venerdì 13 maggio 2016

A tu per tu con l'opera d'arte: Ciro De Rosa e Napoleone Primo console di Ingres

L’opera “Napoleone Bonaparte primo console” è un dipinto autografo di Jean-Auguste Dominique Ingres (29 Agosto 1780- 4 Gennaio 1867) realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1804.

Il celebre dipinto fu donato alla città di Liegi in ricordo dell’atto con cui aveva destinato alla città di Liegi una forte somma di denaro per ricostruire il sobborgo di Amercour, raso al suolo dagli austriaci nel 1794.
Storicamente, l’espressione primo console fu un titolo attribuito a Napoleone Bonaparte a seguito della sua ascesa al potere in Francia, nell’antica Roma i titolo di console era la più alta carica militare assieme al senato e i consoli erano coloro che guidavano la repubblica.
Napoleone Bonaparte divenne il console francese più autorevole e attraverso il referendum conseguì al titolo di primo console a vita e successivamente si autoproclamò imperatore.
Il termine console fu usato da Napoleone nel tentativo di ricollegare se stesso all’antica repubblica romana.
Egli, successivamente, strinse il suo rapporto con l’antica Roma costruendo due archi di trionfo come l’arco di trionfo di Parigi e altri monumenti nello stile dell’antica Roma, in Italia. Roma, in quel momento, era un esempio di buona repubblica, c’erano due consoli assieme al senato che avevano pari autorità e ciascuno poteva porre il veto (per prendere una decisione bisogna essere tutti d’accordo) allo scopo di evitare atteggiamenti di tirannia e di egemonia.
Ritornando all’opera, il ritratto “Napoleone primo console” misura 227x147 cm ed è custodito nel Musèe des Beaux Arts a Liegi, in basso sulla destra si legge “Ingres au XII”, e costò a Napoleone ben 3000 franchi.
Napoleone detestava le lunghe sedute di posa e per quest’opera concesse a Ingres solo un brevissimo incontro, per questo il ritratto sembra privo di emozioni e punta molto sugli effetti cromatici e sulla ricostruzione dell’ ambiente.
Ingres dedicò molto tempo a quest’opera, in quanto Napoleone concesse ad ingres soltanto tre ore nel 1798, l’autore si basò su un busto come guida traducendo la fisionomia in ieraticità divina, dal quadro emerge un’altra capacità di Ingres, quella di rendere e vanificare la qualità di tessuti.
Ingres fu un alievo di David, compose due opere per Napoleone nel 1804 “Napoleone primo console” e nel 1806 “Napoleone in trono” che espose al salon ricevendo tante critiche anche dal suo maestro David per una certa mancanza di vivacità nell’opera, ma soprattutto per l’ostinazione nei confronti dell’opera di Raffaello che lo condiziona nella scelta dei colori e del disegno.
“Napoleone in trono” differentemente da “Napoleone primo console” è un’opera in cui Napoleone è assimilato alla figura di un Giove Onnipotente ed è raffigurato come se si trattasse di un’immagine mitologica.
Nel ritratto, Napoleone indossa un’enorme uniforme rossa di velluto, tiene una mano poggiata sul decreto appena emanato, oltre all’apertura della tenda spicca anche l’antica cattedrale di Sainte-Laimbert, allora completamente distrutta e la città di Sainte-Walburae.

giovedì 12 maggio 2016

A tu per tu con l’opera d’arte: Laura Parlato e La Libertà che guida il popolo di Delacroix.

La Libertà che guida il popolo è un’opera realizzata da Eugène Delacroix.  Il dipinto è stato realizzato con la tecnica ad olio su tela ed ha dimensioni di 260x325 cm. In un primo momento l’opera era conservata al museo del  Louvre nella sede staccata di Lens, ma inseguito a un atto di vandalismo, l’opera è stata spostata nella sede principale a Parigi , dopo aver subito un rapido restauro a Lens.
L’opera illustra la lotta per la libertà  compiuta dai parigini durante le “Tre Gloriose Giornate” del 1830, quando il popolo di Parigi  era insorto contro le disposizioni del re Carlo X.
In quest’opera gli insorti sono guidati da una giovane donna, che stringe nella mano destra la bandiera francese e in quella sinistra una baionetta. I colori della bandiera francese (blu, bianco e rosso) sono ricorrenti in tutto il dipinto.
Tutti i soggetti presenti nel dipinto hanno un significato allegorico: la donna rappresenta la libertà, il bambino, il coraggio, il ragazzo che guarda la donna rappresenta la fede negli ideali e i cadaveri che si trovano in primo piano rappresentano la morte. Delacroix non prende parte all’insurrezione, ma dipinge se stesso tra i rivoltosi, probabilmente nella figura dell’uomo con il fucile e il cappello a cilindro, per manifestare la propria partecipazione agli ideali del popolo.
La composizione a triangolo di quest’opera, la luce che investe l’uomo a terra e la figura della Libertà a seno nudo, ricorda diversi aspetti della pittura precedente dal Rinascimento al neoclassicismo.
In questo modo il linguaggio dell’artista guarda al passato ma ciò che esprime è del tutto nuovo.
Il vero soggetto dell’opera è la Storia, vista non tanto quanto l’esaltazione politica di vittorie o di antiche virtù, ma come passione politica che per la prima volta unisce operai e intellettuali, nonostante la rivoluzione del 1830 sia nota per essere stata una rivoluzione borghese, infatti, Delacroix inserisce nel dipinto tutte le classi sociali.
Quindi il nuovo protagonista è il popolo che non subisce, ma si ribella, combatte, muore sulle barricate e lotta per liberarsi da un invasore straniero per rivendicare una Costituzione liberale, che abbatta gli ingiusti privilegi e rispetti i diritti per ogni classe sociale.
Per realizzare quest’opera Delacroix si è ispirato a “La zattera della Medusa” di Théodore Géricoult, infatti, le due tele hanno un impianto compositivo simile. Delacroix riprende il grande triangolo strutturale di Géricoult, ma lo sposta più al centro, così che la massa d’insorti disegni la diagonale del quadro.
Inoltre alla base di entrambe le composizioni sono situate le vittime dei tragici avvenimenti: i rivoluzionari caduti per la patria in Delacroix e i naufraghi morti in Géricoult .
La nota dominante in entrambe le opere è il movimento che rileva l’agitazione e il dramma della scena. Nell’uno e nell’altro quadro i corpi sono riversi; ma nel dipinto di Delacroix i rivoluzionari avanzano e si dirige lo spettatore.
Nel quadro di Géricoult i toni sono quasi monocromi, invece nel quadro di Delacroix i colori sono scuri e spenti; ma sono resi più vivaci e accesi dai rossi , bianchi e azzurri che non appartengono soltanto alla bandiera francese, ma si intravedono anche tra il fumo degli spari .
Delacroix si ispira alla pittura tonale degli artisti veneti e alla lezione di Rubens; lavorando molto sugli effetti del colore e del movimento.
Delacroix in questo dipinto si fa interprete degli ideali romantici di libertà e di indipendenza che univano in quei decenni generazioni di giovani europei.
Infatti, Delacroix è stato l’esponente più significativo del Romanticismo francese. Egli trasse ispirazione per le sue opere soprattutto da eventi storici contemporanei. Delacroix nacque a Parigi da una famiglia dell’alta borghesia, egli studiò arte sotto la guida del pittore Guérin, molto importante fu la sua amicizia con Géricoult che lo influenzò nella sua affascinante pennellata e il suo studio sugli effetti ottici ottenibili per mezzo dei colori i quali influenzarono moltissimo si ala pittura impressionista sia quella post-impressionista. Grazie ai suoi viaggi in Marocco e Algeria, Delacroix elaborò una nuova visione del colore che gli consentì di introdurre nella sua arte temi esotici e folcloristici.
Delacroix fu poco apprezzato dal pubblico, infatti, esponendo le sue opere nei Salon fu spesso criticato, ma nonostante ciò la sua carriera fu appoggiata da amicizie influenti come Frederich Chopin, Victor Hugo e Niccolò Paganini.
Egli durante la sua carriera realizzò più di ottocentocinquanta opere tra tele, murales disegni e altro.
Egli morì a Parigi nel 1863.

