La Seconda Guerra Mondiale non fu solo il più
grande conflitto militare della storia, ma anche la più importante guerra americana
del ventesimo secolo. Essa portò cambiamenti sociali, governativi e culturali
profondi e permanenti negli Stati Uniti, ed ebbe un grande impatto sul modo in
cui gli Americani vedono loro stessi e la posizione della loro nazione nel
mondo.
Questo scontro globale è ritratto normalmente
negli Stati Uniti come la ‘guerra giusta’, un conflitto moralmente ben definito
tra il Bene e il Male.
Dal punto di vista dello scrittore e storico
britannico Paul Addison, “la guerra servì ad una generazione di britannici e
americani come un mito che rappresentasse la loro purezza essenziale, una
parabola del bene e del male”. Dwight Eisenhower denominò il combattimento
contro i nazisti ‘la Grande Crociata’.
Il presidente Bill Clinton disse che nella
Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti “salvarono il mondo dalla tirannia”.
Agli americani è raccontato che essa fu una guerra necessaria e inevitabile,
che gli Usa dovettero dichiarare per evitare di farsi schiavizzare da crudeli e
spietati dittatori.
Quantunque gli americani possano aver avuto
dubbi o timori riguardo il ruolo della loro nazione in Iraq, Vietnam, o altri
conflitti oltremare, la maggior parte accetta il fatto che i sacrifici fatti
dagli USA nella Seconda Guerra Mondiale, specialmente nello sconfiggere la Germania
di Hitler, fossero interamente giustificati e lodevoli.
Per più di sessant’anni, tale visione è stata
rinforzata tramite un’infinità di film, la televisione, gli insegnanti, i libri
di testo, e dai leader politici. La maniera riverente con cui il ruolo degli
Stati Uniti è stato disegnato ha indotto Bruce Russett, professore di Scienze
politiche all’Università di Yale, a scrivere: “La partecipazione alla guerra
contro Hitler rimane quasi interamente sacrosanta, quasi nel campo della
teologia… Nonostante critiche alla politica americana nel ventesimo secolo
vengano messe in circolazione, la partecipazione degli Stati Uniti alla Seconda
Guerra Mondiale rimane quasi interamente immune. Secondo la nostra mitologia
nazionale, quella fu una ‘guerra giusta’, una delle poche in cui i benefici
ebbero chiaramente maggior peso rispetto ai costi. Tranne che per pochi libri
pubblicati subito dopo la guerra e velocemente dimenticati, tale ortodossia
sostanzialmente non è stata sfidata”.
Quanto è accurata questo venerata
rappresentazione del ruolo americano nella Seconda Guerra Mondiale? Come
possiamo vedere, non regge se sottoposta ad un esame ravvicinato.
Prima di tutto, diamo uno sguardo allo
scoppio della guerra in Europa.
Quando i leader della Gran Bretagna e della Francia
dichiararono guerra alla Germania il 3 settembre 1939, essi annunciarono che lo
stavano facendo perché le forze militari tedesche avevano attaccato la Polonia,
minacciando così l’indipendenza polacca. Nell’andare in guerra contro la
Germania, i leader francesi e inglesi trasformarono ciò che era un conflitto,
limitato geograficamente e della durata di due giorni, tra Germania e Polonia,
in un conflitto esteso in tutta Europa.
Divenne presto ovvio che la giustificazione
anglo-francese per andare in guerra non fosse sincera. Quando le forze
sovietiche attaccarono la Polonia dall’est due settimane più tardi, occupando
sostanzialmente un territorio più grande rispetto a quanto aveva fatto la
Germania, i capi britannici e francesi non dichiararono guerra all’Unione
Sovietica. E nonostante la Gran Bretagna e la Francia fossero entrate in guerra
per proteggere, in teoria, l’indipendenza polacca, alla fine del conflitto nel
1945 la Polonia non era ancora libera, ma si trovava invece sotto il dominio
brutale della Unione Sovietica.
Sir Basil Liddell Hart, un eminente storico
militare inglese del ventesimo secolo, pone la questione in questo modo: “Gli
alleati occidentali entrarono in guerra con un doppio obiettivo. Lo scopo
immediato era di mantenere la loro promessa di preservare l’indipendenza della
Polonia. Lo scopo finale consisteva nel rimuovere una potenziale minaccia per
loro stessi, e garantire perciò la loro sicurezza. In fin dei conti, essi
fallirono entrambi gli obiettivi. In primo luogo, non solo non ebbero successo
nel prevenire che la Polonia venisse sopraffatta, e divisa tra Russia e
Germania, ma dopo sei anni di guerra che terminò con un’apparente vittoria
furono forzati a riconoscere la dominazione russa sulla Polonia – abbandonando
le promesse fatte ai polacchi che avevano combattuto dalla loro parte”.
