La denominazione primitivi fiamminghi o primitifs flamands o Valamingen Primitieve nacque a partire dal 1840 quando, sotto l'influenza ormai radicata del Romanticismo, si incominciarono a rivalutare le radici delle nazioni, quindi ad apprezzare quei momenti in cui si erano create tradizioni nazionali in opposizione alla violenza omogeneizzartice dell’Impero romano sia d’Oriente sia d’Occidente, considerato soppressore e sopraffattore delle tradizioni delle varie etnie che preesistevano ad esso.
La cosa non era esattamente così, ma essi così credevano.
In questo clima le persone, soprattutto la borghesia, incominciarono a rivalutare la pittura, e, in adesione allo spirito folk dell’epoca, il termine primitif fu introdotto per descrivere la prima pittura italiana che si stava liberando dal giogo della cultura figurativa bizantina.
Per analogia, i pittori del Quattrocento la cui produzione poteva essere collocata nelle Fiandre, nel Brabante e a Tournai furono chiamati Les Primitifs flamands o in olandese i Valamingen Primitieve.
L’aggettivo primitivi è decisamente bruttino, anche se in realtà esso fu usato senza un’accezione dispregiativa ed era inteso nel senso di precoci, primi o di iniziali così come era usato per descrivere anche l'Arte del Beato Angelico che era definita une Art à la pureté primitif.
A metà dell’Ottocento, anche un poco prima il termine fu coniato in Inghilterra dai Preraffaeliti” in relazione principalmente all'Arte italiana e fiamminga del Trecento e del Quattrocento e anche a quella francese, che quegli artisti moderni apprezzavano per quella sua sincera semplicità e per quella forza espressiva che essi vi percepivano.
Quest’espressione, decisamente infelice, non voleva quindi far torto alla pittura di Giotto, di Masaccio o di van Eyck, anzi grandi teorici come Giorgio de Chirico e Carlo Carrà oltre ai pittori di Novecento italiano e alla sua teorizzatrice, la critica d’Arte Margherita Sarfatti, utilizzarono quest’espressione per indicare che per una vera riforma dell’Arte, dopo il disordine delle Avanguardie storiche e quello ancora maggiore della Prima Guerra Mondiale, doveva partire proprio da quei pittori, quei primitivi italiani che in Italia incominciarono a cambiare il trattamento della pittura introducendo tre nuovi principi: l'umanizzazione dei personaggi rappresentati, la comparsa di paesaggi e le architetture complesse passando così da uno Stile bizantino a uno Stile latino o, più propriamente, italiano.
Quindi i Preraffaeliti intendevano l’Arte italiana fino al Quattrocento, o meglio come annunciava la loro stessa denominazione, fino a prima di Raffaello che, secondo loro, ne aveva inquinato i valori con il suo sofisticato classicismo.
Nel 1842, il termine era usato anche per denominare la scuola pittorica delle Fiandre, indicata dai francesi come École primitive flamande fino ad estenderla anche a tutta la scuola francese che precede la scuola di Fontainebleau. Alla scuola francese del Quattrocento è dedicata la rassegna dei primitivi francesi al secondo livello dell’ala Richelieu che non hanno però la fama dei loro equivalenti fiamminghi o italiani.
I francesi usano anch’essi quest’espressione per indicare che questo passaggio dalla pittura medievale a quella rinascimentale era esistito anche da loro.
Sebbene in Belgio fosse ancora in atto una discussione tra gli storici dell'Arte francesi e belgi sulla terminologia da utilizzare, la denominazione primitivi Fiamminghi si affermò rapidamente grazie al successo della Exposition des Primitifs Flamands, la celebre mostra retrospettiva che si tenne a Bruges nel 1902.
Quest’evento portò la pittura delle Fiandre del Quattrocento all'attenzione degli studiosi, ma anche del grande pubblico.
Riflessione stravagante e un cantuccio per me.
Spesso, in nome dei nazionalismi, anche somme figure di intellettuali finiscono per prendere scivoloni colossali, inficiando con questi il loro prestigio culturale. Quando lo scopriamo, perché non si smette mai di imparare, è come se improvvisamente una macchia d’inchiostro cadesse su una statua di marmo cristallino che, per intenderci, è il bianco immacolato di Carrara, quello del David. E questo è capitato a me in questa mia indagine sui Fiamminghi. Il sentimento nazionale è comprensibile come ogni sentimento perché fa parte di noi umani, ma è poco giustificabile quando esso è spinto fino al più vieto e fanatico nazionalismo.
È questo il caso di un grande intellettuale tedesco che ai primi dell’Ottocento, insieme al suo grande merito di gettare la basi del Romanticismo, cercò anche di trascinare i fiamminghi del Quattrocento con bizzarri e risibili argomenti, nel patrimonio culturale tedesco. Parlo di Friedrich Schlegel, uno dei padri del Romanticismo, che rivendicò alla Germania le opere di Jan van Eyck considerandolo un antico pittore tedesco e prendendosi anche la briga di collocarlo nella scuola di Colonia: importante, certamente di livello, ma che non ha niente a che vedere con van Eyck e soprattutto che non si discosta di un millimetro dai canoni del Gotico internazionale.
