domenica 13 luglio 2014

Mario Sironi: verso il Novecento di Massimo Capuozzo

Alla fine del 1919, Mario Sironi ripartì per Milano. Nella nuova contesto che si stava sviluppando nel capoluogo lombardo, con Margherita Sarfatti che stava dando vita al gruppo Novecento, due notevoli impegni attendevano Sironi: la partecipazione alla Grande mostra futurista di Palazzo Cova, l'ultima in chiave prettamente futurista, e la collaborazione ad Ardita, il mensile del Popolo d'Italia.
Da questo momento in poi Sironi tende a monumentalizzare la sua arte descrivendo, con le grandi periferie urbane, il suo passaggio ad una nuova ispirazione.
Milano lo affascinava per i suoi paesaggi urbani e per le sue periferie industriali che analizzò acutamente e che presto cominciò a dipingere: in queste opere permangono ancora, da una parte, temi di impostazione metafisica, dall’altra, temi assolutamente brutali nel loro angoscioso realismo.
Queste opere indicano l’originale impostazione della pittura di Sironi che esprime una tragicità fino a quella momento ignorata dalla pittura del Novecento, il dramma dell’uomo contemporaneo: un dramma fatto di tristi solitudini e di atmosfere cupe, di città deserte cifrate dall’atmosfera desolata delle misere periferie, dove domina il senso cupo ed oppressivo della dislocazione urbanistico-ambientale del mondo operaio: una riflessione amara e angosciata sul tema della nuova civiltà urbana e industriale, delle officine e delle macchine.
In queste opere Sironi raggiunse la compiutezza dell'opera d'arte: tutto è chiaro, nessun elemento è lasciato al caso e nelle pennellate che danno luogo all’immagine è individuabile finanche l’ora.
Sironi seduce con dipinti come Sintesi di Paesaggio Urbano, un olio su tela del 1919.
I paesaggi urbani, tra il 1919 ed il 1922, entrano duramente nell'ambito in cui la città, divenuta metropoli, assume un’immagine sempre più  potente, di ordine di dominio, ma astratta e priva di ogni punto di riferimento.
Questa visione della città porta Sironi su scenari di solitudine e di inquietudine che riflettono e fanno riflettere sull’industrializzazione rozza e grezza dell'Italia settentrionale. Il successo delle tele fu tale che più tardi Margherita Sarfatti potette scrivere nella sua Storia della pittura moderna del 1930: «Sempre nitida e recisa nel segno, l'aristocratica pittura di Mario Sironi adombra vaste immagini, figurazioni aduste e solenni, addolcite da giuochi di penombre e profondi smalti traslucidi. Egli è uno fra i maggiori pittori di oggi e sicuramente grandeggerà domani. È il pittore dei paesaggi urbani meccanici e implacabili come la geometria delle vite rinchiuse nei cubi delle case, fra i rettifili delle strade».
I paesaggi urbani di Sironi sono uno degli eventi più straordinari del secolo. Nell’asprezza dei colori lo spettatore è avvinto da una emozione suggestiva e ad un tempo angosciante: le speranze di una vita migliore lasciano il posto alla cruda realtà della solitudine e dell’impersonalità. Diversamente da Boccioni, in particolare in La città che sale, nell’ambiente urbano di Sironi non c'è più traccia di vitalità, di entusiasmo, di colore, di ardimento e di sfolgorio.
Le fabbriche sono al centro di una desolazione devastante. Esili e abbandonate figure si perdono nella vastità silenziosa di un vivere assurdo, vuoto, monotono, senza vie di uscita. Il cielo, la terra, i marciapiedi e le persone sembrano essere una sola cosa, con lo stesso umore e con le stesse sensazioni perse nel nulla.
Le periferie urbane anticipano dunque il futuro, il senso compiuto dell'uomo di fine millennio, in bilico tra un passato glorioso e tormentato e un futuro troppo pieno di incertezze per essere affrontato serenamente. Sironi sembra percepire tutto questo negli anni venti attraverso una lacerante conversione ed un'opera affascinante e tragica, straordinariamente efficace e decisa, che assume, all'interno dell'ambiente novecentista, un ruolo isolato ed unico, preferendo un realismo sociale, malinconico e mistico diverso dai vari artisti che con il tempo entrarono a far parte della grande famiglia voluta dalla Sarfatti, vera e autentica ispiratrice di molti fermenti culturali.
