mercoledì 18 settembre 2013

La modernità dello 'Spedale degli Innocenti di Massimo Capuozzo

Le realizzazioni e i progetti più importanti del '400 furono legati ai nomi di grandi committenti e di esperti architetti. Gli interventi furono fortemente caratterizzati dalle esigenze e dalle personalità del committente si tratta dunque di strutture e di forme nelle quali si rispecchiavano soprattutto i gruppi di potere.
Nel Rinascimento vi fu una fioritura di modelli teorici di città ideali, caratterizzate da una rigorosa simmetria, basate non più sulla casualità, come avveniva nel Medioevo quando l’architettura era spontanea, ma su di una concezione razionale degli spazi urbani e delle strutture architettoniche.
Per architettura spontanea nel Medioevo si intendono le costruzioni di cui gli uomini si servivano per rispondere a molteplici esigenze: abitativa, lavorativa, immagazzinamento di attrezzi e prodotti. L’espressione architettura spontanea fu creata dallo storico e architetto Bernard Rudofsky (1905  1988) per indicare quelle forme edilizie spontanee quei tipi di architettura non sottoposti a regole fissate dalla comunità riguardo all'organizzazione del territorio e alla tipologia edilizia ecc. Inoltre tali costruzioni erano caratterizzate da tecniche costruttive e materiali adeguati alle condizioni ambientali, climatiche e morfologiche della zona. Si trattava sostanzialmente di un’architettura legata alla vita familiare e sviluppata fra l'alto Medioevo e il XIV secolo: la famiglia aveva bisogno di costruzioni articolate in diversi spazi perché nell'abitazione vi risiedevano più famiglie imparentate, strettamente, inoltre la famiglia costituiva un’unità produttiva legata all'agricoltura e al sostentamento. Le caratteristiche di questo tipo di architettura si mantennero immutate nel tempo, tanto da formare un insieme omogeneo e rendere difficile un’esatta datazione degli edifici. Tra gli elementi più peculiari ci sono sicuramente l'arco e la scala rampante o a dorso d'asino. L'arco ha funzione di ingresso o meglio, di passaggio tra la strada e l'abitazione, mentre ai piani superiori delimita un particolare terrazzo. La scala rampante, appoggiata sull'arco stesso, è la soluzione più comune per raggiungere i piani superiori. Le volte sono sempre a vela o a botte.
Nel Rinascimento nacque invece un'ideale di città tesa a rispondere a esigenze di purezza, armonia ed equilibrio e questo ideale fu usato come modello per ridisegnare città esistenti e per progettarne di nuove.
Un precoce esempio di questo fenomeno è costituito dai nuovi insediamenti realizzati sul territorio di Firenze, tutti progettati secondo un tracciato geometrico e raggruppati attorno ad un quadrato centrale. Almeno uno degli edifici più importanti di ogni città, la chiesa o il palazzo, doveva affacciarsi sulla piazza centrale, spesso definita da un porticato. Queste nuove aree urbane erano circondate da mura difensive altrettanto regolari. La città è impiantata su una griglia prospettica, mentre l'elevazione di ciascun edificio è segmentata e scandita per mezzo di strutture classiche come il portico e la trabeazione. Data l'assoluta regolarità del progetto, nel suo insieme, e della struttura architettonica, risulta impossibile aggiungere o sottrarre qualcosa al disegno senza comprometterlo.
Nel 1419 Brunelleschi ricevette l’incarico di realizzare una struttura di utilità pubblica: lo ‘Spedale degli Innocenti, un’istituzione creata nell'ambito dell’ampio programma di centri benessere, promosso dall'oligarchia al potere per migliorare la vita della cittadinanza, assicurando una migliore assistenza sociale e sanitaria.
L'edificio fu edificato su un giardino situato accanto alla chiesa della Santissima Annunziata e ceduto a poco prezzo da Rinaldo degli Albizi di cui era proprietario.
Lo ‘Spedale degli Innocenti era la prima istituzione di questo genere in Europa e fu ideato per curare e allevare i bambini orfani o abbandonati e per dar loro un mestiere: Brunelleschi qui realizzò un esempio armonico e razionale di architettura ospedaliera nell'insieme di chiostri, portici, refettori, dormitori, infermerie e nursery.
Nel 1421 Giovanni de’ Medici fu eletto Gonfaloniere di Giustizia: il ricco banchiere conquistò le simpatie del popolo incominciando una politica di opere pubbliche e d’assistenza volte a corredare le città di attrezzature civili che si affiancassero a quelle religiose per sopperire alle nuove e sempre più urgenti esigenze sociali. Nel vasto programma edilizio fu compresa la costruzione dello ‘Spedale degli Innocenti il cui patronato fu affidato all'Arte della Seta, essendo già essa impegnata dal 1419 nei lavori di edificazione. Nel 1445, sebbene i lavori non fossero ancora conclusi, l'ospedale divenne funzionale.
Con quest’opera di architettura civile Brunelleschi, privilegiando l’aspetto funzionale piuttosto che quello formale, entra ancor di più nella modernità: l’architetto, infatti, realizzò un orfanotrofio, tenendo conto essenzialmente delle funzioni cui esso avrebbe dovuto assolvere, rivelando in tal modo una mentalità molto avanzata per la sua epoca. In questo contenitore i bambini abbandonati dovevano ricevere un’istruzione, perciò creò dei laboratori, una biblioteca e spazi per momenti di svago all’aria aperta.
Dal punto di vista formale l’opera si presenta semplice e schematica: è un contenitore aperto solo all’interno su un cortile quadrato con due edifici rettangolari, la chiesa e la sala dei letti, il piano terra è composto da saloni adibiti alla scuola e da un'officina.  All’esterno l’edificio si manifesta come un porticato di grande valore urbanistico, elemento di mediazione tra la vita privata e la vita pubblica, immaginato come una quinta muraria-filtro con valore simbolico tra il vuoto della piazza antistante e il pieno del contenitore.
La classificazione delle piazze – le cui funzioni si fissano nei tre tipi, religioso la piazza della cattedrale, politico la piazza del comune e commerciale la piazza del mercato – che nel basso Medioevo era stata raggiunta attraverso lo sforzo continuo, teso a ordinare unitariamente la vita cittadina in pieno sviluppo e lo spontaneo senso della proporzione edilizia, non regolamentato da leggi, ma guidato dall'intuito urbanistico, trovarono nella tendenza a teorizzare tipica del Rinascimento una codificazione in regole, in proporzioni, in numeri. L'interesse e l'amore per la prospettiva e per il composto hanno nelle piazze il più ampio e monumentale campo di applicazione e tutto ciò che nel Medioevo era empirico, nel Rinascimento tese a fissarsi in leggi precise: era l'epoca – si è detto – delle città ideali dei trattatisti e quella delle fantasie prospettiche ed è quindi ovvio che la composizione edilizia delle piazze si sia prestata alle fantasie degli architetti e dei trattatisti. Se in realtà le realizzazioni complete delle città ideali sono state poche, le creazioni di piazze invece furono molte: si potrebbe dire che, gli architetti non potendo realizzare del tutto le loro complesse città, si siano sfogati a creare quelle piazze monumentali e organiche che, sotto l'apparenza del fantastico, nascondono lo studio sottile e ingegnoso degli effetti prospettici. Ma in questa traduzione pratica di quelle norme che il Rinascimento ricercava con tanta cura, il numero e il postulato si perdono nella fantasia dell'architetto urbanista e ne rimane l'opera d'arte equilibrata e perfetta, nella quale la pratica ha superato la teoria. Così la caratteristica tripartizione medievale nel Rinascimento non ha più la chiarezza dei secoli precedenti: ma la piazza diventa un episodio estetico e prospettico, quasi uno scenario, quasi una sala di ricevimento della città.
Questo avviene con la piazza della SS Annunziata definita da Bruno Zevi «Prototipo della misura urbana rinascimentale». Il portico dello ‘Spedale occupa un lato della piazza; ma una piazza non è una scatola, è uno spazio aperto e frequentato, non si può chiuderla tra quattro pareti–saracinesche. La facciata di un edificio che ne costituisce un lato appartiene all'edificio e alla piazza, pertanto deve mettere in relazione e in proporzione un volume pieno – l’edificio – e uno vuoto – lo spazio urbanistico della piazza.