Nel 1940, subito dopo essere stato nominato
Primo Ministro, Winston Churchill spiegò, in due discorsi spesso riportati, le
sue ragioni per continuare la guerra contro la Germania. Nel suo famoso discorso
‘Sangue, sudore e lacrime’, il grande leader britannico affermò che a meno che
la Germania non fosse stata sconfitta, “non ci sarebbe stata possibilità di
sopravvivenza per l’impero britannico, nessuna possibilità di sopravvivenza per
tutto ciò che l’impero britannico aveva significato…”.
Poche settimane dopo, nel suo discorso sulla
‘Ora migliore’, Churchill disse: “Da questa battaglia dipende la sopravvivenza
della civiltà cristiana. Da essa dipendono la nostra vita e la continuità delle
nostre istituzioni e del nostro Impero”.
Come suonano strane oggi queste parole.
Nonostante la Gran Bretagna abbia in teoria ‘vinto’, o almeno stesse dalla
parte dei vincitori, l’allora potente impero britannico è svanito nella storia.
Nessun leader britannico oggi oserebbe difendere la spesso brutale
documentazione dell’imperialismo britannico, che comprende uccisioni e
bombardamenti allo scopo di mantenere uno stato di sfruttamento coloniale su
milioni di persone in Africa e Asia. Nessun leader britannico oserebbe neppure
giustificare le uccisioni allo scopo di sostenere la ‘civiltà cristiana’, non
ultimo per paura di offendere la grande e crescente popolazione non cristiana
della Gran Bretagna.
Gli americani amano credere che i ‘bravi
ragazzi’ vincono, e i ‘cattivi ragazzi’ perdono e, negli affari internazionali,
che le nazioni ‘buone’ vincono le guerre, e le nazioni ‘cattive’ le perdono.
Mantenendo tale visione, gli americani vengono incoraggiati a credere che il
ruolo avuto dagli USA nella sconfitta della Germania e del Giappone dimostrò la
correttezza del ‘modello americano’, e la superiorità della nostra forma di
governo e società.
Tuttavia, se tale visione avesse una qualche
validità, sarebbe molto più accurato affermare che il risultato della guerra
mostrò la correttezza del ‘modello sovietico’, e la superiorità della forma di
governo e società del comunismo sovietico. Infatti, tale fu per decenni
un’orgogliosa richiesta dei leader di Mosca. Come afferma un libro di storia
ufficiale sovietico, pubblicato nel 1970:
“La guerra dimostrò la superiorità del
sistema sociale e statale sovietico… La guerra dimostrò inoltre l’unità
politica e sociale del popolo sovietico… Ancora una volta essa sottolinea il
significato del ruolo avuto dal partito comunista nell’organizzare e guidare la
società. Il partito comunista compattò milioni di persone nel combattimento
contro gli aggressori fascisti… La dedizione altruistica dimostrata dal partito
comunista durante gli anni della guerra solidificò ulteriormente la fiducia, il
rispetto e l’amore nel popolo sovietico”.
Infatti, la Germania di Hitler fu sconfitta,
prima di tutto, dall’Unione Sovietica. Circa il 70-80 percento delle forze
tedesche fu sconfitto dall’esercito sovietico sul fronte orientale. Lo sbarco
del D-Day in Francia effettuato dalle forze americane e britanniche, che viene
spesso ritratto negli Stati Uniti come un importante colpo militare contro la
Germania nazista, fu lanciato nel giugno 1944 – cioè, meno di un anno prima
della fine della guerra in Europa, e mesi dopo le grandi vittorie dell’esercito
sovietico a Stalingrado e Kursk, che furono decisive per la sconfitta della
Germania. Quali erano gli obiettivi nella Seconda Guerra Mondiale, e quanto
successo ebbero gli USA nel raggiungerli? Nel 1941 il presidente Franklin
Roosevelt, insieme al primo ministro britannico Winston Churchill, pubblicò una
formale dichiarazione degli obiettivi di guerra degli Alleati, la tanto
pubblicizzata ‘Carta Atlantica’. In essa, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna
dichiaravano di non ricercare “nessun cambiamento territoriale che non si
accordi con i desideri liberamente espressi dalle persone coinvolte”, che essi
avrebbero “ rispettato il diritto di tutti i popoli a scegliere le forme di
governo sotto le quali essi avrebbero vissuto”, e che si sarebbero sforzati “di
vedere restaurati i diritti di sovranità e di autogoverno per coloro che ne
erano stati privati con la forza”.
