Il rinvenimento di reperti archeologici risalenti all’epoca
preistorica, in tutto il territorio dei Monti Lattari, comprendente Nocera,
Sorrento, Positano, Capri fino a giungere all’ager stabianus, ha, infatti, accertato storicamente che l’area
circostante dei Monti Lattari è stata abitata fin dai primordi dell’umanità.
Nel territorio stabiano fino ad ora è stato rinvenuto un
reperto che testimonia nel paleolitico la presenza dell’uomo nell’ager stabianus, in particolare nel Vallone Scurorillo una selce foggiata a
raschiatoio, risalente ad un’antica cultura paleolitica, presente nel
territorio stabiano in un periodo di tempo compreso tra 300.000 e 40.000 anni
fa. Ulteriori conferme della presenza di insediamenti primitivi nell’area dei
Monti Lattari ci é data dai reperti rinvenuti nella Grotta della Conca, nella Grotta
delle Noglie, ma soprattutto nella Grotta
La Porta e nelle altre intorno a Positano, una prova inconfutabile che la
Penisola sorrentina fu abitata con continuità dal neolitico al bronzo da
popolazioni primitive fin dai tempi più remoti.
Per ricostruire la successione e l’evoluzione delle varie
popolazioni che si sono man mano succedute nell’area, ci sono fonti
archeologiche, costituite da reperti di vario genere, fra cui primeggiano quelli
epigrafici e numismatici, e fonti letterarie, che sono naturalmente di epoca
molto successiva.
Grazie ai più cospicui rinvenimenti di insediamenti
archeologici ed alle fonti epigrafiche e storiografiche si è giunti, ancora, a
conoscere sia l’epoca di fondazione delle città circostanti i Monti Lattari,
sia le varie popolazioni che nel corso dei secoli si sono succedute in esse,
sulla costa e lungo la valle del Sarno. Fino ad oggi, dunque, gli studi di
archeologia e l’esegesi delle fonti letterarie dimostrano che l’area è stata,
nel suo complesso territoriale, abitata fin dai primordi. Ma per individuare la
nascita in tale area dei primi veri insediamenti urbani, nell’accezione di
centro cittadino, sia pure organizzato in forma rudimentale, bisogna partire
solo dal VII secolo a.C., secolo in cui, infatti, le fonti attestano la
presenza nell’area di veri e propri insediamenti, sia pure rudimentali, ma che
già lasciavano presagire le nostre attuali città.
Anche nel territorio dell’agro nocerino sono state rinvenute
tracce della presenza umana fin dai primordi: nella zona montuosa della sua
area, infatti, sono stati rinvenuti manufatti neolitici sulle pendici
circostanti nella zona montuosa di Nuceria,
mentre mancano nella zona pianeggiante del territorio riscontri di ritrovamenti
che attestino la presenza di insediamenti umani di età preistorica, perché
millenni di alluvioni e di eruzioni vulcaniche hanno evidentemente cancellato
ogni traccia più antica della presenza umana.
Della presenza di queste popolazioni preistoriche nell’area
dei Monti Lattari non si sa tuttavia ancora molto, salvo il reperto rinvenuto
nel territorio dell’ager stabianus: i reperti archeologici attestano la
presenza di popolazioni paleolitiche nell’area dei Lattari, ma solo lungo le
coste e a Capri.
Dai reperti archeologici rinvenuti nell’area circostante ai
monti è stato dunque possibile stabilire la presenza di insediamenti umani
nell’area fin dal Paleolitico.
Riguardo invece la presenza delle popolazioni dall’età del
bronzo fino al VII secolo a. C. sono state invece rinvenute molte tracce, che
attestano la presenza dei primi insediamenti urbani in età protostorica.
Dalle fonti storiche è infatti possibile stabilire con
certezza la popolazione che ha originariamente fondato Nuceria, Stabia, Marcina, Surrentum ed Aequa e più in generale ha abitato le aree circostanti nonché le
varie fasi in cui poi successivamente tali comunità si sono sviluppate.
Dall’analisi delle origini e delle successive evoluzioni di
queste città, si vede come esse siano nate già figlie di un intreccio sinergico
di culture tra loro diverse, come diverse sono le culture osche, etrusche,
greche e sannita, e dalle quali ognuna di queste città ne ha assorbito
l’essenza.
Procedendo dunque alla scoperta della nascita delle nostre
odierne città fin dalla loro fase embrionale, ci si accorge che esse, già nella
fase preromana stessero lì, come ad aspettare qualcuno ed appaiono come territori
in cerca d’autore. Grazie alla loro ineguagliabile grazia orografica
naturale, fatta di insenature ospitali, di colline e di pianure fertilissime,
strategicamente posizionate in modo perfettamente strumentale al commercio sul
Mediterraneo, questo territorio era molto appetibile per le popolazioni straniere
cui la natura non aveva donato così munificamente.
Nell’analisi di ogni città dell’area, della loro origine e dei
loro primi sviluppi politici, civili, economici e culturali delle loro
comunità, si tengono sempre in considerazione le varie influenze culturali
delle popolazioni che esse, nel corso dei secoli e precisamente dal VII secolo
a. C. fino alla eruzione del Vesuvio 79 d. C. hanno subito.
Questo viaggio geografico della storia di quest’area parte da
Noukria, il nome più antico di Nuceria, che, come ogni città del mondo
antico, sorgeva su una lieve collina in una conca circondata da rilievi a
tratti anche aspri, nel bacino del fiume Sarno che sfocia nel Golfo di Napoli,
poco lontano da Stabia e da Pompei.
La sua fondazione attesta che anche il versante interno dei
Lattari sia stato abitato: le fonti letterarie sulle sue origini attribuiscono,
infatti, la fondazione di Nuceria ai
Sarrasti, una popolazione protoitalica, discendente dai mitici Pelasgi ed
insediata nell'ampia vallata del bacino del Sarno.
