Ci siamo davvero mai domandati che cosa significhino questi due termini così simili nella loro radice pression e nel loro suffisso ismo, e quanto i loro due prefissi li rendano così diversi?
Proprio a causa dei prefissi, quei diabolici morfemi che sono capaci di stravolgere fin nel profondo il significato delle parole e ne sperimentai la malvagità sperimentai quando, una vita fa, al Ginnasio cominciai a studiare il Greco, lingua in cui la loro funzione è ancor più cogente che in Latino.
Io però credo che non ce lo siamo mai domandati veramente e se lo abbiamo fatto ci siamo accontentati di una risposta superficiale. Per questo motivo, quando usiamo i termini impressionismo ed espressionismo, li usiamo grosso modo e approssimativamente, ancorché essi siano i nomi di due importanti movimenti artistici. E così perdiamo molto della pregnanza del loro significato.
Siccome un tempo sono stato un pignolo filologo, ritengo che nomina sunt substantia rerum. Quindi è necessario sempre partire dalla substantia. Ovvero dal socratico τί έστι socratico. Che cos’è?
Siccome un tempo sono stato un pignolo filologo, ritengo che nomina sunt substantia rerum. Quindi è necessario sempre partire dalla substantia. Ovvero dal socratico τί έστι socratico. Che cos’è?
Per la verità dire che cos’è l’Impressionismo non è cosa facile né da poco, ma cercherò di farlo nel modo migliore che mi riesca.
La parola impressionismo deriva da impressione con l’aggiunta del suffisso ismo, usato per formare un sostantivo che corrisponde a una dottrina, a un’ideologia o a una teoria religiosa, politica scientifica, artistica, letteraria, filosofica e quant’altro, o talvolta alla degenerazione di essa come nel caso di sentimento e sentimentalismo o di accademia e accademismo e potrei fare tanti esempi di questo tipo.
Il termine impressionismo quasi si autogenerò fra un gruppo di artisti, partendo dal titolo, attribuito non subito a un famoso dipinto dell’altrettanto celebre Claude Monet, classe 1840: Impressione, sole nascente. Fig. 1
Ora guardiamo il dipinto in modo tale da sapere di che cosa stiamo parlando.
Veniamo ora al termine impressione. In Francese come in Italiano esso deriva dal perfetto pressi del verbo latino premere, un termine piuttosto polisemico che, nel suo significato più diretto, vuol dire proprio premere come in Latino. Con il prefisso in acquisisce il significato di “imprimere”, di “impressionare”.
Veniamo ora al termine impressione. In Francese come in Italiano esso deriva dal perfetto pressi del verbo latino premere, un termine piuttosto polisemico che, nel suo significato più diretto, vuol dire proprio premere come in Latino. Con il prefisso in acquisisce il significato di “imprimere”, di “impressionare”.
Come da vocabolario, il sostantivo impressione indica un’azione di stampa mediante la quale una cosa applicata ad un'altra vi lascia un'impronta. Indica ancora l'impressione di un corpo esercitata su un altro e infine l'impressione di un sigillo sulla cera.
Naturalmente in Arte esistono vari tipi di tecniche di impressione, ma queste non c’entrano niente, perché il bello, come spesso accade, sta proprio nel significato figurato, padre di ogni metafora e di ogni figura retorica affine.
Qual è il significato figurato di impressione?
Sempre da vocabolario leggiamo: l’impressione è un effetto che ogni causa produce nel cuore o nella mente. In altre parole l’impressione è un insieme di azioni fisiologiche da cui deriva una sensazione, vox media senza un particolare valore positivo o negativo.
E qui sorge il dilemma.
Che cosa impressiona chi? Oppure, che cosa impressiona che cosa? E ancora è l’oggetto della tela che ha prodotto l’”impressione” sulla tela direttamente come avviene nel negativo di una fotografia impressionato sul suo supporto cartaceo?
Io direi proprio di no.
Perché nel caso della macchina fotografica, si tratta di un meccanismo oggettivo e il mezzo è automatico. Il fotografo sceglie solo l'inquadratura.
L’artista invece riporta sulla tela o su altro supporto le impressioni che ha provato in quell’attimo con un meccanismo che è di gran lunga più complesso: si tratta infatti della mente umana che traduce sulla tela quello che essa ha elaborato, forme, colori, emozioni e stati d’animo compresi. Quindi non si tratterà mai di un realismo assoluto (va bene che nemmeno nella fotografia la realtà assoluta si potrà cogliere mai ma solo quella parziale, scelta dal fotografo), ma di una realtà comunque filtrata dall’occhio e dalla mente dell’artista.
In altri termini si tratta delle impressioni che prova l’artista e che traduce sul supporto di cui dispone. Ma questo è quanto di più soggettivo possa esserci. Le percezioni cambiano da individuo a individuo e anche nello stesso individuo cambiano da un momento a un altro. A questo proposito voglio ricordare il buon vecchio Eraclito che ci racconta in un frammento del suo poema “La natura” che l’acqua del fiume nella quale ci bagneremo non sarà mai la stessa perché, appunto, tutto scorre, e nemmeno l’uomo che vi si immerge sarà mai lo stesso, perché ogni giornata ci cambia un pochino. Nessun attimo si ripeterà mai uguale, nessun momento potrà mai essere replicato e perfino ciò che sembra apparentemente immobile e bloccato in una realtà è dinamico, perché il movimento è l’essenza stessa dello scorrere del tempo.
