giovedì 8 maggio 2014

Alle radici del Gotico in Campania: l’abbazia di Realvalle a Scafati. Di Sarah Di Palma

Carlo I d’Angiò conquistò il Regno di Sicilia grazie a due importanti vittorie: quella di Benevento nel 1266 contro Manfredi e quella di Tagliacozzo nel 1268 contro Corradino. Decise poi di far costruire due abbazie destinate ai benedettini: Santa Maria di Real Valle vicino a Scafati, che ricordasse la battaglia di Benevento, e Santa Maria della Vittoria presso Scurcola Marsicana, in memoria di quella di Tagliacozzo su Corradino di Svevia. Per volontà dello stesso Carlo, la prima risultò derivazione dell’abbazia di Royaumont, che era stata fondata da suo padre, re Luigi VIII, mentre la seconda fu di derivazione di quella di Le Loroux in Angiò.
L'Abbazia di S. Maria di Real Valle si trova andando verso Scafati, percorrendo il fiume Sarno, lungo la via Lo Porto che unisce la frazione di San Pietro a San Marzano, nella località Badia. In questa località si trova oggi il Convento delle Suore Francescane Alcantarine[1] che conserva importanti resti dell’abbazia.
Secondo la leggenda, quando doveva affrontare una battaglia contro il re Manfredi, Carlo I d'Angiò promise alla Madonna che se avesse vinto, avrebbe costruito una chiesa in un grande bosco. Egli vinse, ma dimenticò. Passarono molti anni e un giorno, mentre si riposava sotto un albero dopo una battuta di caccia, vide una cerva che portava fra le corna un quadro della Madonna di Costantinopoli. Si ricordò del voto fatto e predispose la costruzione dell'abbazia riprendendo il nome da quella di Real Monte da cui provenivano i 37 monaci che vi si stabilirono. Molti sostengono che il re fece arrivare i Cistercensi per un voto fatto nella battaglia di Benevento contro Manfredi, ma sicuramente furono altre le ragioni che motivarono questa scelta: le abbazie, oltre a ingraziarsi la Santa Sede, fungevano da volano per l’economia agraria, ed inoltre i monaci, che erano solo francesi, fungevano da fedeli osservatori del re per la difesa del territorio.

Nel maggio del 1274 furono gettate le fondamenta di Real Valle alla presenza di alcuni architetti francesi: prima Pierre de Chaule, che probabilmente ebbe un ruolo importante sia nella progettazione sia nella realizzazione dei due complessi, poi Baudelin de Linas e Thibaud de Seaumur. Nel 1277 Carlo invitò le due abbazie madri ad inviare monaci nelle famiglie italiane, fece a queste ultime abbondanti donazioni e stabilì che Real Valle avesse maggiore importanza della Vittoria, perché la sconfitta di Manfredi era avvenuta prima di quella di Corradino.
L'Abbazia fu costruita da architetti francesi tra cui Pierre de Chule, che scelse come luogo per la costruzione il Nemus Schifati che era una riserva reale di caccia e i lavori terminarono solo nel 1284.

Costruita secondo i principi dell'architettura cistercense, l'Abbazia, segnò incontro tra l'architettura francese e quella napoletana.
L’ordine dei Cistercensi, nato alla fine dell’XI secolo in opposizione all'interpretazione estensiva della regola di San Benedetto operata dai monaci di Cluny, ebbe la sua diffusione ad opera di Bernardo di Chiaravalle, nel 1112, il quale teorizzò una struttura architettonica sacra meno decorata e più povera, priva di mostruosità plastico-decorative. Con questa tendenza egli si oppose alla cultura dell'Abate Suger di Saint Denis, il quale è invece tipicamente gotico, sia nella pletoricità degli elementi decorativi architettonici, sia nell'uso del bestiario mostruoso decorativo. Non è un caso che l'ordine cistercense, nato in Borgogna trovasse un grande sviluppo in tutta Europa – alla fine del XIII secolo avevano ben 700 conventi –, ma soprattutto in Italia che per tradizione risente della cultura classica e quindi pronta ad attenuare le forme esagerate.