Allo stato attuale delle indagini archeologiche, non si
conoscono ancora resti strutturali dell’area urbana riferibili all’età
prearcaica, tuttavia, le ricerche hanno permesso di chiarire almeno le
caratteristiche fondamentali della struttura urbana della Nuceria arcaica, localizzata nell’odierna località di Pareti. Tali
ricerche provano, inoltre, che, in età arcaica, anche Nuceria, come altri centri campani in generale e dei Monti Lattari,
fu caratterizzata da elementi di cultura indigena fortemente influenzati da
genti etrusche. Ciò fu dovuto al notevole dinamismo del mondo sud-etrusco: la
capacità degli Etruschi di penetrare saldamente nel tessuto politico e
socio-economico delle fertili terre agricole campane, lascia infatti presagire
che forse essi fossero già presenti in Campania, quindi anche nella zona bacino
del Sarno fin dalla prima età del Ferro (IX-VIII secolo a.C.).
Le stesse fonti letterarie presentano significativamente la Nuceria delle origini a volte centro
Osco, l’antica popolazione italica della Campania dell'Italia preromana,
identificabili con i suoi remoti abitatori non Greci e non Etruschi,
sopraffatti successivamente dai Sanniti dal V secolo a.C. in poi e con essi successivamente
amalgamati, a volte come città etrusca.
Per questo, anche sulla base di confronti istituibili con
insediamenti vicini a Nuceria è
verosimile ritenere che Nuceria, pur
con il necessario coinvolgimento delle elite campane nella gestione del potere,
rientrasse nel gruppo di centri controllati in età arcaica dagli Etruschi: disposta
sul percorso più breve tra l’agro sarnese, Salerno e la piana del Sele, Nuceria riservava tra l’altro anche
notevoli vantaggi di natura strategica, trovandosi, infatti, a breve distanza
da essa il varco più comodo per passare dal comprensorio vesuviano all’agro
picentino e quindi anche per tale motivo essa rappresentò una delle teste di
ponte dell’occupazione etrusca della Campania in direzione della penisola
sorrentina, nell’entroterra a metà fra la settentrionale Cuma e la meridionale
Poseidonia, a ridosso dell’enclave
greca che aveva distribuito le proprie colonie lungo la costa. Ciò è ricordato
anche da Filisto, mentre Strabone, citando la misteriosa Marcina, indica come
questa si trovasse a circa centoventi stadi da Pompei, solcando l’istmo proprio
attraverso Nocera.
Alla fine del periodo Orientalizzante, la stessa Valle del
Sarno, in particolare verso la prima metà del VI secolo a.C., con la nascita
del centro urbano di Nuceria, centro
in cui parzialmente confluivano gli insediamenti sparsi nel territorio della
valle, perse la sua fisionomia
culturale, amalgamandosi nella Campania oramai etruschizzata.
Questo prova da un lato che l’interesse degli Etruschi per Nuceria era dovuto essenzialmente alla
sua posizione strategica ed alle notevoli potenzialità agricole del suo
territorio e dall’altro che i centri minori dell’interno furono abbandonati a
favore dei siti costieri ai quali sembrerebbe che fosse affidato un ruolo
fondamentale per il commercio e per lo scambio a favore della più arretrata Nuceria, diventata punto nodale della
nuova geografia e della quale Marcina
e soprattutto Stabia sarebbero
divenute ben presto gli sbocchi sul mare.
Al di là di Nuceria,
con i vicini Monti Lattari, terminava la Campania nell’accezione territoriale
conferita dagli autori antichi e si estendeva l’Agro Picentino.
Secondo la ricostruzione di Werner Johannowsky, è probabile
che la posizione delle coeve necropoli fuori del circuito murario rispecchi una
coincidenza tra lo schema urbanistico dei secoli VI-V a.C. e quello del IV
secolo, ancora immutato nella ricostruzione post-annibalica e giunto in parte
fino ai nostri giorni.
Nuceria era molto estesa ed aveva un perimetro
di forma quasi rettangolare, con strade che dovevano incrociarsi ad angolo retto.
Secondo le fonti più attendibili ed in base alla stessa ricostruzione di
Johannowsky, l’originale impianto urbano di Nuceria,
oggi coperto dalla città moderna, risale probabilmente all’età arcaica (VI
secolo a.C.), contestualmente al rafforzarsi della presenza egemone etrusca in
Campania. Molto probabilmente, il centro nacque e si sviluppò, accogliendo
anche i Sarrasti, antichi abitatori dell'Agro, come insediamento etrusco
intorno alla fine del VII secolo a.C. e si sviluppò rapidamente, aprendosi
anche alla civiltà greca.
Questi dati, validi per lo più per l’epoca del dominio
romano, sono rafforzati anche dalla scoperta di alcuni tratti degli antichi
percorsi viari, fra i quali si possono individuare le tracce del decumano massimo, corrispondente al tratto
urbano della Via Popilia, venute in luce presso il battistero paleocristiano. A
testimonianza della sua fioritura ci sono le ricche necropoli e l'uso di un
proprio alfabeto, attestato da brevi iscrizioni.
La ricostruzione della comunità di Stabia è sostanzialmente affidata allo studio dei corredi funerari
rinvenuti nella necropoli di Santa Maria delle Grazie, che testimonino la
vivacità culturale ed economica dell’oppidum
nelle fasi della sua vita arcaica e preclassica: i nuclei tombali coprono
infatti un arco di tempo che si estende dal VII fino al IV secolo a.C.. Le
ceramiche di importazione corinzia, etrusca, calcidese ed attica, testimoniano
infatti il ruolo primario svolto da Stabia
nel commercio ed attestano una situazione evoluta dell’insediamento urbano.
L’antichità di Stabia rispetto agli altri insediamenti
dell’area dei Lattari è dimostrata e documentata anche dal rinvenimento di
alcune tombe risalenti all’età del ferro. C’è tuttavia da sottolineare che la
ricostruzione storico-archeologica di Stabia,
in base a documenti certi, può partire solo dal VII secolo a.C., epoca cui
risalgono i più antichi reperti, rinvenuti nella necropoli di Santa Maria delle
Grazie, oggi territorio di Gragnano.
Dall’esame dei reperti emerge un profilo della comunità, in
cui l’elemento indigeno e quello etrusco convivevano, come del resto è
evidenziato dalla stessa distribuzione topografica delle sepolture e delle
caratteristiche culturali che la necropoli lascia trasparire: in etrusco sono
state rinvenute anche alcune iscrizioni, come quella di Thanachvil Vinumai.
