lunedì 3 gennaio 2011

Giallo d’autore: Sheol di Marcello Fois di Annamaria Del Balzo di Altamura

Lo scrittore nuorese Marcello Fois (1960), bolognese di adozione ed esponente della “new wave” dei giovani “giallisti” italiani, ambienta le sue storie nei luoghi più diversi, dalla Sardegna d’inizio secolo dei primi romanzi, passando per Bologna e per il groviglio urbano che le ruota intorno, fino ad approdare a Roma in cui si svolge la storia narrata nel romanzo “Sheol”.
Sheol”, edito per la prima volta nel 1997 da Hobby & Work e riedito in versione riveduta nel 2004 da Einaudi, è un noir afferente alla migliore espressione della tradizione italiana, dove il “caso” ed il suo scioglimento sono solo un pretesto per indagare nei nodi nevralgici della società.
In “Sheol”, infatti, Roma, da semplice ambientazione, diventa protagonista della vicenda, una Roma appena tratteggiata e sfuocata, capitale d’Italia, sede di giochi di potere, di intrighi e di misteri evanescenti ed inafferrabili, in cui i piani temporali del passato e del presente si sovrappongono tanto che ciò che è successo cinquant’anni prima sembra essere accaduto invano e che la Storia inesorabilmente si ripeta.
In questa metropoli immensa e tentacolare, piena di contraddizioni, come tutte le metropoli del mondo, durante la campagna elettorale del 1993, l'ispettore Massei deve indagare sulla scomparsa di Luce Ancona, un’anziana e ricca signora appartenente alla comunità ebraica di Roma, un personaggio attivo che ruota intorno alla Sinagoga. Su questo “caso” la polizia inaspettatamente non compie indagini approfondite, apparentemente su pressione del marito della signora Ancona che, grazie alle sue influenti conoscenze, fa pressioni per mettere a tacere la vicenda. Questo della signora Ancona non è il primo caso di aggressioni alla comunità ebraica, nel clima arroventato che precede le elezioni e con la destra che avanza, mentre alcune voci accusano gli Ebrei di sfruttare politicamente la memoria della Shoah ed i nostalgici di Fascismo e Nazismo sembrano venire più liberamente allo scoperto.
L’epicentro della vicenda è una villa fuori Roma che fin dalle prime pagine sembra l’asse di rotazione di tutto il romanzo, nel 1993 come nel 1943: cinquant'anni prima, infatti, in quella stessa villa, una famiglia ebrea stava tentando di sfuggire alla deportazione.
Massei decide di indagare, nonostante il parere contrario del suo superiore, e le indagini lo conducono sulle tracce di tre naziskin, tre ragazzi di appena vent’anni, disadattati come tanti giovani d’oggi, anch’essi improvvisamente scomparsi nel nulla quel 4 Settembre, lo stesso giorno in cui è scomparsa la signora Ancona. A casa di uno dei tre, balzano alla vista i ritratti di Hitler e di Mussolini, la bandiera con la svastica attaccata ad una parete, riviste e cataloghi di armi e di difesa personale, distintivi del Terzo Reich, comprati a Porta Portese nella camera con la finestra sul polveroso campetto di una parrocchia di borgata.
In questa Roma, di cui il romanzo rinvia non tanto l’immagine oleografica quanto l’atmosfera noir, tra notti passate nelle braccia di prostitute, si muove l’ispettore Massei, al quale inizialmente era stata affidata l’indagine.
Ruben Massei è un ispettore della Squadra Mobile del Commissariato Zona Centro di Roma: cinquantenne ebreo di idee forse troppo progressiste, è un poliziotto attento e metodico, intimamente tormentato dai contrasti che vivono dentro di lui ed è schiacciato da un passato che egli vede nitidamente, ma di cui non riesce a dare interpretazione. Massei ha, infatti, parecchi conti aperti con se stesso, con un passato ambivalente e contraddittorio, e, quando quest’omicidio lo catapulta nel cuore della Comunità ebraica di Roma, deve fare i conti con un intrigo che affonda le radici nei tragici eventi del 1943, quando lo “Sheol”, il regno dei morti dell’Antico Testamento, accolse milioni di ombre, vittime della “shoah”.
