venerdì 2 maggio 2014

Ravello e la sua Cattedrale: note medievali di Vincenzo Matrone

Situata a ridosso di Amalfi, sulle ultime propaggini dei monti Lattari, le origini di Ravello, al pari di quelle delle altre località della costa amalfitana, si devono mettere in relazione con le vicende che, tra i secoli IV e VI, tra la fine dell’Impero Romano d’Occidente e l’inizio di quello d’Oriente, spinsero molti abitanti della Campania ad abbandonare le proprie città della pianura, ormai insicure a causa di pericoli delle guerre e delle devastazioni barbariche, per cercare rifugio e sicurezza tra queste aspre e protette balze dei Monti Lattari, ricchi di acque e di vegetazione. A tal proposito Aurelio Cassiodoro sottolineava l'effetto salutare del latte prodotto in questi luoghi, dovuto alla salubrità dell'aria ed alla fecondità del suolo, in grado di produrre erbe di dolcissime qualità.
Molti studiosi hanno fatto derivare il toponimo Ravello da una presunta ribellione alle leggi della repubblica amalfitana; in realtà le origini del nome vanno ricercate in un radicale pre-indoeuropeo Grav, che collegato alla sua base Karra, pietra, dirupo, starebbe ad indicare un luogo che ha forte pendenza, specificando la collocazione geografica della città.
Per tutto l'Alto Medioevo fino dall’XI secolo Ravello seguì le sorti del Ducato di Amalfi di cui era parte integrante, una repubblica di astuti mercanti, in grado di stabilire intensi rapporti commerciali con l’Oriente arabo e bizantino, dove confluivano gli aromi, le spezie, le stoffe, le droghe e gli altri prodotti provenienti dal continente asiatico. La stessa documentazione archeologica è laconica e limitata a due soli reperti scultorei, un pluteo degli inizi del X secolo del Museo del Duomo di Ravello e un capitello a stampella, databile al IX secolo, nella chiesa di San Giovanni a Campodonico, uno dei borghi di Scala. Di importazione sono invece un capitello costantinopolitano del  VI secolo, presso l'Albergo Caruso Belvedere di Ravello, e molti materiali di spoglio di età classica, ampiamente riutilizzati negli edifici sacri e civili dall'età romanica in avanti, a lungo ritenuti spia di un'attiva presenza romana in costiera.
Già nel X secolo il territorio ravellese era punteggiato di luoghi di culto: sono attestati il monastero benedettino della SS. Trinità, che un'antica tradizione vuole fondato da Francone Rogadeo nel 944, e il monastero di San Trifone; rispettivamente al 1020 e al 1039 sono documentate la chiesa di Sant’Eustachio  e la chiesa di Sant’Angelo.
Dal punto di vista urbanistico anche l’insediamento di Ravello – diviso da quello di Scala da un profondo vallone percorso dal torrente Reginola – si configurava come un agglomerato formato da un nucleo principale di modesta entità e da borghi sparsi, intervallati da ampie zone a verde, destinate gradualmente ad assottigliarsi con la progressiva saldatura dell'abitato imposta dall'incremento demografico. Cinto da mura dove non era possibile sfruttare le naturali difese del terreno, il centro era protetto da torri e castelli: nel territorio di Ravello sorgevano i castelli di Sopramonte, di Montalto e di Fratta che, alla fine del Duecento, risultava collegato all'abitato mediante un muro.
La storia di Ravello acquista un suo autonomo spessore solo all'indomani della conquista normanna, anche per effetto della rapida ascesa economica dei ravellesi, non compromessa dai rovinosi saccheggi subiti a opera dei Pisani nel 1135 e nel 1137. Durante i secoli XI-XIV si assistette all’ascesa economica della città grazie ai traffici marittimi che favorirono l’ascesa di una nuova aristocrazia sostenuta sia dai sovrani normanni – grazie ai quali Ravello nel 1087 divenne sede vescovile ad opera di papa Vittore III, scorporandola dall'arcidiocesi di Amalfi, con il privilegio dell'immediata soggezione alla Santa Sede – sia da quelli svevi ed angioini.