L’ager Stabianus
era estremamente ampio perché se ne possa localizzare con certezza
l’insediamento urbano: esso, infatti, includeva ville rustiche degli attuali
territori di Gragnano, di Casola di Napoli e di Santa Maria la Carità. Proprio
a Santa Maria la Carità, una località collocata lungo la via che univa Stabiae a Pompei, è stata ritrovata l'antica necropoli.
Il centro stabiano, come quello di Nuceria, conobbe una fase di notevole prosperità tra la fine del
VII secolo e la metà del VI e, da alcuni ricchi corredi tombali, si deduce
l’immagine di una società opulenta nella quale la prosperità di un ceto sociale
privilegiato traeva vantaggio dai traffici commerciali.
Tra i vari fattori di sviluppo dell’antico abitato stabiano, oltre alla favorevole
posizione della città vi è certamente l’apporto di ricchezza basata su di
un’economia agricola fiorente, alimentata dalla fertile piana circostante e sul
potenziamento degli scambi commerciali con l’entroterra campano, movimentato
attraverso il proprio porto. Per quanto riguardava la viabilità, Stabia era posta sulla via che da Pompei
si dirigeva a Sorrento: inoltre, a Stabia
si staccava una diramazione per Nuceria,
situata a sua volta su importanti direttrici di traffico.
Stabia, dunque, sebbene allo stato delle
ricerche non sia ancora possibile dimostrarlo con un alto margine di certezza, sembra avere le origini più antiche di
tutti gli altri insediamenti urbani presenti nell’area dei Monti Lattari.
Il suo toponimo, probabilmente di origine osca, è collegabile
al latino stabulum, cioè stalla: un’interpretazione che rimanda alla
felice condizione agricola della zona.
Stabia fu città osca, greca, etrusca,
sannitica e, dal 340 a.C., romana con il nome di Stabiae. Il toponimo plurale, Stabiae,
induce a ritenere che in una fase molto remota vi fosse stata un’aggregazione
di più villaggi con il consueto sistema del sinecismo, tipico della storia
arcaica greca ed italica.
Diversamente da Nuceria, del centro urbano di Stabia, prima della distruzione di Silla
nell’89 a.C., si conosce solo qualche elemento: alcuni tratti delle mura
sannitiche a circa 200 metri dalla Villa di San Marco, il ritrovamento di
abitazioni decorate nel I stile pompeiano
in proprietà Bottoni, il rinvenimento di frammenti ceramici del VII e del VI
secolo a.C. che fanno ritenere plausibile l’ubicazione dell’abitato nella zona
di San Marco ad est dell’odierna Castellammare, sulla collina settentrionale di
Varano, un tempo a picco sul mare al cui piccolo porto si giungeva attraverso
un sistema di strade a rampe e di scale.
Il territorio cui Stabia
oggi appartiene, infatti, si qualifica anzitutto per la felice posizione
geografica, in prossimità di un’insenatura naturale che garantiva un facile
approdo marittimo.
Sul versante terrestre, Stabia sorgeva in un punto che le
consentiva il controllo dello sbocco del Sarno e di una via pedemontana che
conduceva, da un lato, verso l’entroterra di Nocera e, dall’altro, verso
Sorrento e verso gli altri centri della costa settentrionale della Penisola
Sorrentina.
In fase arcaica, Stabia aveva condiviso il destino storico
dei centri di cultura indigena osco-campana della valle sarnese, lambiti già
nell’VIII secolo a.C. dalle prime forme di penetrazione etrusca, come attestano
i ritrovamenti delle necropoli dell’agro stabiano.
Gli Etruschi furono evidentemente attratti dall’importanza
strategica e commerciale di Stabia:
essi costituirono certamente uno degli elementi propulsori dello sviluppo
dell’abitato fin oltre la conclusione dell’epoca arcaica, anche se non vanno
dimenticati i contributi della cultura indigena e gli influssi provenienti
dalle vicine città magnogreche.
La zona era per gli etruschi di estremo interesse nel quadro
delle vie di comunicazione della Campania antica, da una parte in collegamento
con Pompei e Napoli, con il territorio nolano e la valle del Calore, dall’altra
con Salerno e ancora con l’Irpinia. Si tratta di un’area che accoglie una
compagine etnica molto complessa.
Lo dimostra già nelle fonti antiche la diversa appartenenza
della città ora agli Opici in Stefano Bizantino che la definisce anche città
etrusca, ora ai Pelasgi.
Dal V secolo fino al II secolo a.C., si assiste a Stabia all’alternarsi di genti etrusche
e greche interessate sia ai vantaggi economici del porto, sia all’asse viario
che collegava l’importante città di Nuceria
al mare. Se la collocazione cronologica dell’epoca in cui è possibile situare
la nascita dell’insediamento stabiano è abbastanza definita, ciò non si può
dire riguardo all’esatta ubicazione urbana.
Nell'antichità, presumibilmente, la pianura stabiana si
presentava molto più esigua di oggi, per questo i suoi primi abitatori
edificarono le proprie abitazioni proprio sulla collina: gli scavi effettuati
hanno, infatti, riportato alla luce antichi reperti proprio a Pozzano, alle Fratte, a Quisisana, a Monte Coppola e, soprattutto a Varano.
L’analisi archeologica del territorio stabiano, infatti, non ha ancora
definitivamente risolto il problema della sua esatta ubicazione urbana, prima
della distruzione di Silla.
All'inizio dell'altro lato del golfo, in posizione riparata,
cresceva e prosperava un’altra città di origine etrusca, la chimerica Marcina. Secondo il mito, Marcina fu
fondata da Giasone che vi edificò un tempio dedicato ad Hera Argiva.
Ma questo è il mito: le fonti storiche, invece, come per Stabiae e Nuceria, anche per Marcina, collocano la nascita del primo
insediamento, definibile urbano, nel VII - VI secolo a. C..
Le fonti, in particolare Strabone, attestano che gli Etruschi,
intorno al VII sec. a. C. vi impiantarono il primo insediamento marittimo e lo
chiamarono Marcina, la cui nascita,
localizzabile dove oggi è Marina di Vietri, fu dovuta al particolare periodo di
floridezza che accompagnò gli Etruschi dal VII al IV sec. a.C.