Il successo dell’espansione cistercense è dovuto al loro rigorismo morale ed alla loro capacità di bonifica e di colonizzazione; le loro abbazie furono centri importanti per l’economia agraria medioevale, tanto che attorno ad esse si svilupparono borghi e importanti città. I Cistercensi ebbero una particolare importanza nello sviluppo storico dell’architettura con la costruzione delle loro abbazie, che contribuirono alla diffusione delle tradizioni costruttive nella Francia del XII secolo ed anche se costruite in complessi grandiosi mantennero sempre un carattere austero.
Gli studiosi hanno messo in rilievo la personalità diretta dell'ascetico Bernardo per l'elaborazione di un progetto pilota, il cosiddetto piano Bernardino, all'origine del quale sarebbe l'esistenza di cantieri scuola, ossia luoghi e laboratori dove questi progetti erano insegnati ai monaci, che se ne appropriavano per insegnarli e farli conoscere negli aspetti tecnici, poi nelle abbazie di nuova fondazione. Si è anche riscontrato come i monaci nell'esportare questo programma di lavoro fossero comunque in grado di adattarsi ai sistemi locali e tradizionali di costruzione. La particolare armonia delle architetture cistercensi, dovuta ad un ordine e ad una proporzione calcolata, inoltre, è il raffinato risultato di una progettazione basata sul principio del modulo usato secondo un calcolo matematico che condiziona le varie parti di un edificio, così che ogni dimensione, ogni distanza e ogni parte di un'abbazia, sono effetti di un sistema razionale e mai arbitrario.
La Chiesa cistercense spicca per il rigore del suo reticolo e per la costruzione modulare che pertanto sviluppa una visione sintetica. Il rapporto costruttivo è quello armonico del quadrato 1:1 oppure 1:2, che regola non solo la divisione in pianta, ma anche quella dell'alzato in consonanza con i rapporti numerici della Gerusalemme Celeste descritta nel Libro dell'Apocalisse.
Questo tipo di pianta cistercense, caratterizzata da abside e cappelle rettangolari, risulta essere stata adottata quasi senza eccezioni nel periodo in cui San Bernardo era in vita, mentre sembra che nella seconda metà del XII secolo abbia subìto alcune modifiche. Ma i caratteri sostanziali delle costruzioni cistercense vanno rintracciati in un certo senso soprattutto in aspetti più raffinati e più sottili, ravvisabili nella semplicità delle parti, nella loro distribuzione logica, nella perfezione dell'esecuzione, nell'uso di materiali selezionati e nell'austerità del decoro.
Dove la situazione del terreno lo permetteva, i complessi abbaziali cistercensi, seguivano una tipologia omogenea: i complessi ruotano infatti compatti intorno alla forma quadrata del chiostro, il cui il lato settentrionale è costituito dalla Chiesa, accanto alla quale sono edificati, in senso orario, una serie di ambienti collegati tra loro adibiti ai vari servizi della vita comunitaria.
Il proposito di San Bernardo e infatti è quello di realizzare una specie di Gerusalemme Celeste, una città misurata, dove l'anima cristiana è considerata il Tempio e la casa di Dio.
I Cistercensi pare che seguissero un ordine divino per creare il loro complesso monastico: si canalizzavano le acque stagnanti così che la terra si asciugasse; la si livellava e fissando con la corda le dimensioni del complesso monastico, si orientava la chiesa e gli altri edifici con la luce dell'alba. Si mettevano a coltura i prati, si piantavano alberi da frutto, verdure e fiori, abbandonando il disprezzo per il lavoro manuale e agricolo a cui si dava valore, al pari della preghiera.
La diffusione dell’ordine coincise col nascere dello stile gotico, tanto che è da attribuire proprio a questi monaci l’introduzione in Italia dell’architettura gotica, ed anche la ripresa della costruzione degli acquedotti. Le abbazie cistercensi erano severe e umili nel loro aspetto.