Queste teorie di Schlegel diventarono popolari negli ambienti interessati alla riscoperta dell'Arte nordica, perché essi consideravano la tradizione germanica superiore a quella latina a cui essi la contrapponevano. Un preconcetto questo duro a morire almeno fino alla metà del Novecento. Forse, ma non ci giurerei.
Quasi un secolo dopo, Max Jakob Friedländer, curatore e direttore del Kaiser Friedrich Museum di Berlino, fu il più ardente sostenitore della teoria di Schlegel.
La sua opera in quattordici volumi più i due di aggiornamento, considerata basilare per lo studio dei fiamminghi, diventò l'opera di riferimento sull'argomento e Friedländer diventò meritatamente l'autorità più riconosciuta in materia.
Ma anche Friedländer trova la sua buccia di banana dell’ideologia.
La sua teoria del germanesimo della cultura figurativa fiamminga storicamente non regge perché le Fiandre, al sorgere della pittura dei primi fiamminghi, facevano parte del ducato di Borgogna quindi della Francia e vi fecero parte almeno fino al 1454 ed erano state quindi oltremodo contagiate dalla cultura francese.
Nonostante ciò, per Friedländer era tuttavia impossibile riconoscere che i capolavori del primo Rinascimento nordico – se di Rinascimento nordico si può parlare e io non lo penso – provenissero dal sud o dalla sfera di influenza francese, quindi sostenne che il termine primitivi fiamminghi che per me è solo brutto, per lui era anche impreciso, inadatto, quindi sbagliato, perché questa scuola comprendeva molti pittori che provenivano dal di fuori della contea delle Fiandre.
Classica questione di lana caprina.
I Paesi Bassi, d'altra parte, erano per lui parte integrante della storia tedesca quindi patrimonio della cultura tedesca, ma tralasciava che quei paesi per la loro massima parte appartenevano al ducato francese di Borgogna.
Un ragionamento cervellotico, portato avanti pur di sostenere la sua tesi, che fa dimenticare che sia stato uno dei più grandi connaisseur del Novecento. E a questo proposito, anche lui ha fatto di Jan van Eyck un pittore autenticamente tedesco.
Una soluzione elegante quindi per lui fu quella di parlare di altniederländische Malerei, con cui incorporava il movimento artistico prettamente fiammingo nella cultura tedesca e lo sottraeva alla cultura francese. E questo, sarebbe il danno minore, perché quella cultura fu puramente e autenticamente fiamminga finché in quell’area non si diffuse l’imperante Rinascimento italiano sub specie di Manierismo e anche quando in quella regione si diffuse il Barocco fu sempre un Barocco nella sua versione fiamminga, nettamente diversa da quella dei Paesi Bassi del Nord.
Ma la cosa più grave di questa sua interpretazione era il fatto che sottraeva il riconoscimento dell’eredità fiamminga alla pittura dei Paesi Bassi.
Il pensiero aprioristico di Friedländer andava poi in difficoltà in termini di coerenza con il fenomeno Rogier van der Weyden.
Rogier non apparteneva alla tribù buona, ossia quella germanica, e quindi Friedländer aveva difficoltà a riconoscerlo e a collocarlo come un antico pittore olandese. Eppure qualcosa di positivo lo aveva però trovato in van der Weyden ed era che, secondo lui, non si era mai lasciato influenzare dall'Arte italiana né durante né dopo il suo viaggio in Italia. Questo avvalorava anche l’altra sua tesi secondo cui nel Quattrocento l'influenza artistica andava da nord a sud e mai viceversa.
Anche Erwin Panofsky difese la denominazione, ma solo essa, proposta da Friedländer. Tedesco di origine e fuggito dai nazisti negli Stati Uniti nel 1933, Erwin Panofsky, adottò la definizione di Max Friedländer, Vroeg-Nederlandse schilderkunst nel suo lavoro Early Netherlandish Painting del 1953, lanciando così la sua ulteriore diffusione negli ambienti anglofoni.
Panofsky, però, nella sua corrispondenza con gli amici, descriveva la sua opera come il suo grande libro fiammingo.
Nonostante tutto questo, l’espressione primitivi fiamminghi si può ancora trovare abbastanza frequentemente in lingua inglese, ancora nella letteratura artistica contemporanea.
L’espressione Antica pittura olandese adottata in olandese come Vroeg-Nederlandse schilderkunst si riferisce alla pittura di Van Eyck fino agli ultimi decenni del Cinquecento compresi Pieter Brueghel e Hieronymus Bosch.
Nell'Europa meridionale Francia, Italia, Spagna e Portogallo, quest’espressione invece non avuto fortuna pertanto non si è mai diffusa.
Alcuni storici dell'Arte di lingua olandese oggi usano anch’essi l’espressione, Pittura antica dei Paesi Bassi o Pittura dei primi Paesi Bassi, ma moltissimi anche in Olanda hanno continuato e continuano ancora a usare il termine Primitivi fiamminghi, denominazione questa che continua ad essere usata dal grande pubblico. Anche la commercializzazione di importanti fiere e mercati antiquari sfrutta ancora deliberatamente la notorietà di questo marchio.
E io invece continuo a sostenere che si dovrebbe usare la denominazione Prima pittura fiamminga o Pittura fiamminga del Quattrocento solo per distinguerla da quella fiamminga rinascimentale e barocca.
Massimo Capuozzo
Lezione Prof.re che non fa una piega! La ringrazio Christina Christacopoulou
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