Brunelleschi pensa allora alle piazze antiche, porticate e pensa alla funzione urbana e sociale delle logge trecentesche fiorentine – la loggia della Signoria e la loggia del Bigallo – concepite quasi come il simbolo stesso della città, con i suoi spazi comunitari a misura d’uomo. Progetta allora una facciata porticata o a loggia: una superficie in cui si inscriva una profondità, un piano in cui il volume pieno dell'edificio e il volume vuoto della piazza si compenetrino. La proporzione tra i due volumi è espressa, su quel piano-diaframma, dalla misura degli archi a tutto sesto, dal rapporto tra la loro apertura e l'altezza delle colonne, e dall'apparente, prospettico scalare del piano superiore, a finestre. Nel portico Brunelleschi introduce le volte a vela al posto della volta a crociera, che aveva caratterizzato le architetture precedenti, e crea valori spaziali assolutamente originali, che funsero da modello per tutto il secolo. Le esili colonne in pietra serena, sormontate da capitelli corinzi e dalla raffinata invenzione del dado brunelleschiano proposero anch’esse nuovi parametri all’architettura rinascimentale che, da Firenze, si irradiò in Toscana e nel resto d’Italia.
Le arcate, nove come i gradini, sono pari all’altezza delle colonne e alla profondità del portico mentre l’arco sovrastante è alto la metà di questa misura. Nei pennacchi ci sono tondi in terracotta policroma invetriata, realizzati da Andrea Della Robbia che raffigurano dei putti in fasce, gli innocenti, cioè i bambini abbandonati.
L’utilizzazione della pietra serena in contrasto con il bianco dell’intonaco, materiali scelti soprattutto per questioni di economiche, rappresentò certamente una grande innovazione che segnò molto dell’architettura fiorentina tanto da diventarne un emblema, ma anche di altre aree culturali.
Il tema della tridimensionalità lega a sé il tema del modulo geometrico che è anche modulo compositivo. Il modulo è una misura di grandezza o un’unità che è ripetuta più volte in maniera da dare proporzioni equilibrate a un edificio o a un insieme di edifici. Nell'ambito dell'architettura moderna un modulo è un'unità ripetuta più volte: l'architettura modulare è stata molto diffusa nel XX secolo nell'edilizia popolare e industriale, basti pensare alla produzione standardizzata, basata su un modulo replicabile all'infinito, un concetto che domina tutta la produzione di Le Corbusier.
Per la costruzione dello ‘Spedale degli Innocenti, attraverso il sistema modulare Brunelleschi, stabilendo una misura standard, costruì tutte le altre strutture adiacenti: immaginò un modulo che si ripete, basandolo sugli schemi cubici già cari agli antichità classica (1x1x1). Il tema progettuale è così connesso all’individuazione di questo ritmo; nel porticato tuttavia, a un certo punto il ritmo s’interrompe: Brunelleschi creò allora due ultimi elementi sciolti ritmicamente dal resto dell’edificio. Con lo ‘Spedale degli Innocenti, Brunelleschi affrontò un motivo consueto negli edifici fiorentini del tardo Trecento, ma con spirito del tutto nuovo. Questa tendenza a risolvere in rapporti perfettamente misurabili ogni membro architettonico e ad attingere una nuova bellezza attraverso la tensione delle linee, delle superfici, dei volumi distribuiti rigorosamente in articolazioni organiche, costituisce la grande originalità di Brunelleschi.