La posizione del sito, raccolta e facilmente difendibile, e
l'abbondanza di acque convinsero gli Etruschi a fermarsi in questo seno,
fondando la città, come avamposto per i loro commerci. Il luogo, inoltre,
offriva numerosi vantaggi, tra cui quello di trovarsi in un’insenatura riparata
dai venti dove sfociava il piccolo fiume Bonea, punto di saldatura tra la
catena dei monti Lattari ed il più interno sistema di monti Picentini, oltre al
fatto che l’entroterra collinoso di quel lembo di costa era fertile ed
abbondava di un materiale per gli Etruschi preziosissimo, la morbida argilla
con la quale potevano potenziare la loro industria ceramica. Si è anche pensato
ad una funzione prevalentemente mercantile di Marcina, come scalo marittimo a
servizio di Nuceria.
Nel corso degli anni si sono costituite due opposte tendenze
quanto alla localizzazione di Marcina.
Secondo alcuni, infatti Marcina
dovrebbe essere identificata con Cava de’ Tirreni o con Vietri mentre altri
propendono per attribuire al sito di Fratte il toponimo Marcina.
Strabone riferendosi a Marcina
la dice posta nel tratto di mare tra le Sirenuse e Poseidonia, proprio allo
sbocco di quell’istmo che congiunge Nuceria
Alfaterna al mare, occupata
successivamente dai Sanniti, abitata dai Romani.
La testimonianza di Strabone lascia tuttavia ancor oggi in
disaccordo gli studiosi che hanno pochi elementi per individuare con certezza
il sito di Marcina di cui il geografo
greco nota l’importanza strategica per la posizione e l’opulenza delle attività
commerciali.
Come per Marcina,
il nome e le origini di Surrentum si
perdono tra mito e storia[1].
Fondata probabilmente dai Greci[2], testimonianze sicure
della grecità della penisola sorrentina sono i culti delle Sirene, venerate in
un santuario presso Sorrento, e di Atena nel santuario di Capo Ateneo[3] ma nelle sue radici
dobbiamo segnalare elementi dei popoli Fenicio ed Etrusco.
La ricostruzione storica in base ai ritrovamenti
d’insediamenti rupestri, utensili e vasellame nelle grotte lungo tutto il suo
territorio, dimostra che la vita di Surrentum
è cominciata dall’età Neolitica.
Le fonti antiche identificano nella zona dell’attuale
Sorrento il luogo dove sorgeva l’Athenaion,
ossia il Tempio di Athena, uno dei
santuari più famosi della costa tirrenica, testimonianza della suggestiva
memoria archeologica della Penisola Sorrentina e dell’esistenza, fin dall’epoca
arcaica, di un importante culto di Atena e quindi un tempio a lei dedicato. È
difficile stabilire la sua localizzazione esatta in quanto il luogo è esposto
all’azione distruttiva degli agenti atmosferici e per questo le tracce ancor
oggi visibili sono pochissime. Le citazioni degli scrittori greci e latini, i
rinvenimenti ceramici ed epigrafici, le sopravvivenze di alcuni toponimi, hanno
fatto concordare gli studiosi moderni nel collocare l’Athenaion proprio sull’estremità del promontorio.
L’impianto urbanistico di Surrentum,
e come dimostrano anche i resti della cinta muraria greca di Porta Parsano, e di Porta di Marina Grande, oltre al grande santuario in cui si
celebrava il culto di Atena, attestano che Sorrento, sebbene fosse stata
sottoposta alla dominazione degli Etruschi, subì una forte influenza da parte
della cultura greca.
Tutti questi elementi potrebbero far pensare ad una forte
presenza dei Greci nel periodo fra il 474 ed il 420, quando Sorrento e le
regioni costiere subirono l'influenza dei Siracusani, dopo la battaglia di
Cuma.
Di Aequa, attuale
Vico Equense, si hanno poche notizie, sia dalle fonti storiche sia dai reperti
archeologici, ma, a conferma della sua antichità, parte di una necropoli,
ricca di corredi funerari risalenti fino al VII secolo, ha restituito, in
più riprese tracce e testimonianze. Per molto tempo Aequa è stata, infatti, una zona di difficile collocazione cronologica,
di essa non si conosceva l’origine dei primi insediamenti urbani. Ma poiché i
documenti individuano concordemente il sito di Aequa sulla piana
del mare, non è verosimile considerare che il primo nucleo abitativo fosse
insediato sulla piattaforma inclinata e che avesse tale denominazione.
In effetti, ciò è possibile perché, in gran parte, Aequa ha conservato nel corso degli
anni il suo antico percorso viario ed antiche testimonianze urbanistiche ed
archeologiche inducono ad ipotizzare che il primo nucleo abitato di Aequana, questo il nome più antico a noi
noto, si affacciava sul mare della Penisola Sorrentina, su di un pianoro
tufaceo strutturato in forma di impianto ippodameo sul vicino pianoro
inclinato.
Il primo impianto abitativo sovrastava precedentemente l’Aequana
cui Silio Italico fa riferimento nelle sue Puniche. Di questo antico abitato non è rimasta traccia, molto
probabilmente perché esso fu assorbito in quello romano: esso doveva insediarsi
su un’altura terrazzata a mare, provvisto di una insenatura naturale che
agevolava l’approdo delle navi.
Proprio in virtù di questa sua conformazione orografica,
fatta a forma di insenatura naturale, sembrerebbe lecito supporre che, accanto
alle risorse agricole, le attività primarie di Aequa fossero dunque quelle connesse alla marineria. Anzi, siccome
il borgo Aequana era caratterizzato
dalla presenza di uno scalo commerciale piuttosto importante, è molto probabile
che questa fosse la fondamentale connotazione del borgo, soprattutto se si
valuta, poi, l’intera situazione dei centri della penisola sorrentina e il loro
carattere etrusco-campano.
Se ciò fosse vero, sarebbe verosimile ipotizzare la presenza
degli Etruschi anche nel borgo Aequana.
Benché non sia del tutto evidente come dovesse configurarsi la gestione di
questi scali marittimi, se da parte delle popolazioni locali, degli Etruschi o
congiuntamente da entrambi in un’armonica convivenza, la presenza etrusca in
questa parte della Campania è giustificata anche in ragione di una strategia di
natura essenzialmente commerciale, piuttosto che prioritariamente politica.
Altro dato che conferma la dialettica culturale di queste due
componenti in Campania si evince dalla presenza, accanto alle manifatture
indigene, di materiale di produzione etrusca risalente all’ultimo quarto del
VII secolo.
