giovedì 7 settembre 2023

L’Impressionismo 2: i prodromi romantici. di Massimo Capuozzo

In che cosa questi giovanotti, accomunati sotto l’etichetta di impressionisti, erano veramente tutti d’accordo?
A quanto pare, a parte quel loro vago anelito per la realtà, avevano una sola precisa percezione comune e questa era invece chiarissima: una sensibilità nuova, ma non tanto come vedremo in seguito, che voleva sbarazzarsi della noia delle citazioni classiche e classicheggianti.
Il punto vero era quello.
Tutti loro volevano reagire all’Arte accademica, quel mastodonte erto a sistema che essi definivano dispregiativamente accademismo o, nel peggiore del casi, art pompier, che era la roccaforte del Classicismo.
E qui devo fare un necessario passo indietro anche se non eccessivamente lungo, e raggiungere con un salto non troppo spericolato gli inizi dell’Ottocento.
L’Arte era stata irreggimentata dalle varie Accademie di Belle Arti, non soltanto da quella francese. Ma siccome con l’Impressionismo ci troviamo in Francia, conviene osservare da vicino quel che succedeva nell’Accademia o Scuola delle Belle Arti francese, rifondata nel 1817 sulle ceneri e sul modello della vecchia Accademia, istituita ai tempi di Luigi XIV.
Siamo in piena Restaurazione – sul trono di Parigi era stato restaurato Luigi XVIII, conte di Provenza e fratello del re decapitato – e l’Accademia fu rifondata a specchio della prima con l’intento di ripristinare il Classicismo e di soffocare i fremiti liberali della rivoluzione romantica ai suoi primi vagiti, almeno in campo artistico e almeno in Francia.
Ma da che cosa nasceva quest'ostilità?
L’Arte professata nell’Accademia era caratterizzata da temi storici e mitologici e dall'orientalismo, sulla scia di David (1748 – 1825) e di Ingres (1780 – 1867). Due colossi nella loro epoca, e anche oggi, ma essi erano classicisti.
Su di loro si basavano i principi dell'Arte accademica che erano considerati imprescindibili perché si potesse parlare di Arte.
Anche se più che principi ispiratori erano regole ferree invalicabili, ma di più, erano dogmi indiscutibili che andavano dalla massima osservanza alla gerarchia dei generi, alle dimensioni della tela, (la regola stabiliva che quanto più nobile e importante era il soggetto, tanto maggiore doveva essere il suo supporto: per esempio, una scena di genere doveva essere di formato molto ridotto rispetto a quello del genere più nobile, quello storico, sacro profano mitologico o allegorico che fosse).
Altro principio tassativo era la superiorità del disegno sul colore, infatti per gli accademici se non c'era disegno, non poteva esserci la pittura.
Se si comprendono bene questi tre fondamentali principi si potranno capire a fondo anche le nebulose ragioni degli Impressionisti e contro che cosa essi combattevano.
L’Accademismo si era ulteriormente irrigidito a tutela del Classicismo contro il Romanticismo considerato troppo rivoluzionario: in estrema sintesi l’equazione classicismo sta a restaurazione come romanticismo sta a rivoluzione è quasi sempre verificabile ne fanno eccezione in letteratura Leopardi e pochi altri. Ma Leopardi è eccezionale in tutto.
Ancora alla metà Ottocento l’Accademia pervadeva anche gli spazi artistici ed espositivi pubblici che contavano, esercitando su essi il più rigido monopolio e privilegiando artisti come Ernest Meissonier, classe 1815, Alexandre Cabanel, classe 1823, Jean-Léon Gérôme, classe 1824, William Bouguereau, classe 1825 e Fernand Cormon classe 1845, considerati i più rappresentativi esponenti dell’accademismo e i più strenui difensori del classicismo.
Ritengo opportuno mostrare alcune loro opere rappresentative che essi realizzarono intorno alla metà del secolo per capire di cosa si tratta e che cosa davvero si combattesse sul versante opposto.
Figg. 1, 2, 3, 4 e 5
1 Alexandre Cabanel “Fallen Angel” 1846
2 Ernest Meissonier “Campagne de France” 1864
3 Jean-Léon Gérôme “Young Greeks Attending a Cock Fight” 1846
4 William Bouguereau “La Tricoteuse” 1869
5 Fernand Cormon Murder in the Seraglio 1874





Le regole e i principi che informavano l’Accademia riguardavano anche il Salone di Pittura e Scultura, comunamente noto come il Salon cioè quello spazio espositivo per le mostre periodiche di artisti viventi.