L’equivoco sull’Impressionismo, e questo non è l’unico, nasce da un’estremizzazione, da una sintesi, brutale come tutte le sintesi, in base alla quale questo movimento artistico, che non può essere considerato una “corrente”, sia l’espressione figurativa di quel desiderio di realismo, genericamente caratteristico della seconda metà dell’Ottocento che in Filosofia chiamiamo Positivismo, e in Letteratura Naturalismo. Parlo ovviamente della Francia dove esiste corrispondenza cronologica. Altrove non fu neanche così.
Insomma l’Impressionismo sarebbe il corrispettivo di Positivismo e Naturalismo nell’Arte.
Ma quale sarebbe il loro comune denominatore?
Se fossero la scienza e l’oggettività che cosa c’entrerebbero le impressioni che sono quanto di più soggettivo possa esistere?
Veramente molto poco, ma da questo nasce un secondo equivoco, quello relativo alla realtà che in questo caso essi stessi crearono.
I libri di testo e anche noi professori, per le nobili ragioni della didattica, abbiamo favorito e continuiamo a favorire quest’equivoco.
Sicuramente per colpa, non per dolo.
Per colpa perché la nostra formazione culturale, nella maggior parte dei casi di quelli della mia generazione, è, volente o nolente, neoidealistica, Croce era vivo, vegeto e produttivo, e Gentile era stato stroncato da poco da un attentato dei GAP, pertanto non riusciamo a svincolarci dalla confort zone dello schematismo dialettico tesi - antitesi.
Certamente è un modo di capire e di raccontare il mondo, ma altrettanto certamente esistono altre categorie meno ingabbianti. A questo si aggiunga poi che le ore di Storia dell’Arte sono sempre così desolatamente poche e stremanti che non sempre si riesce a spiegare quello che invece io riesco a spiegare qui, del tutto svincolato dal didactically correct.
Per questi due motivi, per gli studenti delle superiori, sperando che ne abbiano mai sentito parlare, l’Impressionismo rimane sempre una corrente e va sempre a fagiolo con il Positivismo e con il Naturalismo.
Ora, che sia una corrente non è vero, perché dovrebbe essere caratterizzata da scritti critici riconducibili a una poetica fatta di elementi stilistici comuni. E l’Impressionismo a quanto pare non ebbe né scritti teorici né elementi stilistici comune, o per lo meno ne ebbe troppo pochi per poter fare una reductio ad unum seria. Di contro fu un movimento molto eterogeneo e anche di breve durata come Impressionismo in sé e per sé e svaporò dopo poco più di un decennio dando poi luogo alla nuova etichetta di Postimpressionismo, un altro enorme contenitore ancor più vago e generico del primo.
Ritornando ora all’Impressionismo, un comune denominatore fra tutti loro ci fu, ma era un elemento destruens cioè di critica lacerante nei confronti dell’Arte della loro epoca. Perché per il resto, quanto a caratteristiche stilistiche, questi artisti erano molto lontani gli uni dagli altri: personalmente alcuni agitati, altri poveri in canna, ma tutti molto istruiti e tutti legati dagli stessi valori che la borghesia esaltava cioè il realismo. In loro c’è la stessa passione borghese per la realtà, ma in loro era molto disordinata e confusa.
Mostro qui alcuni dipinti di questi pittori partecipi della cosiddetta Prima mostra dell’Impressionismo del 1874 proprio a dimostrazione della loro straordinaria diversità.
Paul Cezanne: La casa dell'impiccato, ad Auvers-sur-Oise. Fig. 2Edgar Degas: La classe di danza. Fig. 3
Claude Monet lo abbiamo già visto nella fig 1.
Berthe Morisot “La culla”. Fig. 4
Camille Pisarro “Le Verger”. Fig. 5
Alfred Sisley "Autunno.Rive della Senna presso Bougival”. Fig 7
Massimo Capuozzo
Una pregevole lezione, proposta con uno stile linguistico ricco e comprensibile. Chapeau Massimo. Una convincente comoetenza, che infonde sicurezza, nel pensare che il tuo pensiero è un incitamento onesto alla riflessione. Mi verrebbe da dire, che sono rimasto "impressionato". Scusa il mio blasfemo parafrasare. Invece, dopo aver letto il tuo intervento sulla prestigiosa, e unica , e appagante produzione artistica, mi sono chiesto se oltre a quanto da te evidenziato, circa la volontà degli artisti di trasmettere il
RispondiEliminaloro sentire, non vi fosse anche la gioia di "imprimere" nel fruitore una traccia, un'orma permanente nell'animo di chi gode della.visione artistica.
Scusa Massimo semrisukta da Anonimo, sono Ferdinando Martino permil commento precedente
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