L'accumulo di risorse finanziarie, assicurato sia dal cospicuo incremento delle attività mercantili, almeno fino alla guerra del Vespro, sia dall'ampio coinvolgimento delle famiglie locali nell'amministrazione finanziaria del regno sotto gli Svevi e i primi sovrani angioini, alimentò un'intensa attività artistica, finalizzata a soddisfare in primo luogo le richieste della Chiesa, ma anche le esigenze di lusso e di autorappresentazione di un ceto aristocratico particolarmente sensibile, per consuetudini di vita, alle raffinatezze del mondo arabo e bizantino. La città era caratterizzata da un nucleo urbano densamente popolato, dove sorgevano palazzi, chiese, botteghe e giardini, circondato da tre ordini di mura, al di fuori delle quali si estendevano i casali rurali con case coloniche e terreni coltivati. Quel che sopravvive è sufficiente per apprezzare la peculiarità e insieme la sceltezza degli orientamenti artistici in auge nell'intero comprensorio. I caratteri latini dell'architettura campana, ispirata al modello cassinese, manifesti nella ripetuta adozione, nel corso dei secoli XI e XII, dell'impianto basilicale tripartito da colonne, spesso provvisto di transetto, si combinano in feconda sintesi con soluzioni tettoniche (cupola, volte nervate ed extradossate, valichi a sesto acuto su alti piedritti) e modalità decorative (tarsie murarie, archi intrecciati bicromi) ispirate a esperienze diffuse nel bacino del Mediterraneo meridionale e orientale. Alcuni di questi elementi, mirabilmente adattati alla natura dei luoghi e alle nuove funzioni, costituiscono gli aspetti di maggior significato estetico delle numerose e celebrate dimore del patriziato locale: palazzi Confalone e d'Afflitto. Il capolavoro dell'edilizia civile è rappresentato dalla Villa Rufolo, innalzata tra il 1270 e il 1280 e concepita, alla maniera araba, come un complesso di varie unità raccordate da un giardino di delizie.
Sul finire dell'XI secolo nel 1087 fu edificato il Duomo, cattedrale della diocesi, fondato dal vescovo Papicio, forse con le sovvenzioni del ricco mercante Nicolò Rufolo e dedicato a Santa Maria Assunta: si tratta di una basilica di derivazione benedettino-cassinese con tre navate, scandite da un doppio colonnato, transetto sopraelevato per la presenza di una sottostante cripta ed absidi estradossate.
Inserito dal 1941 nell’Albo dei Monumenti Nazionali, il Duomo domina l’omonima piazza di Ravello e sorge a poche centinaia di metri da Villa Rufolo.
Nonostante gli interventi subiti nel corso dei secoli, il Duomo non ha perso la sua struttura basilicale che richiama l’architettura utilizzata nella costruzione dell’Abbazia di Montecassino.
Nonostante i restauri e le manomissioni l'edificio conserva ancora la struttura basilicale derivata dal prototipo cassinese.
La facciata conserva la struttura a salienti ed è aperta da tre portali i cui stipiti ed architravi sono costituiti da pezzi romani provenienti dalle rovine delle ville che costellavano la zona.
Al suo fianco sorge il campanile, a due piani, edificato nel corso del XIII secolo. Il campanile è aperto dalle tipiche bifore molto slanciate sottolineate da elementi in cotto e la sua sommità è decorata con una finta loggia ad archi in tufo intrecciati su colonnine in marmo bianco.
La porta centrale di bronzo, opera di Barisano da Trani, è datata 1179. La porta di bronzo, donata dal nobile ravellese Sergio Muscettola ed eseguita da Barisano da Trani nel 1179, è costituita da due battenti in legno su cui sono affisse in maniera quasi speculare 80 formelle, di cui 54 figurate e 26 decorative. Le giunture sono ricoperte da fasce ornamentali raccordate da borchie piramidali o circolari assicurate alla struttura con grossi chiodi. La tecnica utilizzata nella realizzazione delle formelle è il bassorilievo: nel ciclo iconografico sono rappresentati, a partire dai registri più bassi, il mondo animale e vegetale (l'albero della vita) l'universo umano (rappresentato dagli arcieri e dai mazzieri) e le gerarchie della Chiesa (Santi, Madonna e Cristo). Questo capolavoro (ottenuto con la lavorazione del bronzo attraverso la cosiddetta tecnica della cera persa), che testimonia l’evoluzione dalla tecnica bizantina dell’incisione su superficie piatta a quella romanica dell’altorilievo.
