lunedì 14 marzo 2011

Sparta: Il destino di una città


A Paris, lo spartano


Straniero, annunzia agli Spartani

che qui giacciamo,

obbedendo alle loro leggi.

Sparta (o Lacedemone) è uno dei principali attori della storia della Grecia antica. Per i moderni però l'immagine della Grecia antica si confon­de troppo spesso con l'Atene del V seco­lo, trascurando sia il rigoglio geografico di stati greci, dal nord della Spagna fino al Mar Nero, sia la situazione storica. Per i greci il più grande stato fu Sparta che, du­rante un breve lasso di tempo, all'inizio del IV secolo, fu contemporaneamente una grande potenza terrestre, ciò che era stata fin dalla metà del VI sec., e una grande potenza navale, nel che cer­cava di sostituire Atene che aveva vinta.

Richiamiamo ra­pidamente, prima di passare allo studio più particolare di alcuni punti, le linee principali della storia spartana. Come in tutta la storia greca, le sue origini sono ad un tempo mitiche e radicate nel periodo miceneo. Esiste nel­la memoria dei gre­ci un regno sparta­no prima della guerra di Troia, dal momento che que­sta fu dichiarata per il ratto della regina di Sparta, la bella Elena. Ma i greci sapevano anche che i regni micenei erano scomparsi e che nuove popolazioni erano scese dal nord della Grecia verso il sud, mentre le popolazioni locali migravano altrove; ci vorrà qualche secolo per liquida­re la civiltà micenea e vederne emergere una nuova.

I miti raccontavano che nel Peloponneso erano discesi i dori, provenien­ti da una piccola zona di montagna a nord-est di Delfi, guidati dagli eraclidi, i discendenti di Eracle, l'eroe tebano, che aveva esercitato le sue virtù anche nel Peloponneso. Questi invasori, ripartiti in tre gruppi, avrebbero tirato a sorte la loro parte di territorio e avrebbero costituito i regni di Argo, di Laconia e di Messenia, nelle fertili pia­nure sui golfi aper­ti verso il mare di Creta (che fu anch'essa in parte popolata da dori).

Inutile dire che per questa epoca arcaica non abbia­mo vere nozioni storiche. Gli archeo­logi si sforzano di raccogliere dati, ma i materiali sono scarsi. In ogni mo­do, attraverso la ceramica (protogeo­metrica) vediamo effettivamente rinascere una civiltà sul suolo greco. A Spar­ta il sito di Arnicleo non deve essere mai stato abbandonato e, nel IX seco­lo, ci sono tracce di occupazione un po' più a nord, su ciò che diventerà l'a­cropoli di Sparta, con il santuario della dea della città che è Atena (come ad Atene).

Queste popolazioni in via di rin­novamento si spandono assai rapidamen­te, occupando molto presto uno spazio do­ve le terre fertili (vale a dire quelle che danno i cereali fondamentali, orzo e gra­no) sono rare, e cominciano a colonizza­re le terre coltivabili del nord del Medi­terraneo. È in quel momento che i lacedemoni prendono una via che li oriente­rà in un senso particolare; essi partecipano assai poco alla colonizzazione verso l'ovest e per niente a quella verso il nord-est; c'è che hanno trovato di meglio: una delle terre più fertili che essi conosceva­no si stendeva a portata di mano. Si impadroniscono dunque di questa terra, la Messenia, prima della fine dell'VIII secolo.

La data è confermata dalla fondazio­ne di Taranto, la cui storia è legata, per derivazione, a quella della conquista della Messenia, ed in ogni caso delle pianure a ovest del Taigeto. È possibile che le pia­nure costiere dell'ovest non siano state annesse che alla fine del VII secolo. La conquista della Messenia esige dagli spartiati l'elaborazione di strutture particolari e sufficientemente efficienti per permette­re il perpetuarsi della loro dominazione su genti che non erano facilmente assoggettabili. Le terre vengono coltivate a profitto degli spartiati dai messeni, ridotti a contadini dipendenti: gli iloti.