A tu per tu con l’opera d’arte: Luisa Troiano e il Funerale a Ornans di Courbet

Funerale a Ornans, o Sepoltura a Ornans, è uno dei dipinti più celebri dell’artista francese Gustave Courbet.
Courbet nacque a Ornans il 10 giugno 1819, in una famiglia di agricoltori e, ventenne, decise di trasferirsi a Parigi nel 1839. Abbandona presto i suoi maestri preferendo lo sviluppo di uno stile personale attraverso gli studi dei pittori spagnoli, francesi e fiamminghi ed eseguendo le copie delle loro opere.
Col tempo egli rafforza la convinzione che i pittori dovrebbero ritrarre la vita che sta intorno a loro.
Tuttavia i critici più giovani cominciano ad acclamarlo e lodarlo già nel 1849 e inizia a diventare abbastanza noto.
Il Funerale a Ornans è considerato uno dei primi capolavori dello stile realista, è un’opera enorme, misura m.3,1 x 6,6, si trova al Musée d’Orsay a Parigi e ritrae un rito che fino ad allora non era mai stato visto su tela.
La struttura dell’opera si presenta abbastanza semplice: la parte superiore, caratterizzata da sfumature che vanno dal bianco al giallo ad un leggerissimo azzurro, è separata da quella inferiore da un rude passaggio, dove è ritratto un folto gruppo di persone che occupa l’intera superficie orizzontale.
I colori sono terrosi e le pennellate pesanti e pastose mettono in evidenza i personaggi. La tecnica è quella dell’olio su tela.
Questa è un’opera storica poiché Courbet ha raffigurato senza falsità gli usi e i costumi della Francia, in un paesaggio reale, esattamente quello che si vede nel cimitero di Ornans, inaugurato nel 1848.
Courbet dipinge il funerale di un uomo qualunque, quasi si fosse trovato a passare di lì per caso. Il dipinto fu realizzato negli anni cruciali delle rivoluzioni in Europa.
L’artista realizzò una trilogia che rappresentava: la borghesia, i contadini e gli operai. I tre dipinti vanno visti come una trilogia della vita umile guardata con partecipazione esistenziale, di un mondo contadino che avrebbe successivamente fatto rabbrividire gli eleganti di Parigi quando li vedranno nei Salon.
Il tema principale è la morte, tema che è reso soprattutto con l’uso dei colori cupi; il nero è il colore dominante in assoluto, insieme con altre tinte spente su cui spiccano il verde, il bianco e il rosso. Si gioca anche con il marrone e l’ora.
Il paesaggio è un luogo desolato, immerso in un tramonto invernale, a cui fa da sfondo un cielo velato.
I personaggi sono sovrapposti, senza profondità; si vedono visi bellissimi, soprattutto femminili, solcati dalla fatica del vivere e del lavorare.
Courbet è conosciuto come il leader del movimento realista, pittore di composizioni figurative, paesaggi terreni e marini.
Il suo lavoro non può essere classificato né appartenente al romanticismo né al neoclassicismo.
Courbet ritrae la durezza della vita e, così facendo, sfida il concetto di arte accademica della sua epoca, attirando su di sé la critica di aver adottato il culto della bruttezza.
Si tratta di un vero e proprio manifesto artistico del Realismo che però suscitò scandalo nel paese poiché sembrava ridicolizzare le autorità cittadine e i borghesi; gli atteggiamenti distratti e indifferenti furono scambiati per una provocazione.
L’artista in realtà rappresentava con oggettività il rito della sepoltura e la psicologia delle persone.
Per la composizione d’insieme, il pittore si ispirò molto ai classici e riprende la solennità di alcune ritrattistiche dell’arte romana imperiale.

Quest’opera fu molto criticata per esaltazione della volgarità, come intimidazione da parte del potere e per la pittura usata come strumento di rivoluzione. 

