domenica 13 ottobre 2013

I ritratti della bottega dei Pollaiolo di Massimo Capuozzo

Il Ritratto di Giovane Dama del Museo Poldi Pezzoli di Milano è unanimemente considerato uno dei capolavori della ritrattistica rinascimentale.
Nonostante il bel ritratto di Andrea del Castagno, anche in ambiente fiorentino l’effigie di profilo rimaneva un attributo specificamente vincolato alla connotazione dinastico-araldica e solo le sperimentazioni di Antonello da Messina e in seguito di Leonardo imposero definitivamente un nuovo modello di raffigurazione iconica, isolatamente anticipato da Andrea del Castagno fra il 1450 e il 1457, mentre nelle Fiandre questo modulo, aveva trovato, già nei primi decenni del Quattrocento un immediato successo.
Il Ritratto di giovane dama (45,5x32,7 cm), attribuito dapprima a Piero del Pollaiolo, ma in seguito più sicuramente a suo fratello Antonio, è stato eseguito su un supporto ligneo, oggi ridotto di spessore e sorretto da due traverse orizzontali, con un impasto di colori molto denso ottenuto probabilmente con una tecnica mista a tempera e a olio.
L'opera, eseguita a Firenze, è uno dei simboli dell'eleganza fiorentina nel XV secolo e appartiene a un’importante serie di ritratti femminili eseguiti nella seconda metà del Quattrocento dalla magnifica et onorata bottega fiorentina dei fratelli Antonio e Piero del Pollaiolo, aperta nel 1459 in via Vacchereccia in Mercato Nuovo.
La bottega di Antonio del Pollaiolo era una delle più importanti e interessanti a Firenze e si distingueva e caratterizzava per la multiforme attività e versatilità dei due fratelli, impegnati nell’oreficeria come nella scultura, nella pittura come nei disegni per ricami. Proprio questa straordinaria capacità di lavorare utilizzando i media artistici più disparati consentì ai due fratelli di assumere un ruolo centrale nella vicenda dell’arte fiorentina rinascimentale affrontando, talora anche spavaldamente, le richieste di un mercato sempre più competitivo ed esigente quanto a manufatti di lusso. Si trattava di una competizione nel senso più pieno e preciso del termine: artisti e botteghe, infatti, impegnavano parte dell’attività organizzativa nella ricerca delle commissioni più rilevanti. Vi erano, in realtà, numerose botteghe polivalenti gestite da artisti imprenditori-intellettuali di maggior levatura, che esercitavano più arti, e abituate a soddisfare le più svariate richieste e commissioni.
Oltre alla bottega dei fratelli Pollaiolo, un altro esempio indicativo è rappresentato dai rivali dell’atelier del Verrocchio, il quale fu orafo, scultore e anche pittore, e la cui importanza è attestata dalla qualità e quantità di pittori che si formarono presso di lui o che ne subirono il forte ascendente.
Il ruolo guida di Antonio e Piero del Pollaiolo era tanto più appariscente quanto più legato comunque – insieme alla rivale bottega verrocchiesca – alla componente di innovatività e versatilità che li distinse sulla scena della Firenze del decennio 1470.
La svolta dell’ottavo decennio del Quattrocento segnò un importante vertice creativo dei Pollaiolo: furono anni molto intensi, che li videro impegnati nella produzione di alcuni capolavori assoluti del Rinascimento fiorentino, come l’Annunciazione dello Staatliche Museen di Berlino o il Martirio di San Sebastiano della National Gallery di Londra.
In questo particolare milieu, nacquero i ritratti di dama di profilo, attribuiti dalla critica ad Antonio del Pollaiolo e dispersi in varie collezioni europee e nord americane: il Ritratto femminile, databile al 1475 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze, un altro agli Staatliche Museen di Berlino, un altro ancora o al Metropolitan Museum di New York e uno infine all'Isabella Stewart Gardner Museum di Boston. Ma in questo ambiente nacque anche il Ritratto di Galeazzo Maria Sforza.
Di questi dipinti il più celebre e uno dei meglio conservati è questo del museo milanese.
Non si sa come e quando questo Ritratto di giovane dama – in eccellente stato di conservazione e già segnalato nel XIX secolo dal critico Giovanni Battista Cavalcaselle (1819  1897) nelle collezioni Borromeo – sia venuto in possesso del conte Gian Giacomo Poldi Pezzoli (1822-1879), uno dei più illuminati collezionisti dell’Ottocento, che lo trasferì all’istituendo museo nel 1879. Il Museo Poldi Pezzoli fu aperto nel 1881, due anni dopo la morte del suo fondatore ed è uno dei primi e più riusciti esempi di storicismo museale in Europa: ogni ambiente si ispira a uno specifico stile del passato e ospita un’eccezionale scelta di manufatti artistici antichi. Preziose raccolte di dipinti dal Trecento all’Ottocento, sculture, armi, vetri, orologi, porcellane, tappeti e arazzi, mobili e oreficerie, si fondono in uno straordinario insieme.