È senza dubbio in quel momento che gli spartiati elaborano i tratti principali di una civil­tà destinata a fare di loro il migliore esercito del mondo greco e, a titolo individuale, i migliori soldati, fisicamente e intellettualmente, dell'epoca. Verso la metà del VI secolo portano a termine la loro vittoria, prendendo ad Argo la costa orientale del Peloponneso e rinserrando la peniso­la in una rete di alleanze, raggruppando le città nella lega del Peloponneso, alla quale la sola Argo rifiuta di aderire. Ma i messeni conservano, lungo tutto l'arco della storia, una speranza di libertà che obbliga gli spartiati a sclerotizzarsi in strutture completamente militarizzate. Queste daranno prova del loro valore nel 480, quando sono gli spartiati che si fanno carico di dirigere la resistenza dei piccoli stati greci di fronte all'immenso esercito di Serse, re di Persia. Certamen­te i greci sono ben aiutati dall'intelligenza di Temistocle, che aveva dotato Atene di una flotta capace di tenere testa a quel­la persiana. Ma è la «lancia dorica», cioè la falange lacedemone, che riporterà il successo decisivo accettando di lottare contro le truppe scelte persiane a Platea e uccidendo il loro capo Mardonio, gene­ro di Serse e comandante dell'esercito in­vasore; non bisogna dimenticare che a quella data la fama militare dei persiani era terribile. Essi avevano appena sconvolto tutta la geografia politica dell'Orien­te, realizzando e mantenendo un immen­so impero dai Dardanelli all'Arabia e dall'Egitto all'India.

Ma per Sparta iniziano anni oscuri. I suoi problemi interni la obbligano a lasciare agli ateniesi il compito di finire di cacciare i persiani dalle terre greche. Gli ateniesi creano in quel frangente la lega di Delo, che sarà la base della loro potenza nel V secolo. Inoltre un movimento tellurico distrugge completamente Sparta (sembra nel 464) e gli iloti messeni ne approfittano per ribellarsi.

Gli spartiati riescono a conser­vare la Messenia, ma dopo aver dovuto permettere ai rivoltosi di andarsene, sen­za cioè averli potuti sterminare. La loro potenza declina nel corso del V secolo, durante il quale di fronte al dinamismo e al modernismo di Atene fanno sempre più la figura di una civiltà sorpassata. Ma l'imperialismo ateniese procura alla cit­tà parecchi nemici all'interno e all'ester­no della lega di Delo, cosicché finisce con lo scoppiare un conflitto che coinvolge an­che Sparta (malgrado il timore dei dirigenti spartani), a causa dell'intreccio de­gli interessi ateniesi e dei componenti ma­rittimi della lega del Peloponneso, Corinto e Megara.

La guerra dura dal 431 al 404, con una prima pace nel 421 a vantag­gio di Atene; ma quest'ultima si lancia nella disastrosa avventura della spedizione di Sicilia e perderà ben presto il suo vantaggio: finalmente Sparta ottiene la capitolazione di Atene nel 404.

La sua ora di gloria però non durerà a lungo. Dal 394 occorre che essa abban­doni le sue pretese sulla Grecia asiatica. Nel 371 il generale tebano Epaminonda spezza a Leuttra la falange spartana: la le­ga del Peloponneso si dissolve. Nell'inver­no 370-369 la Laconia è invasa ed Epami­nonda si impadronisce della Messenia e crea la piazzaforte di Itome, che garanti­sce la resistenza messenica a ogni ricon­quista. Il circuito delle mura di questa cit­tà, lungo circa dieci chilometri, fornisce ancora oggi uno dei più begli esempi di architettura militare che si possa vedere. Un determinato ordine sociale e politico è scomparso nel Peloponneso e non sarà mai più restaurato. Tuttavia Sparta conserva qualcosa del suo passato: sarà la so­la città a rifiutare di riconoscere il potere di Filippo il Macedone e a tentare una rivolta du­rante la spedizione di Alessandro Magno in Oriente.

Du­rante il III secolo, gli spartiati tenteranno addirittura di ristabilire il loro potere nel Peloponneso, ma un altro stato si è formato che contrappone a essi la sua ambizione locale, l'Acaia.

Contro Sparta, l'Acaia, mettendo da parte il desiderio di indipendenza, di volta in volta farà alleanza con i macedoni e con i romani; ma saranno questi ultimi a venire a capo del vecchio stato lacedemone, smantellandolo definitivamente e per­mettendo la sua inclusione nel­la confederazione achea: Sparta ne dovrà ormai seguire le leggi. Si tratta di uno smantellamento strut­turale molto più grave di una distruzione fisica.

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