mercoledì 7 maggio 2014

Il castello di Castellammare nel contesto delle fortificazione della costa dei monti Lattari. Di Gerry D'Aniello

Nel percorrere il territorio dei monti Lattari, delimitato dalla valle del Sarno e dalle due coste sorrentina e amalfitana, non è difficile imbattersi in castelli o in torri di fortificazione di diversa dimensione e consistenza. Talvolta solo qualche pietra ricorda al visitatore che in quel luogo vi fu un castello o una torre poiché l’opera distruttrice dell’uomo complice di quella dissolutrice del tempo, ben poco ha lasciato di questo genere architettonico.
Se qualcosa rimane è dovuto all’interessamento di pochi che desiderano tenere in vita queste vestigia del passato sia per ricordare le proprie origini, sia affinché non sia dimenticata la storia dei paesi e dei luoghi.
Nel trattare questo tipo di architettura, la Storia ne diventa parte integrante e primaria, in quanto la vita di quel castello o di quella torre è impregnata, oltre che motivata, dalla storia dell’abitato essi che dominano. Queste architetture, feudali o prefeudali, furono erette in luoghi la cui posizione facilitasse l’osservazione e la difesa e, per questi motivi, ogni edificio fortificato era munito di torri e di mura di cinta.
Le fortificazioni del periodo bizantino longobardo hanno grandissimo interesse sebbene esse utilizzino materiale romano di epoca imperiale che a volte servì alla strutturazione statica e fondamentale. Le imprese barbaresche –, antica denominazione dell'Africa nordoccidentale, dalla Libia al Marocco attuali –, e le scorrerie saracene provenienti dalla Sicilia sulle coste tirreniche costrinsero gli abitanti a crearsi una linea difensiva. Ma non furono solo gli arabi a determinare da noi la nascita di castelli e di torri: le continue lotte fra Longobardi e Bizantini spinsero questi ultimi a costruire castelli di difesa per le incontinenze dei Longobardi. Fin dal IX secolo gli abitanti di Amalfi, Sorrento, Napoli e Gaeta si organizzarono per opporre una consistente difesa contro i pericoli che venivano e da terra, i longobardi, e da mare i barbareschi, che, oltre a depredarli di ricchezze e di masserizie conducevano con sé in schiavitù tutti quelli che riuscivano a far prigionieri.
Trentaquattro torri costiere munivano ventisette miglia di coste da Vietri sul mare a Castellammare di Stabia: questo stuolo di torri costiere racconta pagine di terrore e di devastazioni, di scorrerie e di sacrilegi, quando le flotte barbaresche infestavano le coste dei monti Lattari ed erano una maledizione più terrificante di pestilenze e di carestie. Le tracce delle fortificazioni amalfitane del X e XI secolo purtroppo non esistono più, ma resistono, nonostante le stratificazioni successive, gli originari coni murati edificati dagli Angioini nel XIII secolo, le prime torri del XVI secolo, erette da don Pedro di Toledo, che risentono dello stile architettonico del tardo medioevo. Queste torri, con i relativi castelli dell’entroterra, raccontano sciagure indescrivibili e storie avventurose.
Dopo la discesa dei Normanni nel XII secolo iniziò la costruzione di opere di notevole interesse come muri verticali, cortine ricche di merlature e principalmente di torri anche se non ancora di tipo cilindrico: il popolo cominciava a stringersi intorno a questi luoghi fortificati, perché castelli e torri nel momento del bisogno diventavano delle fortezze in cui il castellano accoglieva il suo popolo per proteggerlo. Durante il periodo normanno, nonostante la linea cilindrica fosse già conosciuta, si continuò a preferire la torre quadrangolare mentre quella cilindrica si diffuse soprattutto in età angioina.
Con i Normanni si affermò anche nel Mezzogiorno l’istituzione feudale: il signore del feudo doveva provvedere a guardarsi da sé i suoi possedimenti e coloro che vi erano soggetti a lui, poiché non sempre l’autorità sovrana si intrometteva in beghe locali.
Nel XII secolo castelli confermarono una configurazione principalmente militare, lungo la spiaggia o su un’altura e i loro sistemi di fortificazione si basavano sulle mura di cinta, sulla torre più alta e fortificata, che era il mastio, mentre avevano scarso rilievo gli appartamenti privati dei signori che di solito rappresentavano la parte meno importante del maniero. Abbondavano invece locali per la servitù e per la guardia al castello mentre i piani superiori erano adibiti ad armerie. Il vasto cortile del maniero era una specie di piazza d’armi, per le esercitazioni militari.
Verso la fine del XV secolo, quando apparvero le prime armi da fuoco,  si effettuarono le prime modifiche alle torri ai bastioni alle mura di cinta: il castello guadagnò quindi importanza per quanto riguardava le fortificazioni.
Se le esperienze vissute nei periodi normanno, svevo ed angioino come le scorrerie barbaresche ed i saccheggi che i vari feudi avevano dovuto subire, avevano indotto a costruire torri e castelli, quell’anarchia feudale che si sviluppò nel periodo angioino e continuò in quello aragonese diede ancora maggiore rilievo a queste fortezze: i baroni del regno di Napoli, insuperbiti dall’indipendenza quasi totale acquistata durante il debole regno di Giovanna I d’Angiò e nel breve periodo della monarchia durazzesca, si unirono contro Ferrante d’Aragona in una congiura nota appunto come Congiura dei Baroni. L’energico re, con l’aiuto del figlio Alfonso, soffocò nel sangue la ribellione: allora molti castelli furono tolti ai loro signori che furono ammazzati o scacciati dal regno. Questi ultimi in Francia militarono fra le file dei seguaci di Carlo VIII e ritornarono da vincitori dopo la sconfitta degli aragonesi.
Quando nel XVI secolo la minaccia delle incursioni si riacutizzò, lungo le coste furono costruite torri alcune delle quali ancora esistenti e furono rafforzate le mura e le porte delle città. Per difendere la popolazione dal flagello delle navi corsare che portavano morte, dolore e distruzione ovunque, il viceré don Pedro de Toledo intensificò la costruzione di queste opere di architettura militare. Alcune di queste torri furono costruite anche da privati e dalle Università: la forma di queste ultime era per lo più cilindrica, mentre erano di preferenza quadrate e di una certa mole quelle vicereali. Fra le torri costiere e i castelli, vi erano delle guardiole che fungevano da collegamento tra le une e gli altri. Questi posti di osservazione erano guardati da armigeri e comandati dai cosiddetti torrieri.

