesce quasi a percepire la loro paura per l’avvicinamento
improvviso di un pericolo inaspettato e la loro angoscia per l’esito incerto.
Tra
tutti, alcuni si evidenziano per una fisionomia particolare e per una maggiore
definizione: l’uomo al centro, che si sta avvolgendo la testa con un panno forse
è Galeotto Malatesta, capitano di ventura che si era unito ai fiorentini;
accanto a lui c’è un uomo non più giovane con una lancia in mano che sembra
correre verso lo spettatore. È Manno Donati riconoscibile dall’elmo indossato
sul capo e perché impugna uno scudo.
E
se è vero che la situazione stessa - l’uscita improvvisa dei soldati dall’acqua
del fiume e la fretta di rivestirsi per affrontare il combattimento - imponeva a
tutti questi slanci dinamici, è altrettanto vero che a monte del
cartone c’era stato un lungo studio delle pose, ben documentato dalle
fonti grafiche. E così il disegno prende un andamento circolare, che asseconda
le rotondità del corpo, soprattutto in corrispondenza delle spalle e delle
natiche, dove cioè la muscolatura si fa più evidente e, al tempo stesso, esalta
l’energia e il dinamismo delle figure.
Michelangelo
enfatizza la rappresentazione dei vigorosi corpi nudi, in torsioni impossibili,
scorci mai visti, pose artificiose, in parte desunte dalla classicità e in
parte ispirate al principio della “varietas”, preso a prestito dalla cultura
letteraria, ma ormai entrato nel linguaggio figurativo più sperimentale. Su
quest’opera così innovativa, ormai lontana dall’equilibrio e dalla compostezza
del linguaggio rinascimentale, si sarebbe formata un’intera generazione di
giovani artisti, tra i quali si deve ricordare lo stesso Raffaello, a Firenze
dal 1504 al 1508.
La
fama del cartone, e probabilmente anche di una o di più derivazioni, giunse
fino a Venezia, dove Tiziano, all’inizio degli anni Venti, inserì una figura
desunta dall’opera di Michelangelo in uno dei quattro dipinti per il Camerino
di alabastro del duca Alfonso d’Este.
Anche
Cellini nella sua autobiografia, ribadisce come, per la propria formazione, sia
stata fondamentale la conoscenza delle opere fiorentine di Michelangelo, in
particolare modo della Battaglia di Cascina che descrive così: “...quelle
fanterie ignude che corrono a l’arme, e con tanti bei gesti, che mai né degli
antichi, né d’altri moderni non si vide opera che arrivasse a così alto segno”.
Proprio
a Benvenuto Cellini spetterà la definizione di “scuola del mondo” attribuita
sia al cartone di Michelangelo sia a quello di Leonardo, per la loro esemplare
funzione di modello innovativo per le nuove generazioni di artisti.
Un
altro aspetto considerevole è che anche nella Battaglia di Cascina Michelangelo si ricolleghi a Luca Signorelli, nello specifico alla
Resurrezione della carne, una delle scene del Ciclo del Giudizio
Universale, nella stupefacente Cappella di San Brizio, del Duomo di
Orvieto. Questo riferimento è per me estremamente importante, perché nella
Storia dell’Arte gli affreschi orvietani di Signorelli sono sicuramente il più
esplicito campanello d’allarme dell’incombente crisi religiosa, che la
sensibilità di Michelangelo coglie al volo. Michelangelo era cresciuto nel
giardino di San Marco, il convento di patronato mediceo di cui era priore il
frate predicatore Girolamo Savonarola e ne aveva ascoltato le brucianti
prediche.
Nell'immaginario
dell'adolescente Michelangelo l'atmosfera intorno al priore e quella intorno al
Magnifico si incrociarono dando vita alla dialettica propria del pensiero
michelangiolesco, un orizzonte culturale che teneva insieme aspirazioni
riformatrici e passione per l’antichità pagana, la logica del concreto e il
misticismo spirituale. Spinte e controspinte dunque che sostennero e che
affascinarono sempre Michelangelo e che si equilibrarono, costituendo il
sostrato di tutti i suoi capolavori, dagli esordi fino alle sue ultime opere.
Anche
in questo caso la raffigurazione michelangiolesca ha una duplice valenza. Da un
lato il giovane maestro celebra un episodio eroico della storia fiorentina e
per Michelangelo, come per Savonarola, la libertà politica era la condicio
sine qua non della vita morale e religiosa, e allude pertanto al momento eroico
della spiritualità cristiana. Dall’altro lato, per ogni cristiano, come per il
soldato, l’ora della prova estrema giunge sempre inaspettata, ma è proprio
quella paura che diventa angoscia può diventare forza di riscatto.
Si
delinea così, l’ideale eroico di Michelangelo ancora più di quanto non fosse
nel solitario eroe romantico David. Nella Battaglia di Cascina l’eroe è
colui che, vincendo l’inerzia e il sonno della carne, afferma la propria
spiritualità combattendo il male e si salva.
La
figura dell’eroe è massiccia e muscolosa affinché il peso della materia sia
evidente; ma anche nella massa si suscita un moto che la scuote, che la strappa
all’inerzia, che le imprime una spinta che la riscatta.
Le
opere di Leonardo e di Michelangelo erano diventate famose ancora prima della
loro esecuzione in affresco per la straordinaria idea che i due artisti ne
diedero già nei cartoni preparatori.
Come
La battaglia di Anghiari di Leonardo, anche “La Battaglia di Cascina” ci è
pervenuta purtroppo solo attraverso qualche bozzetto preparatorio di
Michelangelo e attraverso numerose copie, tratte dal cartone ed eseguite da
allievi e da artisti di ogni dove, fatte al tempo e in seguito, anche se non tutte
fedeli.
Tra
queste la più conosciuta e interessante è quella che si avvicina maggiormente
all’originale attribuita al suo allievo Aristotele da Sangallo (1481-1551),
realizzata con la tecnica della grisaille e oggi conservata alla Holkham Hall di Norfolk. Sangallo ne aveva fatto una prima copia su cartone dalla quale, nel
1542, su suggerimento di Vasari, deriva “un quadro ad olio di chiaro scuro”
(quindi non a colori, riproducendo l’effetto del cartone originario), da
identificare con la tavola oggi nella collezione Leicester.
Pur
essendo andato perduto l’originale, secondo lo studio delle fonti è stato
possibile formulare ricostruzione anche se ovviamente abbastanza sommaria: al
centro si sarebbe dovuto trovare un soldato indossante le braghe, mentre a
sinistra di quest’ultimo sarebbe dovuto esserci un gruppo di cavalieri, mentre
ai lati dovrebbero esserci stati altri soldati in corsa, rappresentati
nell’atto di salire a cavallo. Nulla osta tuttavia ipotizzare che Michelangelo
abbia voluto dipingere solo quella scena a grandezza umana per evidenziare il
gigantismo degli eroi.
La
datazione della copia più fedele cioè quella del Sangallo dovrebbe risalire a
un periodo anteriore al 1519, perché in seguito il cartone fu smembrato in
molti pezzi, servendo, infatti, come studio per altri artisti, rimasti
affascinati dal capolavoro michelangiolesco.
L‘opera
del Sangallo può dare solo l’idea della composizione e della scena centrale,
non avendo la certezza se essa raffiguri tutta la composizione di Michelangelo
del cartone originale o forse solo una parte dello stesso, ma non
meraviglierebbe nemmeno che Michelangelo abbia deciso di raffigurare solamente
quella parte della battaglia.
Immensità artistica, unica forma di immortalità
RispondiEliminaGrazie prof per questa bella narrazione, è un vero piacere leggerLa