La struttura è di tipo basilicale a tre navate, originariamente in stile romanico, nel corso dei secoli fu trasformato in barocco. I due stili testimoniano le varie fasi di trasformazione subite dal Duomo.
L'interno, che ha perso gran parte delle sovrastrutture barocche, è di tipo basilicale con presbiterio sopraelevato sulla cripta e tre absidi innestate direttamente sul transetto. Il transetto è ancora in massima parte leggibile. Degne di nota le decorazioni a intarsio di tufo degli oculi.
Dell’antico arredo è possibile ammirare sulla parte sinistra il bell’ambone dell’Epistola, unico esempio della tipologia a doppia scala di derivazione romana presente in tutta la Campania: dal XII secolo infatti gli amboni erano tutti costruiti su colonne. Qui è possibile ammirare sulle due transenne triangolari le raffigurazioni della pistrice che prima ingoia e poi rigetta Giona. L'ambone fu fatto eseguire dal secondo vescovo della diocesi Costantino Rogadeo che tenne la cattedra dal 1094 al 1150. L'arredo è costituito da due scale laterali affiancate ad un lettorino centrale, recante in alto un'aquila dalla testa mozza. Nel registro inferiore due plutei sono decorati con dischi di porfido e serpentino, inquadrati da meandri curvilinei. In alto un mosaico raffigura l'episodio biblico del profeta Giona, ingoiato e vomitato dalla pistrice, prefigurazione della morte e resurrezione di Gesù. Sotto il lettorino, un rilievo raffigurante l'aquila ed un'iscrizione che ricorda il committente, a sottolinearne il carattere di monumento alla resurrezione, due pavoni ad intarsio, simbolo della vita eterna, sormontano una nicchia centrale che rimanda al sepolcro vuoto. Due transenne triangolari seguono l'andamento delle scale. Su di queste si trovano le raffigurazioni della pistrice che prima ingoia e poi rigetta Giona.
Di fronte si ammira lo splendido pulpito del Vangelo, realizzato da Nicola di Bartolomeo da Foggia nel 1272 e donato da Nicola Rufolo. Il monumento è ricco di marmi e mosaici che uniscono lo stile arabo-bizantino a quello romanico. L'arredo è costituito da una rampa d'accesso posta sul lato sinistro e da una cassa quadrangolare sostenuta da sei colonne tortili sorrette da tre leoni e tre leonesse dalla folta criniera stilofori; capitelli, minuziosamente lavorati, sono scolpiti con tralci vegetali e motivi zoomorfi. Un arco trilobato, ornato dai ritratti di Nicola Rufolo e di sua moglie Sigilgaida, costituisce l'ingresso della scala interna. Al centro si erge il lettorino costituito da un’aquila recante negli artigli un codice con l'iscrizione: “In principio erat Verbum”, inizio del Vangelo di San Giovanni. Sotto il lettorino si trovano due ritratti, uno maschile ed uno femminile, all'interno di cassette circondate da cornici scolpite a tranci rigogliosi. Forse simboleggiano il Giorno e la Notte.
Ai lati lastre intarsiate con tondi al cui interno si trova anche un Agnus Dei. La decorazione musiva è costituita da tessere policrome poste a dimora su una malta di calce: fasce curvilinee composte da stelle a sei e a otto punte, inquadrano animali, draghi e variopinti uccelli tra racemi fioriti che si stagliano su fondo dorato e che simboleggiano la dimensione paradisiaca.
Al centro del prospetto rivolto verso la controfacciata è raffigurata la Madonna col Bambino affiancata dallo stemma della famiglia Rufolo. La cassa è delimitata agli angoli da colonne tortili e presenta dovunque cornici vegetali scolpite con grande abilità. Gli stessi artefici hanno scolpito i bei capitelli che si caratterizzano per la plasticità delle forme ed i dettagli ricavati a giorno.
Nel 1279, ancora per iniziativa della famiglia Rufolo, un monumentale ciborio per l'altare maggiore eseguito da Matteo da Narni infine il Duomo doveva essere completato da una ricca decorazione pittorica, presumibilmente di impronta bizantineggiante.