Il portico–facciata dello ‘Spedale degli Innocenti è la prima architettura realizzata secondo il modello della prospettiva fiorentina, per cui le dimensioni degli oggetti dipendono esclusivamente dalla distanza rispetto all'osservatore, ubbidiscono dunque a un criterio spaziale propriamente detto. Sotto questo portico, l'intera modernità occidentale nasce e stabilisce la subordinazione degli esseri umani a un'immagine spaziale del mondo. Una volta entrati, si tratta soltanto di attenersi alla semplicissima prescrizione del progettista per passare, sebbene immobili, da una realtà all'altra, dal mondo al Nuovo Mondo che in parte è ancora il nostro. Basta infatti disporsi a una parte estrema e guardare da fermi tutto e subito di fronte a sé, verso la finestra che si apre nel vano della porta cieca che si ha davanti, per trovarsi costretti a dover risolvere un problema ignoto precedentemente, cioè se credere al proprio tatto o alla propria vista: il primo dice che le linee della struttura del portico sono parallele, la seconda scopre invece che in corrispondenza del punto di fuga situato al centro del finestrino, esse tendono a convergere. È così che nasce lo sdoppiamento intellettuale dell’uomo moderno, per la prima volta obbligato a decidere di quale dei suoi sensi fidarsi. La contraddizione consiste nel fatto che se anche il clamore della trovata della prospettiva moderna significò la fine della geometria classica, il grandioso programma moderno è consistito nella trasformazione di tutta la Terra in un unico spazio.
Massimo Capuozzo

domenica 15 settembre 2013

La cupola di Brunelleschi porta nella modernità di Massimo Capuozzo

L’ingresso dell’arte nella modernità, se si esclude il manipolo di pittori fiamminghi, avviene tutto nel primo Quattrocento a Firenze, dove alcuni maestri rivoluzionarono il modo di concepire artisticamente lo spazio, dando vita alla renovatio.
Già alla metà del XIII secolo l’arte italiana aveva già incominciato a percorrere una strada autonoma rispetto all’arte medievale e a quella gotica. In quella fase va individuato il reale punto di svolta che portò alla nascita della moderna «arte italiana». I primi periodi tuttavia furono soprattutto di incubazione e di sperimentazione e soltanto all’inizio del XV secolo l’arte italiana giunse ad una vera maturazione, proponendo una visione artistica pienamente innovativa che segnò l’inizio della modernità.
Alcune opere architettoniche sono particolarmente esemplari.
Filippo Brunelleschi (1377 – 1446) è l'architetto della straordinaria cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, alla quale egli lavorò quasi ininterrottamente nel corso di tutta la sua vita. Alta 105,5 metri da terra e con un diametro di 51,7 metri, la modernità della cupola di Santa Maria del Fiore consiste nella dimostrazione che l'uomo non è più costretto ad imitare la natura, ma è capace di creare uno spazio umano che si rapporta con essa e si impone con la sua forza.
La cattedrale, centro simbolico della vita cristiana e simbolo della nuova realtà storica, era stata progettata da Arnolfo di Cambio in forme imponenti e armoniose, innestestando lo spazio longitudinale, diviso  in tre navate, sull'ampio coro a pianta centrale, dilatato da tre  grandi  absidi.
Ai tempi di Brunelleschi era già costruita fino al tamburo e bisognava compiere una scelta difficile, decidendo se adeguarsi alla struttura esistente oppure realizzare qualcosa di completamente nuovo. Ai tempi di Arnolfo la tecnica costruttiva si basava sull'uso di grandi centine lignee che sostenevano la struttura durante la costruzione: una volta impostata la chiave, la cupola poteva sostenersi autonomamente, per mezzo delle spinte reciproche delle arcate. Esistevano all’epoca maestranze specializzate che però nel corso del secolo si erano perse. Agli inizi del Quattrocento, quando i fiorentini affrontarono il problema  di  voltare la cupola,  forma  e  dimensioni  risultavano pertanto già decise e ribadite in tutta la loro  eccezionalità.
Su un diametro esterno di 55 metri essa si sarebbe dovuta innalzare fino  a 110 metri dal suolo, seguendo la forma dell'arco ogivale: il raggio di curvatura della cupola negli spigoli doveva essere pari a 4\5 del diametro d'imposta.
Per individuare la soluzione di un problema così complesso, in periodo di crescenti difficoltà economiche, l'Opera del Duomo bandì un concorso per accogliere idee  e proposte  esecutive.
La risposta data da Brunelleschi apparve subito una tecnica costruttiva del tutto nuova e pertanto vincente sotto ogni aspetto: due calotte sovrapposte e collaboranti, innervate da costoloni marmorei e da catene in ferro e in legno; una struttura autoportante in ogni fase dei lavori e quindi un metodo costruttivo che non necessitava di costose e forse irrealizzabili armature interne.
Un'opera così innovativa non poteva più basarsi sull'esperienza delle maestranze: l'architetto, unico responsabile del progetto, era chiamato a dirigere la manodopera, la quale doveva semplicemente seguire le sue istruzioni. Dal punto di vista formale la cupola, con la sua forma ogivale, compensava lo sviluppo longitudinale della pianta e la raccordava col corpo ottagonale. A dispetto della straordinaria mole, invece che gravare, la cupola sembra gonfiarsi nell'aria, contenuta dalle nervature nitide delle arcate.
Quando Alberti dice che la cupola «erta  sopra e' cieli,  amplia da coprire con sua ombra tutti e' popoli toscani» ne comprende il significato più forte, che supera l’ambito architettonico e urbanistico, ammettendo un significato decisamente ideologico. La cupola di Brunelleschi, come elemento di conclusione e definizione dell'unità architettonica, «è l'opposto del gotico moltiplicarsi delle forze verso l'alto con le numerose, esili guglie libere nello spazio» (Argan).
Intorno al 1430 Brunelleschi realizzò alla base della cupola le tribunette che dovevano darle leggerezza e nel 1432 la lanterna.
Molti aneddoti hanno contribuito a tramandarci l'immagine di Brunelleschi come di un isolato, che gisce con la fermezza di chi trova i motivi di riferimento e la saldezza di una dottrina nella forza della ragione e nella consapevolezza di quei valori scientifici e conoscitivi.
Sulle vicende di quest'opera, che divenne subito il simbolo più clamoroso della Rinascenza fiorentina, è stata scritta una grande quantità di testi, ma ancor oggi è un  mistero come Brunelleschi abbia potuto concepirla nella totale assenza di riferimenti a precedenti analoghi. In realtà l'invenzione di Brunelleschi parte da conoscenze specifiche e ben individuabili nell'esperienza che egli ha certamente di edifici pur concettualmente, strutturalmente e cronologicamente lontani tra loro, come il fiorentino battistero di San Giovanni,  il Pantheon o il Duomo di Pisa.
Il cosiddetto dispositivo, il programma per la costruzione della cupola che Brunelleschi redasse nel 1420, è il solo documento autentico giunto a noi: in esso appare evidente il senso della certezza che informa la sua progettualità. Più che esprimere un programma egli enuncia il progetto impartendo disposizioni esecutive. Nei dodici punti da lui elencati è contenuta già l'opera finita, ma c’è anche di più vi sono indicate persino quelle variazioni, incidenti e aggiunte che si dovranno fare, perché "nel murare la pratica  insegnerà quello che si avrà a seguire".
Il dispositivo brunelleschiano è un documento di straordinaria modernità: esso è già il progetto poiché prevede una serie di operazioni e il modo di  attuarle.
La cupola per altezza e per volume domina il panorama dell'intera città. Occupa quasi il centro geografico di Firenze e della sua vallata e ne costituisce il punto di riferimento e il perno. Nella sua imponenza c'è uno straordinario accordo con la città e soprattutto con i monti circostanti: l'opera, pur dominando la natura, non la stravolge, ma la esalta mettendosi in relazione con essa. La cupola dunque rappresenta, nel modo più evidente, l'idea rinascimentale dell'uomo, padrone in virtù della ragione, dell'ambiente circostante, non per conquista, ma per accordo naturale.

