giovedì 1 maggio 2014

L'ipogeo dei SS Giasone e Mauro a Castellammare di Stabia di Enrico e Francesco Staiano


La cosiddetta Grotta di S. Biagio, sebbene questa definizione sia impropria popolaresca mentre quella esatta è Ipogeo, è un antico tempio cristiano ricavato dalla roccia di tufo grigio alle pendici della collina di Varano sottostante alla cosiddetta Villa di Arianna.
Il termine improprio di grotta deriva dal fatto che probabilmente in origine essa era una cava creata dagli antichi romani per costruire le loro ville di otium sulla collina di Varano tramite l'estrazione di blocchi di tufo. Il nome di questo ipogeo deriva dall'originario culto di San Iasone, trasformato nella corruzione volgare evidentemente in Biasone, quindi Biagio.
La bellezza ed il fascino di questo luogo non risiedono tanto nel suo intrinseco contenuto artistico, quanto nell’immaginarlo al suo inizio, come luogo di accoglienza e di preghiera per i Cristiani agli inizi del IV secolo ed è ancora più affascinante immaginare quell’antro ai tempi della romanità, fu un tempio pagano sede degli dei pagani dedicato al culto del dio Mitra e soprattutto di quel Plutone, che si affacciava dalla bocca dell’antro e guardava il mare, proprio lì, davanti a quei rudimentali gradini intagliati nel tufo.
Sebbene fino ad ora si abbia la certezza che la grotta risalga all'epoca romana per la costruzione delle loro ville, non è del tutto escluso che essa potrebbe essere stata abitata anche in epoche precedenti. Nei primi secoli della cristianità essa divenne una catacomba e poi fu trasformata in basilica da una comunità di monaci Benedettini dipendente dal monastero di San Renato di Sorrento: soltanto nel VI secolo, infatti, essa fu dedicata ai SS Giasone e Mauro e fu trasformata in chiesa, con pianta a croce latina, completamente intagliata nel tufo, lunga 27 metri e larga 2,80. Essa é divisa in tre parti: atrio, navata ed abside. All'interno e all'esterno dell’Ipogeo sono state ritrovate molteplici sepolture di epoca paleocristiana. Varcata la porta d’accesso si ha dall’alto una visione complessiva del grande ambulacro principale della cripta. Per accedere a questa galleria bisogna scendere ad un livello più basso, percorrendo una scala di cemento, costruita in epoca recente. Al lato destro entrando e a metà della galleria a sinistra si aprono dei cunicoli, bassi, bui e con evidenti segni di crollo.
Dopo un breve vestibolo di circa 6 m di profondità, inizia la galleria con quattro nicchie cieche alla cui base si possono ancora oggi osservare le tracce di tre sepolture, su ciascun lato e in fondo, vi è la sala primaria con le sue colonne di tufo. A circa metà della galleria si percepisce la grandiosità dell’impianto e delle sue pitture che in molti soggetti hanno dimensioni quasi naturali.

Nei cunicoli di questa che può essere considerata la più antica chiesa della città, c’è una straordinaria varietà di affreschi nei fondali, negli archivolti e nelle pareti intermedie del lato sinistro di notevoli proporzioni splendidamente conservati, risalenti a un arco storico che va secondo alcuni dal VI fino al XIV secolo, mentre per altri quelli più antichi si potrebbero datare al X secolo e quelli più recenti alla prima metà dell'XI secolo.
I dipinti mostrano i tondi di Cristo con il nimbo accompagnato dagli arcangeli Michele e Raffaele Sono presenti affreschi che ritraggono gli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele ed anche un quarto arcangelo Uriele, rifiutato dopo il concilio di Aquisgrana, perché il suo nome compare solo nei Vangeli apocrifi; San Giovanni Evangelista e Santa Brigida come si legge dal cartiglio Birgit; la Vergine in trono con il Bambin Gesù, i Santi Pietro e Giovanni; i Santi Benedetto e Renato, vescovo di Sorrento, il primo a sinistra veste l’abito monacale, mentre Renato a destra veste l’abito vescovile. Entrambi reggono il Verbo come stendardo della Fede.