Divenne presto chiaro, invece, che tale
solenne dichiarazione di libertà e autogoverno per ‘tutti i popoli’ era poco
più che vuota propaganda. Ciò difficilmente sorprende, considerato che i due
alleati militari più importanti durante la guerra erano la Gran Bretagna e
l’Unione sovietica – vale a dire il principale potere imperialista mondiale e
la tirannia più crudele al mondo.
Allo scoppio della guerra nel 1939, la Gran
Bretagna comandava il più grande impero coloniale della storia, contenente il
maggior numero di persone (milioni) governate contro la loro volontà rispetto a
qualsiasi altro regime mai esistito fino ad allora. Questo vasto impero
includeva quelli che adesso sono l’India, il Pakistan, il Bangladesh, la
Malesia, la Nigeria, il Ghana, il Kenya, l’Uganda, la Tanzania e il Sudafrica.
L’altro grande alleato dell’America in tempo
di guerra, l’Unione Sovietica, fu, in misura obiettiva, il regime più tirannico
e oppressivo del suo tempo, e un dispotismo largamente più crudele di quello
della Germania di Hitler.
Come riconoscono gli storici, le vittime del
dittatore sovietico Stalin superano largamente coloro che perirono grazie alle
politiche di Hitler.
Robert Conquest, un importante studioso della
storia della Russia nel ventesimo secolo, stima il numero di coloro che persero
la vita in conseguenza delle politiche di Stalin come “non meno di venti
milioni”.
Durante la guerra gli Stati Uniti
contribuirono sostanzialmente a mantenere la tirannia di Stalin, e ad aiutare
l’Unione Sovietica nell’oppressione di milioni di altri europei, e allo stesso
tempo aiutarono la Gran Bretagna a mantenere o ristabilire il suo ordinamento
imperiale nei confronti di milioni di persone in Africa e Asia.
Paul Fussell, un professore all’Università
della Pennsylvania che partecipò alla Seconda Guerra Mondiale come luogotenente
dell’esercito statunitense, scrisse nel suo acclamato libro ‘Wartime’ [Tempo di
guerra, ndt] che “la guerra degli Alleati è stata ripulita e romanzaticizzata
oltre ogni modo dai sentimentali, dai patriottici pazzi, dagli ignoranti e dai
sanguinari”.
Una caratteristica importante di tale visione
‘ripulita’ è la credenza che mentre il regime nazista fu responsabile di molti
crimini di guerra e atrocità terribili, gli Alleati, e specialmente gli Stati
Uniti, condussero la guerra umanamente. Infatti, la documentazione dei misfatti
compiuti dagli alleati è lunga, e include i bombardamenti anglo-americani delle
città tedesche, una campagna terroristica che tolse la vita a più di mezzo
milione di civili, la ‘pulizia etnica’ di milioni di civili in Europa centrale
e orientale, e il maltrattamento su larga scala dei prigionieri tedeschi dopo
la guerra.
Dopo “quaranta mesi di guerra e cinque grandi
battaglie” in cui Edgar L. Jones fungeva da “autista d’ambulanza, marinaio
commerciante, storico dell’esercito e corrispondente di guerra”, egli scrisse
un articolo che dissipava alcuni miti riguardanti il ruolo degli americani
nella guerra. “Che tipo di guerra suppongono i civili che combattessimo?”
chiese mensilmente ai lettori di ‘The Atlantic’. “Sparavamo ai prigionieri a
sangue freddo, distruggevamo gli ospedali, mitragliavamo le scialuppe,
uccidevamo o maltrattavamo i civili nemici, finivamo i nemici feriti, gettavamo
i moribondi in un buco con i morti, e nel Pacifico bollivamo la carne dai
teschi nemici per fare ornamenti da tavolo per gli innamorati, o scolpivamo le
loro ossa per farne dei tagliacarte”.
Appena dopo la fine della guerra, i poteri
vincitori processarono i capi tedeschi per crimini di guerra e crimini contro
l’umanità. Facendo ciò, gli USA e gli alleati posero i capi tedeschi su un
livello che essi stessi non avevano rispettato. Robert Jackson, membro della
Corte Suprema di Giustizia statunitense, non fu l’unico ufficiale americano
d’alto rango che riconobbe, almeno in privato, che la dichiarazione sulla
correttezza degli Alleati fosse un mero pretesto. In una lettera al presidente,
scritta mentre svolgeva la funzione di Pubblico Ministero al grande processo di
Norimberga nel 1945-46, Jackson riconobbe che gli Alleati “hanno fatto o stanno
facendo alcune delle cose per le quali stiamo processando i tedeschi. I Francesi
stanno violando la convenzione di Ginevra nel trattare i prigionieri di guerra
[tedeschi], che il nostro comando sta riprendendosi i prigionieri inviati loro
[ai lavori forzati]. Stiamo processando i saccheggi e i nostri Alleati li
praticano. Diciamo che la guerra aggressiva è un crimine e uno dei nostri
alleati afferma la sua sovranità sugli stati baltici in base a nessun titolo,
se non la conquista”.