E proprio per l'intervento di Brunelleschi che Firenze, pur essendo ancora in sostanza medioevale, si propone sempre fino ad oggi come città rinascimentale.
Massimo Capuozzo.

domenica 28 luglio 2013

La predicazione degli Apostoli di Massimo Capuozzo

Dopo la morte di Gesù, i primi discepoli cominciarono a organizzarsi e a diffondere il kerygma ossia l’annuncio.
Questo gruppo di persone, di origine eterogenea, decise di stabilirsi a Gerusalemme nella probabile persuasione che da lì a poco sarebbe giunta la fine dei tempi. Il gruppo, ebrei e proseliti, era considerato una delle tante sette giudaiche che allora componevano il variegato mondo religioso ebraico ed era disomogeneo anche nelle convinzioni: è possibile, infatti, riconoscere almeno tre sottogruppi con visioni abbastanza differenti su come intendere il nuovo Vangelo, che peraltro allora non esisteva ancora in forma scritta.
·         Gli Ellenisti, gruppo legato alla figura di Stefano, avevano un atteggiamento piuttosto sovversivo nei confronti delle istituzioni ebraiche, in particolare del tempio e ciò portò a uno scontro con il sinedrio, con la morte di Stefano e l'allontanamento della comunità da Gerusalemme. Essi si trasferirono quindi ad Antiochia e lì cominciarono a predicare anche a proseliti dell'ebraismo di origine non ebraica, costituendo le prime comunità cristiane composte da membri non nati nell'ebraismo.
·         I giudeo-cristiani, gruppo maggioritario, legato prima a Pietro e poi a Giacomo, fratello di Gesù, avevano un ruolo di primo piano nella Chiesa di Gerusalemme: questo ruolo fu affidato a Giacomo da Gesù che divenne il capo della Chiesa di Gerusalemme, dopo la morte di Gesù. I giudeo-cristiani praticavano integralmente la legge ebraica e pregavano regolarmente nel tempio di Gerusalemme; Pietro, però si dovette allontanare ben presto dalla città, dopo che era stato imprigionato da Erode Agrippa I, e Giacomo morì nel 62 per lapidazione su comando del sommo sacerdote Anania.
·         Un terzo gruppo, legato a Giovanni, elaborò una teologia originale su Gesù e sulla sua relazione con Dio, in seguito divenne predominante in tutta la Chiesa, insieme al pensiero di Paolo.
Anche secondo Paolo, la Chiesa di Gerusalemme era basata su tre colonne: Giacomo, Pietro e Giovanni.
Inizialmente, i primi seguaci di Gesù si consideravano parte della Religione ebraica. Certo, avevano alcune pratiche peculiari e nuove come il Battesimo e la celebrazione della Eucaristia e vivevano in una comunità coesa e a sé stante, ma tutti erano certi della propria ebraicità: si comportavano come Ebrei, partecipavano ai culti del popolo ebraico, praticavano le forme tradizionali della religiosità ebraica e osservavano strettamente l'antica Legge ebraica, discesa da Mosè.
Questo primo Cristianesimo si sviluppò dalla Giudea romana e si sparse per tutto l'Impero Romano e oltre cioè nell'Africa orientale e Asia meridionale, fino a raggiungere l'India e, dapprincipio, questo sviluppo fu strettamente collegato ai centri di fede ebraica già esistenti, in Terra Santa e nella Diaspora ebraica.
I primi seguaci del Cristianesimo erano ebrei, noti come timorati di Dio o anche ebrei cristiani: essi erano i membri del movimento ebraico di riforma che più tardi divenne il Cristianesimo vero e proprio. Nella fase più precoce, la Comunità era composta da tutti i giudei che avevano accettato Gesù di Nazareth come una persona venerabile o addirittura il Messia, quindi equivalenti a tutti i gruppi cristiani successivi, che continuavano a osservare le prescrizioni della Legge mosaica dopo la loro conversione al Cristianesimo. Quando il Cristianesimo cominciò ad evolversi e diffondersi, i giudeo-cristiani divennero solo un filone minoritario della comunità cristiana.
Si ipotizza che le Sedi Apostoliche siano state fondate da uno o più apostoli di Gesù, che si pensa siano partiti da Gerusalemme qualche tempo dopo la sua Crocifissione, verso il 26–36, probabilmente dopo il Grande Mandato, la missione divina degli apostoli. I primi cristiani si riunivano in modeste case private, note come chiese domestiche, ma la comunità intera di una città era anch'essa chiamata chiesa – dal greco εκκλησια o Ecclesia che letteralmente significa assemblea, riunione, o congregazione.
Molti di questi primi cristiani erano mercanti, mentre altri avevano motivi pratici per voler andare in Africa settentrionale, Asia minore, Arabia, Grecia e altri luoghi. Oltre 40 di queste comunità furono istituite entro l'anno 100, nelle città intorno al Mediterraneo, comprese due in Nord Africa, ad Alessandria e Cirene, e svariate in Italia molte in Asia Minore. Per la fine del I secolo, il Cristianesimo era già arrivato a Roma, in India e nelle maggiori città dell'Armenia, Grecia e Siria, servendo da base per la diffusione espansiva del Cristianesimo in tutto il mondo.
La storia di come questa piccola comunità di credenti si sparse per molte città dell'Impero Romano in meno di un secolo è una parte considerevole della storia dell'umanità.
Si trattava, però, anche di una comunità in crescita che, inevitabilmente, in almeno due occasioni, aveva ammesso al suo interno persone che non condividevano il background ebraico. Il primo caso era avvenuto in relazione un importante funzionario responsabile del Tesoro della regina di Etiopia. Il secondo convertito era stato il centurione romano Cornelio, che era stato ricevuto nella Chiesa direttamente da Pietro. Ovviamente, questi due episodi dovevano essere solo due esempi di un movimento certamente più ampio ed era logico che tali inglobamenti di esseri impuri, così come l'insistenza dei proto-Cristiani nel predicare la divinità di Gesù, ben presto portassero ad un conflitto aperto con le autorità della Religione ebraica, in particolare i Farisei.
Non a caso per due volte ai seguaci di Gesù fu ordinato di desistere dal loro modo di vivere e, al loro rifiuto, essi furono condannati a morte: la prima persecuzione, a metà degli anni 30, portò alla lapidazione di Stefano, la seconda all'esecuzione dell'Apostolo Giacomo il Maggiore intorno all'anno 44. In seguito a questa importante  persecuzione di Cristiani in Palestina molti Cristiani fuggirono ad Antiochia, importante metropoli, capitale della provincia romana d'Oriente e fondamentale centro della cultura greca.
Fu proprio ad Antiochia che il nome di Cristiani fu dato per la prima volta ai credenti in Cristo e che un numero notevole di persone provenienti da altre religioni, in particolare Greci, ma anche Ciprioti e Romani, accolse l'insegnamento evangelico. Insomma, per la prima volta, verso il 42-45 d.C., la Chiesa cominciò ad apparire come qualcosa di più di una delle numerose sette ebraiche: stava diventando cattolica, ossia universale.
Questo, però, poneva un problema: la grande maggioranza dei Cristiani erano ancora Ebrei e, ad Antiochia come a Gerusalemme, si consideravano tenuti alla circoncisione, a seguire le antiche leggi alimentari e a mantenere la norma che vietava loro di mangiare con i pagani e, poiché l'Eucaristia era celebrata in occasione di un pasto, gli Ebrei ritenevano impossibile concelebrarla insieme con i loro nuovi fratelli Gentili.
Per l'Apostolo Pietro, ebreo osservante, il dilemma era di decidere se un Ebreo doveva rifiutarsi di condividere la Comunione con gli ex – pagani, a meno che essi non si fossero sottomessi completamente, all'atto del Battesimo, ai rituali e alle leggi ebraiche, o se tali leggi dovessero essere sorpassate in virtù del comando di Gesù di diffondere la sua Buona Novella a tutte le nazioni.
Se Pietro era da subito apparso propenso per la seconda soluzione, per molti osservanti Ebrei il Battesimo di non circoncisi era un atto di tradimento verso il Giudaismo e che l'Apostolo alloggiasse e mangiasse con pagani era una cosa sconcertante e contraria alla Legge.