Come è agevole notare, questo piccolo insediamento presenta
tutte le caratteristiche che riportano alla fisionomia di altri centri della
Campania meridionale a cultura mista, di tipo etrusco-indigena, ed in
particolare di Pompei, con la zona residenziale ubicata su un pianoro e la zona
marina occupata dalle strutture portuali.
Quanto alle popolazioni locali, il rinvenimento d’iscrizioni
in lingua italica ed etrusca, come l’alfabeto nucerino, su un’oinochoe della prima metà del VI secolo
e alfabeto etrusco, sembrano illuminare, sul piano culturale e sociale, una
pacifica convivenza praticata da queste due diverse compagini etniche già dalla
prima metà del VI secolo. Questo dato ci fa dire con certezza dunque che la
componente etrusca sia stata presente stabilmente nel borgo Aequana già dalla prima metà del VI
secolo.
È opportuno però precisare che la ricostruzione territoriale
ed urbana di Aequa si basa su reperti
archeologici, attraverso cui è stato possibile risalire, con certezza, alla
presenza nella zona Aequana di
insediamenti risalenti al VII e VI secolo a.C.
Una ricostruzione però molto più attendibile basata su fonti
storiche per il borgo di Aequa è
possibile effettuarla solo a partire dal III secolo a. C.. Sebbene diversi
studi abbiano infatti portato a credere che ci fosse precedentemente un altro
nucleo abitativo che sovrastava Aequana,
in realtà, le prime testimonianze storiche dell'antica Aequana,
l’attuale
Vico Equense, risalgono solo al III secolo a. C, precisamente
al 217 a.C. Silio Italico nel
poema Punica, narrando la morte nella battaglia del Trasimeno del 217
di un guerriero di nome Murrano, aveva indicato con il termine Aequana
un territorio non distante da Sorrento
quale terra d'origine di quell'eroe. Documenti medioevali individuano concordemente
un sito non più florido, di nome Aequa (probabilmente l'Aequana,
patria di Murrano) sulla piana del mare detta Pèczolo.
La contiguità geografica con la valle del Sarno influenzò l’origine
e lo sviluppo di Pompei e questa
vicinanza col Sarno, la rende inevitabilmente partecipe e protagonista della
storia a dei Monti Lattari e delle influenze che le popolazioni osche, etrusche
e greche, dall’epoca arcaica in poi, hanno avuto nella vita di quest’area. Appunto
per questo, per una migliore comprensione delle varie fasi in cui l’area dei
Monti Lattari si è sviluppata, pur se non è da ricomprendere nell’area dei
Lattari, di Pompei, sia pure succintamente, si deve tenere conto.
Le origini storiche di Pompei sono un po’ più controverse
rispetto a quelle di Nuceria, Marcina, Stabia, Surrentum ed Aequa e, al pari di altri centri della
Campania antica, anche per Pompei, la questione che maggiormente ha sollecitato
gli studiosi alla riflessione storica è stata quella inerente alle origini
della città, sulla quale numerosi archeologi hanno proficuamente dibattuto fin
dagli anni Cinquanta del Novecento.
Con certezza si può affermare, come per gli altri centri della
zona, che anche Pompei sia stata osca, poi etrusca, poi sannita ed infine
romana.
Sull’origine della fondazione di Pompei si sono succedute
varie ipotesi e tutte sostenute da ritrovamenti di reperti archeologici che
danno testimonianza certa della formazione dei primi insediamenti urbani nel
territorio dell’attuale Pompei fin dal VII secolo a. C..
La zona dove essa sorse segnò il suo destino fin dalla
fondazione: la città fu infatti fondata allo sbocco marittimo della valle del
Sarno, sul finire del VII secolo a.C. o al principio del VI.
È ormai accertato che il primo insediamento di Pompei sia stato
osco, sebbene sulla base dei reperti archeologici rinvenuti e delle fonti
storiche ritrovate ed analizzate, gli studiosi, per lungo tempo, abbiano ritenuto
che Pompei avesse origine etrusca o greca.
Le indagini condotte alla cinta muraria hanno permesso,
infatti, di riconoscere, nei pressi di Porta
Ercolano e di Porta Vesuvio, lunghi tratti di mura del
periodo sannitico, mentre alcuni segmenti edificati in tecnica diversa, datate
dallo studioso alla metà del V secolo circa, confortavano almeno l’ipotesi
dell’influenza greca.
Successivamente, però, è stato accertato che, almeno dal VI
secolo a. C., nel territorio pompeiano ci fossero individui che, se non erano
etruschi, di certo parlavano in etrusco. Ciò è dovuto al rinvenimento fatto
dagli scavi compiuti presso il Tempio
di Apollo, di una serie di frammenti di ceramica di bucchero
inscritti, che consentono di affermare con certezza che a Pompei, già dal VI
secolo a.C., vivevano individui etruscofoni e che frequentavano il tempio
cittadino.
Dagli scavi effettuati nella Regio VI, in prossimità di una casa
etrusca, ma in una zona piuttosto
lontana dal Foro Triangolare con i suoi presupposti di grecità, la notevolissima frequenza
di frammenti lignei di grandi dimensioni fa pensare che in questa zona di
Pompei, in epoca arcaica, fine VII -fine VI secolo a.C., doveva essere stata
impiantato un faggeto. Fra le mura stesse e la zona occupata dall’abitato, gli
Etruschi avrebbero coltivato questa faggeta proprio dove sorgeva la colonna, forse
un elemento votivo. Quanto alla colonna etrusca, curiosamente murata nella
parete di una abitazione peraltro piuttosto modesta, le indagini hanno
stabilito che essa non poteva essere posteriore alla metà del V secolo a.C.,
rendendo verosimilmente ipotizzabile una presenza etrusca a Pompei già in epoca
abbastanza antica, mentre ad un’epoca più recente sembra doversi riferire una
stanzialità etrusca in termini di maggiore organizzazione, proprio in
concomitanza con l’espansione greca lungo le coste campane.
È dunque possibile affermare che gli Etruschi, per rafforzare
la loro mobilità commerciale verso il meridione con la creazione di scali
marittimi o situati nell’entroterra costiero, si fossero già insediati nel
territorio pompeiano almeno dalla fine del VII secolo a.C., anche se la presenza
si avvertirà di più nella prima metà del VI secolo a.C..
