venerdì 4 marzo 2011

Un nuovo luogo di cultura: le Università di Massimo Capuozzo


Alla mia alma mater,

l'Università degli Studi di Napoli,

nata per merito di Federico II nel 1224,

che reca come motto

Ad Scientiarum Haustum

et Seminarium Doctrinarum

che ho fatto mio.

Università che iniziarono a formarsi nei primi decenni del XII secolo furono la risposta alla crisi dovuta all'inadeguatezza di un insegnamento impartito esclusivamente sotto la sorveglianza delle autorità ecclesiastiche e la loro nascita segnò una svolta decisiva nel campo della diffusione della cultura, che cessò di essere riservata quasi esclusivamente agli ecclesiastici e cominciò a diffondersi anche presso i laici.

La nascita dell'Università segnò una rottura netta con la tipologia di istruzione superiore conosciuta nei secoli precedenti, contraddistinta dal ruolo preponderante esercitato dal clero, sia nelle scuole private, sia in quelle monastiche ed episcopali, che non erano più attrezzate ad accogliere la crescente domanda di istruzione e non offrivano le materie estese alle scienze profane, come il diritto, che in una stagione di risveglio commerciale, era sentito come necessità.

Caratterizzata da un'organizzazione istituzionalizzata, aperta a studenti di eterogenea provenienza ed estrazione sociale e finalizzata all'ottenimento di un titolo riconosciuto al di là dei confini locali, l'università è creazione del tutto originale che si inserisce perfettamente nel contesto di quella che Haskins ha assai appropriatamente definito "rinascita del XII secolo".

Gli studenti, detti goliardi, ed i professori risposero alla crisi riunendosi insieme in una specie di associazione o corporazione, detta per l'appunto “Universitas”, creando quelle scuole autonome che da allora chiamarono università, che si occupavano della didattica e dei più vari aspetti della struttura studentesca stessa, come piani di studio, prezzi dei libri, compensi dei docenti, alloggi, esenzioni, ecc.

Dal XIII secolo le Università si diffusero in Europa e le maggiori università si distinsero per qualche particolare disciplina.

In genere queste università erano strutturate con una differente articolazione interna degli studi, ma ciascuna ospitava, in genere, alcune di queste quattro facoltà: le Arti, quelle umanistiche del “trivio” e quelle "scientifiche" del “quadrivio”, e le tre facoltà superiori di Teologia, Diritto e Medicina.

La facoltà delle arti forniva un insegnamento di base centrato sulle sette arti liberali con maggiore interesse per la dialettica: con l'espressione Arti liberali si intendeva il curriculum di studi seguito dai “chierici” – nel Medioevo corrispondevano alle persone dedite ad attività intellettuali e culturali che si formavano all'interno della Chiesa e che, per potersi dedicare interamente alla loro vocazione intellettuale senza dover continuamente cercare un sostegno economico, si facevano istituire in uno degli ordini minori – prima di accedere agli studi universitari. Più in generale le arti liberali erano quelle attività dove era necessario un lavoro prettamente intellettuale, a fronte delle "arti meccaniche" che richiedevano lo sforzo fisico.

Il clima che si diffuse in queste università fu completamente differente da quello che si respirava nelle vecchie scuole vescovili.

I programmi di insegnamento erano ideati liberamente dai professori che, con l'aiuto degli studenti, preparavano anche libri di testo concepiti per una didattica pratica.

Le lezioni erano tenute in lingua latina, considerata allora la lingua della cultura ed ascoltate da allievi giunti da ogni parte attratti dalla fama dei maestri. Questi, prima di assumere l'incarico, dovevano prestare giuramento di fedeltà e impegnarsi a svolgere il proprio compito con il massimo rigore scientifico e morale e, ad un tempo, a difendere la libertà ed i privilegi dell'Università presso la quale operavano.

L'Università portò notevoli innovazioni anche sotto il profilo pedagogico: in queste sedi era, infatti, codificato il "metodo scolastico" degli studi superiori con cui lo studente era avviato a percorrere un cammino intellettuale preciso attraverso:

1. la “lectio” o lettura, tenuta spesso in locali di fortuna, consisteva non solo nella lettura-commento di opere degli autori fondamentali.

2. la “quaestio” o individuazione di problemi, in cui il maestro, sceglieva un tema.

3. la “disputatio” o disputa interpretativa, in cui il maestro dava l'incarico al suo assistente, o baccelliere, di presentarlo agli studenti e di rispondere alle loro argomentazioni.

4. la “determinatio” che rappresentava la sintesi finale della quale, soltanto il giorno successivo sintetizzava i temi delle discussioni del giorno precedente e esponeva la propria tesi.

Nelle università medievali il rapporto fra docenti e discenti era assai sfumato, non solo perché la disputa prevedeva la loro partecipazione, ma anche perché i maestri delle Arti erano spesso contemporaneamente studenti nella facoltà "superiore" di Teologia.

Nel clima di stimolante impegno culturale era riscoperta la cultura classica e nelle università si leggevano e commentavano le opere degli scrittori greci e latini.