Alla conclusione del processo di Norimberga
del 1945-46, il rispettabile settimanale britannico ‘Economist’ citò i crimini
sovietici e aggiunse poi “il mondo occidentale non dovrebbe consolarsi del
fatto che solo i Russi vengano condannati alla sbarra della giustizia degli
Alleati”. L’editoriale dell’ ‘Economist’ proseguiva: “… Tra i crimini contro
l’umanità ci stanno anche i bombardamenti indiscriminati delle popolazioni
civili. Possono gli americani che lanciarono la bomba atomica e i britannici
che distrussero le città della Germania occidentale ritenersi ‘non colpevoli’?
I crimini contro l’umanità comprendono anche le espulsioni di massa delle
popolazioni. Possono i leader anglosassoni, che a Potsdam passarono sopra
all’espulsione di milioni di tedeschi dalle loro case ritenersi completamente
innocenti? … Le nazioni che giudicano [a Norimberga] si sono chiaramente
proclamati esenti dalla legge che essi stessi hanno amministrato”.
Un altro assunto popolare in America consiste
nel fatto che questi nemici della nazione nella Seconda Guerra Mondiale fossero
tutte dittature non democratiche. In realtà, in ogni parte c’erano regimi
repressivi o dittatoriali, così come governi che avevano un ampio supporto
pubblico. Molte delle nazioni alleate degli USA erano capeggiate da governi che
erano oppressivi, dittatoriali, o comunque non democratici. La Finlandia, una repubblica
democratica, era un importante partner della Germania di Hitler.
Violando grossolanamente i loro principi
proclamati solennemente, gli statisti statunitensi, britannici e sovietici si
sbarazzarono di decine di milioni di persone senza considerare i loro desideri.
L’inganno e il cinismo dei leader Alleati furono probabilmente mostrati più
sfacciatamente nell’infame ‘accordo delle percentuali’ anglo-russo per
dividersi il l’Europa sud-orientale. In un incontro con Stalin nel 1944,
Churchill avanzò la proposta che in Romania i sovietici avessero il 90 percento
di influenza o autorità e il 75 percento in Bulgaria, mentre la Gran Bretagna
dovesse avere il 90 percento di influenza o controllo in Grecia. In Ungheria e
Jugoslavia, suggerì il capo britannico, ognuno avrebbe dovuto avere il 50
percento. Churchill scrisse tutto ciò su un pezzo di carta, che passò a Stalin,
il quale lo contrassegnò e lo ritornò al mittente. Churchill disse in seguito:
“Non si potrebbe pensare che sia piuttosto cinico se sembrasse che ci siamo
sbarazzati di tali problemi, fatidici per milioni di persone, in maniera così
superficiale? Bruciamo la carta”. “No, tienila” replicò Stalin.
Per solidificare la coalizione alleata – che
era formalmente conosciuta come le ‘Nazioni Unite’ – il presidente Roosevelt,
il primo ministro britannico e il premier sovietico Stalin si incontrarono in
due occasioni: nel novembre 1943 a Teheran, nell’Iran occupato, e nel febbraio
1945 a Yalta, in Crimea. I tre leader alleati realizzarono ciò di cui accusavano
i leader dell’Asse di Germania, Italia e Giappone, di cospirare di voler
raggiungere: la dominazione del mondo.
Durante un incontro nel 1942 a Washington il
presidente Roosevelt raccontò candidamente al Ministro degli Esteri sovietico
che “gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Russia, e forse la Cina, dovrebbero
sorvegliare il mondo e rafforzare il disarmo [di tutti gli altri] compiendo
delle ispezioni”.
Per consolidare il comando globale di poteri
vittoriosi dopo la guerra, i ‘Tre Grandi’ leader degli Alleati fondarono l’ONU,
perché fungesse da forza di polizia mondiale permanente. Una volta che la
Germania e il Giappone furono sconfitti, però, gli USA e l’Unione Sovietica
combatterono l’una contro l’altra, ciò che rese impossibile per le Nazioni
Unite funzionare come il presidente Roosevelt aveva inteso. Mentre gli USA e
l’Unione Sovietica cercarono per decenni di assicurare l’egemonia nelle
rispettive sfere di influenza, i due ‘superpoteri’ furono anche rivali in una
lotta decennale per la supremazia globale.