La questione doveva essere risolta, soprattutto perché Ebrei e Gentili convertiti erano sottoposti a forti pressioni anche da parte degli estremisti nazionalisti antiromani, che vedevano nella loro comunanza una sorta di tradimento degli ideali liberazione nazionale.
Massimo Capuozzo

martedì 23 luglio 2013

Gesù e la sua predicazione di Massimo Capuozzo

La predicazione di Gesù[1], durata circa tre anni, intorno al 30 fu di portata rivoluzionaria. Il Vangelo, dal greco lieto annuncio, sovvertiva drasticamente l’impostazione rigida della morale del tempo. Alla sua attività di annunciatore del regno di Dio, Gesù associò un'intensa attività di guaritore e di esorcista: egli, infatti, con la sola forza di una sua parola o con un gesto delle mani, guarì le più diverse malattie e liberò gli indemoniati dal potere di Satana. Queste guarigioni di ammalati e liberazioni di indemoniati accrebbero enormemente la popolarità di Gesù, ma al tempo stesso suscitarono gelosia e preoccupazione nei capi religiosi e politici del popolo d'Israele, in pratica, nelle classi sacerdotali e dell'aristocrazia, appartenenti al partito dei sadducei, strenui avversari dei farisei, ma loro alleati nella lotta contro Gesù.

Non sappiamo con precisione quanto sia durata la vita pubblica di Gesù. Secondo lo schema adottato dai Sinottici, l'attività di Gesù – predicazione in Galilea, viaggio a Gerusalemme, attività in questa città conclusa con la crocifissione – sarebbe durata da sei mesi a un anno. Lo schema dei Sinottici è tuttavia chiaramente artificiale. Perciò è più attendibile storicamente il Vangelo di Giovanni, secondo il quale Gesù sarebbe stato a Gerusalemme per tre Pasque successive: ciò significa che la sua vita pubblica è durata da due anni a due anni e mezzo.

In questo modo, Gesù si trovò di fronte una doppia serie di avversari: da una parte, i sacerdoti e gli anziani del popolo, di tendenza sadducea e dall'altra, i dottori della Legge (gli scribi), di tendenza farisaica. Il contrasto non fu dovuto soltanto alla gelosia per il successo di Gesù presso il popolo; molto più profondamente fu dovuto al fatto che, col suo insegnamento, Gesù sovvertì da cima a fondo la religione tradizionale, quale si era venuta costituendo per opera dei sacerdoti e degli scribi d'Israele e le cui istituzioni principali erano la Torah e il Tempio. Di fatto, lo scontro di Gesù con gli scribi-farisei avvenne sulla Torah, mentre lo scontro con i sacerdoti-sadducei avviene sul Tempio. Questo doppio scontro si finì con la morte di Gesù sulla croce.
Lo scontro sulla Torah avvenne, anzitutto, a proposito del riposo sabbatico che, per gli scribi-farisei era assoluto, mentre per Gesù riguardò le necessità dell'uomo, perché il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato: perciò Gesù guariva anche di sabato e permetteva ai suoi discepoli, che avevano fame, di raccogliere le spighe in quel giorno e mangiarle. Lo scontro avvenne, poi, sulla purità rituale. Gesù rigettava ogni formalismo nella ricerca e nella tutela della purità rituale, dicendo ai farisei: «Voi farisei purificate l'esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità». Questo formalismo legalista era per lui ipocrisia. Quello che valeva per Gesù era l'impegno per la purità interiore, del cuore, per una religiosità non formalistica ma autentica e per un rapporto di giustizia e di carità verso il prossimo.