Le chiese di queste abbazie, a croce latina, avevano generalmente tre navate coperte da volte, prima a crociera, poi su costole ogivali, con campata maggiore rettangolare posta trasversalmente e campate quadrate minori ai lati; pilastri con colonnine strette e lunghe; transetto affiancato da cappelle rettangolari coperte da un tetto unico, presbiterio a terminazione rettilinea; agli archi rampanti si preferirono contrafforti e speroni perché erano utilizzati poco in Italia, così come l'altezza delle navate che, per quanto maggiore delle opere romaniche, non raggiungevano le esagerate dimensioni delle cattedrali d'oltralpe. Le opere murarie sono composte di pietre e malta cementizia oppure con mattone e malta.
Le abbazie italiane sorsero tra la seconda metà del XII e l'inizio del XIII secolo soprattutto in prossimità delle reti viarie. La loro conformazione tipica a "cittadella" comprende vari corpi architettonici che comprendono la Chiesa, una sacrestia per riporre i paramenti sacri, un chiostro con lavabo o pozzo con acqua, una sala capitolare per le udienze dell'Abate, il calefactorium che è una stanza riscaldata per le riunioni invernali, una cucina, una dispensa, un refettorio, le cellette per i monaci, una infermeria, una cappella per i pellegrini, una foresteria per alloggiare i viandanti ed i pellegrini, uno o più locali adibiti a gabinetti.
Le chiesa cistercense, in aperta contestazione contro lo splendore di quelle cluniacensi, erano assolutamente prive di elementi decorativi; eppure l’effetto della loro linea architettonica così pura divenne quanto mai impressionante. L’andamento stilizzato delle arcate, ampie e a sesto acuto, l’armonia serena delle volte, della pianta a croce con i costoloni potentemente rinforzati, l’eleganza dei pilastri e la bellezza delle proporzioni di ogni dettaglio della struttura architettonica caratterizzano l’arte cistercense primitiva. Nemmeno nelle chiese cluniacensi più dispendiosamente decorate si ritrovano questi lineamenti così puri.

Il chiostro era collocato abitualmente tra il muro della chiesa rivolto a sud e il transetto; questo lato proseguiva poi nella sagrestia, l’aula capitolare e la sala dei monaci. Percorrendo il chiostro in direzione ovest, si trovava una piccola stanza riscaldata, (Calefactorium) uno spazioso refettorio, e la cucina. Altra caratteristica cistercense era la collocazione del refettorio, perpendicolare al chiostro, in modo che la cucina potesse contemporaneamente, ed altrettanto funzionalmente, servire anche il refettorio dei fratelli. L’ultima ala del chiostro, che chiudeva il quadrilatero verso il muro sud della Chiesa, comprendeva il già menzionato refettorio dei fratelli e vari locali, adibiti a magazzinoe a gabinetto. Al secondo piano, sopra la stanza del Capitolo, si trovava il dormitorio dei monaci, collegato direttamente con la chiesa per mezzo di una scalinata. Il dormitorio dei fratelli conversi era situato dall’altra parte, sopra i magazzini e il loro refettorio. Di fronte alla porta del refettorio era posto in genere il padiglione con la fontana del lavabo, un bacino semplice e ampio con la possibilità di applicarvi varie aperture tubolari. L’infermeria, il noviziato e la casa degli ospiti, insieme ai laboratori, al mulino ed altre costruzioni per i lavori di giardinaggio o della fattoria, erano costruiti un po’ lontano dal monastero vero e proprio.
Nei primi monasteri cistercensi non c’era una biblioteca vera e propria, a causa della scarsezza dei libri; i volumi che erano assolutamente indispensabili per i servizi liturgici e la lectio, venivano conservati in un armadio a muro ricavato in una parete della sacrestia, o in una piccola stanza ad essa adiacente, chiamata armarium.
Ovviamente vi sono chiese cistercensi non unificate a questo tipo, che quindi possono essere a navata unica, ad abside rettangolare, a navate senza transetto e con absidi circolari.
Questa austerità e la sua razionalità sono visibile anche nei ruderi dell’Abbazia di Real Valle.