Altri affreschi importanti, ritrovati nella grotta, risalgono al Trecento e sono stati attribuiti a una scuola giottesca. C’è anche un dipinto che ritrae il santo patrono di Castellammare di Stabia, San Catello, forse risalente al Quattrocento. Nei ritratti del ciclo pittorico si possono notare diversi stili.
I personaggi che popolano la Grotta di San Biagio quasi come fantasmi sono molti e tutti vogliono narrare un ciclo o aprire un dialogo forse complesso ma organico con il pellegrino che giunge in questo luogo. I Santi impressi sulle pareti sono ritratti nello stile e nella posa dei loro tempi, in modo statico ed espressivo. Il fascino di queste opere è nella loro inconsueta collocazione, in quell’antro sopravvissuto ai tempi e a stretto contatto con un tessuto urbano congestionato dal traffico, in un rapporto che di simbiosi ha poco e che invece si adatta alla orografia della collina di Varano, dominata dalle splendide ville romane. Questo ambiente comunicava con altri ambienti attigui di pianta irregolare e poi ancora altri cunicoli bassi e in molti punti segni di crolli.
Nell’aula del presbiterio dove c’era l’altare doveva anche trovarsi la statua di San Biagio che intorno al secolo XVI il Vescovo Annibale di Pietropaolo per evitare gli scandali che spesso vi avvenivano (ad eliminanda scandala quae semper occurrebant), essendo il luogo diventato un rifugio di ladruncoli, trasferì la statua ed il culto di San Biagio nella Cattedrale. Negli ultimi tempi è stata trovata nella grotta una statua raffigurante forse San Biagio, conservata al Museo Diocesano di Castellammare di Stabia.
La Grotta di San Biagio sembra scomparsa dalla memoria storica degli stabiesi. In anni più recenti, durante la seconda guerra mondiale, la Grotta, usata nella guerra come rifugio antiaereo, ha subito una serie di episodi sgradevoli e di manomissioni: in parecchi punti ci sono infatti segni di annerimento a causa di fuochi, in altri punti alcuni graffiti, avevano scrostato gli antichi colori. Da anni, poi, l’ingresso alla grotta è situato all’interno del locale «Poligono di Tiro» di proprietà demaniale nella giurisdizione del Ministero della Difesa e dato in concessione alla locale sezione dell’Unione Italiana Tiro a Segno. Questa particolare collocazione concorre ad ostacolare l’accesso e ad impedire un normale uso pubblico del monumento.
La basilica è stata oggetto di lavori della Sovrintendenza di Pompei, lavori che, però da alcune immagini, girate su internet pongono più di un interrogativo in merito alle ricerche condotte. In particolare, l’intero pavimento centrale della grotta, così come le cavità laterali, sono scavate e svuotate di tutto il terreno, tal che si configura uno scavo archeologico con l’esplorazione – e si suppone – la rimozione anche dei resti umani e degli oggetti (se presenti) dalle tombe portate alla luce. Documenti riguardanti la grotta sono presenti negli archivi della Sovrintendenza ai Monumenti o in archivi stranieri, ad esempio il Betting.
Oggi la grotta è chiusa al pubblico. Solo in pochi e per lo più addetti ai lavori hanno potuto visitare questo monumento, dove, si incontrano la storia della città romana di Stabiae, sepolta dall’eruzione vesuviana e quella della sua rinascita, con la presenza dei primi cristiani e dei monaci benedettini.
Il rinvenimento, presso l'ingresso della grotta,di un sepolcreto e di lucerne africane con simboli cristiani potrebbe collocare l'avvio dell'utilizzo funerario nel periodo compreso tra la fine del V secolo e gli inizi del secolo successivo. I lavori di adeguamento, oltre all'esecuzione dei dipinti e alla creazione di altari e nicchie, comportarono significative modifiche all'impianto planimetrico con l'isolamento di alcune gallerie e la creazione di ampi spazi liturgici nella parte più interna dell'ipogeo.
Enrico Staiano e Francesco Staiano

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