Nel 1920, Sironi era diventato ormai un appassionato frequentatore dei mercoledì culturali nel salotto cremisi di Margherita Sarfatti a Milano. Alla fine dell’anno, prese parte, ancora da futurista, alla Mostra italiana dell’Esposizione d’Arte Moderna di Ginevra, dove fu apprezzato come una delle figure italiane più significative dell’intera rassegna ed in quella circostanza firmò con Dudreville, Funi e Russolo il manifesto Contro tutti i ritorni in pittura che contiene alcune delle tesi fondamentali per la costituzione del gruppo Novecento, successivamente fondato nel 1922.
Nel frattempo le convinzioni politiche di Sironi che, al di sopra di ogni avvenimento, attraverso la sua creatività, aveva sempre tentato di colpire duramente la burocrazia dello Stato liberale, il consumismo e la società industrializzata con ambientazioni scure, dure, gigantesche e spaventose che presto avrebbero trovato felice realizzazione nella sua arte più conosciuta, lo attrassero verso gli ideali rivoluzionari di Mussolini e del Fascismo cui aderì e, quando nel 1922 Mussolini giunse al potere con la marcia su Roma, Sironi diventò impaginatore, illustratore e grafico del Popolo d’Italia, il quotidiano milanese fondato dal futuro Duce, e della Rivista Illustrata del Popolo d'Italia e collaborò anche al periodico Natura.
Nel 1922 si comincia a profilare il tempo di Novecento: intorno al gallerista Lino Pesaro e con i favori della Sarfatti, si formò il Gruppo dei sette pittori del Novecento, con altri sei pittori, Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig, Oppi, oltre naturalmente a Sironi.
Il Gruppo dei sette pittori del Novecento espose per la prima volta il 27 marzo del 1923, alla Galleria Pesaro, punto di riferimento decisivo per il lancio del Novecento in Italia, alla presenza del Capo dello Governo Benito Mussolini alla serata inaugurale.
La Sarfatti, ideologa, tecnica e, soprattutto, portatrice dell’impulso politico proveniente da Mussolini, pose subito il gruppo in opposizione con Valori Plastici. Sironi condivise Novecento non in modo subalterno, ma ponendo in campo tutte le sue idee e tutte le sue precedenti sperimentazioni e soprattutto portandovi dentro tutto il carico della sua complessa personalità artistica: in sostanza Mario Sironi, per la coincidenza della sua inclinazione verso una concezione monumentale dell’arte con i programmi di Margherita Sarfatti e con quelli politici del Fascismo, risultò la figura preminente nell'ambito del Novecento Italiano.
Egli si proponeva di orientare la sua arte verso una rivisitazione, meditata ed originale, del classicismo greco e romano, con un occhio alle ombre e ai chiaroscuri di Caravaggio come si può osservare ne La modella dello scultore del 1922.
Il secondo importante momento del Gruppo dei sette pittori del Novecento fu l'allestimento nel 1924 di una mostra alla XIV Biennale di Venezia, anno in cui una parte della nuova corrente si spaccò. Sironi partecipò alla mostra, presentandovi due opere, L’allieva e L’architetto che assimilano tutta la poetica e l'interiorità del movimento, diventate delle vere e proprie immagini della poetica novecentista.
All’indomani della mostra, la Sarfatti giunse alla decisione di dare al gruppo valenze e prerogative nazionali e a questo scopo decise di organizzare, per il 1926, la prima  grande mostra del Novecento italiano da allestirsi a Milano di cui Sironi fu cofondatore e rappresentante di punta del Comitato direttivo. Le adesioni piovvero alla Sarfatti da tutta Italia e il 14 febbraio 1926 appunto, la prima mostra del Novecento italiano fu ordinata da Sironi e fu inaugurata al Palazzo della Permanente di Milano, con 110 artisti rappresentati e con la consueta presenza di Mussolini al vernissage.
L’attività di Sironi fu febbrile nel gruppo Novecento italiano, sostenendo polemiche con il mondo dell'arte e promuovendo esposizioni in Italia e all'estero.
Nel maggio del 1926 Sironi partecipò ad una mostra di artisti novecentisti, presso la Galleria Carminati a Parigi e ad un’altra mostra di pittori italiani presentati a New York dalla Società Italo-Americana.
Intanto, all’attività pittorica di cavalletto, Sironi alternava quella di disegnatore e di critico d’arte sul Popolo d’Italia dedicando anche molto impegno all’antica tecnica dell’affresco, come pure ad interventi di progettazione architettonica, alla scenografia e alla scultura.