Un’accurata ricostruzione iconografica mette in risalto una chiesa a croce latina. La chiesa era caratterizzata da sette mezze colonne a muro, di cui solo cinque conservano i loro capitelli originari, i quali sono a foglie d'acanto ed a ganci o a fogliame in tufo nocerino, di pregiata finezza. Altre vestigia di colonne e pilastri, particolarmente del pavimento, sono state studiate e trovate in un campo adiacente a una parte della chiesa: queste furono studiate dal prof. De Bouard che studiò anche la ricca valle del Sarno. Osservando due contrafforti borgognoni, dalla facciata del complesso, si entra in un corridoio in cui vi sono quattro colonne e vi è l'accesso al chiostro, caratterizzato da tre muri perimetrali con resti di volte costolonate su mensole.
Nel chiostro vi sono anche un pozzo e due porticine che conducono nel più singolare ambiente di Real Valle, l’aula dei 32 pilastri: un ambiente rettangolare largo m. 9,80 e lungo m. 37,40. La particolarità di quest’ambiente, sicuramente unico nel suo genere tra tutte le costruzioni dei Cistercensi, è la distanza tra i pilastri, che varia da m. 2,06 a m. 2,80. La funzione di quest’ambiente è ancora tutta da studiare: sicuramente non può essere né un atrio né un refettorio.
L'Abbazia di Real Valle fu inoltre resa celebre da una serie di donazioni del suo fondatore. Il re angioino diede ai cistercensi di Scafati il diritto di priorità, tanto che nel giugno 1279, quando i lavori non erano ancora terminati, arrivarono dalla Francia 37 monaci invece di 30. Come segno di benevolenza il re donò ai monaci di Real Valle masserie e terreni a Eboli, Capaccio, Cuma e Napoli, diritti di pascoli e pesca nel Sarno, il grande bosco di Scafati, i casali di S. Pietro, di Striano e di Scafati. Nella piana di Eboli e di Capaccio, i monaci cistercensi avevano delle strutture atte a gestire il patrimonio donato loro da Carlo I d'Angiò, sullo stile dei Benedettini che avevano creato un priorato a S. Mattia per accudire i loro beni. L'abbazia ricevette in dono da Carlo II un complesso di macerazione delle fibre tessili che aveva prosperato presso la sorgente di S. Maria della Foce fin dall'XI secolo.
Questi monaci erano benedettini, la cui regola era "ora et labora" e la loro vita si svolgeva nel plesso attorno all'Abbazia. La loro giornata era divisa in otto ore di preghiera, otto di riposo, otto di lavoro. All'interno del loro plesso vi erano la sala capitolare, il chiostro, le celle e un cimitero. I silenziosi monaci francesi (una delle loro regole era il silenzio assoluto) erano arrivati nel Regno di Napoli nel 1273, invitati da Carlo I d’Angiò, per fondare le due abbazie.
La vita dell’abbazia di Scafati, sempre legata all’abbazia di Royaumont, ebbe alterne vicende, tanto che nel 1370 restò senza monaci, perché nessuno voleva abbandonare la Francia sia per la guerra dei cento anni sia per non abbandonare la Santa Sede ad Avignone.
La presenza di questi monaci con il loro duro e silenzioso lavoro, ha aiutato molto lo sviluppo agricolo delle nostre zone. I monaci si dedicarono ad opere di bonifica e a lavori agricoli che furono importanza per lo sviluppo di questa zona. Si era già consolidata da tempo presso i monasteri una solida tradizione in campo agricolo per cui i monaci adottavano tecniche avanzate sui campi abbandonati. Un esempio è dato dall'Abbazia di Materdomini, i cui monaci conoscevano le tecniche d'irrigazione che adottavano per coltivare i campi a lino, cotone e canapa.
La decadenza dell'Abbazia di Real Valle iniziò durante il successivo regno aragonese nel XV secolo; l’abbazia fu ricostruita dai monaci benedettini in dimensioni ridotte; nel 1623 Real Valle entrò nella Congregazione Romana e passò quindi a quella Calabro - lucana nel 1765. Oggi ne rimangono una parte del chiostro e degli edifici monastici, originariamente destinati ai frati laici.