Pompei andò quindi configurando il proprio profilo di emporio
marittimo a cultura mista, nel quale l’elemento etrusco, assai ben organizzato,
si insediò al pari delle non lontane Nola e Nocera, sovrapponendosi
all’originaria compagine osca della valle del Sarno che l’abitava sin dall’VIII
secolo a.C.. Ciò accadde nel più ampio prospetto della presenza etrusca in
Campania che conservò soprattutto fino alla battaglia di Cuma del 474 a.C. quei
caratteri pregnanti che la tradizione letteraria definì con il nome di talassocrazia.
L’ubicazione strategica non lontana dal mare e dall’estuario
del fiume Sarno, tra la valle disegnata da questo fiume e le vie di percorrenza
che ne rendevano possibile l’accesso da Nola e da Nocera, rappresentarono
fattori determinanti per il suo sviluppo culturale e commerciale. Priva di una
vera e propria insenatura portuale, molto probabilmente sfruttò a tale scopo la
foce stessa del fiume, tanto che la città fu egualmente considerata dalle fonti
storiche come epineion, ossia scalo
marittimo, di Nola, Nocera e Acerra.
Il favore accordato dalle popolazioni indigene, in tale
quadro, deve probabilmente leggersi in funzione dell’affermazione di comuni
interessi territoriali con gli Etruschi che, come è possibile intuire, era la
popolazione che, in questo secolo, V a. C., predominava nel territorio dei
monti Lattari ed in generale della Campania. In seguito, infatti, verso la fine del V sec. a.C., quando tutta la Campania cadde
progressivamente in mano ai Sanniti, che scesero dai monti dell'interno
e conquistarono prima Capua, e poi, da
Cuma a Poseidonia, lasciando Neapolis, fondata dagli Eubei, unica isola di
grecità, anche la presenza etrusca in Campania subì un forte
ridimensionamento.
Gli ultimi decenni del V sec. a.C., infatti, videro aspri e
continui contrasti tra i Greci e gli Etruschi e ciò determinò l'invasione della
Campania da parte dei Sanniti i quali, dapprima con la conquista di Capua
etrusca (426 a.C.) e successivamente di Cuma greca (421 a.C.), si impadronirono
della Campania.
La maggior parte degli aspetti civili, sociali e religiosi
degli Etruschi, per totale mancanza di documentazione letteraria, ci è, in
parte, nota in quanto assimilata dal popolo romano.
Gli Etruschi usavano organizzare il loro territorio in
formazioni di dodici città ed ognuna di esse, in piena autonomia, poteva
battere moneta.
In questo periodo storico che va dal V al IV secolo a. C., si
assiste ad una ribaltamento di egemonia territoriale che vede lo spodestamento
degli etruschi da parte dei Sanniti che ne approfitteranno per invadere la
Campania, mentre gli Etruschi sono impegnati a combattere con i Greci.
Ovviamente, tutti gli eventi bellici e non bellici che si
verificano nella Campania dal V secolo in poi, non potevano non avere delle
ripercussioni anche nel microcosmo dei Lattari e, pertanto, si vedrà come,
secolo per secolo, anche per le varie città circostanti i monti Lattari ci
saranno dei cambiamenti, dovuti ai mutamenti delle popolazioni e delle culture
che si avvicenderanno in esse.
Nel corso del V secolo a. C, una serie di cause concomitanti,
fra cui l’emblematica sconfitta etrusca nella battaglia di Cuma del 474 a.C.,
schiuse la strada delle pianure costiere alle popolazioni sannitiche
dell’entroterra appenninico e consentì la progressiva sannitizzazione di Nuceria che cadde in mano dei Sanniti e
di un loro gruppo specifico, gli Alfaterni. Nuceria
cambiò il suo nome originario di Noukria, aggiungendo il nome
di Alfaterna che torna sulle monete dalla stessa coniate, mentre quelle
con la menzione dei Sarrasti riconduce alle popolazioni della Valle del Sarno.
Possediamo solo pochi elementi relativi a Nuceria Alfaterna nel periodo compreso
tra la calata sannitica ed il II secolo a.C..
Nel V secolo a. C. Marcina
visse un periodo di grande prosperità economica e sociale: rinomata per
ricchezza, eleganza e lusso, un luogo in cui le razze e le lingue trovavano
facile ospitalità; essa era inoltre celebre per il culto delle arti e per lo
sviluppo del commercio marittimo e terrestre con Nuceria. Il suo territorio, infatti, comprendeva anche l’attuale
territorio di Cava de’ Tirreni ed era una cerniera tra l'area geografica
dell'agro nocerino-sarnese e quella della penisola sorrentino-amalfitana di
cui ancor oggi ne rappresenta la porta.
Particolarmente importanti furono i rapporti che gli Etruschi
stanziatisi nel territorio di Marcina
instaurarono con Pithecusa dove i
Greci, che solcavano il Mediterraneo in cerca di nuovi mercati, erano approdati
sulle coste del basso Tirreno, in quanto esse ricordavano, per clima e
vegetazione, il suolo natio.
Marcina divenne in breve la base di commercio e
il porto dal quale le loro piccole ed agili navi partivano alla volta degli
altri approdi del Tirreno e vi dominò fino al 474 a.C., quando‚ gli Etruschi
furono sconfitti nella battaglia di Cuma.
I ritrovamenti archeologici più recenti hanno messo in luce a
Vietri delle tombe con corredo ceramico arcaico di stile corinzio.
Se per Marcina il
secolo più fulgido fu il V, per Nuceria,
fu, invece, il IV: è questo infatti il secolo che vide Nuceria vivere il suo periodo di floridezza civile, splendore
politica ed opulenza economica.
Peraltro ciò è confermato da una circostanza, storicamente
accertata ed oggettivamente significativa: nel corso del IV secolo a.C., la
città, giocò un ruolo importante a livello politico, divenne, infatti, sede
della potente Lega Nocerina, ottenendo
quindi leadership della
confederazione sannitica della Valle del Sarno, avente giurisdizione su di un
territorio esteso dalle porte di Napoli al Golfo di Salerno e comprendente
Pompei, Ercolano, Stabia, Aequa e Sorrento.