Il Salon parigino era un evento davvero essenziale nella vita artistica della Francia dell’Ottocento ed era l'unico luogo in cui gli artisti avevano la possibilità di esporre pubblicamente le loro opere, quindi era un'occasione rara e molto importante per poter ottenere un riconoscimento ufficiale.
Sempre intorno alla seconda metà dell'Ottocento in Francia si acuì anche l’opposizione fra accademismo e modernità, e l’offensiva antiaccademica fu lanciata da Charles Baudelaire, classe 1821, critico d’arte ancor prima che genio poetico: questo bipolarismo classicismo-modernità, insito anche nello stesso Baudelaire poeta, avrebbe segnato profondamente tutta la Storia dell'Arte dalla seconda metà del secolo fino a tutto il Novecento.
Durante il Salon del 1846 alcuni critici e artisti espressero il loro fastidio, e tra gli altri ci furono gli scritti spesso taglienti di Charles Baudelaire.
In realtà il manipolo di giovanotti che noi oggi chiamiamo Impressionisti, seguiti ormai anche da qualche signorina, furono un’avanguardia dell’Ottocento. Qualcuno pensa la prima, ma non è vero infatti in Italia questo fenomeno era stato preceduto di qualche anno da quello dei Macchiaioli, un altro gruppo di pittori alternativi all’Accademia delle Belle Arti, in questo caso quella di Firenze, che fece meno rumore della loro per una serie di ragioni che non sto qui ad elencare per non essere troppo stravagante. Ma il macchiaiolismo non fu meno significativo e dirompente.
Non uso in maniera impropria il termine avanguardia perché, già dal 1824, dunque in pieno Romanticismo, il filosofo Claude-Henri de Saint Simon, lo aveva adoperato per la prima volta come traslato, (come sono belli e creativi i traslati!), privandolo del suo primigenio significato militare e riferendolo a persone che intraprendono azioni nuove o sperimentali, in particolare nelle arti e nella cultura.
Una breve riflessione: anche il Romanticismo - quello vero non quello che poi si verificò in forme annacquate e ibridate -, era stato un’avanguardia, forse la prima della modernità, e aveva inaugurato un nuovo modo di essere artista.
Mi si perdoni la digressione retrospettiva, il flash back, come dicono i ben parlanti, ma essa mi sembra doverosa per comprendere quanto l’Impressionismo non sia un’antitesi del Romanticismo, come spesso si pensa sempre in base al meccanismo semplificativo ad uso scolastico di tesi antitesi, ma ne sia una naturale e forse inconsapevole continuazione.
Il Romanticismo nella sua massima estensione cronologica era coinciso quasi perfettamente con il periodo della Restaurazione, attuata dal 1815 e mantenuta in piedi, anche se con qualche scossone, fino alla grande esplosione rivoluzionaria del 1848.
L’atteggiamento della cultura ufficiale, ossia quella dell’Assolutismo aveva sostanzialmente un comprensibile atteggiamento conservatore, ovvero classicista con tutto il suo apparato di regole e di postulati: l’atteggiamento antiromantico era una storia che in Italia avrebbe preso ex post il nome di polemica classico romantica, ma che in Francia aveva riaperto la secolare querelle des Anciens et des Modernes o in modo più pregnante querelle des Classiques et des Modernes e che in altri paesi europei, in contrasto al Romanticismo, espresse gli stessi concetti polemici in lingue diverse.
Tutto questo solo per dire che il Romanticismo, almeno in Arte, non fu il facile idillio che di solito è proposto e non ebbe vita tranquilla, come potrebbe invece apparire nei testi scolastici, senza parlare poi di un suo concepimento che ebbe una genesi ancora più complessa e tormentata.
Opponendosi alle regole accademiche e alla tradizione, il Romanticismo riproponeva un mito, quello dell’eroe, e ne proponeva uno nuovo, quello del genio, ossia di colui che con capacità innate e con una spiccata sensibilità verso la natura e tutto quello che la comprendeva, eseguiva eccellentemente e di getto le sue opere. Entrambi i miti evidenziano la caratteristica peculiare del Romanticismo: l’individualismo.
Questo concetto di esecuzione di getto, era quanto di più diverso potesse esistere rispetto alle regole delle Accademie.
L’indole di questo tipo di artista, il genio, lo portava ad allontanarsi anche dalla società e a rinchiudersi nel suo solipsismo, affiancando e al concetto di genialità spesso quello di sregolatezza.