Il Castello a Mare, dal quale Castellammare trae il nome, sorge tra le attuali frazioni di Pozzano e Fratte, a circa cento metri di altitudine sul mare alle spalle dei contrafforti del Faito, imponenti duomi di rocce che si innalzano verticalmente fino a 650 metri.
Il Castello sorse a guardia del ristretto tratto di costa soltanto attraverso il quale – l'impervia montagna ed il mare – sarebbe potuto transitare un esercito per inoltrarsi nella Penisola Sorrentina.

Sulle origini di questo castello non esistono dati certi. Dalla sola documentazione storica – vecchi manoscritti d'epoca – riesce difficile definire con certezza il periodo della sua fondazione, ma si sono fatte alcune supposizioni: i primi studiosi collocarono il periodo della sua costruzione durante la dominazione angioina, in particolar modo sotto il regno di Carlo I d'Angiò e proprio per questo motivo la struttura è erroneamente chiamata castello angioino, ormai di uso comune. Tuttavia questa ipotesi è stata scartata, in quanto, in quel periodo, la fortificazione era già esistente, infatti, in un documento datato 15 novembre 1086, la struttura è citata con la dicitura di Castello da Mare; anche  l'ipotesi che la sua fondazione fosse dovuta a Federico II di Svevia (1197-1250) è stata rigettata, poiché in un documento sull'amministrazione dei castelli del periodo svevo, era nominato come Castrum Maris de Surrento e bisognoso di urgenti riparazioni. Alla luce delle più recenti scoperte storiche, è possibile ipotizzare che il castello stabiese sia stato costruito per volere del Duca bizantino di Sorrento, come posto di guardia, ai confini del suo dominio.