mercoledì 11 maggio 2016

A tu per tu con l’opera d’arte: Mario Ruocco e Il bacio di Hayez

L’episodio della giovinezza, meglio noto come il Bacio è un’opera realizzata dal pittore italiano Francesco Hayez nel 1859 ed è conservata alla Pinacoteca di Brera, dov’è tuttora esposta. Il dipinto è stato realizzato usando la tecnica dell’olio su tela, essa misura 112 x 88 cm.
La scena ambientata in un vago interno medievale. Si tratta forse dell’adrone di un castello, di cui sono messi in evidenza tre gradini, a destra della tela, e l’estesa parete lapidea; la superficie di quest’ultima occupa omogeneamente quasi tutto lo sfondo del dipinto, introdotto da una sottile colonnina e da una finestra che è posta in alto a destra, appena accennata in quanto tagliata dal margine superiore del quadro.
Ebbene, in quest’ambientazione medievaleggiante si sta consumando un appassionato quanto sensuale bacio tra due giovani amanti, l’uomo trattiene saldamente tra le mani il capo e il viso dell’amata; al contrario quest’ultima si abbandona alle emozioni, limitandosi a stringere le spalle dell’amato con il braccio sinistro.
I due corpi si fondono appassionatamente, con il busto dell’uomo, che asseconda il flessuoso corpo della compagna arcuato dinanzi a un’emozione travolgente.
Il bacio è si molto sensuale, ma non è neanche molto tranquillo. L’uomo, infatti, poggia la gamba sinistra sul primo gradino della scalinata, lasciando emergere l’impugnatura di un pugnale dal mantello. Quest’atteggiamento manifesta un certo nervosismo, come se il bacio fosse mosso non da un semplice anelito sentimentale, bensì da un imminente partenza, trasformandolo in uno straziante commiato. I toni melodrammatici sono amplificati alla presenza di una figura in penombra in posizione tergale, dietro al varco archiacuto: le interpretazioni sono molteplici, tanto che si è pensato che si possa trattare di un uomo intento a spiare furtivamente la scena, anche se probabilmente si tratta di una semplice domestica.
Hayez realizzò oltre alla versione di Brera altre tre versioni del dipinto.
La seconda versione si differenziava dalla prima poiché qui la ragazza indossa un abito bianco; realizzato nel 1861 per la famiglia Milis, è stato inviata all’esposizione universale di Parigi del 1867 e nel 2008 è stata battuta l’asta da Sotheby’s per la somma di 780,450 stelline.
La terza versione è l’unica a essere stata trasportata su un acquerello su carta, in forma ovoidale: realizzata nel 1857, fu donata da Hayez alla sorella della giovane amante Carolina Zucchi ed è oggi esposta alla Pinacoteca Ambrosiana, a Milano. L’ultima e quarta redazione, infine, si discosta da cui originale per il drappo bianco steso sui gradini e il verde acceso del manto dell’uomo.
Molto felice il cromatismo del bacio, eredità della scuola rinascimentale di Giorgione e Tiziano Vecellio, i maestri veneti sui quali Hayez condusse i primi studi.
Il Virtualismo cromatico del bacio si esprime nel bruno del mantello e nel rosso della calzamaglia del ragazzo, che si fondono armoniosamente nel celeste dell’abito dell’amata; lo sfondo essendo dipinto con tinte neutre, esalta ancora di più il passionale amplesso. Una luce proveniente da una fonte esterna posta a sinistra del quadro, inonda con omogeneità l’intera scena: i suoi riflessi impreziosiscono la veste serica della ragazza, dando risalto anche all’opera spiccata della pavimentazione ed i mattoni della quinta muraria.
Lo schema geometrico e prospettico del bacio è imposto su una serie di diagonali che, seguendo l’andamento dei gradini, tendono a convergere nel punto di fuga , collocato a sinistra dei due amanti. Dette linee rappresentano l’ossatura del quadro: in questo modo, infatti, l’attenzione dell’osservatore è concentrata sulla coppia, che si distingue nettamente dallo sfondo anche grazie ai contorni ben definiti.
Il Bacio irradia molteplici significati sottesi: infatti, oltre ad essere una celebrazione dell’impetuoso ardore giovanile, sublima magistralmente ideali come l’amor di patria e l’impegno politico militare.
La coppia hayeziana è ritratta come la personificazione dell’Italia unita.
Il dipinto, infatti, assurge a simbolo degli ideali romantici, nazionalisti e patriottici del rinascimento.
L’uomo è ammontato e con il piede poggiato sul gradino, come se fosse in procinto di partire, mentre la donna stringe le spalle dell’amato con forza quasi non volesse interrompere quest’estremo saluto, conscia dei motivi per cui l’amato vivrà a causa del patriottismo, così come anche il pugnale nascosto nel mantello, in segno di ribellione contro l’invasione asburgica.
Non per ragioni fortuite, già nel 1860 il pittore italiano Gerolamo Induno confermò l’influenza culturale dell’opera Hayeziana con “la partenza del Garibaldino” che raffigura il triste commiato tra il garibaldino e la vecchia madre, l’artista riprese l’iconografia del bacio, inserendola tuttavia nel contesto storico risorgimentale.
Induno rese omaggio ad Hayez anche con “il triste presentimento”, dove in un’angusta stanza, piena di oggetti, è appesa alla parete una riproduzione del bacio.
Il bacio ha avuto lungamente eco anche nel secolo successivo.
Nel 1922 fu il turno di Federico Seneca direttore artistico della Perugina.
Il bacio è stato rivisitato dal MiBACT per il manifesto dell’iniziativa «A san Valentino innamorati dell’arte»: scopo della campagna ministeriale, attiva nei giorni 13-14 febbraio 2010, era quello di valorizzare il valore artistico italiano facendo entrare le coppie nei luoghi d’arte statali al costo di un solo biglietto.
Francesco Hayez è stato un pittore italiano, passato dalla temperie neoclassica a quella romantica di cui è il maggior esponente in Italia, Hayez è stata un artista innovatore e poliedrico, lasciando un segno indelebile nella storia dell’arte italiana per essere stato l’autore del dipinto il Bacio e di una serie di ritratti delle più importanti personalità del tempo. Molte sue opere contengono un messaggio nascosto politico risorgimentale.
Dopo aver trascorso la giovinezza a Venezia e Roma, si spostò a Milano, dove entrarono in contatto con Manzoni, Berchet, Pellico e Cattaneo, conseguendo numerosissimi uffici e dignità; tra queste, degne dimensioni e la cattedra di pittura all’accademia di Brera, della quale divenne titolare nel 1850.
In seguito al congresso di Vienna, l’Italia rivestiva un ruolo del tutto marginale rispetto alle altre potenze europee, tanto che Metternich fu categorico nel definirla una mera «espressione geografica», fu suddivisa in diversi stati, tutti soggetti al dominio diretto o indiretto degli Asburgo d’Austria . questa frammentazione fu carburante per l’affermazione di varie società segrete di orientamento democratico radicale, quali la Carbonerie e la Giovane Italia; nonostante tali associazioni finirono tutte nella sconfitta, furono fondamentali nel testimoniare dinanzi l’opinione pubblica la volontà di unire una nazione Italiana in nome degli ideali di libertà e di indipendenza. Il sentimento nazionale Italiano fu quindi vivificato dai moti del 1848, che a loro  volta sfociarono nella prima guerra di indipendenza, che tuttavia fu coronata da successo.
Bisognerà attendere il 1859 per l’innesco definitivo del processo di unificazione: gli accordi segreti di Plombières, stipulati da Napoleone III e Camillo Benso conte di Cavour, sancirono la formazione di un’alleanza antiaustriaca, che portò in breve alla seconda guerra di indipendenza prima e alla spedizione dei mille poi.
Il regno di Italia sarà proclamato pochi anni dopo, nel 1861.
Fu in questa cornice che Francesco Hayez dipinse il proprio Bacio.
Memore della lezione carbonara ripresa nel sangue, l’artista decise di mascherare gli ideali di cospirazione e lotta contro lo straniero sotto la rappresentazione di eventi del passato: attraverso l’adozione di schemi di comunicazione ambigui, opachi, l’artista riuscì, infatti, a sfuggire efficacemente agli interventi di censura messi in atto dalle autorità .
Il Bacio fu commissionato privatamente a Francesco Hayez dal conte Alfonso Visconti di Saliceto; Hayez era un pittore molto noto nella Milano dei circoli patriottici, tanto da essere ritenuto da Mazzini «capo della scuola di pittura storica, che il pensiero Nazionale reclamava in Italia», quindi non vi è sorpresa se il Visconti gli incaricò di trasportare in pittura le speranze associate all’alleanza tra la Francia e il regno di Sardegna.
Nella versione di Brera, l’azzurro della veste della donna e il rosso brillante della calzamaglia del giovane alludono non troppo velatamente al tricolore francese.
Hayez, infatti, intendeva rendere omaggio alla nazione d’Oltralpe, alleata con l’Italia in seguito alla stipulazione degli accordi di Plombières tra Napoleone e Camillo Benso conte di Cavour.
Nelle tre versioni successive le connotazioni allegorico-patriottiche si fecero ancora più marcate: nella redazione del 1861 anno della proclamazione del regno d’Italia, la veste della ragazza assurge una neutra tonalità Bianca, in segno di omaggio verso unificazione Italiana attese così ardentemente. Nella quarta versione l’Italia si manifesta invece nelle vesti dell’uomo, che qui, oltre alla già presente calzamaglia rossa, indossa anche un manto verde, simbolizzando il vessillo nazionale Italiano.

martedì 10 maggio 2016

A tu per tu con l'opera d'arte: Ciro Morelli e La zattera della Medusa Di Gericault