Lo scontro sul Tempio avvenne poiché questo, invece di essere un luogo di preghiera, era diventato un luogo di mercato e una spelonca di ladri: di qui il gesto audace e provocatorio della cacciata dei mercanti dal Tempio, che decise la sorte di Gesù.
La predicazione di Gesù – che dunque minava le basi della religione ebraica, come era vissuta dai sacerdoti-sudducei e dagli scribi-farisei, e che perciò poneva Gesù fuori di essa – non poteva che concludersi tragicamente.
Per questo motivo fu osteggiato e infine condannato a morte e crocifisso. Gesù si proclamò come il Messia atteso dagli ebrei e annunciato dai profeti nelle Scritture, predicò una morale fondata sulla totale libertà dell’uomo, piuttosto che sulla rigida osservanza di regole e precetti.
Massimo Capuozzo




[1] Gesù di Nazareth – Il Gesù storico è il tentativo di ricostruzione della figura di Gesù di Nazareth secondo i moderni metodi storici, attraverso l'analisi critica dei testi antichi e il confronto con il contesto storico e culturale del tempo.
Nato a Nazareth negli anni 7-2 a.C., Gesù trascorse la sua infanzia e giovinezza nei territori della Giudea, che all’epoca era una provincia romana.
I vangeli ci hanno restituito testimonianza precise e dettagliate della sua attività di predicatore, esorcista e guaritore.
Secondo la religione cristiana Gesù è l’incarnazione di Dio sulla Terra, il suo Figlio, il Messia mandato a salvare gli uomini dal peccato.
I Vangeli raccontano la nascita di Gesù da Maria e Giuseppe, in una specie di stalla. Per adorare il Figlio di Dio sceso tra gli uomini, pare che siano arrivati a Betlemme alcuni regnanti da ogni parte del mondo (l’ascesa dei Re Magi). I Vangeli focalizzano poi l’attenzione sull’attività di predicazione di Gesù, che si svolge attraverso parabole, discorsi e miracoli.
L’operato di Gesù provocò un grande seguito tra la gente soprattutto fra i più poveri e diseredati. La sua breve vita termina con la morte sulla croce sul monte Golgota. Le autorità ebraiche riunite nel Sinedrio  chiesero che Gesù fosse crocifisso e la decisione finale spettò al prefetto romano Ponzio Pilato, tra l’anno 26 e il 36.