Il progetto per la realizzazione di un Polo museale dotato di percorsi espositivi e di una mediateca sulle abbazie cistercensi medievali, nel complesso abbaziale di Santa Maria di Realvalle prevede il restauro architettonico con recupero funzionale di una parte dell’abbazia di S. Maria di Realvalle, da destinarsi a polo museale dotato di percorsi espositivi e di una mediateca sulle abbazie cistercensi medievali, essendo S. Maria di Realvalle esempio unico sopravvissuto di complesso cistercense risalente alla fondazione. La conservazione di tutte le testimonianze aventi valore di civiltà e del ricco complesso di stratificazioni, dalla fondazione angioina (1274-1284 d.C.) ai nostri giorni. La demolizione di abusi edilizi ed elementi aggiunti, privi di valore storico e/o estetico. L’intervento prevede la definizione di un percorso espositivo aperto al pubblico all’interno dell’abbazia, per mostrare la parte del complesso più rappresentativa delle complesse stratificazioni che si sono realizzate dalla fine del XIII secolo e la realizzazione all’interno della sala a pilastri di una mediateca che informi, attraverso la creazione e diffusione via internet di una banca-dati, sulla storia delle abbazie cistercensi medievali e sull’interessante sistema d’interconnessione, che si deve alla figura di San Bernardo di Chiaravalle.
Il percorso espositivo si pone l’obiettivo di conservare, valorizzare e mostrare al pubblico l’abbazia stessa. Elementi emblematici del percorso sono l’ingresso dell’abbazia coperto da volte a crociera, che introduce alla splendida corte dei conversi e ad alcuni ambienti rimaneggiati nel corso dei secoli. Il chiostro d’epoca angioina, caratterizzato dai peducci per la ricaduta delle ogive, ben conservati, dalla porta arricchita con lastre di pietra calcarea, che conduceva al refettorio, e dal giardino ottocentesco d’agrumi e noci. La sala a pilastri con le possenti testimonianze d’interventi settecenteschi, mai portati a termine e ben visibili nelle prime due campate, con le alte volte a vela, che seguono quelle ribassate della corte dei conversi. Il sopravvissuto muro d’epoca angioina, spesso 3 metri e dotato di contrafforti, che configurava nelle eglyse cistercense, voluta da Carlo I d’Angiò ed andata distrutta con il terremoto del 1456, la parete della navata laterale meridionale, in comune con il chiostro, e che conserva monofore trilobate ed archiacute, inquadrate da semicolonne, con capitelli a foglie d’acanto e croquet di raffinata fattura.
La chiesa con sagrestia del Settecento, che possedeva un’abside semicircolare e che fu trasformata nell’impianto dopo il 1834, per essere restaurata di recente dalla Soprintendenza di Salerno.
La masseria sette-ottocentesca addossata all’ala dei conversi, che presenta un suggestivo forno in pietra ben conservato ed alcune tracce delle prime campate della chiesa angioina scomparsa.
Gli ambienti al piano superiore con la terrazza panoramica sul chiostro e sul paesaggio della valle del Sarno.
Superata la crisi l’abbazia scampò alla chiusura di Innocenzo X Pamphilj, ma non a quella dei francesi del 1805. Successivamente i beni dell'Abbazia furono incamerati dallo Stato francese e poi, messi all'asta, divennero proprietà di alcuni signori di Torre Annunziata e poi di Giuseppe Passaro e di sua moglie Carmela Avitabile, i quali in seguito donarono l'Abbazia alle Suore Francescane Alcantarine.
Sarah Di Palma



[1] Il nome di questo ordine di suore è dovuto alla loro origine. Sono francescane perché si richiamano alle regole del santo di Assisi, Alcantarine perché fondate nel 1499 da San Pietro di Alcantara, una città della Spagna. Nel '700 le Alcantarine arrivarono in Italia e si stabilirono a Piedimonte Casertano. Successivamente passarono nella reggia di Portici dove si occuparono di un centinaio di ragazze dette "pericolanti", cioè sole ed abbandonate, perciò esposte al pericolo della strada. Ma ancora una volta le suore dovevano spostarsi perché avevano ricevuto un ordine di "sfratto". Esse non sapevano dove andare, ma un cappellano di loro conoscenza si rivolse al fratello, Giovanni Passaro che finanziò la ristrutturazione dell'Abbazia rimasta abbandonata dopo il dominio aragonese e dei Piccolomini. Siamo giunti alla fine dell'800 e l'inizio del '900.

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