Ma bisogna fare bene attenzione.
Quando usiamo il termine sregolatezza relativamente a quello di genio, non dobbiamo automaticamente pensare al primo significato del termine quello riferito più comunemente a una persona con abitudini di vita stravaganti e disordinate che potrebbe fare dei romantici dei debosciati. Un tratto questo che in qualcuno di loro si manifestò pure, si pensi a Lord Byron. Ma la sregolatezza cui si voleva associare la genialità, specialmente in campo artistico, era però riferita a quello che essi consideravano le capacità innate e la naturale predisposizione all’Arte che consentivano loro una formazione autonoma, sregolata rispetto alle regole che la società nelle sue varie innervature imponeva. Comprese quelle riguardanti l’Arte e tutto il complesso sistema che la componeva.
Secondo la concezione romantica, il Genio è la fonte dell’Arte ed è un vero e proprio creatore.
Provo a sviluppare questa concezione del genio creatore che potrebbe sembrare il frutto di un fanatismo delirante, ma in effetti è il caposaldo rivoluzionario della concezione estetica del Romanticismo.
Per i romantici l'opera d'arte è espressione del sentimento soggettivo e come tale non è frutto della razionalità, ma dell'intuito del genio. Solo lui, dotato di facoltà superiori, è capace di creare dal nulla, immortalando con l'opera il suo pensiero.
Il Romanticismo vedeva solo nel genio l’unica possibilità di creare qualcosa di completamente diverso da tutto ciò che esiste, secondo la sua ispirazione. Per il Romanticismo, e qui veniamo al concetto di sregolatezza, l’Arte non è governata da regole, perché essa è la capacità assoluta di creare qualcosa di nuovo attraverso l’energia ispiratrice del genio, quindi non è assolutamente riducibile a un insieme di regole da applicare meccanicamente, ma è il frutto della libera creatività che non sottostà a nessuna regola.
Il Genio, inteso come capacità di creazione assoluta che trascende ogni regola, esprime la stessa potenza vitale della natura: se la bellezza artistica fosse infatti riducibile alla semplice esecuzione di un insieme di regole prestabilite, l’Arte sarebbe un’attività puramente meccanica e l’opera d’Arte sarebbe eseguibile praticamente da parte di chiunque avesse appreso le regole dell’Arte, che consistono nelle varie tecniche di esecuzione.
Per il Romanticismo quindi l’Arte è tale solo se non segue nessuna regola predeterminata pertanto il genio deve partire dalla liberazione del sentimento e dalla forza immaginativa.
Per questo motivo il genio è l’unico mediatore tra il mondo e l’infinito (che in termini filosofici chiamiamo con Schelling l’Assoluto), incomprensibile e inesprimibile mediante la logica concettuale e mediante la razionalità a cui l’uomo per lo più soggiace, mentre è percepibile solo attraverso la creazione artistica.
Creazione si badi non più imitazione.
Era un messaggio molto rivoluzionario non privo di astrattezza e di difficile realizzazione.
Naturalmente, di fronte a un pensiero così radicale, non mancarono le forti critiche a questi artisti intellettuali antisistema che avevano abbracciato l’estetica romantica e, di fatto, il sistema identificabile nelle Accademie impedì a molti di loro di vendere le proprie opere, costringendoli a vivere nella miseria, a meno che essi non avessero alle loro spalle una famiglia benestante.
E sappiamo bene che questo fenomeno si è verificato, ma ancora oggi è tutto da indagare e difficile da ricostruire per la perdita di un numero non identificabile di opere d’Arte perdute.
Ora è abbastanza naturale che un pensiero così radicale e che controbatteva sui due fronti del razionalismo e del classicismo fosse osteggiato perfino da intellettuali di un certo rilievo non appena usciva al di fuori dall’ambito delle università.
Immanuel Kant, che ho sempre visto come l’ultimo illuminista e il primo romantico, aveva già messo in luce nella sua celebre trilogia della “ragione” l’impossibilità dello studio razionale della metafisica ed aveva cercato altre vie fra cui anche quella dell’estetica.
Il problema è che i tempi non erano ancora maturi per la rivoluzione del Romanticismo, troppo radicale per essere applicata del tutto, e per questo rimase in parte incompiuta.
Osserviamone le ragioni.