Quest'ultima teoria è rafforzata dagli studi di Cortese, pubblicati nel 1928 – Il Ducato di Sorrento e Stabia ed il suo territorium – in cui è formulata l'ipotesi che il castello sia stato edificato per volere del Duca di Sorrento, con il chiaro intento di fortificare i confini del proprio Ducato. Durante la sua prima fase di vita, il castello ebbe un carattere esclusivamente militare e neppure un piccolo villaggio nacque nelle immediate vicinanze poiché l'intera popolazione dell'antica Stabia, minacciata dalle incursioni operate dal vicino ducato longobardo, trovava rifugio sui monti Lattari.
In seguito il Castello del Duca fu visto dalle genti come garanzia di salvezza, luogo di rifugio, e iniziò così a svilupparsi un nucleo abitato ai piedi della fortificazione.
Il castello fu poi restaurato e rinforzato, dapprima da Federico II, poi da Carlo I d'Angiò, poi ancora da Alfonso I d'Aragona, autore quest'ultimo anche della Torre Alfonsina di notevole mole che un tempo si ergeva nell'odierno piazzale antistante l'invaso di Fontana Grande ed era collegata al castello grazie a un camminamento che correva sulla muraglia.

Il Castrum de Stabiis ad Mare era il caposaldo di un complesso sistema difensivo comprendente tra l'altro i castelli di Gragnano, Lettere, Pino e Pimonte ed aveva diverse torri dislocate sul terreno antistante quella che sorgeva sul lido.
Nel corso di quattro secoli – dall’XI al XV – il Castello subì varie trasformazioni imposte dall'evolversi delle diverse tecniche dell'arte della guerra.
L'aspetto odierno gli viene dall'ultima trasformazione subita nel 1470, per rendere il fortilizio atto a sostenere gli attacchi delle artiglierie. Al XV secolo ed anche alla prima metà del XVI risalgono, infatti, quei contrafforti scarpati di rinforzo ai basamenti delle preesistenti torri, inoltre, fu aggiunto il rivellino bastionato prospiciente il fossato esterno colmo d'acqua per la collocazione delle bocche di fuoco.
Nel secolo XV, per la strategia ad ampio raggio ed a sostegno della dislocazione dei navigli e delle flotte in mare, la fortezza di Castellammare non era di poco conto, tanto da essere inserita nella Cronaca Napoletana figurata del '400 edita a cura del Filangieri di Candida.
Nell’ottobre 1459 il castello fu ceduto a Giovanni II di Lorena, figlio di Renato d’Angiò: al tempo della Congiura dei Baroni, la rocca fu stranamente consegnata senza alcuna resistenza dal castellano, il catalano Gaillard, alle truppe di Giovanni, lo stesso Gaillard difese poi, valorosamente e vittoriosamente il Castello nel 1461 per gli Angiò, contro Antonio Piccolomini, Duca di Amalfi, che aveva vinto, alle foci del Sarno, gli armati angioini ed aveva occupato il 23 ottobre la città.
A questo episodio si collega la leggenda della dama vestita di rosso: diverse persone raccontano di aver sentito strani rumori provenire dalla struttura ed alcuni dicono di aver visto manifestarsi all’ingresso la figura di una donna vestita di rosso porpora e dai lunghi capelli neri come fosse in attesa di qualcuno. Una presenza che sarebbe riconducibile ad un episodio storico accaduto nel 1459, ai tempi della Congiura dei Baroni: questa castellana, il cui nome pare essersi perduto nel tempo, aprì le porte del castello difeso Gaillard alle truppe di Giovanni d’Angiò, figlio di Renato, che in tal modo poterono conquistarlo senza subire perdite. Pare che la donna si fosse innamorata di uno dei cavalieri che militavano tra gli assalitori e che, probabilmente, l’aveva incoraggiata per raggiungere il proprio scopo, al punto di riuscire ad aprire un varco nel cuore di una castellana e una breccia tra le mura del Castello. Ma in seguito, ottenuto quello che desiderava, il cavaliere respinse le sue attenzioni, lasciandola in un profondo stato di disperazione.  Rifiutata ed evitata da tutti a causa del suo tradimento, si avvelenò poco tempo dopo.
Durante il conflitto fra francesi e spagnoli, Castellammare fu saccheggiata e distrutta, ma fu ricostruita per ordine di Carlo V che volle darla in dote a sua figlia naturale Margherita d’Austria che nel 1538 sposava Ottavio Farnese: da allora Castellammare fu feudo dei Farnese e questa famiglia vi mise il suo governatore, con una guarnigione mercenaria insediata nel Castello. La prigione, ricavata nel basamento del mastio fu uno degli strumenti più persuasivi dell'amministrazione dei vari Governatori ed il suo nome La Papiria emerge foscamente dai documenti di archivio.
Nel XVII secolo, Castellammare era una vera e propria città ed il Castello, ormai superato strumento di guerra, perse la sua originaria funzione di fortezza idonea a prestare rifugio agli abitanti, in caso di pericolo:  nel corso degli anni successivi, il Castello fu definitivamente abbandonato, anche in conseguenza delle mutate strategie politiche della Corona di Spagna nel Viceregno, che mirava alla neutralizzazione politica dei feudatari.