“La Zattera della Medusa” è un dipinto a olio su tela di 491 x 716 cm , realizzato da Thèodore Gericault nel 1818-1819. Attualmente è conservato nel museo del Louvre di Parigi.
Il dipinto fu completato quando l’artista aveva soltanto 27 anni ,esso rappresenta un momento degli avvenimenti successivi al naufragio della francese Mèduse, avvenuto il 5 luglio 1816 davanti alle coste dell’attuale Mauritania. A causa di negligenze e decisioni affrettate del comandante Hugues Duroy de Chaumareys la nave si incagliò sul fondale sabbioso. Oltre 250 persone si salvarono grazie alle scialuppe , le rimanenti 150 e la ciurma dovettero essere imbarcate su una zattera di “fortuna” , lunga 20m e larga 7m , e di queste soltanto 15 fecero ritorno a casa.
La zattera della medusa fu realizzata senza nessun committente , Gericault scelse accuratamente il soggetto del suo primo grande lavoro , una tragedia che stava riscuotendo interesse internazionale, soprattutto a causa del Cannibalismo praticato dai sopravvissuti, per attirare un pubblico quanto più vasto possibile e per lanciare la sua carriera. L’opera d’arte fu mostrata per la prima volta  al Salon di Parigi nel 1819, esso generò diverse controversie ricevendo sia commenti positivi sia feroci condanne. Solo in seguito fu rivalutato della critica che la riconobbe come uno dei lavori destinati ad incidere di più sulle tendenze romantiche all’interno della pittura francese. Successivamente fu acquistata dal Louvre , dopo la prematura morte dell’autore a trentatré anni, la Zattera della Medusa, sulle sue scelte formali rappresenta uno spartiacque e un punto di rottura con la preponderante scuola Neoclassica di allora e un’ icona del Romanticismo.
Gericault influenzò i lavori di artisti come Eugène Delacroix, William Turner, Gustave Courbet e Edouard Monet.
L’opera , interamente originale , è in buono stato di conservazione. Tuttavia , a causa della sperimentazione dell’autore con il Bitume, una sostanza che decade rapidamente , i dettagli delle aree più grandi dell’opera sono difficilmente individuabili e sono andati persi nel tempo.
La Zattera della medusa rappresenta il momento in cui, dopo 13 giorni alla deriva , i 15 sopravvissuti scorgono una nave , la Argus , giungere all’orizzonte. Le dimensioni del dipinto furono scelte in modo che la maggior parte delle figure fossero in scala reale , dando quindi il senso di spinta verso l’esterno e verso lo spettatore , che viene trascinato direttamente nell’azione.
Il quadro è popolato dai superstiti al tragico incidente. Un vecchio in primo piano regge sulle ginocchia le spoglie del figlio deceduto , un altro irrompe in lacrime. Un ammasso di corpi occupa la parte inferiore del Dipinto , in attesa di essere trasportati via dalla corrente. Gli uomini al centro , invece, hanno appena scorto la Argus e uno di loro si erge su una botte vuota, sventolando freneticamente il suo fazzoletto nel tentativo di attirare l’attenzione della nave.
La composizione pittorica del quadro è costruita su due strutture piramidali. Il perimetro della prima è costituita dalla base stessa della zattera, mentre la seconda , di misura minore , si sviluppa dal gruppo di sagome morte in primo piano , che formano anche la base da cui emergono i sopravvissuti, intenti a stagliarsi il più alto possibile per richiamare la nave.
I naufraghi convogliono verso il picco emotivo costituito dalla figura centrale che sventola il panno.
L’attenzione dell’osservatore è dapprima catturata dal centro della tela , per poi seguire il flusso dei corpi dei sopravvissuti , inquadrati di schiena e tendenti verso destra.
Prima di mettere mano all’enorme tela Gericault compì un intenso lavoro di ricerca, intervistò i sopravvissuti e costruì , con l’aiuto di uno di loro un modello in scala della Zattera. Visitò gli ospedali per studiare le espressioni dei morenti e si recò nelle celle mortuarie per annotare i toni assunti dalle carnagioni dei morti. Arrivò a portare inoltre nel proprio studio degli arti amputati per studiarne la putrefazione.
La tavolozza di Gericault , composta da toni pallidi per i corpi dei naufraghi, colori fangosi e scuri per i loro vestiti , il mare e il cielo , comprende vermiglione, bianco, giallo Napoli , quattro diversi tipi di ocra. Il Dipinto è dominato da una tonalità scura e tetra , che secondo l’autore erano efficaci nel suggerire il sentimento di dolore e di tragedia. All’orizzonte la Argus la nave che trarrà in salvo i superstiti è illuminata da una luce più chiara e questo fornisce all’intera scena una maggiore luminosità. A questo contribuisce anche il mare , realizzato in un verde intenso, invece del tradizionale blu scuro , che avrebbe sminuito il contrasto con la zattera e i suoi passeggeri. Per mantenere le tonalità di colore il più possibile pure tenne i colori fisicamente separati l’uno dall’altro rifiutando la tradizionale maniera di messa su tela di un dipinto, che prevede un lavoro globale sull’intera composizione, preferì posizionare i modelli e le figure una alla volta disegnarle dipingerle e soltanto dopo averle ultimate passare alla successiva.
Bisogna ricordare il periodo storico in cui è nata questa tela: la Francia era appena uscita da un’esperienza storica che l’aveva profondamente segnata dapprima con le rivoluzioni poi con l’impero napoleonico. Nel 1815 con il congresso di Vienna gli stati Europei avevano ripristinato la situazione geo-politica antecedente la rivoluzione francese. Tutto ciò che era successo con questa esperienza francese sembrava definitivamente cancellata con un colpo di spugna. Lo stato d’animo dei francesi, in quegli anni, era soprattutto di sconforto e di delusione. Il senso di disagio e di deriva finivano per rispecchiarsi direttamente in un dipinto che rappresentava appunto un naufragio. La zattera della medusa divenne così la metafora di un naufragio che simbolicamente vedeva coinvolta tutta la nazione francese. Il quadro di Gericault dunque usò un episodio di cronaca quotidiana per esprimere un contenuto preciso la vita umana in bilico tra speranza e disperazioni. La zattera della medusa segnò l’inizio dell’arte romantica e gettò le fondamenta per una rivoluzione estetica contro l’allora predominante stile Neoclassico. Nonostante la resa dei corpi e le grandi dimensioni rimandino alla scuola neoclassica e ai dipinti a soggetto storico , il soggetto, l’illuminazione e la forte emotività contrastante infusa nel dipinto rappresentarono un significativo cambio di tendenze artistiche creando una netta separazione da tutto ciò che l’aveva preceduto. Il quadro manca volutamente di un eroe qui rimpiazzato da persone comuni e l’unica motivazione che muove i naufraghi è la sopravvivenza.

lunedì 9 maggio 2016

A tu per tu con l’opera d’arte: Linda Gambardella e L’Abbazia nel Querceto di Friedrich