Nel suo libro, ‘Storia del popolo degli Stati
Uniti’, lo storico Howard Zinn scrisse: “I vincitori furono l’Unione Sovietica
e gli Stati Uniti (anche Inghilterra, Francia e la Cina nazionalista, le quali
erano però deboli). Entrambe queste nazioni ora lavoravano – senza svastiche o
a passo d’oca, o razzismo dichiarato ufficialmente, ma sotto la copertura del
‘socialismo’ da un parte e della ‘democrazia’ dall’altra, per crearsi le loro
zone d’influenza. Essi procedettero nel condividere e contestare l’uno contro
l’altro il dominio del mondo, per costruire macchine militari molto più grandi
di quanto non avessero fatto le nazioni fasciste, per controllare i destini di
molte più nazioni di quanto Hitler, Mussolini e il Giappone fossero stati
capaci. Essi agirono anche per controllare le loro stesse popolazioni, ciascuna
nazione con le proprie tecniche – crude nell’Unione Sovietica, sofisticate
negli Stati Uniti – per consolidare il loro comando”.
Gli Stati Uniti entrarono ufficialmente in
guerra in seguito all’attacco giapponese alla base navale di Pearl Harbour
nelle Hawaii, avvenuto il 7 dicembre 1941. Fino allora, gli USA erano
ufficialmente una nazione neutra, e la maggior parte degli americani voleva
starsene alla larga dalla guerra che stava allora imperversando in Europa e
Asia. Nonostante lo status neutrale della nazione, il presidente Roosevelt e la
sua amministrazione, insieme a molti media statunitensi, incitarono il popolo
americano a supportare la guerra contro la Germania. Una campagna di propaganda
su larga scala fu montata per persuadere gli americani che Hitler e i suoi
‘tirapiedi’ o ‘orde’ stavano facendo tutto ciò che era in loro potere per
prendere il controllo e ‘schiavizzare’ l’intero mondo, e che la guerra contro
la Germania di Hitler era inevitabile.
Come parte di tale sforzo, il presidente e
altri ufficiali di alto rango americani diffusero fantastiche bugie riguardanti
teorici piani di Hitler e del suo governo per attaccare gli Stati Uniti e
imporre una dittatura globale.
La documentazione delle bugie del presidente
Roosevelt è riconosciuta perfino dai suoi ammiratori. Tra coloro che hanno
cercato di giustificare la sua politica c’è l’eminente storico americano Thomas
A. Bailey, che scrisse: “Franklin Roosevelt ingannò ripetutamente il popolo
americano nel periodo precedente Pearl Harbour… Si comportava come il medico
che deve raccontare delle bugie al paziente per il suo bene… La nazione era
decisamente non-interventista il giorno di Pearl Harbour, e un aperto tentativo
di trascinare le persone in guerra sarebbe conseguito in un fallimento certo e
in un quasi certo allontanamento di Roosevelt nel 1940, con una completa
sconfitta dei suoi obiettivi finali”.
Il professor Bailey proseguì nell’offrire una
visione cinica della democrazia americana: “Un presidente che non è capace di
dare fiducia al popolo con la verità tradisce una certa mancanza di fede nei
principi basilari della democrazia. Tuttavia, siccome le masse sono
notoriamente miopi e generalmente non sono capaci di vedere il pericolo se non
quando è arrivato alla loro gola, i nostri statisti sono costretti a
ingannarli, nella consapevolezza dei loro interessi a lungo termine. Questo è
ciò che Roosevelt dovette fare chiaramente, e chi dice che i posteri non lo
ringrazieranno per questo?”
Come parte della campagna degli USA per
incitare alla guerra, il presidente Roosevelt ordinò nel 1941 alla Marina
statunitense di aiutare le forze britanniche ad attaccare le navi tedesche
nell’oceano Atlantico. Ciò fu rinforzato dall’ordine presidenziale dato alla
Marina di ‘sparare a vista’ contro le navi italiane e tedesche. L’obiettivo di
Roosevelt era di provocare un ‘incidente’ che fornisse un pretesto per una
guerra aperta. Hitler, dal canto suo, era ansioso di evitare il conflitto con
gli Stati Uniti. Il leader tedesco rispose alle provocazioni sfrontatamente
illegali del governo statunitense ordinando ai suoi comandanti delle navi di
evitare scontri con le navi statunitensi.
