Il Ritratto di Giovane Dama del Museo Poldi Pezzoli di Milano
è unanimemente considerato uno dei capolavori della ritrattistica
rinascimentale.
Nonostante il
bel ritratto di Andrea del Castagno, anche in ambiente fiorentino l’effigie di
profilo rimaneva un attributo specificamente vincolato alla connotazione
dinastico-araldica e solo le sperimentazioni di Antonello da Messina e in
seguito di Leonardo imposero definitivamente un nuovo modello di raffigurazione
iconica, isolatamente anticipato da Andrea del Castagno fra il 1450 e il 1457,
mentre nelle Fiandre questo modulo, aveva trovato, già nei primi decenni del
Quattrocento un immediato successo.
Il Ritratto di giovane dama (45,5x32,7
cm), attribuito dapprima a Piero
del Pollaiolo, ma in seguito più sicuramente a suo fratello Antonio, è stato eseguito su un
supporto ligneo, oggi ridotto di spessore e sorretto da due traverse
orizzontali, con un impasto di colori molto denso ottenuto probabilmente con
una tecnica mista a tempera e a olio.
L'opera,
eseguita a Firenze, è uno dei simboli dell'eleganza fiorentina nel XV secolo e
appartiene a un’importante serie di ritratti femminili eseguiti nella seconda
metà del Quattrocento dalla magnifica et onorata bottega
fiorentina dei fratelli Antonio e Piero del Pollaiolo, aperta nel 1459 in via
Vacchereccia in Mercato Nuovo.
La
bottega di Antonio del Pollaiolo era una delle più importanti e interessanti a
Firenze e si distingueva e caratterizzava per la multiforme attività e
versatilità dei due fratelli, impegnati nell’oreficeria come nella scultura,
nella pittura come nei disegni per ricami. Proprio questa straordinaria
capacità di lavorare utilizzando i media
artistici più disparati consentì ai due fratelli di assumere un ruolo centrale
nella vicenda dell’arte fiorentina rinascimentale affrontando, talora anche
spavaldamente, le richieste di un mercato sempre più competitivo ed esigente
quanto a manufatti di lusso. Si trattava di una competizione nel senso più
pieno e preciso del termine: artisti e botteghe, infatti, impegnavano parte
dell’attività organizzativa nella ricerca delle commissioni più rilevanti. Vi
erano, in realtà, numerose botteghe polivalenti gestite da artisti
imprenditori-intellettuali di maggior levatura, che esercitavano più arti, e
abituate a soddisfare le più svariate richieste e commissioni.
Oltre
alla bottega dei fratelli Pollaiolo, un altro esempio indicativo è
rappresentato dai rivali dell’atelier del Verrocchio, il quale fu orafo,
scultore e anche pittore, e la cui importanza è attestata dalla qualità e
quantità di pittori che si formarono presso di lui o che ne subirono il forte
ascendente.
Il
ruolo guida di Antonio e Piero del Pollaiolo era tanto più appariscente quanto
più legato comunque – insieme alla rivale bottega verrocchiesca – alla componente
di innovatività e versatilità che li distinse sulla scena della Firenze del
decennio 1470.
La
svolta dell’ottavo decennio del Quattrocento segnò un importante vertice
creativo dei Pollaiolo: furono anni molto intensi, che li videro impegnati nella
produzione di alcuni capolavori assoluti del Rinascimento fiorentino, come l’Annunciazione dello Staatliche Museen di Berlino o il Martirio di San Sebastiano della National Gallery di Londra.
In
questo particolare milieu, nacquero i ritratti di
dama di profilo, attribuiti dalla critica ad Antonio del Pollaiolo e dispersi
in varie collezioni europee e nord americane: il Ritratto femminile, databile al 1475 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze, un altro agli Staatliche Museen di Berlino,
un altro ancora o al Metropolitan Museum di New York e uno infine all'Isabella Stewart Gardner Museum di Boston. Ma in questo ambiente nacque
anche il Ritratto di Galeazzo Maria
Sforza.
Di
questi dipinti il
più celebre e uno dei meglio conservati è questo del museo milanese.
Non si sa come e
quando questo Ritratto di giovane
dama
– in eccellente stato di conservazione e già segnalato nel XIX secolo
dal critico Giovanni Battista
Cavalcaselle (1819 – 1897)
nelle collezioni Borromeo – sia
venuto in possesso del conte Gian Giacomo Poldi Pezzoli (1822-1879), uno dei
più illuminati collezionisti dell’Ottocento, che lo trasferì all’istituendo museo nel 1879.
Il Museo Poldi Pezzoli fu aperto nel 1881, due anni dopo la morte del suo
fondatore ed è uno dei primi e più riusciti esempi di storicismo museale in
Europa: ogni ambiente si ispira a uno specifico stile del passato e ospita
un’eccezionale scelta di manufatti artistici antichi. Preziose raccolte di
dipinti dal Trecento all’Ottocento, sculture, armi, vetri, orologi, porcellane,
tappeti e arazzi, mobili e oreficerie, si fondono in uno straordinario insieme.