L’Abbazia nel Querceto, (Abtei in Eichwold), è un’opera realizzata da Caspar David Friedrich; dalle dimensioni di 110,4 x 171 cm, realizzato con la tecnica dell’olio su tela, nel Giugno del 1809 dopo un soggiorno a Rügen.
Il quadro non ha subito particolari restauri nel tempo; in un primo momento, dopo l’esposizione insieme all’altra opera realizzata in contemporanea da Friedrich: “Il Monaco in riva al mare”, le due opere furono acquistate da Federico Guglielmo III per la sua collezione; mentre oggi le opere sono esposte all’Alte Nationalgalerie di Berlino.
L’Abbazia nel Querceto, raffigura una processione di monaci, che si dirige verso le rovine di un’antica chiesa gotica, si nota in primo piano una fossa scavata, probabilmente realizzata per seppellire un confratello.
 Mentre la parte inferiore dell’opera è immersa nelle tenebre, la parte superiore è illuminata dal tramonto del sole; dal punto di vista stilistico, abbiamo la presenza di una contrapposizione di colori, possiamo quindi dividere il dipinto in due parti: quella superiore e quella inferiore; nella parte inferiore troviamo un querceto; con al centro una vecchia abbazia diroccata e un piccolo cimitero avvolto nella nebbia, che non permette di vedere altro, se non questi pochi elementi, donando un senso di inquietudine; la quercia con la sua forma aspra e bizzarra è un elemento negativo, simbolo della concezione pagana della vita e della presenza della morte, c’è anche una tomba aperta tra le altre, in enfasi del fatto che l’esistenza terrena è solo un viaggio, è, infatti, presente una predominanza di colori  scuri, come il nero, il verde e il marrone, questi elementi simboleggiano la morte, cosa inusuale per Friedrich che invece è solito rappresentare la vita.
Nella parte superiore troviamo appunto questo contrasto con i colori della parte inferiore, siccome  Friedrich inizia ad utilizzare colori molto più chiari ma comunque malinconici, l’elemento centrale nella parte superiore è la falce di luna in fase crescente, usata come simbolo di rigenerazione; ma non è la luce della luna che irradia il paesaggio, bensì c’è la presenza di una luce innaturale, quasi divina, la cui fonte rimane ignota; possiamo quindi riassumere che alle tenebre della terra si contrappone la candida luce di un cielo albeggiante, palese richiamo all’aldilà cristiano.
I ruderi sono stati identificati con quelli della chiesa conventuale di Eldena, seppur notevolmente modificati; simboleggiano sia il sentimento religioso di un’opera Medioevale lontana ormai tramontata, sia la speranza di una nuova era religiosa e politica.
Secondo le fonti, si tratta di un’opera religiosa: per la presenza della chiesa, dei monaci in processione, della terra consacrata e per la profonda riflessione sulla morte fatta dall’artista, tema molto caro allo spirito romantico dell’epoca; il contesto storico, più che negli altri casi, gioca un ruolo fondamentale: il Congresso di Vienna aveva appena cancellato le conquiste della Rivoluzione Francese e aveva ristabilito un ordine aristocratico rispetto alla mentalità dell’epoca.
Caspar David Friedrich, è considerato il più grande esponente della pittura Romantica in Germania, è in generale la figura che più incarna i canoni dell’arte Romantica.
Lo scopo dell’opera era quello di far capire che la vita è solo un passaggio per l’aldilà.
Caspar David Friedrich (Greisfwold 5 Settembre 1774- Dresda 7 Maggio 1840), è stato un pittore Tedesco esponente dell’arte romantica, basava la sua pittura su un’attenta osservanza di paesaggi della Germania e dei suoi effetti di luce, permeandoli in scenari romantici; egli considerava il paesaggio naturale come opera divina.
Friedrich fu introdotto all’esercizio della pittura nel 1790 sotto la guida di Johann Gottfried Quistorp, che era solito portare i propri studenti all’ aperto, di conseguenza  Friedrich fu incoraggiato a prendere ispirazione dalla natura. Tramite Quistorp, Friedrich strinse varie amicizie, tra cui il teologo Ludwig Gotthard Kosegarten, egli, gli insegnò che la natura era una manifestazione di Dio.
Una volta passati di moda gli ideali romantici, iniziò ad essere considerato come una figura tanto eccentrica quanto malinconica, infatti, gradualmente i suoi committenti sparirono; nel 1820, viveva come un recluso e era descritto come un solitario.
Nei suoi ultimi anni aveva una situazione finanziaria tragica e viveva esclusivamente di elemosine.
Nel Giugno del 1835 si ammala, egli stesso riferisce per il troppo lavoro. A testimoniare questo periodo di sofferenza del pittore, sono le opere nelle quali appaiono elementi mortiferi.
Il 26 Giugno 1835 è colpito da un infarto; decise di andare a curarsi a Tepliz. Inizialmente Friedrich ebbe un miglioramento che gli diede la fiducia necessaria per lavorare ancora bene; ciononostante; la ripresa si dimostrò essere di breve durata: la malattia lo lasciò debole e depresso.

Morì il 7 Maggio 1840 e fu sepolto nel cimitero della Trinità di Dresda.

venerdì 6 maggio 2016

A tu per tu con l’opera d’arte: Francesco Martone e “Le bianche scogliere di Rugen” di Friedrich.

La genesi del dipinto commissionata nel gennaio del 1818, quando Caspar David Friedrich sposò Christiane Caroline Bommer, che era circa venti anni più giovane di lui. Durante il viaggio di nozze compiuto tra luglio e agosto del 1818, gli sposi visitarono i parenti a Neubrandeburg e Greifswald.
Da lì la coppia fece un’escursione all’isola di Rugen nell’attuale parco nazionale di Jasmund insieme a Christian il fratello di Friedrich. Il dipinto appare come una celebrazione dell’unione della coppia. Il dipinto raffigura la vista delle scogliere dello Stubbenkammer, in quel momento uno dei più famosi punti panoramici dell’isola.
Spesso si è creduto, ma erroneamente, che gli affioramenti rocciosi della Wissower Klinken in particolare siano stati un modello per il dipinto; tuttavia, essi non esistevano al momento della creazione del quadro, essendo apparsi solo successivamente a seguito dell’erosione. Friedrich spesso componeva i suoi paesaggi da elementi accuratamente scelti da precedenti disegni, per tanto non è distinguibile una loro posizione specifica.
Due alberi, le cui foglie coprono la parte superiore del dipinto, inquadrano il paesaggio. Due uomini e una donna, in abiti da città, guardano con meraviglia il panorama. La figura sottile al centro è di solito interpretata come lo stesso David Friedrich.
Il cappello si trova accanto a lui in segno di umiltà, egli cerca un punto d’appoggio nell’erba come simbolo della transitorietà della vita e guarda nel baratro davanti a lui che simboleggia l’abisso della morte. A destra un uomo con le braccia incrociate si appoggia al tronco di un albero morente e guarda lontano verso il mare.
Le due piccole barche a vela all’orizzonte sono simboli dell’anima che si apre alla vita eterna e corrispondono alle figure dei due uomini. A sinistra una donna con abito rosso siede accanto ad un arbusto quasi secco: solo i rami intorno al suo viso hanno le foglie. Con la mano destra indica l’abisso e i fiori confinanti.
In contrasto con gli uomini che fissano l’abisso e in lontananza, la donna comunica con le altre figure, sentendosi minacciata dal baratro oppure meravigliata dalla bellezza naturale del paesaggio.
I colori dei vestiti delle figure  sono simbolici. La figura centrale è blu, il colore della fede; la figura a sinistra è di colore rosso, quella dell’amore; e la figura a destra è verde quella della speranza.
Così essi possono essere interpretati come forme di realizzazione delle tre virtù teologali cristiane: fede, speranza e amore.
Lo storico dell’arte Helmut Borsch-Supan vede nell’immagine una rappresentazione della relazione di Friedrich con la morte e la minaccia per la vita con la morte: “chiara come quasi mai, ma allo stesso tempo anche in un sentimento insolitamente sereno.”
Friedrich è ritenuto un grande paesaggista ma la parola va intesa non in senso illuminista bensì nel senso romantico di totale convivenza dell’uomo, finito e tuttavia colmo di aspirazione all’infinito, con la natura, immensa e possente.
Nel paesaggio Friedrich trasmette la ricchezza dei suoi sentimenti, la coscienza della solitudine dell’uomo, la sua angoscia di fronte al mistero; nella natura egli coglie il sublime, tema fondamentale del romanticismo, che è stato definito da uno dei massimi filosofi tedeschi, Emmanuel Kant; sublime è il senso di sgomento che l’uomo prova di fronte alla grandezza della natura, sia nel suo aspetto pacifico sia ancor di più nel momento della sua terribilità, quando ognuno di noi senta la sua piccolezza, la sua estrema fragilità ma al tempo stesso, proprio perché cosciente di questo, intuisce l’infinito e si rende conto che l’anima possiede una facoltà superiore alla misura dei sensi.