A sinistra dell’altare maggiore del Duomo di Ravello si trova la Cappella di San Pantaleone, costruita nel XVII secolo per volontà del Vescovo Michele Bosio per dare una degna collocazione alla reliquia del sangue del santo, conservata fino ad allora a sinistra dell'altare maggiore, in un posto chiamato finestra. Dedicata al medico e martire patrono di Ravello custodisce in un reliquiario in argento dorato la reliquia del sangue del martire, che, a maggio e luglio, si liquefa: osservandola in quei giorni, attraverso la grata, appare il rosso rubino del sangue. In corrispondenza di una graziosa cupoletta si eleva il pregevole dossale in marmi policromi. Quattro colonne, sormontate da trabeazioni, ne inquadrano la facciata. Al centro si ammira il dipinto raffigurante Il martirio di San Pantaleone, opera eseguita nel 1638 dal pittore genovese Gerolamo Imperiali, autore anche delle tele laterali con San Tommaso Apostolo e Santa Barbara, compatrona di Ravello.
Nei primi secoli, i vescovi furono tutti di origine ravellese, tutti appartenenti a famiglie del patriziato urbano e questo evidenzia il carattere molto municipalizzato della Chiesa.
Con la morte di Roberto d’Angiò si aprì una serie di lotte intestine tra Angioini e Durazzeschi che finì per trasformare la ricca città in luogo desolato in balia dei briganti e abbandonato dalle nobili famiglie, partite alla volta di Napoli o della Puglia.
All’epoca dell’Infeudazione (1398 – 1583) la Civitas, interessata da una progressiva ruralizzazione, conservava ancora ampi tratti delle mura medievali e le principali dimore gentilizie, sottratte alla rovina e all’abbandono da una nobiltà che, però, spostava gradualmente i propri interessi verso la capitale del Regno.
A partire dal XVI secolo terremoti, pestilenze (1527-1528) e carestie (1565-1570-1585), gettarono Ravello, emarginata ed inaccessibile, in uno stato di lentezza sociale e culturale mentre la sua storia, priva di tratti specifici e marcata nei secoli successivi da un susseguirsi di calamità, è simile a quella più generale del Regno di Napoli. Alla diocesi di Ravello il 31 luglio 1603 fu unita aeque principaliter la diocesi di Scala. Il vescovo Francesco Bennio, già vescovo di Scala dal 1598, divenne vescovo di Ravello, conservando il titolo di entrambe le Chiese, cosa che fecero anche i suoi successori.
Il 27 giugno 1818 le diocesi di Ravello e Scala, in seguito al Concordato tra papa Pio VII Chiaramonti e Ferdinando I furono soppresse e aggregate all'arcidiocesi di Amalfi con la bolla papale De utiliori.
La città, ormai ridotta ad un’immagine sbiadita del suo illustre passato, si ridestò solo nella seconda metà dell’Ottocento, quando divenne meta di viaggiatori europei, attratti da quelle bellezze della natura e dell’arte in grado di trasformare il viaggio in una felice ed inaspettata scoperta a rigenerazione dell’animo.
Il Museo dell’Opera del Duomo, inaugurato nel 1983, ha sede nell’antica cripta della Cattedrale di Ravello e in un ambiente adiacente alla navata destra. Nelle due sezioni espositive (antica e medievale-moderna) si possono ammirare reperti di interesse storico-artistico e archeologico, urne cinerarie, sarcofagi, sculture di pregevole fattura, ornati lapidei e arredi liturgici in metalli nobili. Espone tra le varie opere il reliquario di Santa Barbara, il reliquario del braccio di San Tommaso, costruito in lamine in argento sbalzate databile al XIV secolo, e il pluteo, si tratta di un pannello di marmo decorato a bassorilievo che presenta interessanti motivi ornamentali, riscontrabili in chiese paleocristiane e medioevali. 
Tra le opere più significative vanno annoverati il ritratto di Sigilgaida Rufolo, opera del 1272 di Nicola di Bartolomeo da Foggia, e il Falconiere, sculture legate al gusto antichizzante di Federico II di Hohenstaufen. Un prezioso patrimonio che testimonia l’antica dignità episcopale delle Città e le vicissitudini che il complesso monumentale della chiesa cattedrale ha attraversato nel corso dei secoli.