Non si sa chi sia questa gentile figura di donna raffigurata nel ritratto del Poldi Pezzoli: si sono fatti vari nomi, tra cui quelli della moglie del banchiere fiorentino Giovanni de' Bardi – secondo un'iscrizione uxor Johannis de Bardi sul retro del pannello ed eliminata nel corso di un antico restauro perché ritenuta probabilmente un falso – o di Marietta Strozzi o ancora di una Belgioioso, ma nessuno del tutto convincente. In ogni caso la straordinaria ricchezza della veste, dell’acconciatura dei capelli e dei gioielli indossati dalla donna lasciano supporre che si tratti di un personaggio di rilievo dell’aristocrazia fiorentina del Quattrocento.
Il volto della giovane donna, mostrato perfettamente di profilo secondo la tradizione della ritrattistica antica, è segnato da una sottile linea nera di contorno, netta ed espressiva – il cosiddetto primato del disegno fu infatti una delle caratteristiche più tipiche dell'arte fiorentina della seconda metà del XV secolo, in particolare dei fratelli del Pollaiolo – che lo fa risaltare nettamente secondo l'usanza tipica delle corti italiane e che, tramite il modello umanistico del vir illustris, si ispirava ai modi della medaglistica imperiale romana.
L'ambientazione all'aria aperta rappresenta la perfetta armonia tra natura e bellezza femminile, secondo un ideale classico recuperato nel Rinascimento: la ragazza è ritratta fino alle spalle, con una leggera torsione del busto che permette di vedere la forma della scollatura, sullo sfondo di un chiaro cielo azzurro solcato da alcune nubi. Grandissima attenzione è data alla rappresentazione della veste, dei gioielli e dell'elaboratissima acconciatura, che sottolinea lo status sociale della donna.
La donna veste un corpetto scollato e aderente, allacciato con una serie ravvicinata di bottoni, tipico della moda giovanile dell'epoca. L’acconciatura è molto elaborata: i capelli sono raccolti con «reticella gemmata a cuffia» di straordinaria eleganza detta a vespaio, la sommità rasata della fronte, secondo la moda dell’epoca è coronata da una collana di perle, con al centro un appariscente diadema con pietre preziose, che trattiene i capelli in una crocchia elaborata girando dietro la nuca e tenendo anche un velo trasparente che copre le orecchie e che aiuta a tenere ravviati i capelli che sulla nuca si arrotolano morbidamente, legati da un gallone. Il collo è ornato da una corta collana con tre perle bianche alternate a una nera cui si aggancia un pendente con un grosso rubino e perle.
È probabile che questa bellissima parure imiti fedelmente i gioielli posseduti dalla donna ritratta. I gioielli che indossa (perle e rubino) rimandano a significati nuziali, suggerendo una possibile destinazione del ritratto come parte della dote o come dono per la famiglia dello sposo prima della sigla del contratto matrimoniale. Le perle, infatti, alludono alla purezza verginale e il rubino al rosso dell'amore.
Grande rilievo è poi attribuito alla manica di velluto che presenta un motivo floreale reso con sinteticità, senza ricorrere però agli effetti lenticolari della pittura fiamminga. Si avvicina all'arte fiamminga invece la straordinaria attenzione ai valori della luce, che definisce con vari effetti di trasparenza i numerosi materiali raffigurati: dalla lucentezza dei capelli dorati della dama, alla brillantezza delle perle, dalla delicatezza dell'incarnato fino a effetti virtuosistici come il velo che copre delicatamente l'orecchio a testimonianza dell’influenza delle novità introdotte dai pittori fiamminghi contemporanei.
Il Ritratto di Galeazzo Maria Sforza è un dipinto a tempera su tavola (65x42 cm) attribuito a Piero del Pollaiolo, sebbene sia supposta anche una collaborazione di Antonio del Pollaiolo nel disegno; il dipinto è databile al 1471 ed è conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.
In seguito al restauro del 1994, si è costatato che il ritratto fu eseguito direttamente sulla tavola senza preparazione, alla maniera fiamminga.
L'opera, di cui il probabile committente potrebbe essere stato lo stesso Magnifico, era probabilmente in pendant con un ritratto di Federico da Montefeltro, duca di Urbino: le due opere sono ricordate nell'inventario di Palazzo Medici del 1492, nella cosiddetta camera di Lorenzo, la camera grande terrena di Palazzo Medici. Al dipinto perduto di Federico da Montefeltro potrebbe accennare il dito puntato del duca di Milano nel quadro del Pollaiolo. Il ritratto di Galeazzo Maria Sforza (1444-1476) nel 1553 risultava nella stanza degli armadi medicei di Palazzo Vecchio e dal 1880 è stato collocato nella Galleria degli Uffizi.