A tu per tu con l’opera d’arte: Domenico Todisco e Pioggia, vapore e velocità di Turner.

Pioggia, vapore e velocità è un dipinto di William Turner realizzato nel 1844, le dimensioni del dipinto sono 91x122cm ed è stato realizzato con olio su tela, quest’ultimo è conservato nella “National Gallery” di Londra.
Turner dipinge un treno che corre lungo i binari di un ponte, la veduta è rivolta verso Londra, quello che si intravede sulla sinistra è il ponte di Taylor (iniziato nel 1772).
Il paesaggio è definito molto vagamente come in molte opere di Turner, appare un dipinto sfocato e l’immagine è trascurata dalla nebbia.
Nonostante ciò s’intravede la famosa, sagoma del treno, una macchia nera con macchie luminose, metà del dipinto è occupata da un cielo di varie tonalità (rosa, azzurro, bianco); l’altra metà mostra un paesaggio sui toni del giallo, del verde e del marrone.
La velocità del treno è data da queste chiazze di colore e particolari forme sfatte.
Il cielo oscilla fra la materialità del colore e l’immaterialità che evoca una dimensione trascendente.
Solo per i migliori occhi, davanti al treno in primo piano troviamo una piccola lepre che fugge sulle rotaie, la creatura è sempre stata simbolo di pavidità.
Il quadro sconcertò come una stravaganza. Il principale estimatore del quadro, Ruskin che lo aveva sempre difeso, si limitò a commentare che lo aveva dipinto “per mostrare cosa sapeva fare perfino con un brutto soggetto”.
Il dipinto rimase invenduto e dopo l’esposizione Turner lo riportò nella sua galleria privata. Esponeva sempre meno e ormai realizzava solo per sé la maggior parte delle sue opere.
Turner aveva già deciso di lasciare in eredità allo stato Inglese tutto ciò che aveva creato e che era ancora in suo possesso, poiché la vecchiaia ormai si faceva sentire.
Turner non è mai stato tanto amato dai suoi committenti poiché non apprezzavano più le sue “pitture sfocate e senza disegno” e quindi sempre di più bersagliato dai critici; nonostante questo non perse mai il piacere di dipingere, né di vivere, anzi gestiva con grande abilità due esistenze separate – una da pittore ricco e lodato dall’aristocrazia, l’altra da Londinese di bassi fondi. -
D’estate si regalava viaggi avventurosi in Italia e in Svizzera.
Una delle più grandi doti di Turner era la competizione e l’ambizione, infatti, era sempre stato convinto di poter fare meglio dei suoi rivali.
Le sue prime soddisfazioni arrivarono dopo l’esposizione dei suoi primi dipinti come le tre vedute di Venezia, tre Marine ed infine “Pioggia, vapore e velocità”.
Era la prima volta che un treno – il cavallo a vapore che da pochi anni affumicava le campagne Londinesi – diventava oggetto di rappresentazione artistica.
Turner aveva intuito da qualche tempo il potenziale artistico della modernità, questo grande artista sapeva raffigurare di tutto: dalle burrasche di mare agli incendi, dalle baleniere ai battelli a vapore, dai paesaggi classici a quelli romantici, un vero e proprio artista che fa dell’indistinto il suo forte.
Quest’opera è il simbolo dell’insorgente modernità, poiché ci troviamo nel pieno della rivoluzione industriale dove tutti gli artisti raffiguravano ancora il passato mentre lui guarda alla nuova epoca.
Turner figlio di barbiere, nacque il 23 aprile del 1775.
Già in giovane età dimostrò uno spiccato amore per la pittura, nel 1789 fu ammesso alla “Royal Academy” dove ebbe come insegnate Thomas Malton.
Il suo primo lavoro furono due acquerelli esposti alla mostra ufficiale della prestigiosa accademia Londinese. A seguito di alcuni contrasti con i componenti dell’accademia, nel 1802 Turner aprì un propria galleria. In questo stesso anno l’artista compì dei viaggi visitando prima la Francia e poi l’Italia per circa tre volte.
Questi viaggi mutarono profondamente il suo stile e contribuirono a farlo porre maggiore attenzione al problema della luce atmosferica, anticipando così alcune soluzioni che caratterizzarono poi la pittura impressionistica.
Turner trascorse gli ultimi anni della sua vita pieno di malattia e disprezzo, morì poi il 19 Dicembre del 1851.