Per lui venire a capo di questo mistero non significa solo lo svelamento del colpevole, ma significa anche e soprattutto affrontare tanti nodi irrisolti della sua anima: gli sviluppi successivi della vicenda lo costringono, infatti, a ripercorrere il suo passato, strettamente legato alle persecuzioni del 1943, seguendo il filo delle indagini come un segugio, a partire dalla Sinagoga che ne sembra l’ipocentro.
Tutta la vicenda si svela al lettore con gli occhi del protagonista, con il suo metodo di lavoro sempre in bilico tra logiche deduzioni e scelte irrazionali. La sua è un'indagine non autorizzata dalla quale, di fatto, è stato estromesso, ma Massei continua comunque ad indagare, a trovare indizi, a seguire false piste e soprattutto ad inseguire i fantasmi del suo passato. Massei segue ossessivamente quel caso perché gli parla di lui, delle sue radici, della sua storia privata e degli intrecci con l'altra Storia, quella di tutti, la grande Storia, confortato da un’unica verità: «che questo caso aveva provocato una rivoluzione nel suo mondo ordinato. Ma se l’era voluto lui quel caso, se l’era voluto lui soltanto». La sua famiglia era stata sterminata ad Auschwitz nel 1943, quando egli aveva meno di un anno ed era stato salvato dalla bontà di una coppia di gente comune che lo aveva fatto passare per il suo ultimo figlio e che come tale lo aveva allevato, sottraendolo a morte certa, poiché i suoi veri genitori, in quanto ebrei, erano stati deportati ed uccisi. Diventato adulto, questa sua storia personale trasforma Massei in un segugio sempre vigile, per rintracciare il suo passato del quale gli rimane questa incertezza, ma anche questo senso evidente di appartenenza alle sue radici. Tanto meglio se tutto questo provocherà una rivoluzione nel suo mondo maniacalmente ordinato, perché Massei è un poliziotto convinto e crede che "le parole non dormano" e che "le idee esigano una cura costante, a dispetto di tutto, a dispetto del pudore". Allora è molto meglio una verità che addolora, ma che almeno dà pace, soprattutto se questo imperativo categorico viene da qualcuno che proviene da molto lontano, dallo 'sheol', da un altro mondo, perché, come recita un versetto della Bibbia "lo Sheol, il regno dei morti, si commuove per te, aspetta il tuo arrivo; egli risveglia per te le ombre di tutti i monarchi della terra, fa alzare dai loro troni tutti i re delle popolazioni”. Ed in questo caso lo “Sheol” invoca Ruben Massei, nel quale il richiamo dall’esterno si combina con un richiamo interiore: alcuni biglietti con certi frammenti della Sacra scrittura gli sono misteriosamente lasciati ed in qualche modo sembrano guidarlo alla soluzione dell'enigma.
Con questi presupposti, Fois realizza un romanzo pregevolissimo, complesso e misterioso, dominato dalla figura di Massei e dalla sua contorta personalità che emergerà alla distanza, con lividi fasci di luce con cui Fois sapientemente illumina ed oscura la complessa psicologia del personaggio, la cui indagine è continuamente sospesa tra gli orrori del passato – con le proiezioni negli anni della deportazione degli ebrei che conferiscono "colore e calore" alla vicenda, proprio come succede al protagonista – e l’ambiguità del presente, in un groviglio di fatti che si svelano pian piano fino alla 'soluzione finale', in cui lo svelamento dell’omicidio è solo un pretesto narrativo per approfondire altre storie che non devono essere dimenticate, sebbene si parli di un caso del presente che deve essere risolto. In questo gioco cronologico di retrospettive sul passato i fatti si susseguono, dando origine ad una lettura che stimola e che quasi costringe alla riflessione: l'assassino avrà un volto ed un nome ed il fantasma di una memoria, troppo a lungo negata, assume un valore salvifico.