Fra la fine del XII secolo e la fine del XIII, il movimento culturale delle Università si diffuse in una parte consistente dell'Europa e, nel 1300, vi erano già in Europa 15 università: cinque in Italia (Bologna, Padova, Napoli, Vercelli e lo Studium della curia romana), cinque in Francia (Parigi, Montpellier, Tolosa, Orléans e Angers), due in Inghilterra (Oxford e Cambridge), due in Spagna (Salamanca e Valladolid) e l'università di Lisbona, successivamente trasferita a Coimbra, in Portogallo.

Non si trattava però di istituzioni tra loro equivalenti: fino alla fine del Medioevo, anche quando il numero delle università crebbe notevolmente, quelle che non avevano solo una funzione locale, ma attiravano docenti e studenti da altri paesi europei erano poche; se ne possono individuare con una certa sicurezza sette: Bologna, Parigi, Montpellier, Oxford, Padova, Salamanca e Cambridge.

Nel XIII secolo però le autorità civili, i sovrani in Francia e Inghilterra, i magistrati comunali in Italia, cominciarono ad imporre il loro controllo sulle Università, diventate ormai corporazioni potenti e, malgrado la violenta reazione degli universitari, che ricorsero anche all'arma dello sciopero abbandonando le loro sedi, alla fine esse si videro sottrarre le loro autonomie. Emblematico è in tal senso la fondazione dell’Università di Napoli, nata nel 1224 su iniziativa di Federico II: tramite l'Università, l'imperatore svevo intendeva assicurarsi il controllo sulla formazione del personale amministrativo del suo Regno. Questo punto merita un approfondimento, in quanto rappresentativo di una futura tendenza: l'esempio di Federico II, infatti, fu immediatamente seguito dai pontefici, i quali si adoperarono per esercitare il controllo del sapere attraverso proprie fondazioni. Il papato mise le università sotto la propria protezione e giurisdizione, assicurando i privilegi giuridici ed economici degli universitari, ma la grande fase di discussione e di scontro intellettuale era ormai finita e l'intellettualità universitaria si indirizzava sempre più verso le carriere ecclesiastiche, tanto che in un suo saggio, Jacques Le Goff , dice «gli intellettuali dell'Occidente divengono, in una certa misura, ma senza alcun dubbio, degli agenti pontifici».

Risultato inevitabile di tale evoluzione fu che le università, durante il XIV secolo, entrando nell'orbita dei poteri pubblici, che stipendiavano direttamente i maestri, si snaturarono. L'università divenne un'istituzione al servizio del potere, e ciò influì sotto ogni profilo, dato che all'idea di studio e di ricerca si andò sostituendo quella della formazione professionale. Gli studi si abbreviarono e, al contempo, vengono pure socialmente ristretti: tasse e spese proibitive non consentirono più a tutti gli studenti di frequentare i corsi. Addirittura le esenzioni e le riduzioni toccarono solo ai parenti stretti dei dottori, trasformando la cultura in un bene di famiglia.

Evolvendosi in questo senso, l'università andò sempre più integrandosi alla società politica e religiosa e, di conseguenza, lo studio divenne sempre più appannaggio dei membri dell'aristocrazia.

Questo fu evidente soprattutto quando, in pieno fervore umanistico, gli esclusivi horti (= giardini) patrizi diventarono punti di riferimento imprescindibili per la ricerca.

Le cose cambiarono in modo sensibile anche sotto il profilo dell'insegnamento, dato che alla "democratica" lezione medievale - che si teneva in locali di fortuna e era incentrata su una sorta di rapporto di collaborazione tra maestri e studenti - si sostituì una conversazione riservata ad un circolo ristretto di intelligenze, in cui si farà profonda la distanza tra discente e docente.

Contemporaneamente, le università si articolarono maggiormente sotto il profilo organizzativo, dato che agli studenti, depositari di sempre meno potere, subentrarono nuove gerarchie burocratiche.

Nonostante questo manifesto mutamento, per non dire regresso, va constatato il primato che, durante il Rinascimento, l'università italiana riuscì a raggiungere, a livello europeo, una preponderanza insita nel contesto sociale che contraddistinse questo vivacissimo momento storico. La preminenza in campo universitario è insomma un riflesso di quella superiorità civile che fa guardare alla civiltà rinascimentale come a uno dei periodi di massimo splendore mai raggiunti dall'Uomo. Ruolo non secondario svolse la rivalutazione dell'antichità classica, la quale diede nuovo significato ai valori civili e umani.

Ciò non toglie comunque che, rispetto all'età medioevale, le principali università italiane, con gran parte dell'autonomia persero anche il proprio ruolo di centri di rinnovamento intellettuale. L'università non fu più all'avanguardia nel progresso culturale, e, indirettamente, lo testimonia il fatto che solo pochi dei più grandi intellettuali dell'età moderna, Bacone, Hobbes, Locke, Cartesio, Leibniz, furono docenti universitari.

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