L’estetica romantica si basava sul concetto ben noto, anche prima di loro, che la natura non produceva il bello ideale, perché aveva le sue imperfezioni e perfino i suoi orrori, che tuttavia erano emendati dall’Arte, secondo un pensiero che si incardinava già in Platone e che si era sviluppato nelle varie fasi del Neoplatonismo. Ma la Natura, così com’era imperfetta e talvolta violenta, dava luogo a immagini che potevano ispirare nell’Arte due sentimenti tanto fondamentali quanto diversi: il pittoresco e il sublime. Queste due componenti erano ineludibili in tutta l’estetica romantica sia nel suo approccio con il reale sia in quello con il trascendente.
Lo svizzero Füssli, inglese di adozione e principale precursore del Romanticismo artistico, giunse ad esprimere nelle sue opere – per la prima volta secondo il mainstream critico, ma non penso sia la prima volta – la poetica del sublime, un concetto che identifica la bellezza dell’opera d’arte o degli spettacoli naturali con la forza del sentimento che essi riescono a suscitare. La stessa sensazione di sgomento che si prova davanti all’incontrollabilità di eventi naturali estremi.
In Germania, dove il movimento romantico si era fatto corrente con i fondamentali scritti teorici del Circolo di Jena e con quelli della rivista Athenäum di Berlino, i giovani romantici avevano vissuto la Rivoluzione francese come la grande speranza per un rinnovamento politico e culturale volto a un progressivo allontanamento dai dispotici canoni artistici classicisti.
Nella rivista Athenäum, fondata dai fratelli Schlegel, c’è la più chiara esposizione dell'estetica del Romanticismo che diede vita a un’arte universale in cui tutte le diverse forme d'espressione si sarebbero dovute unire e fondere insieme fino a raggiungere una compenetrazione tra arte e vita fino allora ignota nella modernità.
Ma in Germania come altrove, tutti gli artisti, compreso il grande Caspar David Friederich, classe 1774, avevano anche loro una bella base accademica, troppo vincolante e determinante per permettere loro di lanciarsi a capofitto nella pittura di getto.
In Francia il Romanticismo tese ad affermarsi come movimento culturale e artistico impegnato sul fronte delle tematiche libertarie politiche e sociali, ma si spinse anche a svilupparsi in forme individualistiche, di inquietudine e di ribellione, fra l’isolamento e un impegno politico, spesso eroico e talvolta addirittura esasperato.
Théodore Géricault, classe 1791, pur mantenendo la forma classica, operò un rinnovamento con una pittura i cui temi sono fedeli alla storia e alla cronaca contemporanea.
Moderno nei contenuti Géricault, ma stilisticamente classico.
Ancora romantico e francese è Eugène Delacroix, classe 1798, che pur rimase un fermo ammiratore di Jacques-Louis David e del suo stile neoclassico. Dopo i moti rivoluzionari del 1830, dipinse La libertà che guida il popolo in cui celebrava les trois glorieuses, le giornate di luglio in cui il popolo parigino era insorto contro Carlo X, ultimo fratello del povero Luigi XVI, e campione di una delle più arcigne restaurazioni dopo il Congresso di Vienna.
In questo modo l’artista aveva espresso la sua volontà di distaccarsi dalla Storia e dai miti del passato, per rappresentare, ancorché allegoricamente, la Storia a lui contemporanea. Il dipinto fu acquistato dal nuovo governo francese, guidato dal re Luigi Filippo, ma ci fu subito uno stop: ritenuto infatti troppo rivoluzionario da alcuni funzionari ne fu impedita l’esposizione in pubblico.
E questo episodio la dice lunga sulla censura.
In Italia il movimento romantico si affacciò consapevolmente nel 1816. L’arte romantica italiana si sviluppò soprattutto nell’area lombardo veneta, dove gli artisti si impegnarono per lo più a diffondere, attraverso la pittura, gli ideali politici risorgimentali che miravano alla formazione di un sentimento nazionale italiano, a sostegno della lotta contro la dominazione austriaca, ma in ogni caso, sempre sulle basi dell’accademismo da cui non riuscì mai a staccarsi neppure “Francesco Hayez”, classe 1791, il principale punto di riferimento della pittura romantica italiana.
Del resto occorre ricordare che in Italia Manzoni che si professava romantico impiegò la bellezza di diciannove anni per scrivere e rivedere il suo capolavoro, (altro che scrittura di getto!), e Leopardi, il massimo poeta romantico italiano, si professava un fervente classicista.