La sezione pittorica, allestita nell’antica sede dell’Arciconfraternita del SS. Nome di Gesù, custodisce una quadreria risalente ai secoli XVI - XIX, costituita da dipinti che provengono dalle cappelle non più esistenti o da chiese vicine, in cui figurano il polittico di Giovan Filippo Criscuolo e opere di Giovanni Angelo D'Amato e Giovanni Antonio D'Amato.
Negli ambienti della cosiddetta Via Tecta sono raccolte le opere della collezione museale d’arte contemporanea che accoglie, tra l’altro, il Christus Patiens di Carlo Previtali.
La sezione archivistica custodisce pergamene e codici che appartengono al fondo vescovile, al fondo capitolare e a quello parrocchiale.
Vincenzo Matrone

2 commenti:

  1. sono di Narni e vorrei sapere di piu' su : Lo scultore Matteo da Narni,realizza nel 1279 il ciborio del Duomo di Ravello ora presso il - Museo dell'Opera del Duomo. avete qualche notizia e -o immagine ??????

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    1. Gentile Geppo, anche io, quando il mio studente preparava il suo lavoro fui fortemente colpito da questo nome che a me tornava familiare, ma, navigando su internet non sono riuscito a trovare nulla. Per ora posso aggiungere solo questo che ho trovato
      "Lo scultore Matteo da Narni,realizza nel 1279 il ciborio del Duomo di Ravello ora presso il - Museo dell'Opera del Duomo. Nel 1773 il ciborio di Matteo di Narni, donato nel 1279 da Matteo Rufolo e posto al centro del transetto, fu smontato per le cattive condizioni statiche. Il tempietto era costituito da quattro colonne che sorreggevano quattro architravi, sormontati agli angoli da sculture raffiguranti i simboli degli evangelisti. Un doppio ordine di colonnine, disposte rispettivamente lungo un perimetro poligonale e circolare, si innestava sulla struttura e terminava in alto con il tondo dell’Agnus Dei.
      «Col presente dichiariamo Noi Sottoscritti Governanti, Nobili e Cittadini di questa Città di Ravello, essendo stati più volte insistiti per parte del Reverendissimo Capitolo della Nostra Chiesa Cattedrale, e presentemente avendoci il medesimo con premura e sollecitudine avvertiti dell'imminente pericolo minaccia la Cupoletta di marmo esistente in detta chiesa di cadere a momenti per aver patito nuove grandi lesioni oltre quelle si ci erano osservate colle perizie fatte [...] siam venuti nella determinazione di demorirla con tutta la diligenza» (Archivio Arcivescovile di Amalfi).
      Attualmente i resti del ciborio dello scultore Narnese , sono conservati nel Museo del duomo, insieme ad altri resti. La collezione testimonia le vicissitudini che il complesso monumentale della chiesa cattedrale ha attraversato nel corso dei secoli. Accoglie per lo più ornati lapidei provenienti da arredi marmorei non più esistenti come il ciborio, realizzato al centro del transetto nel 1279 da Matteo da Narni, su commissione del nobile Matteo Rufolo, e smembrato nel 1773 a causa delle cattive condizioni statiche. Della pregevole struttura sono conservati presso il Museo: quattro architravi (utilizzati nel corso XVIII secolo come gradini della cattedra vescovile e della cappella di San Trifone), il tondo finemente mosaicato con l’Agnus Dei (già murato in corrispondenza dell'antico fonte battesimale), l’aquila, simbolo dell’evangelista Giovanni, (collocata fino al 1973 sulla lunetta del portale centrale), due capitelli, di cui uno corinzio e uno figurato, e tre colonnine.
      Il monumentale ciborio per l'altare maggiore eseguito da Matteo da Narni -, doveva essere completata da una ricca decorazione pittorica, presumibilmente di impronta bizantineggiante, a giudicare dai brani di affresco superstiti nella cripta dell'Annunziata di Minuto, ripetutamente collegati alle esperienze monrealesi."
      Il personaggio interessa anche me per cui a brave condurrò una più puntuale ricerca bibliografica.
      Cordiali saluti
      Massimo Capuozzo

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