Violando grossolanamente la legislazione
internazionale, l’ufficialmente neutrale governo USA fornì massicci ‘aiuti’ ai
nemici dei tedeschi, specialmente la Gran Bretagna e il suo impero, così come
all’Unione Sovietica.
Due eminenti storici americani, Allan Nevins
e Henry Steele Commager, hanno osservato che: “Questa misura [‘prestiti’ del
1941] era chiaramente non neutrale, ma gli Stati Uniti, impegnati ora nella
sconfitta della Germania, non erano più intenzionati a rispettare la
legislazione internazionale. Altre azioni egualmente non neutrali seguirono –
la confisca di navi dell’Asse, il congelamento dei fondi dell’Asse, il
trasferimento di navi cisterna in Gran Bretagna, l’occupazione della
Groenlandia e, in seguito, dell’Islanda, l’estensione di prestiti al nuovo
alleato, la Russia, e… l’ordine presidenziale di ‘sparare a vista’ ai
sottomarini nemici”.
Secondo lo storico britannico J.F.C. Fuller,
il presidente Roosevelt “non lasciò nessuna pietra al suo posto pur di
provocare Hitler per dichiarare guerra proprio a quel popolo a cui aveva così
ardentemente promesso la pace. Fornì la Gran Bretagna cacciatorpediniere
americani, fece atterrare truppe americane in Islanda e dispose di pattugliare
le vie marine dell’Atlantico allo scopo di salvaguardare i convogli britannici;
tutti questi furono atti di guerra… In barba alle sue molteplici enunciazioni
di tenere gli Stati Uniti fuori dalla guerra, fu costretto a provocare alcuni
incidenti che li avrebbero coinvolti [nella guerra, ndt]”.
Le politiche amministrative di Roosevelt
furono così belligeranti e illegali che l’ammiraglio Harold R. Stark, capo
delle operazioni navali statunitensi, riconobbe in un promemoria confidenziale,
rivolto al presidente, nel settembre 1941: “Egli [Hitler] avrebbe tutte le
scuse del mondo per dichiararci guerra ora, se volesse”.
In Europa e in Asia, la Seconda Guerra
Mondiale causò distruzioni di massa, la morte di decine di milioni di uomini,
donne e bambini, e grandi sofferenze a molti altre persone. Agli americani,
invece, furono risparmiati gli orrori dei bombardamenti su larga scala, i
combattimenti sul proprio terreno o l’occupazione da parte di eserciti
stranieri. Alla fine della guerra gli Stati Uniti erano la sola grande nazione
che non fosse stata ridotta in frantumi dal conflitto globale. Emersero come il
principale potere economico, militare e finanziario del mondo. Per gli Stati
Uniti, il mezzo secolo che va dal 1945 alla metà degli anni novanta fu un era
di spettacolare crescita economica e di incomparabile statura globale.
Lewis H. Lapham, autore e per anni editore
della rivista ‘Harper’s’, la mette in questo modo: “Nel 1945 gli Stati Uniti
ereditarono la Terra… alla fine della Seconda Guerra Mondiale, ciò che rimaneva
della civiltà occidentale passò sul conto americano. La guerra aveva preparato
anche la nazione ad inventare una macchina economica miracolosa che sembrava
garantire tanti desideri quanti gliene venivano chiesti. Gli Stati Uniti
continentali erano sfuggiti alla piaga della guerra, perciò fu abbastanza
semplice per gli eredi credere di essere stati consacrati da Dio”.
Ma sarebbe stato realmente meglio se gli
Americani fossero rimasti fuori dalla Seconda Guerra Mondiale? Tra coloro che
non hanno pensato questo c’è il professor Bruce Russett, che ha scritto: “La
partecipazione americana alla Seconda Guerra Mondiale ebbe un effetto molto
ristretto sulla struttura essenziale della politica internazionale seguente, e
probabilmente fece anche poco per far progredire il benessere materiale della
maggior parte degli Americani o per rassicurare la nazione da minacce militari
straniere… Infatti, la maggior parte degli Americani probabilmente non sarebbe
stata peggio, e forse anche un po’ meglio, se gli Stati Uniti non fossero
diventati belligeranti…”
“Personalmente trovo difficile sviluppare una
preferenza empatica per la Russia stalinista rispetto alla Germania hitleriana…
In termini realisti e a sangue freddo, il nazismo come ideologia fu quasi
certamente meno pericoloso per gli Stati Uniti rispetto al comunismo”.
Sebbene il Terzo Reich tedesco e il Giappone
imperiale siano stati distrutti, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna fallirono
il raggiungimento degli obiettivi politici proclamati dai loro leader.