A tu per tu con l’opera d’arte: Peppe Esposito e Il Bagno Turco di Ingrès

"Talento avaro, crudele, collerico, sofferente, straordinario miscuglio di qualità in contrasto": così ci descrive Ingres il poeta francese Charles Baudelaire nel 1848.
Il Bagno Turco (Le Bain Turc) è un dipinto del diametro di 108 cm del pittore Jean-Auguste-Dominique Ingrès, probabilmente fra i più noti dell’artista, realizzato nel 1862 usando la tecnica dell’olio su tela, trasportato su tavola. Attualmente l’opera è visibile al museo del Louvre di Parigi.
Definito uno dei dipinti più intensamente personali di Ingrès, nonché una sintesi di tutte le esperienze che l’autore aveva fatto a cominciare da sessant’anni prima della realizzazione del bagno turco; infatti, numerosi disegni provano che le figure sono state studiate singolarmente e nelle reciproche, mutevoli relazioni. L’opera era originariamente rettangolare, solo nel 1863 lo stesso Ingrès la convertì in un tondo. La scelta di convertire l’opera è una sorta di omaggio a Raffello, quest’ultimo, infatti, è uno degli artisti che riuscirono a dare al tondo la sua disposizione più completa e più perfetta. I tondi di Raffaello che possono fare da esempio sono la “Madonna della Seggiola” e la “Madonna d’Alba”. Tuttavia la scelta della forma circolare da parte di Ingrès, rileva anche la ricerca dell’Arabesco e della sinuosità.
Con questo dipinto Ingrès vuole evidenziare l’ironia del ritrarre un soggetto nudo ed erotico alla sua età, inserendo un’iscrizione nell’opera che recita AETATIS LXXII, scritta che significa “a ottantadue anni”. Peraltro nel 1867, quando oramai l’artista aveva ottantasette anni, disse che possedeva ancora il fuoco di un uomo di trent’anni. L’opera non fu realizzata grazie a modelle in posa, bensì prendendo spunto da vari dipinti prodotti durante la sua carriera, come la figura della “Bagnante di Valpiçon” (raffigurata nella parte centrale del dipinto) e della “Grande Odalisca”. Ingrès dipinse il bagno turco sotto l’influenza delle parole scritte da Lady Mary Wartley Montagu, ambasciatrice di Inghilterra in Turchia. La signora, infatti, scrisse nelle sue lettere le impressioni che ebbe dopo aver visitato i bagni turchi di Costantinopoli. Ingrès riportò fedelmente le parole scritte dall’ambasciatrice nel dipinto, facendo attenzione a non tralasciare niente.
Attraverso l’opera, possiamo capire che Ingrès affronta i temi del Romanticismo sempre con gusto Neoclassico. Nonostante tutto, a differenza di Delacroix che visitò un harem in Algeria di persona, Ingres non fu mai né in Africa né in Medio Oriente, e le cortigiane che ritrae hanno sembianze europee o caucasiche: il tema orientale era per lui piuttosto un pretesto per ritrarre donne nude in un ambiente sensuale e lascivo, mentre gli elementi esotici sono sporadici e approssimativi. Egli dipinse in secondo piano le signore che si abbandonavano sui tappeti, mentre in primissimo piano mette una ragazza di spalle con un turbante che suona uno strumento a corda. Alla sua destra c’è l’ambasciatrice bionda con le braccia conserte, quasi a simboleggiare il suo imbarazzo fra tanta nudità, mentre la serva le acconcia la chioma con delicatezza. Ingrès modificò più volte questo dipinto prima di considerarlo terminato. Quest’opera era stata commissionata al pittore da Napoleone III, ma non piacque a sua moglie e quindi la restituì al mittente. Dieci anni dopo l’opera fu venduta all’ambasciatore turco di Parigi. Il bagno turco è un dipinto molto diverso da quelli visti in Europa fino allora, infatti, è elegante e molto raffinato. Le opere migliori di Ingrès sono dipinti come questi, proprio perché l’artista è un profondo conoscitore del nudo femminile. Questo grande pittore è nato nel 1780, è accostato al movimento Francese del romanticismo, anche se questa espressione suscita molti dubbi e perplessità. Ingrès si ribellò alla teoria del “bello ideale”, ma non intraprese la via seguita dal suo mai amato avversario Delacroix; e se in gioventù fu effettivamente affiancato al Romanticismo, l’età matura lo legò al Classicismo, proprio come Ugo Foscolo in letteratura.
 Formatosi accanto a David, Ingrès ottiene un primo riconoscimento con il Prix de Rome, e in seguito suscita dibattiti sul suo modo di dipingere appiattendo i volumi e spesso utilizzando le linee. Dopo un periodo a Villa Medici tornò a Parigi e partecipò al Salon del 1824, ottenendo poi la carica di direttore dell’Accademia di Francia a Roma. Jean-Auguste-Dominique Ingrès tornò a Parigi e nel 1867 morì.
Con il bagno turco Ingrès non voleva fare un ritratto, infatti, i volti delle donne non si vedono mai e non si incrociano l’una con l’altra. Intento e mezzi sono diversi da quelli Neoclassici, ma le bagnanti di Ingrès vivono del loro isolamento, del loro essere tutte e nessuna, di essere sol creature vagheggiate con la forza dell’amore.

A tu per tu con l’opera d’arte. Alfonso Iovino e Il mare di ghiaccio di Friedrich

Il mare di ghiaccio, conosciuto anche come “Il naufragio della speranza”, è un dipinto a olio su tela di 98x128 cm, realizzato da Caspar David Friedrich tra il 1823 ed il 1824. Attualmente è conservato presso il museo Kunsthalle di Amburgo.
Il dipinto rappresentando la poppa di una nave semi-sommersa tra i ghiacci, s’ispira alla fallita spedizione al Polo Nord delle navi Hecla e Griper di sir William Parry.
Il mare di ghiaccio fu dipinto per il collezionista Johann Gottlieb von Quandt. Egli commissionò due immagini per simboleggiare il sud e il nord della Germania, il pittore Johann Martin von Rohden (1778 – 1868 paesaggista di formazione fondamentalmente romana e quindi aderente al gusto del pittoresco) ricevette l’incarico di dipingere la natura del meridione nel suo abbondante splendore, mentre la scelta su chi potesse rappresentare la natura del settentrione in tutta la sua terrificante bellezza cadde su Friedrich.
L’opera d’arte fu mostrata per la prima volta nel 1824 all’Accademia di Praga, successivamente essa fu venduta insieme agli altri dipinti di Friedrich.
Il dipinto rappresenta un naufragio nel mezzo di un mare di ghiaccio rotto in una miriade infinita di pezzi, le cui schegge si sono accumulate dopo l’impatto, ammassandosi l’una sopra l’altra a formare una montagna. Il ghiaccio è diventato come una tomba, i cui bordi sporgenti e aguzzi sembrano anelare verso il cielo.
Le spesse lastre di ghiaccio si innalzano monumentalmente e la direzione diagonale di tali ammassi, insieme ai frammenti di nave che si scorgono a malapena in basso a destra del dipinto, determinano una sorte di inquietante movimento a spirale intorno alle rovine centrali. Esse sembrano assorbire nel loro ambizioso tendere al cielo, il resto del paesaggio. Lo sguardo dell’osservatore è quindi focalizzato quasi esclusivamente nella parte centrale del dipinto, dimenticando tutto ciò che sta intorno. E’ molto difficile, infatti, individuare i frammenti di ghiaccio posizionati sulla fascia inferiore dell’opera, che assomigliano a frecce che indicano il cielo nel suo squarcio più luminoso e chiaro.
Il basso orizzonte proprio delle tele paesaggistiche di Friedrich lascia in questo quadro, il posto a un’impressionante struttura piramidale la cui base è costituita dalle lastre di ghiaccio e la cui cima è rappresentata, invece, dalla punta acuminata di un’altra scheggia dell’iceberg.
Il contorno è caratterizzato da colori freddi e cupi, che suscitano nello spettatore un senso d’ansia e di sgomento.
Non è insolito che un dipinto abbia come soggetto un fatto di cronaca. La “Zattera della Medusa” di Gericault è stato realizzato nello stesso periodo de Il mare di ghiaccio, tuttavia c’è una differenza tra le due opere. Mentre l’artista francese aveva posto al centro del dipinto il fatto di cronaca, che esso stesso esprimeva il cuore del suo messaggio, in quest’opera di Friedrich la storia ha solo un ruolo marginale, è un pretesto. Questo è evidente dal fatto che la nave stessa non è immediatamente riconoscibile tra l’ammasso di ghiaccio che la seppellisce.
Il quadro quindi è una metafora e l’interpretazione ci è suggerita dal titolo stesso: Il naufragio della speranza.
Si tratta di una parabola religiosa a tutti gli effetti. Il Polo Nord è inteso come un luogo nel quale il succedersi di cicli vitali rimane sempre uguale. Un luogo in cui l’infinito ripetersi di giorni, stagioni, anni e secoli diventa metafora dell’eternità di Dio, perché tutto resta identico e dove la nave, simbolo della vita umana, è imprigionata e non può sfuggire a quell’eternità che è la stessa di Dio. Il tentativo umano di penetrarne il mistero, quindi, è destinato a fallire. Nulla si modifica e tutto appare immobile, come se il tempo si fosse fermato. Viene, inoltre, fatto emergere il confronto tra l’infinito e il finito che, a differenza delle opere precedenti di Friedrich, rappresenta un confronto doloroso durante il quale l’uomo e le sue opere sono inghiottiti dall’immensa potenza della natura, che talvolta è avversa.
Il tema della navigazione proviene da un’antichissima tradizione allegorica risalente alla cultura greca, ed è sempre stato visto come l’immagine dell’ossessiva e continua peregrinazione dell’uomo sulla terra in cerca di qualcosa, attraverso le avversità della natura e della vita. Tale motivo, trasposto poi in quello del naufragio, diviene incarnazione della fragilità dell’uomo in balia degli elementi.
All’opera possiamo anche dare un’interpretazione politica: la nave (la speranza), naufragata nella spedizione polare, simboleggia il naufragio delle speranze della Germania, durante la Restaurazione, proprio come, la Zattera della Medusa stava ad indicare il naufragio della Francia napoleonica.
Friedrich è il pittore tedesco che per primo entrò nel clima del Romanticismo. La Germania ebbe un ruolo fondamentale nella definizione delle teorie romantiche sia grazie ai movimenti letterari quali lo “Sturm and Drung” sia grazie all’opera di alcuni filosofi quali von Schlegel e Schelling. Ma l’arte romantica per eccellenza della Germania fu la musica che ebbe come massimo interprete Beethoven.
L’innovazione portata avanti da Friedrich si realizzò in chiave paesaggistica: l’artista intendeva far evolvere la concezione classica di paesaggio, inteso solo come scenario bello da vedere, aggiungendovi il sentimento del sublime, una riunione con il sé spirituale attraverso la contemplazione della natura.
Friedrich fu un personaggio chiave per la trasformazione del paesaggio, fino ad allora subordinato al dramma umano, in un soggetto autosufficiente. I suoi dipinti includono spesso una Ruckenfigur, ovvero una persona vista di spalle, assorta nella contemplazione del panorama. L’osservatore, quindi, si identifica nella Ruckenfigur, il che significa assimilare il potenziale sublime della natura, che il pennello di Friedrich ricolma di ideali romantici.
Il pittore paragonò spesso i propri paesaggi a temi religiosi, tanto che molti dei suoi dipinti più famosi sono considerati impregnati di misticismo religioso.