Decisamente di umori più distintamente romantici anche nella forma, fu Francisco Goya, classe 1746, che ebbe il grande merito di traghettare la Spagna dal tardo Barocco al Romanticismo. Dalla sua pittura emergono la forza visionaria e il rifiuto di modelli assoluti di bellezza. Ritrasse scene campestri e feste popolari spagnole di sentimento pittoresco che gli garantirono il favore dei circoli aristocratici della corte spagnola.
Ma tra il 1819 e il 1823 sulle pareti di una sua casa madrilena Goya eseguì delle pitture nere fortemente orientate al senso del sublime. Esemplare è una delle scene Saturno che divora uno dei suoi figli in cui l’artista esprime la bestialità sublime del potere che teme l’usurpazione.
Il tema allude certamente al clima repressivo della Spagna di Ferdinando VII, che costrinse Goya a trascorrere gli ultimi anni della sua vita in Francia, dove si affiancò a Géricault e a Delacroix.
Se in Spagna Goya fu un caso sporadico, ma pieno di slancio verso il Romanticismo, in Inghilterra, i massimi esponenti della pittura romantica furono: William Blake, William Turner e John Constable.
William Blake, classe 1757, poeta, pittore e disegnatore, illustrò la Bibbia, il Paradiso perduto di Milton, il Libro di Giobbe, la Divina Commedia. La sua era una personalità visionaria, ossessionato dal problema del peccato originale, realizzò illustrazioni dallo stile grandioso ed espressivo, con evidenti richiami a Michelangelo.
William Turner, classe 1775, è tuttavia il pittore romantico per eccellenza, le cui considerazioni sulla pittura, in base alle quali l’arte non si apprende attraverso lo studio, ma è il frutto di qualità personali e di sensibilità, vanno perfettamente a taglio con la teoria romantica del genio.
Turner predilesse il tema della natura e del paesaggio, con particolare attenzione alla luce e all’atmosfera, nella quale le forme tendono a dissolversi perdendo la loro reale consistenza.
Il dipinto Pioggia, vapore e velocità una delle opere più iconiche di Turner è anche una delle prime rappresentazioni del treno che qui si confonde con la natura in un’atmosfera indistinta in cui sfumano i contorni e le individualità delle cose: un unico movimento pervade la natura attraverso la vibrazione e la mescolanza dei colori. Il quadro, nel suo ardito sperimentalismo formale, anticipa la pittura impressionista.
Nei suoi paesaggi John Constable, classe 1776, tenta invece di rendere ciò che vede, senza cercare effetti nobilitanti e valorizza i particolari più umili.
Nel dipinto Il carro di fieno Constable rappresenta una scena agreste in un preciso momento dell’anno; trasmette, attraverso la resa di effetti atmosferici e luminosi, una tranquilla operosità. Constable non si limitava a rendere fedelmente la natura, ma la trasformava in un ambiente sereno capace di accogliere idilliacamente l’uomo.
L’impatto del Romanticismo nel corso della Storia ebbe una portata tuttora sottovalutata e paradossalmente, nonostante la notorietà del fenomeno, ancora in parte da indagare. Spesso per esempio non si considera che mentre il Romanticismo veleggiava per l’Europa, l’Arte, nonostante i boicottaggi e i freni imposti dall’accademismo, non era più in completa balia del mecenatismo e così l’artista era pienamente libero di riscoprirsi parte della natura. Inoltre molte delle idee dell’estetica romantica camminarono come un fiume carsico percorrendo l’Ottocento e il Novecento ogni tanto affiorando in forme diverse.
Osserviamo ora i dipinti che ritengo più iconici degli autori citati ponendoli come sempre in ordine crescente di data.
Anche se un occhio è poco esperto, provi a vedere dove si compie con maggiore pienezza la rivoluzione romantica e in che cosa si preluda all’Impressionismo facendo riferimento ai dipinti esposti nel mio primo racconto sull’Impressionismo.
Figg. 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 e 15











6 Fussli “Incubo” 1781
7 William Blake “Oberon,Titania and Puck with Fairies Dancing 1786
8 Caspar David Friedrich Abtei im Eichwald 1808-10
9 Theodore Gericault La zattera della Medusa 1818-19
10 John Constable The Hay Wain 1821
11 Francisco Goya Saturno che divora i suoi figli 1823
12 Eugene Delacroix La libertà guida il popolo 1830
13 Francesco Hayez Danza delle Ninfe 1831 
14 Turner Rain Steam and Speed 1844





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