Nell’agosto 1945, il prestigioso settimanale britannico, l’Economist, osservò:
“Alla fine di una potente guerra combattuta per sconfiggere l’hitlerianesimo,
gli Alleati stanno costruendo una pace hitleriana. Questa è la misura reale del
loro fallimento”.
Tra coloro che non furono contenti del
risultato della guerra ci fu lo storico britannico Basil Liddel Hart, che
scrisse: “… Tutti gli sforzi profusi nella distruzione della Germania
hitleriana ebbero come conseguenza un’Europa così devastata e indebolita che il
suo potere di resistenza fu molto ridotto di fronte ad una fresca e più grande
minaccia – e la Gran Bretagna, così come i suoi vicini europei, divenne una
povera dipendente degli Stati Uniti. Questi sono i duri fatti sottolineanti la
vittoria che era stata così speranzosamente perseguita e così dolorosamente
raggiunta – dopo che il peso colossale di Russia e America era stato posto
sulla bilancia contro la Germania. Il risultato fece svanire la persistente
illusione popolare che la ‘vittoria’ scrivesse la pace. Esso confermò gli
avvertimenti dell’esperienza passata secondo cui la vittoria è un ‘miraggio nel
deserto’ – il deserto creato da una lunga guerra, quando viene condotta con
armi moderne e metodi senza limiti”.
Perfino Winston Churchill ebbe dei dubbi
riguardo il risultato della guerra.
Tre anni dopo la fine del combattimento,
scrisse: “La tragedia umana [della guerra] raggiunge il suo climax nel fatto
che, in seguito a tutti gli sforzi e i sacrifici compiuti da centinaia di
milioni di persone e le vittorie della Giusta Causa, non abbiamo ancora trovato
la Pace e la Sicurezza, e che ci troviamo nella morsa di pericoli perfino
peggiori di quelli che abbiamo superato”.
Alla fine della guerra, l’Europa, per la
prima volta nella sua storia, non era più padrona del suo destino, ma si
trovava invece sotto la dominazione di due grandi poteri esterni, gli Stati
Uniti e l’Unione Sovietica, i quali per ragioni politiche ed economiche non
avevano particolare interesse riguardo, o non c’entravano con, la cultura
europea o la civiltà occidentale.
Secondo Charles A. Lindbergh, il famoso
autore ed aviatore, la guerra fu una grande sconfitta per l’Occidente.
Venticinque anni dopo la fine del conflitto
scrisse: “Vincemmo la guerra in senso militare; ma in un senso più ampio mi
sembra che la perdemmo, perché la nostra civiltà occidentale è meno rispettata
e meno sicura di quanto non fosse precedentemente. Allo scopo di sconfiggere la
Germania e il Giappone supportammo le non meno grandi minacce di Russia e Cina
– che ora ci affrontano nell’era delle armi nucleari. La Polonia non fu
salvata… Gran parte della nostra cultura occidentale fu distrutta. Perdemmo
l’eredità genetica formata attraverso milioni di anni con i milioni di vittime…
E’ possibile, in maniera allarmante, che la Seconda Guerra Mondiale abbia
segnato l’inizio del crollo della nostra civiltà occidentale, così come essa
segna il crollo del più grande impero mai costruito dall’uomo”.
Il risultato del ruolo avuto da Stati Uniti e
Gran Bretagna nella guerra ha indotto lo storico britannico J.F.C. Fuller a
scrivere: “Che cosa li persuase [Roosevelt e Churchill] ad adottare un politica
così fatale? Ci azzardiamo a rispondere – odio cieco! I loro cuori fuggirono
con le loro teste e le loro emozioni annebbiarono la loro ragione. Per loro la
guerra non fu un conflitto politico nel senso normale delle parole, ma una
competizione manichea tra il Bene e il Male, e portando i loro popoli con loro
essi scatenarono una propaganda al vetriolo contro il diavolo da loro
invocato”.
Perfino a distanza di così tanti anni, tale
odio è perdurato. Le scuole americane, i mass media statunitensi, le agenzie
governative e i leader politici hanno portato avanti per decenni una campagna
carica di emozioni, una propaganda a senso unico per sostenere la mitologia
nazionale della Seconda Guerra Mondiale.