Nel febbraio del 1927, alla Galleria Scopinich di Milano, Sironi espose insieme con altri 15 artisti del Novecento; a marzo Sironi partecipò alla mostra Italianische Maler, presso il Kunsthaus di Zurigo, per la quale realizzò anche il manifesto. Intanto Sironi era entrato a far parte del Comitato artistico direttivo della Biennale monzese che, nel 1927, tenne la sua terza edizione. In quella sede espose caricature ed illustrazioni realizzate per Il Popolo d’Italia, incontrando grande fortuna critica. Nell’ottobre dello stesso anno, Sironi partecipò ad un’altra mostra di artisti italiani, Campigli, De Chirico, Tozzi, De Pisis ed altri allestita presso lo Stedelijk Museum di Amsterdam e alla fine dell’anno realizzò il manifesto del Crepuscolo degli dei di Wagner, rappresentato alla Scala di Milano.
Nel 1928, Sironi assunse il ruolo di critico d’arte nel Popolo d’Italia e partecipò con nove opere alla XVI Biennale di Venezia e ad una mostra di Sette pittori moderni tenuta nelle sale della Galleria Milano. Sironi iniziò ad interessarsi anche di architettura collaborando con l’architetto Muzio con il quale curò la sistemazione del Padiglione della Stampa italiana alla mostra Pressa di Colonia e del Padiglione del Popolo d’Italia alla Fiera di Milano.
Nel 1929, fra marzo ed aprile, Sironi partecipò ad altre mostre: la rassegna di novecentisti italiani organizzata dalla Société des Beaux-Arts di Nizza, poi alla mostra presso la Galleria Milano dove esponevano gli stessi artisti dell’anno precedente ed infine, alla II Mostra del Novecento italiano, sempre tenuta al Palazzo della Permanente di Milano.
Anche in questa seconda edizione non mancarono polemiche di artisti e di critici: il tentativo della Sarfatti di aprire ad altre tendenze artistiche non raccolse i frutti sperati come il rifiuto dei futuristi a parteciparvi.
Nel maggio del 1929 Sironi e Muzio misero a punto il Padiglione della Stampa italiana all’Esposizione internazionale di Barcellona.
Dopo la prima personale a Milano nel 1929, Sironi cominciò a conseguire premi anche internazionali e diventò uno dei più quotati elaboratori dell’estetica fascista.
Con la collaborazione di architetti dell’ala razionalista, diventò uno dei maggiori protagonisti del tentativo di formulare un’estetica del regime fascista, animato da un principio di volontà e ordine rispecchiante il suo orientamento psicologico e la sua ideologia politica.
Anche i1 1930 fu per Sironi un anno denso di avvenimenti, come l’inserimento di Sironi nel collegio direttivo della IV Triennale di Milano, in cui, sempre con Muzio, realizzò una mostra delle arti grafiche. Poi partecipò alla XVII Biennale di Venezia e alla Mostra del Novecento Italiano a Buenos Aires e realizzò le scene teatrali per L’isola misteriosa di Ugo Betti, rappresentata al Teatro Manzoni di Milano.
Con la partecipazione di Sironi, sempre in ambito collettivo, alle mostre della Kunsthalle di Basilea e di Berna e con la Mostra del Novecento Italiano a Buenos Aires, la Sarfatti ed il Comitato direttivo di Novecento, cercavano di dare respiro e legittimazione internazionale al Movimento, ma la polemica interna non sembrava sopirsi, rinfocolata com’era soprattutto dal movimento di Strapaese di Soffici e da Valori Plastici di Broglio.
Anche nella vita sentimentale di Sironi il 1930 fu un anno di svolta: l’artista incontrò Maria Alessandra Costa, una giovanissima ed attraente modella. Fu un grande amore a prima vista. L’ormai quarantacinquenne artista, immalinconito in una routine anche burocratica, tutt’altro che esaltante, si separò dalla moglie e decise di vivere con la sua giovane amante. Questo grande amore lo scosse profondamente, lo fece ringiovanire di colpo, diede nuova linfa alla sua pittura.
Negli anni immediatamente seguenti si assiste ad un evento magico per pochi artisti: l’ingresso nell’arte della gioia di vivere. La serie di tempere e tecniche miste dipinte per integrare i progetti di interni di palazzi e motonavi presentati dall’architetto Pulitzer, ne sono una splendido prova. In esse Sironi creò, ideò, lavorò in una gradazioni cromatiche quanto mai diversificate, brillanti, vivaci, in strutture compositive sempre inedite, autonome, estranei alla tradizione che spesso lambiscono l’informale.
Massimo Capuozzo

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