Nel secolo XVIII, il Castello fu abbandonato a se stesso: lo sgretolamento delle vecchie pietre e dei vecchi merli, il prorompere dalle mura dirute, di una selvaggia flora spontanea, diedero al castello quell'aspetto romantico che divenne la nota dominante del paesaggio di Castellammare. L'aspetto di vecchio maniero diroccato e la sua posizione panoramica sul golfo di Napoli ispirarono artisti del calibro di Anton Sminck van Pitloo, Teodoro Duclère, Achille Pinelli, Giacinto Gigante e molti altri appartenenti alla scuola di Posillipo, da Giuseppe Carelli ad Errico Gaeta, che lo ritrassero nelle loro opere. In questo modo il Castello continuò, per circa due secoli a vivere sub specie artis nelle opere degli artisti, conquistandosi un suo posto tra i paesaggi celebrati dell'arte.
Agli inizi del XX secolo il castello diventò proprietà del marchese Ala Ponzone di Verona. Il prof. Catello Longobardi, nella sua opera Il Castello medioevale e le antiche fortificazioni di Castellammare di Stabia, pubblicata nel 1929, descriveva in questo modo i resti del castello: «È costruito con pietra calcarea e tufo litoide, a pianta trapezoidale, con un torrione e due baluardi cilindrici, uniti da salde muraglie, un tempo, forse, merlate, ed ora diroccate nella maggior parte. I baluardi hanno, alla sommità, un piano aggettante su un coronamento di archetti e beccatelli; il torrione è rafforzato col barbacane alla base e, nella parte superiore, con una fitta cornice di modiglioni di piperno, che, evidentemente, in origine, sostenevano un piano con piombatoi. All'interno della mole si osserva una buca, attraverso la quale per lubrici scalini, si passa da una balza all'altra; nascosti da una vegetazione lussureggiante s'intravedono dei camminamenti sotterranei, che, senza dubbio, comunicavano con l'altra torre, giù, poco distante dal mare.»
Questo è quello che aveva visto nel 1930 anche Edoardo de Martino: un rudere di cui rimanevano solo le torri ed il perimetro esterno a pianta triangolare, mentre l'interno era completamente sprofondato. De Martino lo comprò e l'anno successivo diede inizio ai lavori di restauro e di ricostruzione sotto la guida e su disegni del prof. Gino Chierici, l'allora soprintendente all'Arte Medioevale e Moderna della Campania, cercando di mantenere per lo più le stesse linee e stile dell'originale.
Occupato dalle truppe inglesi durante la seconda guerra mondiale, il castello fu oggetto di un secondo restauro per riparare i danni apportati, a partire dal 1956, restauro che terminò solamente dodici anni dopo. Sia la ricostruzione sia il seguente restauro, e anche la continua e puntuale manutenzione sono stati e sono tutt'ora compiuti con grande dedizione e notevoli sacrifici finanziari da privati per un edificio altrimenti destinato alla definitiva rovina.
Oggi il castello è di proprietà privata, per cui lo si può ammirare esclusivamente dall'esterno ed è utilizzato per ricevimenti e meeting.
Si è fatto riferimento al castello di Pino che ebbe il suo momento d’oro nel periodo della Repubblica di Amalfi, perché costituiva una delle più sicure difese delle vie di comunicazione degli amalfitani. All’inizio del periodo angioino, venuto meno il ruolo politico ed economico di Amalfi, il baricentro economico iniziò gradualmente a spostarsi verso Castellammare. Questi cambiamenti misero in crisi l’abitato di Pino: sulla via di valico controllata dal castello andava infatti sempre più diminuendo il flusso di uomini e merci, tanto che dal villaggio, nel corso del XIV secolo, le più importanti famiglie si spostarono nei vicini centri di Pimonte, Gragnano e Castellammare. Il villaggio andò così incontro ad una lenta agonia che si concluse con il totale abbandono agli inizi del XV secolo, mentre le sue strutture iniziavano lentamente a degradarsi.
Per quanto riguarda il castello di Pimonte esso risale alla metà del 1200. La creazione di questa struttura non è riconducibile come i castelli di Pino Lettere e Gragnano all’epoca del Ducato amalfitano: esso fu solo un semplice recinto fortificato in cui c’erano solo gli alloggi dei soldati addetti alla difesa. Costruito in un’ottima posizione strategica all’estremità della collina del Belvedere, un rialzo silenzioso e ventilato a circa 550 metri sul livello del mare, il castello era in contatto visivo con i castelli di Pino, Lettere e Gragnano, aveva una sola torre il cui rudere è ancora visibile, e la pianta rettangolare della fabbrica rivela una struttura alquanto tozza con un solo ingresso nell’angolo sud ovest del recinto. Nell’angolo sud-est delle mura è conservata la parte bassa di una torretta di forma troncoconica. Dotato di strutture difensive ormai del tutto inadeguate a sostenere l’urto delle artiglierie d’assedio, prima della metà del XVI secolo, questo castello fu destinato ad altro uso.