Come una nazione vede il passato non è un
mero o triviale esercizio accademico. La nostra prospettiva sulla storia forma
profondamente le nostre azioni nel presente, spesso con gravi conseguenze per
il futuro. Nel disegnare delle conclusioni partendo dal nostro modo di
comprendere il passato supportiamo o adottiamo politiche che hanno un grande
impatto su molte persone. La rappresentazione familiare dell’America della
Seconda Guerra Mondiale, e la mitologia della ‘guerra giusta’ riguardante il
ruolo che hanno avuto gli Stati Uniti, non rappresenta semplicemente cattiva
storia. Essa ha contribuito ampiamente a supportare e giustificare una serie di
arroganti avventure di politica estera statunitensi, con conseguenze dannose
sia per l’America che per il mondo.
“La Seconda Guerra Mondiale ha distorto il
nostro attuale modo di vedere le cose”, affermò l’ammiraglio di divisione della
marina statunitense Gene R. La Roque, che prestò servizio in tredici grandi
battaglie durante la guerra. “Vediamo le cose nei termini indicati da quella
guerra, che in un senso fu una guerra giusta. Ma la memoria distorta riguardo
tale guerra incoraggia gli uomini della mia generazione a volere, quasi ad
essere ansiosi, di utilizzare la forza militare ovunque nel mondo”.
Sin dal 1945, i presidenti americani hanno
ripetutamente cercato di giustificare le azioni dell’esercito statunitense
nelle nazioni straniere richiamandosi alla ‘guerra giusta’ e, in particolare,
al ruolo avuto dagli USA nella sconfitta della Germania. Negli anni sessanta,
il presidente Lyndon Johnson cercò di ottenere il supporto per la sua politica
di guerra nel Vietnam utilizzando interpretazioni storicamente false della
Seconda Guerra Mondiale e della Germania di Hitler.
Ciò spinse lo storico Murray Rothbard
scrivere nel 1968: “… Quello della Seconda Guerra Mondiale è l’ultimo mito di
guerra rimasto, il mito a cui la Vecchia Sinistra si aggrappa con disperazione.
Il mito che qui, almeno, ci fu una guerra giusta, qui c’era una guerra nel
quale l’America stava nel giusto. La Seconda Guerra Mondiale è la guerra che ci
è stata gettata in faccia dall’establishment costruttore di guerre il quale
prova, in ogni guerra che affrontiamo, ad avvolgersi nel mantello della giusta
Seconda Guerra Mondiale”. In anni recenti, i leader politici americani hanno
tentato di guadagnare supporto per la guerra contro l’Iraq e l’Iran disegnando
paralleli storici tra Hitler e i leader dei due stati mediorientali.
Molti americani sono comprensibilmente
indignati dall’inganno e dalle falsità utilizzati dal presidente George W. Bush
e della sua amministrazione nel cercare consenso pubblico per l’invasione
dell’Iraq nel 2003. Ma, come abbiamo visto, gli inganni presidenziali per
giustificare guerre non sono iniziati con loro. Gli americani che esprimono
ammirazione per il ruolo degli USA nella Seconda Guerra Mondiale, e per la
leadership presidenziale di Franklin Roosevelt, hanno ben poco diritto morale a
lamentarsi quando i presidenti seguono il suo esempio e trascinano la nazione
in guerra violando la legge, sovvertendo la Costituzione e mentendo al popolo.
Se la storia delle guerre e dei conflitti ci
insegna qualcosa, ciò è rappresentato dal pericolo dell’arroganza – cioè il
pericolo di andare in guerra perché i leader di una nazione sono convinti della
loro correttezza, o hanno persuaso loro stessi e il pubblico che una nazione
debba essere attaccata perché il suo governo o la sua società non sono
semplicemente alieni, ostili o minacciosi, ma rappresentano il ‘Male’”.
Questa è probabilmente l’eredità più dannosa
della mitologia nazionale riguardo la Seconda Guerra Mondiale – la nozione che
guerre meritevoli o giustificabili vengono combattute contro nazioni capeggiate
da supposti regimi ‘maligni’. Ed è proprio questa prospettiva che mosse il
presidente George W. Bush a riferirsi alla sua ‘guerra al terrorismo’ come ad
una ‘crociata’ e, in un famoso discorso, a proclamare la politica estera
statunitense dedicata a “far terminare la tirannia nel mondo”.
Una nazione dovrebbe entrare in guerra solo
in seguito a prudenti considerazioni, dopo aver attentamente valutato il peso
delle possibili conseguenze, e solo per le ragioni più convincenti, solo dopo
che le altre alternative si sono esaurite, e come ultima risorsa. Ciò risulta
particolarmente vero considerato l’incredibile potere distruttivo della armi moderne,
e perché – come attesta tragicamente la Seconda Guerra Mondiale, la ‘Guerra
giusta’, - le guerre raramente vanno nella direzione che qualcuno si aspetta.
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