Galeazzo Maria, figlio di Francesco Sforza e di Bianca Maria Visconti era stato educato come un gran signore del Rinascimento alla corte di Borso d’Este. Amante della cultura e munifico mecenate e famoso per le sue conquiste femminili, alla morte di suo padre nel 1466 diventò duca di Milano. Nel 1471 Galeazzo Maria Sforza e sua moglie Bona di Savoia fecero un viaggio a Firenze accompagnati da un fastosissimo corteo.
Galeazzo Maria Sforza visitava Firenze per la terza volta, per rinsaldare l'alleanza politica con Lorenzo il magnifico, anche se il motivo ufficiale era l'intento di sciogliere un voto. I Medici e la città accolsero il loro importante alleato con grandiosi festeggiamenti. Le cronache dell'epoca ricordano che il 13 marzo fece il suo ingresso in città, indossando "uno broccato azzurro gigliato, a la divisa et arme francese", proprio come quello che indossa il principe nel dipinto. Galeazzo Maria, infatti, aveva acquisito l’onore dell’insegna del fleur de lis dell’arme francese dopo il matrimonio con Bona di Savoia.
Galeazzo Maria Sforza è ritratto di tre quarti voltato a destra, in atteggiamento spontaneo duca di Milano, contro un fondo scuro uniforme.
Porta i capelli lunghi, con i riccioli inanellati aggiustati con cura ai lati della testa, come le fonti ricordano amasse acconciarli. Ha i tratti ben definiti, in particolare il forte naso aquilino, il mento pronunciato e la piccola bocca. l'espressione fiera e decisa. Si presenta come un personaggio altezzoso, raffinato nei modi, accurato ed elegante nell’acconciarsi e nel vestire, come le testimonianze contemporanee ricordano dal carattere irascibile impulsivo e autoritario.
Indossa un abito azzurro alla francese bordato con una candida pelliccia che spunta dal collo, con gigli d’oro ricamati a rilievo, privilegio araldico a lui concesso dopo il matrimonio con Bona di Savoia, cognata del re di Francia. Indossa una catena d'oro con una pietra preziosa rossa a forma di cuore. La mano destra inguantata con un sottilissimo guanto di camoscio o di seta e tiene quello dell'altra mano in pugno, mentre l'indice indica verso destra.
Purtroppo Galeazzo Maria, che aveva ereditato il carattere violento e capriccioso dei Visconti, era un uomo duro e spietato, tanto da suscitare contro di sé una ribellione che, nel 1476, si tradusse nel suo assassinio: rancori vecchi e nuovi che l'atteggiamento di Galeazzo, estremamente disinvolto nel trattare con la nobiltà cittadina, aveva infiammato in uomini convinti di essere stati ingiustamente allontanati dai vertici del governo. Il rapido processo di emarginazione dal potere che lo Sforza aveva avviato a danno del patriziato milanese, sistematicamente escluso dai gangli vitali dell'apparato di governo, aveva assunto dimensioni tanto considerevoli da essere stato notato anche all'estero.
Il 26 dicembre Galeazzo volle assistere alla messa mattutina recandosi presso la chiesa di Santo Stefano. Nonostante fosse scortato da fedeli soldati, l’agguato fu repentino e del tutto inaspettato. Appena il duca mise piede sotto il portico della chiesa (portico ora scomparso) tre congiurati, Giovanni Andrea Lampugnani, Gerolamo Olgiati, e Carlo Visconti, gli furono addosso coi rispettivi pugnali. I colpi inferti al Signore di Milano, infatti, anche se sferrati di fretta e col timore di un immediato arresto, risultarono in più casi mortali. Per il numero di colpi e la posizione degli stessi, è lecito pensare che la morte del Duca sopraggiungesse nell’arco di pochi secondi, sufficienti, tuttavia, per permettere all’Olgiati e al Visconti di allontanarsi indisturbati dal luogo del delitto, sfruttando il panico e la sorpresa che si erano ingenerati nella chiesa. Il Lampugnani fu invece immediatamente raggiunto dalle spade degli sforzeschi, e trovò così immediata morte.
I due fuggitivi furono comunque arrestati pochi giorni dopo, processati, e giustiziati nel gennaio seguente.
Del corpo di Galeazzo Maria non si seppe più nulla, proprio come era interesse del fratello Ludovico (il Moro), nei cui piani vi era quello di usurpare il potere al giovane nipote Gian Galeazzo.

Massimo Capuozzo

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