Non si sa chi
sia questa gentile figura di donna raffigurata nel ritratto del Poldi Pezzoli: si
sono fatti vari nomi, tra cui quelli della moglie del banchiere fiorentino Giovanni
de' Bardi – secondo un'iscrizione uxor Johannis de Bardi sul retro del
pannello ed eliminata nel corso di un antico restauro perché ritenuta probabilmente
un falso – o di Marietta Strozzi o ancora di una Belgioioso, ma nessuno
del tutto convincente. In ogni caso la straordinaria ricchezza della veste,
dell’acconciatura dei capelli e dei gioielli indossati dalla donna lasciano supporre
che si tratti di un personaggio di rilievo dell’aristocrazia fiorentina del
Quattrocento.
Il volto della giovane
donna, mostrato perfettamente di profilo secondo la tradizione della
ritrattistica antica, è segnato da una sottile linea nera di contorno, netta ed
espressiva – il cosiddetto primato del
disegno fu infatti una delle caratteristiche più tipiche dell'arte
fiorentina della seconda metà del XV secolo, in particolare dei fratelli del
Pollaiolo – che lo fa risaltare nettamente secondo l'usanza tipica delle corti
italiane e che, tramite il modello umanistico del vir illustris, si ispirava ai
modi della medaglistica imperiale romana.
L'ambientazione
all'aria aperta rappresenta la perfetta armonia tra natura e bellezza
femminile, secondo un ideale classico recuperato nel Rinascimento: la ragazza è
ritratta fino alle spalle, con una leggera torsione del busto che permette di
vedere la forma della scollatura, sullo sfondo di un chiaro cielo azzurro
solcato da alcune nubi. Grandissima attenzione è data alla rappresentazione
della veste, dei gioielli e dell'elaboratissima acconciatura, che sottolinea lo
status sociale della donna.
La donna veste
un corpetto scollato e aderente, allacciato con una serie ravvicinata di
bottoni, tipico della moda giovanile dell'epoca. L’acconciatura è molto
elaborata: i capelli sono raccolti con «reticella gemmata a
cuffia» di straordinaria eleganza detta a vespaio, la sommità rasata della fronte, secondo la moda dell’epoca
è coronata da una collana di perle, con al centro un appariscente diadema con
pietre preziose, che trattiene i capelli in una crocchia elaborata girando
dietro la nuca e tenendo anche un velo trasparente che copre le orecchie e che
aiuta a tenere ravviati i capelli che sulla nuca si arrotolano morbidamente,
legati da un gallone. Il collo è ornato da una corta collana con tre perle
bianche alternate a una nera cui si aggancia un pendente con un grosso rubino e
perle.
È probabile che
questa bellissima parure imiti
fedelmente i gioielli posseduti dalla donna ritratta. I gioielli che indossa
(perle e rubino) rimandano a significati
nuziali, suggerendo una possibile destinazione del ritratto come parte della
dote o come dono per la famiglia dello sposo prima della sigla del contratto
matrimoniale. Le perle, infatti, alludono alla purezza verginale e il rubino al
rosso dell'amore.
Grande rilievo è
poi attribuito alla manica di velluto che presenta un motivo floreale reso con
sinteticità, senza ricorrere però agli effetti lenticolari della pittura fiamminga. Si avvicina
all'arte fiamminga invece la straordinaria attenzione ai valori della luce, che
definisce con vari effetti di trasparenza i numerosi materiali raffigurati: dalla
lucentezza dei capelli dorati della dama, alla brillantezza delle perle, dalla
delicatezza dell'incarnato fino a effetti virtuosistici come il velo che copre
delicatamente l'orecchio a testimonianza dell’influenza delle novità introdotte
dai pittori fiamminghi contemporanei.
Il Ritratto di Galeazzo Maria Sforza è
un dipinto a tempera su tavola (65x42 cm) attribuito a Piero del
Pollaiolo, sebbene sia supposta anche una collaborazione di Antonio del
Pollaiolo nel disegno; il dipinto è databile al 1471 ed è conservato
nella Galleria degli Uffizi a Firenze.
In seguito al restauro
del 1994, si è costatato che il ritratto fu eseguito direttamente sulla
tavola senza preparazione, alla maniera fiamminga.
L'opera, di cui
il probabile committente potrebbe essere stato lo stesso Magnifico, era probabilmente
in pendant con un ritratto di Federico da Montefeltro, duca di Urbino: le
due opere sono ricordate nell'inventario di Palazzo
Medici del 1492, nella cosiddetta camera
di Lorenzo, la camera grande
terrena di Palazzo Medici. Al dipinto perduto di Federico da Montefeltro
potrebbe accennare il dito puntato del duca di Milano nel quadro del Pollaiolo.