Alla fine del secolo,
Nuceria si dotò, come Pompei, di potenti mura di difesa, discretamente
conservate, di cui si sono trovati dei resti nella fortificazione dell’imponente
cerchia muraria di Nuceria, in
particolare il settore meridionale, dove si può anche apprezzare una delle
notevoli torri che caratterizzavano le mura nocerine: nella cerchia muraria
dovevano aprirsi quattro porte, una al centro di ogni lato, in corrispondenza
delle due strade principali dell’abitato. Le mura sono databili al III secolo
a.C., una fase storica in cui la città era ancora di cultura sannitica. Si sa,
inoltre, che la Nuceria sannitica batté
anche moneta propria e che, derivandolo dalle lingue etrusca e greca, elaborò
un proprio alfabeto, detto appunto nocerino.
Come attestano iscrizioni e ritrovamenti archeologici, nel IV
secolo a.C. a Nuceria erano presenti
commercianti greci, tale presenza segnala come la stessa città fosse diventata
meta e punto nevralgico dei traffici commerciali nel mediterraneo con le
popolazioni orientali.
Anche in epoca repubblicana romana Nuceria mantenne intatta la sua leadership
politica nel territorio della Valle del Sarno e fu una delle più importanti
città dell'antica Campania. Ciò le riuscì grazie soprattutto al suo notevole
sviluppo economico e commerciale, derivante dalla sua posizione di snodo di
importanti vie di collegamento come la Via
Stabiana che conduceva a Stabia, la via
Nuceria - Pompei, la via Popilia
che da Capua arrivava a Reggio Calabria.
Assai indicativo il suo rapporto con Roma, che, da
un’iniziale contrapposizione durante le dure guerre sannitiche della fine del
IV secolo a.C., si trasformò in un patto di fedeltà conservato nei secoli.
Nel periodo di declino etrusco che vide l’emersione delle
popolazioni sannitiche anche negli altri centri campani, anche Stabia e Pompei,
conobbero un ricco periodo sannitico, in cui le città dipendono fortemente da Nuceria tanto che verso la fine del IV
secolo Stabia mostra i segni di una
ripresa.
Il declino etrusco, difatti, aprì la strada alle popolazioni
sannitiche dell’interno, che cominciarono a premere sulle fertili zone costiere.
È dunque possibile che in fase arcaica Stabia
abbia ricoperto il ruolo di scalo marittimo per i centri dell’entroterra
intorno a Nocera, che in seguito sia stato soppiantato da Pompei. È inoltre
possibile che il mutato equilibrio ingeneratosi a seguito di questi fatti abbia
favorito una riorganizzazione parziale dell’abitato stabiano, forse
decentratosi sulle circostanti alture collinari, se può essere interpretata
come prova l’esistenza di una piccola necropoli alle pendici di Casola, in
località Gesini, che, con le sue
poche sepolture si riferisce ad un piccolo insediamento rurale che, non a caso,
esordisce con le sue prime fasi di vita alla metà del VI secolo a.C. fino alla
metà del IV.
Nel IV secolo, anche la Penisola Sorrentina fu occupata e Surrentum, entrando a far parte della
lega nocerina insieme a Pompei, Ercolano, Nuceria, Stabia come altre città
campane, fu soggetta alle popolazioni sannitiche.
Pare, però, che i Sanniti avessero concesso ai Greci di
rimanere all'estremità della Penisola per custodire i luoghi sacri dedicati
alle Sirene e ad Atena. Infatti a quei tempi la Punta della Campanella era già
famosa presso i naviganti di tutto il Mediterraneo e da questi era conosciuta
proprio con il nome di Ateneo o Sirenusio. In età sannitica l’Athenaion continuò ad essere importante
come luogo di culto: l’importante scoperta[4] di un’epigrafe
rupestre in lingua osca databile al III-II secolo menziona tre Meddices Minervae che appaltarono e
collaudarono i lavori per la creazione dell’approdo di levante che conduceva al
Santuario. L’immutata consacrazione di Athena conferma che tale culto non aveva
subito interruzione anche se aveva assunto ufficialmente il nome che la dea
aveva in area sannitica e romana: Minerva.
Durante la seconda guerra sannitica (327-304 a.C.) Nuceria combatté contro i Romani, ma,
dopo una fase di conflitti, nel 307 a.C. divenne alleata di Roma, conservando
però una piena autonomia e continuando ancora a battere moneta propria:
l’alleanza con Roma le procurò notevoli vantaggi.
Nel 289, dopo la definitiva vittoria contro i Sanniti, i
Romani estesero la loro egemonia anche sulla penisola sorrentina: Sorrento e
l'Ateneo furono assoggettate politicamente, ma sostanzialmente rimasero di
cultura greca.
Nel 216, nel corso della II Guerra Punica, gli abitanti della
Penisola si allearono con Annibale contro Roma e anche questi nuovi
conquistatori rispettarono la grecità dei luoghi.
Nel III secolo a.C., Roma, vittoriosa sui Sanniti, impose a
molte città della Campania, la condizione di alleata, ma agli inizi del I
secolo a.C. gli alleati italici, che subivano vessazioni sproporzionate
rispetto ai diritti goduti, reclamarono la cittadinanza romana. Viste respinte
tutte le loro istanze insorsero, provocando la Guerra Sociale (91-89 a.C.) contro Roma, cui partecipò anche Stabia. Durante la guerra sociale, per la sua fedeltà a Roma, Nuceria fu ancora saccheggiata da parte di G. Papio Mutilo,
comandante dei federati italici. Grazie a questa scelta, ottenne la
cittadinanza romana ed i nocerini furono iscritti nella tribù Menenia
Alla fine del III secolo a.C., però, la sua fedeltà a Roma le
costò la conquista e l’incendio da parte di Annibale. Nel 216 a.C. Nuceria fu distrutta da Annibale, ma
risorse ancora più ricca e più forte e fu arricchita di edifici importanti come
il teatro, considerato il maggiore di questa categoria edificato in Campania
nel periodo ellenistico.