sabato 20 luglio 2013

L'ambiente del Nuovo Testamento di Massimo Capuozzo

Ai tempi di Gesù, il Giudaismo era assai più variegato di quanto non si presenti ai nostri giorni: esistevano, infatti, vari gruppi – diversi per costumi, credenze e interessi politici – spesso in aperto contrasto tra loro.
Se il centro religioso del giudaismo era il ricostruito Tempio di Gerusalemme, a esso si affianca l'istituzione delle sinagoghe, legata alla realtà della diaspora del popolo ebreo. Con la conquista, la distruzione e la deportazione degli abitanti prima del regno del Nord fra il 722 e il 721 a. C., poi di Gerusalemme nel 587, una parte della popolazione d'Israele e di Giuda fu condotta in terra straniera; un altro gruppo si era stabilito a Elefantina, nell'alto Egitto, alla fine del sec. V a. C. Sono le tracce più antiche che abbiamo di quella che si trasformò in un'importante catena di comunità giudaiche fuori della Palestina, per diventare poi, dopo la distruzione finale di Gerusalemme nel 135 d. C., la maggior parte del popolo ebraico.
Tale realtà diede luogo anche alla missione giudaica nel mondo pagano, cosicché a un giudaismo palestinese si aggiunge un giudaismo ellenistico con caratteristiche sue.
L'interpretazione e l'osservanza della Tôrāh, la Legge, ovvero i primi cinque libri della Bibbia, diventarono la preoccupazione fondamentale del giudaismo palestinese e ciò diede luogo, da un lato, alla costituzione di una classe d'interpreti della Legge, gli Scribi, alla produzione di complessi commentari della Scrittura e alla formazione di diverse correnti interpretative di cui le principali furono quelle dei Farisei e dei Sadducei; d'altro lato, l'osservanza della Legge produsse un rigoroso legalismo, che contraddistinse in maniera peculiare la religiosità giudaica. Un'ulteriore caratteristica di questa religiosità era data dalla sua dimensione escatologica, che si espresse tanto in un'attesa di tipo nazionalistico-messianico – portata a conseguenze rivoluzionarie, durante il periodo della dominazione romana, dal partito degli Zeloti – quanto nella speranza di una catastrofe cosmica, che trovava la propria espressione nella letteratura apocalittica.
Il giudaismo ellenistico era caratterizzato, oltre che dal suo esclusivismo etnico ed etico nei confronti del mondo circostante, dalla fusione che d'altra parte realizzò con la cultura filosofico-religiosa dell'ellenismo, donde si sviluppò un tipo di pensiero ebraico nuovo rispetto a quello espresso nella più antica tradizione biblica e nello stesso giudaismo palestinese.
Si osservino ora i gruppi che costituivano la magmatica composizione del giudaismo
·         sadducei erano i membri di un partito politico religioso attivo in Giudea dal sec. II a. C. fino alla distruzione di Gerusalemme nel 70 d. C.; questo partito, composto largamente dagli elementi più ricchi della popolazione, sacerdoti, mercanti e aristocratici, ebbe una notevole influenza sulla vita economica e politica al tempo degli ultimi re giudei, i Maccabei, e ancora più intensamente durante la dominazione romana del Paese. I Sadducei ripudiavano la tradizione orale, rifiutandosi di accettare un precetto che non fosse direttamente basato sulla Torah; non ammettevano la resurrezione dei morti e l'esistenza degli angeli e forse la stessa immortalità dell'anima e di conseguenza l'al di là. Furono più rigidi dei Farisei nell'applicazione della Legge e nella punizione dei crimini soggetti alla pena capitale. I Sadducei si opposero a qualsiasi innovazione anche nel culto sacrificale del Tempio di cui si considerarono i più rigidi e degni conservatori. Anche dal punto di vista teologico c’era differenza tra le due parti: i Sadducei cercavano di avvicinare Dio agli uomini in modo quasi antropomorfico, mentre i Farisei cercavano di elevare l'uomo verso un Dio più spirituale e trascendentale.
·         farisei erano i membri di un partito politico religioso attivo in Giudea tra il II secolo a. C. fino alla distruzione di Gerusalemme nel 70. Non numerosi, i Farisei diressero la loro azione verso le masse, alle quali cercarono d'infondere con spirito di santità gli insegnamenti religiosi tradizionali. I Farisei sostenevano, infatti, il principio d'evoluzione nelle decisioni legali e si dimostravano indulgenti e comprensivi a differenza dei Sadducei, rigidi e attaccati alla lettera del testo scritto. La loro dottrina fu protesa ad abbracciare l'intera vita della comunità, toccandone anche i fondamenti teologici. Il fariseismo, dando vigore alla moralità della legge e mostrando duttilità nel modo di osservare le norme, pose l'ebraismo in condizione di sopportare le vicissitudini e le innumerevoli tribolazioni dei secoli successivi e di riuscire a sopravvivere. La critica moderna ha corretto il giudizio che dei Farisei danno i Vangeli, rivendicando loro un vero spirito religioso. Dal punto di vista dottrinale, credevano in una vita ultraterrena e nella resurrezione dei morti.
·         Gli zeloti erano membri di una corrente politico-religiosa sorta e operante nel I secolo. Praticavano una severa osservanza della Legge, simile a quella dei sadducei e, conseguentemente, un acceso nazionalismo di orientamento messianico politico, che si tradusse nell'opposizione armata contro la dominazione romana della Palestina. Forse inizialmente organizzati da Giuda Galileo che capeggiò un'insurrezione di oltranzisti ebrei contro i Romani in occasione del censimento di Quirinio del 6. Il tentativo di Giuda, come il precedente di Teda, fallì ed egli fu ucciso. Gli zeloti assunsero l'iniziativa dell'insurrezione antiromana che si concluse con la distruzione di Gerusalemme del 70. Una seconda rivolta dal 132 al 135, sotto l'impero di Adriano, si risolse in un insuccesso. Praticavano una tenace resistenza armata contro i romani che occupavano la Palestina.
·         Una nota a parte meritano gli esseni, membri di un altro gruppo settario di tipo messianico, mai nominati nel Nuovo Testamento e diffuso, tra i secoli II a. C. e il I d. C. Il gruppo fu fondato da un sacerdote che, lasciata Gerusalemme, si era recato nel deserto, nei pressi del Mar Morto. Gli esseni vivevano raccolti in comunità di tipo monastico, cui si accedeva a pieno titolo dopo tre anni di noviziato: la vita comunitaria era retta da regole quali la rinuncia alla proprietà privata e, per lo meno nella maggior parte dei casi, al matrimonio. Nelle comunità era ammesso il lavoro agricolo e artigianale, ma si respingeva il commercio, e l'astensione dalla vita pubblica si concretava altresì nel rifiuto di esercitare il mestiere militare o di prestare giuramento. Le dottrine degli esseni, prevalentemente segrete, recano la traccia evidente d'influenze del pensiero orientale e di connessioni con il sincretismo religioso caratteristico dell'epoca, mentre il legame con il giudaismo palestinese si manifesta nella loro rigorosa osservanza della legge ebraica e del sabato, e nei loro contatti con il Tempio; grandissima importanza rivestivano inoltre le pratiche purificatorie e i pasti in comune, ai quali era attribuito un carattere sacramentale. Nuove prospettive sono state aperte allo studio sugli esseni che scomparvero dalla scena storica dopo il 70 d. C.
·         samaritani (abitanti della Samaria) che riconoscevano la sola Torah che interpretavano letteralmente e non esercitavano il culto del Tempio di Gerusalemme e anche se non consideravano i Profeti e gli Agiografi come testi sacri, credevano nel messia e nella resurrezione dei morti dopo il Giudizio Universale. Buona parte delle discordanze fra la versione samaritana del Pentateuco e quella giudaica mira peraltro a stabilire sul monte Garizim, anziché sul Monte del Tempio di Gerusalemme, il vero luogo del culto di Yahweh.
I terapeuti, numericamente meno rilevanti, erano i membri di una comunità giudaica di tipo monastico. La sede della comunità – composta da uomini e donne dediti a realizzare un ideale di vita ascetico e versati particolarmente nell'interpretazione allegorica dell'Antico Testamento – era in Egitto, presso Alessandria. I terapeuti erano affini in qualche misura agli Esseni.

martedì 2 luglio 2013

Il Ritratto d'uomo di Andrea del Castagno di Massimo Capuozzo

Il Ritratto d'uomo di Andrea del Castagno di Massimo Capuozzo

La nuova visione umanistico-rinascimentale impose l’affermazione del ritratto a mezzo busto di tre quarti, o in casi più rari, a figura intera – il Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan van Eyck datato 1434 o il Ritratto di cavaliere della casa della Rovere di Vittore Carpaccio, firmato e datato 1510 – in cui il personaggio risalta nella sua completezza e tridimensionalità in una più completa presa di possesso dello spazio e della volumetria.

Fra queste due opere si colloca il Ritratto d'uomo di Andrea del Castagno un dipinto autografo a tempera su tavola (54,2x40,4 cm), databile al 1450-1457 e conservato oggi nella National Gallery of Art di Washington, purtroppo estremamente poco studiato dalla critica.

La National Gallery of Art di Washington è uno dei musei più vasti e importanti del mondo, che copre, con le sue collezioni quasi settecento anni di storia dell'arte. La pinacoteca in particolare è la più vasta e completa degli Stati Uniti e, partendo dall'arte bizantina, arriva fino al XX secolo. La National Gallery of Art si formò essenzialmente grazie alle cospicue donazioni di privati, tra cui spiccano quelle di quattro grandi collezionisti americani: Andrew W. Mellon, Samuel H. Kress, Peter A. B. Widener e Chester Dale alle quali hanno fatto poi seguito, nel tempo, altre donazioni e acquisti.