mercoledì 4 maggio 2016

A tu per tu con l'opera d'arte: Ciro Cuomo e La morte di Marat di David

L’opera la morte di Marat fu realizzata nel 1793. È un olio su tela e misura 162x128.

L’opera fu dipinta da Jacques-Louis David e conservata attualmente a Bruxelles nel Musèes Royaux des Beaux-Arts.
Il titolo dell’opera è “la morte di Marat”.
Si tratta di un’opera figurativa; nel dipinto vediamo il soggetto del quadro, Marat, che giace nella vasca da bagno dove trascorreva molto tempo al suo interno perché soffriva di una grave infezione cutanea contratta nascondendosi in ambienti malsani per sfuggire dai nemici della Rivoluzione francese.
Nell’opera si osserva Marat che sulla mano destra impugna una penna, mentre con la sinistra tiene il foglio parzialmente macchiato dal suo stesso sangue, poi nella composizione troviamo pochi ma essenziali elementi, come la vasca con Marat morto dentro, il lenzuolo bianco macchiato di sangue, il panno di colore verde che ricopre l’asse dello scrittoio, la penna e il calamaio, un tavolino di legno scrostato, due fogli e in basso a sinistra il coltello insanguinato e spicca la visione dello sfondo.
Inoltre comparando l’opera “la morte di Marat” si nota una forte somiglianza col braccio pendente di Marat con il “Cristo della Deposizione”.
La linea dell’opera è fluida e continua e definsce le forme, incornicia le figure e il lenzuolo bianco dove giace Marat e il panno dove egli cinge la testa dà con precisione il senso di volume.
La superficie è molto omogenea grazie anche al tipo di tecnica usata come l’olio su tela e presenta caratteristiche di lucentezza e d’ombra.
Il colore è naturalistico senza particolare varietà nel numero di colori utilizzati, ma viene utilizzata una tonalità principale quella bruna.
I colori che più spiccano nell’opera sono il rosa pallido della carnagione di Marat, il bianco dei lenzuoli; il marrone dello sfondo e il verde del panno.
Questi colori danno il senso che voleva proporre David ossia la povertà e la morte.
La luce dissezionata proviene da sinistra e definisce, in modo molto nitido, il chiaroscuro sul corpo morto di Marat e il viso che viene avvolto dalla luce che incornicia l’effetto quasi di riverbero.
Troviamo nell’opera la prevalenza del chiaroscuro che esprime profondità.
Lo spazio e il volume sono presenti nell’opera e vengono definiti dal pannello-scrittoio appoggiato sulla vasca, poi il dipinto presuppone un punto di vista ravvicinato in modo da far risaltare Marat.
La composizione si sviluppa lungo un’asse orizzontale  data dalla lunghezza della vasca da bagno e lungo la direttrice verticale del braccio.
L’opera rappresenta l’uccisione di Marat da una donna, facente parte del gruppo rivoluzionario moderato dei Girondini, che riteneva l’uomo responsabile della sconfitta Girondina e degli eccessi della guerra civile.
La donna si chiamava Carlotta Corday che nel 1793 uccise Marat quasi contemporaneamente dell’avvenimento del fatto.
Egli nacque a Saint-Saturnin-des-Ligneries nel 1768 e morì nel 1793.
Carlotta Corday si presenta a casa di Marat con il pretesto di presentargli una supplica e mentre scriveva i fogli di assenso alla sua richiesta lo pugnalò a morte.
È stata una rivoluzionaria francese nota soprattutto per aver ucciso Jean-Paul Marat. Alla figura di Charlotte Corday d'Armont si sono ispirate numerose opere, soprattutto teatrali.
Ammiratrice di Rousseau e degli eroi di Plutarco e di Pierre Corneille (di cui era pronipote), si appassionò alle idee repubblicane dei girondini. Gli eccessi rivoluzionari e la proscrizione dei deputati girondini (31 maggio e 2 giugno 1793) la convinsero di dover uccidere Jean-Paul Marat, che, secondo lei, era il principale sobillatore della guerra civile. Giunta apposta da Caen a Parigi, il 13 luglio 1793 riuscì a farsi ricevere in casa dallo stesso Marat e lo pugnalò mentre era nel bagno. Condannata a morte dal tribunale rivoluzionario, fu messa alla ghigliottina quattro giorni dopo.
Il dipinto ha una forte caratterizzazione storica, come quella della lotta rivoluzionaria.
L’autore dell’opera: Jacques-Louis David  probabilmente fosse anch’essi un rivoluzionario il quale vuole incidere per sempre questo momento come ad esaltare la figura di Marat e dei combattenti per la rivoluzione; riproducendolo come un eroe morto sull’altare della libertà per tener fede ai suoi ideali.