Il ritratto di Galeazzo Maria Sforza (1444-1476) nel 1553 risultava nella stanza
degli armadi medicei di Palazzo Vecchio e dal 1880 è stato collocato nella
Galleria degli Uffizi.
Galeazzo Maria,
figlio di Francesco Sforza e di Bianca Maria Visconti era stato educato come un
gran signore del Rinascimento alla corte di Borso d’Este. Amante della cultura
e munifico mecenate e famoso per le sue conquiste femminili, alla morte di suo padre
nel 1466 diventò duca di Milano. Nel 1471 Galeazzo Maria Sforza e sua moglie Bona di Savoia fecero un viaggio a Firenze accompagnati
da un fastosissimo corteo.
Galeazzo Maria Sforza visitava Firenze
per la terza volta, per rinsaldare l'alleanza politica con Lorenzo il magnifico,
anche se il motivo ufficiale era l'intento di
sciogliere un voto. I Medici e la città accolsero il loro importante alleato
con grandiosi festeggiamenti. Le cronache dell'epoca ricordano che
il 13 marzo fece il suo ingresso in città, indossando "uno
broccato azzurro gigliato, a la divisa et arme francese", proprio come
quello che indossa il principe nel dipinto. Galeazzo Maria, infatti, aveva
acquisito l’onore dell’insegna del fleur
de lis dell’arme francese dopo il matrimonio con Bona di Savoia.
Galeazzo Maria
Sforza è ritratto di tre quarti voltato a destra, in atteggiamento
spontaneo duca di Milano, contro un fondo scuro uniforme.
Porta i capelli lunghi,
con i riccioli inanellati aggiustati con cura ai lati della testa, come le
fonti ricordano amasse acconciarli. Ha i tratti ben definiti, in particolare il
forte naso aquilino, il mento pronunciato e la piccola bocca. l'espressione
fiera e decisa. Si presenta come un personaggio altezzoso, raffinato nei modi,
accurato ed elegante nell’acconciarsi e nel vestire, come le testimonianze contemporanee
ricordano dal carattere irascibile impulsivo e
autoritario.
Indossa un abito
azzurro alla francese bordato con una candida pelliccia che spunta dal collo,
con gigli d’oro ricamati a rilievo, privilegio araldico a lui concesso dopo il
matrimonio con Bona di Savoia, cognata del
re di Francia. Indossa una catena d'oro con una pietra preziosa rossa a
forma di cuore. La mano destra inguantata con un sottilissimo guanto di
camoscio o di seta e tiene quello dell'altra mano in pugno, mentre l'indice
indica verso destra.
Purtroppo
Galeazzo Maria, che aveva ereditato il carattere violento e capriccioso dei
Visconti, era un uomo duro e spietato, tanto da suscitare contro di sé una
ribellione che, nel 1476, si tradusse nel suo assassinio: rancori vecchi e
nuovi che l'atteggiamento di Galeazzo, estremamente disinvolto nel trattare con
la nobiltà cittadina, aveva infiammato in uomini convinti di essere stati
ingiustamente allontanati dai vertici del governo. Il rapido processo di
emarginazione dal potere che lo Sforza aveva avviato a danno del patriziato
milanese, sistematicamente escluso dai gangli vitali dell'apparato di governo,
aveva assunto dimensioni tanto considerevoli da essere stato notato anche
all'estero.
Il 26 dicembre Galeazzo volle assistere alla messa mattutina
recandosi presso la chiesa di Santo Stefano. Nonostante fosse scortato da
fedeli soldati, l’agguato fu repentino e del tutto inaspettato. Appena il duca
mise piede sotto il portico della chiesa (portico ora scomparso) tre
congiurati, Giovanni Andrea Lampugnani, Gerolamo Olgiati, e Carlo Visconti, gli
furono addosso coi rispettivi pugnali. I colpi inferti al Signore di Milano,
infatti, anche se sferrati di fretta e col timore di un immediato arresto,
risultarono in più casi mortali. Per il numero di colpi e la posizione degli
stessi, è lecito pensare che la morte del Duca sopraggiungesse nell’arco di
pochi secondi, sufficienti, tuttavia, per permettere all’Olgiati e al Visconti
di allontanarsi indisturbati dal luogo del delitto, sfruttando il panico e la
sorpresa che si erano ingenerati nella chiesa. Il Lampugnani fu invece
immediatamente raggiunto dalle spade degli sforzeschi, e trovò così immediata
morte.
I due fuggitivi furono comunque arrestati pochi giorni dopo,
processati, e giustiziati nel gennaio seguente.
Del corpo di Galeazzo Maria non si seppe più nulla, proprio
come era interesse del fratello Ludovico (il Moro), nei cui piani vi era quello
di usurpare il potere al giovane nipote Gian Galeazzo.
Massimo Capuozzo
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