L'opera, attribuita in genere all'ultima fase artistica di Andrea del Castagno, faceva probabilmente parte delle collezioni della famiglia Del Nero a Firenze, che nel XVIII secolo si fuse con i Torrigiani. Nel XIX secolo, fu venduta all'inglese Charles Fairfax Murray, che la immise nel mercato antiquario parigino e, nel 1907, fu acquistata da J. Pierpont Morgan un facoltoso banchiere e filantropo statunitense e trasportata a New York. Ceduta nel 1935 ad Andrew W. Mellon, giunse dopo la sua morte nel 1937 alla National Gallery di Washington tramite donazione.

Andrea di Bartolo nacque intorno al 1421 a Castagno, villaggio nel Mugello e la tradizione vorrebbe che messer Bernardetto de' Medici, proprietario di quei luoghi, nel vedere il ragazzo ritrarre uomini e animali, lo abbia condotto a Firenze e lo abbia posto a bottega da Paolo Uccello, uno dei i principali pittori del momento. Tuttavia non si sa nulla di preciso sulla sua formazione, ipoteticamente si possono fare i nomi di Fra Filippo Lippi e Paolo Uccello, come vorrebbe la tradizione, ma gli artisti che influenzarono sensibilmente lo suo sviluppo del più giovane Andrea furono Masaccio e Donatello per il carattere e per il senso drammatico. Con l'affermarsi della sua personalità artistica le tendenze di Andrea si trovarono in antitesi con quelle di questo sommo maestro del colore e della luce, a cui contrappose le ricerche degli effetti plastici e dei più arditi scorci attraverso la precisione del contorno, il vigore del chiaroscuro, la rigorosa prospettiva lineare, la solidità e nitidezza del colore rilevato da effetti di cangiantismo. Nel 1440, dopo la battaglia di Anghiari, Andrea dipinse, la sua opera più antica, ricordata dalle fonti ma perduta, gli affreschi sulla facciata del Palazzo del Podestà di Firenze, in cui sono raffigurati, impiccati simbolicamente, i membri della famiglia degli Albizzi e dei Peruzzi, colpevoli di tradimento dopo la battaglia di Anghiari. Da qui il soprannome di Andrea de gli Impiccati.

Nel 1442 Andrea era a Venezia dove, nella chiesa di San Zaccaria, eseguì gli affreschi in collaborazione con Francesco da Faenza, successivamente lavorò alla Basilica di San Marco lasciando un affresco con la Morte della Vergine (1442 - 1443).

Tornato a Firenze nel 1444, nel 1447 lavorò nel refettorio di Sant'Apollonia dove dipinse nella parte superiore: la Deposizione, la Crocifissione e la Resurrezione (scene molto rovinate, ma ancora leggibili). Nella parte inferiore dipinse l'Ultima Cena: la scena della rivelazione del tradimento si svolge in un ambiente ricco, caratterizzato dalla decorazione a tarsie marmoree e con richiami all'antico, vedi le due sfingi ai lati della tavolata, nella scena, scorciata con violenza, le figure, in pose pacate e solenni, si allineano seguendo il ritmo orizzontale della tavolata, e convergendo nel gruppo centrale formato dal Cristo, con alla sinistra Giovanni e da Giuda, che si trova seduto, diversamente dalle altre figure nella parte opposta della tavolata. Sempre per Sant'Apollonia dipinge in una lunetta del chiostro l'affresco con Cristo in Pietà sorretto da due angeli (di cui rimane anche la sinopia).

Tra il 1449 e il 1450 dipinge l'Assunta con i santi Giuliano e Miniato per la chiesa di San Miniato fra le Torri (ora a Berlino). In quegli anni lavora per Filippo Carducci alla serie degli Uomini e donne illustri (Villa Carducci di Legnaia)

Al 1450 circa fanno riferimento la Crocefissione di Londra; il David con la testa di Golia e appunto il Ritratto di uomo di Washington.

Il nobiluomo, del quale non si conosce l'identità, è ritratto di tre quarti, una posa molto rara per la ritrattistica italiana dell'epoca, della quale è l'esempio più antico conosciuto. Se nelle Fiandre, infatti, tale rappresentazione era consueta fin dagli anni trenta del XV secolo, nelle corti e nelle città italiane si preferivano ancora i ritratti di profilo, che rievocavano le effigi degli imperatori romani su medaglie e monete classiche come si è visto nelle opere del Pisanello e di Piero.

Il personaggio è raffigurato con una notevole individuazione fisiognomica ed è ritratto nel pieno della maturità, riccamente abbigliato, con una postura eretta e uno sguardo fiero che guarda direttamente lo spettatore. Lo sfondo è un cielo che schiarisce verso l'orizzonte. La luce, attraverso un sapiente uso del chiaroscuro, definisce con incisività le forme del soggetto fino a raggiungere esiti espressionistici e si sofferma a descrivere con minuzia le varie superfici incontrate, dalla morbida stoffa al lucido incarnato, fino alla massa scura dei capelli con un realismo cavilloso ed esasperato. Il rigore plastico è però attenuato da un'attenzione al disegno ed alla linea di contorno ben marcata, che si percepisce soprattutto nei tratti del volto, rivelando la matrice tipicamente fiorentina dell'opera.

Tra il gennaio 1451 e il settembre 1453, Andrea riprese gli affreschi delle Scene della vita della Vergine, lasciati incompiuti da Domenico Veneziano a Sant'Egidio ed oggi purtroppo perduti. A Ottobre Filippo Carducci gli commissionò gli affreschi per la sua villa a Soffiano, di cui rimangono Eva e una Madonna col Bambino molto lacunosa.

Nel 1455, lavorò alla chiesa della Santissima Annunziata (affreschi con Trinità san Gerolamo e due sante e San Giuliano e il Redentore). Di quegli anni dovrebbe essere l'affresco con la Crocifissione in sant'Apollonia.

Nel 1456 Andrea realizzò per il Duomo l'affresco con il Monumento equestre di Niccolò Mauruzi da Tolentino.

Andrea morì di peste il 19 agosto 1457.

Massimo Capuozzo

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