Anche Stabia, durante le Guerre Sannitiche, porto militare di
Nuceria contro i Romani, fu assediata
e costretta alla capitolazione nel 308 a.C.. A parte questa presa di posizione
antiromana durante le guerre sannitiche, non abbiamo molte notizie su Stabia:
la fedeltà di Stabia ai Sanniti induce a pensare che l’intero insediamento
fosse abitato da genti provenienti dal cuore del Sannio, che si erano insediate
su quella costa per un
Con la concessione della cittadinanza romana nel 91 a.C. la
città si trasformò in Municipio Romano e la sua autonomia ebbe termine. In
quest’periodo Nuceria si arricchì di
splendidi monumenti, in parte tornati alla luce, come il Teatro, l'Anfiteatro e
la grandiosa Necropoli di Pizzone.
Il 30 aprile dell’89 a.C. Stabiae fu conquistata e distrutta
da Silla: si racconta di una memorabile
difesa degli stabiani, tanto che Silla, dovette attendere fuori le mura fino a
che non finirono i viveri all'interno della città. Silla decise di radere al
suolo la città, troppo pericolosa per i Romani, che, per l’evidente ricchezza
che ne avrebbe assicurata la ripresa e per la posizione strategica del suo
porto, troppo importante per tutto l’hinterland campano.
La città, avendo comunque perso la sua autonomia
amministrativa, fu sottoposta a Nocera: Stabia
non scomparve, ma risorse non più come città fortificata. Mutò solo di forma:
all'impianto urbano si sostituì un aggregato di ville adibite all'otium dei ricchi romani e le ville
rustiche per la produzione agricola, riducendosi principalmente a luogo di
villeggiatura.
Si sa che dopo la distruzione della Stabia preromana le
colline di Varano divennero luogo preferito per gli ozi degli opulenti, colti e
ricchi patrizi romani. Celebre a tal proposito la lettera scritta da Cicerone
all'amico Marco Mario, che, come ricorda Di Capua, "...Nelle prime ore del
mattino, leggendo, si gode, dal suo cubicolo, lo spettacolo meraviglioso del golfo,
mentre egli (Cicerone) è costretto ad assistere, mezzo assonnato, a volgari
spettacoli teatrali in Roma.”. La collina del Solaro ospitava, forse, le terme
più famose dell'Impero: i valetudinari,
dove i potenti di Roma si recavano per ritemprare il fisico e la mente dalle
fatiche di governo.
Sulla collina di Varano, vennero alla luce le antiche ville
imperiali romane.
In epoca augustea, o poco prima, a Nuceria vi fu dedotta una
colonia e le fu attribuito il nome di Nuceria
Constantia, per commemorare la sua antica fedeltà come alleata di Roma in
questo primo periodo imperiale si costruirono o si riattarono i principali
edifici pubblici.
In età neroniana è rinforzata con la deduzione di un’altra
colonia: è di questi anni la rissa tra Pompeiani e Nocerini riprodotta nel
celebre dipinto di Pompei che provoca la chiusura dell’anfiteatro pompeiano per
ben dieci anni su decreto del Senato romano, come ci testimonia Tacito.
Durante la guerra sociale, anche Surrentum si ribellò a Roma scrivendo la sua pagina di storia:
riconquistata insieme a Stabia nel 90 da Papius Mutilus con la lega nucerina
partecipò all’insurrezione degli Italici.
Occupata dall’esercito italico fu definitivamente ricondotta
all'obbedienza da Silla nell'89: dopo la pace, la deduzione di una colonia di
veterani di Silla iniziò la definitiva romanizzazione della costa sorrentina.
Con la romanizzazione si assiste ad una
grande opera di trasformazione del territorio.
L’impianto urbano sorrentino, risalente
al periodo osco-sannita, riceve un nuovo assetto con la monumentalizzazione di
alcune insulae dove sorgono terme,
teatro, foro ed edifici pubblici annessi.
Con la completa romanizzazione della penisola e con la
deduzione di una colonia di Augusto e, più in particolare, nell’età di Tiberio,
la Punta della Campanella, abbandonato il culto di Minerva, acquistò una grande
importanza strategica, essendo l’approdo più vicino a Capri, sede della
residenza imperiale. A questa fase appartengono i resti più cospicui.
Sono tuttora evidenti fra la rada vegetazione, resti di
strutture ritenuti pertinenti ad una villa romana disposti su 5 livelli. La
terrazza inferiore, dove doveva sorgere l’antico tempio, è attualmente occupata
dalla cinquecentesca Torre Minerva. La II terrazza ha conservato i resti
di 4 piccole esedre con sedili in muratura, con funzione probabilmente solo
decorativa e di sosta. Fra la II e la III terrazza vi è un pavimento in
cocciopesto limitato a nord da un muro pertinente probabilmente ad un ingresso
della villa. Sulla III e IV terrazza resta quasi nulla ad eccezione di una
cisterna e resti di una probabile torre di segnalazione. Sulla IV è anche
l’accesso all’approdo orientale con epigrafe sulla parete rocciosa (a 10,50 m
slm) e sulla V terrazza si nota una serie di muri paralleli addossati alla
montagna.
Numeroso è anche il materiale ceramico di età romana ed in
particolare ceramica comune e a vernice nera, anfore da trasporto, ecc.. In
ogni caso la maggior parte del materiale è stata rinvenuta in superficie visto
che non sono mai stati condotti scavi sistematici dell’area per cui si spera
che in futuro possano affiorare nuovi e più determinanti indizi per la
ricostruzione.
Il particolare della testina raffigurante Athena é una
produzione in terracotta proveniente dalla fossa votiva del Santuario dedicato
alla dea. La statuina in terracotta a cui appartiene la testina era lavorata in
due parti distinte, poi riunite.
Insieme ad altre statuette frammentarie di terracotta (V-II
secolo a.C.) costituisce un oggetto votivo del santuario di Capo Ateneo. Il
particolare in questione raffigura Athena che indossa un elmo con paragnatidi
alzate; alle orecchie sono stati applicati con pastiglie in terracotta, degli
orecchini decorativi. La resa del volto con ovale ben delineato la fanno
risalire ad uno stile colto e discretamente evoluto nell’utilizzo della
terracotta.
L'amenità del paesaggio, la facilità di collegamenti e la
vicinanza con Capri, residenza imperiale, favorirono in epoca imperiale
l'insediamento di numerose ville marittime lungo la costa, di cui una
straordinaria testimonianza nella villa di Vedio Pollione.
Degli edifici della città antica restano poche tracce, mentre
i reperti archeologici dalla preistoria all'età romana sono conservati nel
Museo Archeologico della Penisola Sorrentina.
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