I capitoli si susseguono a lungo in un modo apparentemente slegato, in cui i due assi temporali passato e presente sono collegati solo dalla presenza di qualche cosa di ebraico che salda le due situazioni. Soltanto nell'ultima parte del romanzo, in un convulso epilogo, Fois riunifica le due storie, dimostrando l’impossibilità di considerare quel vergognoso momento dell'umanità del tutto passato ed irrilevante nel presente.
Di qui la lezione civile e morale del romanzo: la vita politica può continuamente subire il pericolo di attentati alla democrazia. Alcune forze alimentano di odio i giovani, ritengono legittima la violenza per imporre l'ordine che il nazismo aveva ipotizzato, nella sua assurda e lugubre “weltanschauung”: ora come allora, alcune menti perverse, guidano giovani esaltati a compiere ogni tipo di azione criminale, altri invece, pensando unicamente ad un interesse economico, consentono, pur essendone consapevoli, che tutto ciò avvenga.
Su questo terreno e con una siffatta umanità l'ispettore Massei si scontra per arrivare a capo di un groviglio: l’unica guida che lo conduce e che lo spinge sono i versetti biblici che appaiono sul suo cammino e che una mano sconosciuta gli aveva misteriosamente fatto giungere: lo ‘sheol.
Ottimo anche stilisticamente, l'interesse precipuo del romanzo va ricercato non tanto nel giallo in sé e per sé quanto nella descrizione dei personaggi e della loro psicologia – esemplari in tal senso la tenerissima e ostinata ricerca della verità di Massei e la lucida crudeltà del suo antagonista – e nelle rilevanti le rappresentazioni di fatti e di ambientazione – vale la pena ricordare le pagine di “Sheol”, in cui la descrizione della vita della famiglia Ancona durante la guerra e dei loro inutili e disperati tentativi di sfuggire alla barbarie nazi-fascista sono estremamente toccanti ed emozionanti, come agghiaccianti sono quelle pagine dedicate alla descrizione dello sterminio compiuto dai fascisti sulla famiglia Ancona, sebbene in queste ultime Fois si sia lasciato prendere la mano in una visione caricata di crudeltà assoluta.
Man mano che la vicenda progredisce, diventa sempre più tesa ed inquietante, mentre i fatti si susseguono incalzanti, fino a portare alla “soluzione finale” che affonda le sue radici in una vicenda di cinquant’anni prima. Solo allora gli occhi di Massei distinguono nitidamente l’immagine di una società in cui le parole hanno cambiato continuamente di significato e con questi cambiamenti di significato si sono svuotate dei valori pregnanti su cui si era basata la Repubblica italiana: la Resistenza è solo una guerra civile, l’Antifascismo è diventato un pretesto ed uno strumento di potere, la Libertà è diventata quella di tornare indietro e di poter dare un calcio alla storia. Sarebbe quindi riduttivo considerare Sheol un semplice "giallo": il Fois di “Sheol” non è mai modaiolo, soprattutto per la sua personale cifra stilistica crea un suo personalissimo stile.
Con i dialoghi, a volte troppo lunghi, Fois volutamente rallenta il ritmo narrativo ed in questo è opportuno ricordare il rapporto di filiazione, dichiarato dallo stesso Fois, nei riguardi di Gadda e di Buzzati: “Sheol è difatti piuttosto un tentativo di parlare del nostro passato prossimo e del presente attraverso il racconto ed in modo tale che simbolicamente il presente si interroghi sul passato per stimolare nel lettore un “feedback” in cui Massei, nella sua ostinata e compulsiva ricerca di chiarezza e di riflessione, esercita sul lettore una sorta di costringimento alla riflessione, facendolo identificare in lui.
Annamaria Del Balzo

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