Per quanto riguarda il castello di Lettere precedentemente menzionato, esso sorge su un lembo di un colle quasi a picco e di salita ardua. Dal castello si controlla un ampio spazio che comprende parte di Nola, Pompei, Stabia e Gragnano Torre Annunziata e lo scoglio di Rovigliano. Anche il Castello di Lettere è legato alla storia di Amalfi, essendosi resa indipendente dal ducato di Napoli nel secolo IX, estese il proprio dominio sui monti Lattari e qui vi costruì una torre denominata Torre di patria che significò confine dello Stato Amalfitano con una torre sul monte. La torre, situata dov’è l’attuale castello, fu il primo elemento costruttivo dell’edificio stesso. Edificata nel IX secolo in stile Arabo-Amalfitano, fu fortificata con mura composte da sassi e rari frammenti di cotto uniti disordinatamente, che sono perdurate nelle costruzioni future, e fu guarnita di guardie.

Gli Amalfitani intuirono a tal punto l’importanza strategica di questo poggio che domina la valle del Sarno, da trasformare la torre in castello con l’aiuto degli abitanti del luogo e lo resero inespugnabile, perché fortificato con solide mura, munite di guardiole e torciere. In tempo di pace, il castello agevolava le vie del commercio tra Amalfi, Napoli e i paesi limitrofi; in tempo di guerra, proteggeva il territorio Amalfitano, dalle incursioni provenienti dalla pianura.
Intorno al castello vi erano i casali che avevano contribuito alla costruzione del castello allo scopo di rifugiarsi in tempo di guerra.
La preminenza del castello di Lettere rispetto a quelli di Pino e di Gragnano, anch’essi edificati dagli Amalfitani, è dimostrata dal fatto che soltanto Lettere nel secolo X fu elevata a sede vescovile. Il castello di Lettere subì il definitivo ritocco tra il 1268 e il 1272 ad opera degli angioini: a tal scopo fu costruita la Strada degli Angioini a Fuscoli, proprio per la manutenzione di quel castello ritoccato anche a spese degli stessi abitanti del luogo.

La sua pianta presenta una forma rettangolare di lati non uguali, la cui cinta è intervallata da torri e la porta d’uscita è inaccessibile. Questa fortezza turrita ha una gran base che poggia inclinata e delle mura larghe circa 50 cm. Martellato dal tempo, rimane oggi scoperchiato e merli e feritoie s’intravedono ancora fra le mura e si può ancora notare una piccola cappella privata affrescata nel XV secolo, ultimo vestigio d’abitabilità e funzionalità del castello sotto i Miroballo; le tracce degli intonaci e dell’arredo interno è svanito per sempre e all’interno non rimangono che cumuli di pietre.
Una volta questo forte racchiudeva anche l’antica cattedrale ed è pur vero che questo antico castello, pur abbattuto dal tempo, somiglia a quei colossi che, pur frantumati, destano tuttavia le meraviglie degli uomini guardando nelle membra gigantesche.
Di questi baluardi dell’antica feudalità non rimane che il ricordo di feroci delitti che vi si consumavano.
Gerardo D'Aniello

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