Alla
fine del 1919, Mario Sironi ripartì per Milano. Nella nuova contesto che si
stava sviluppando nel capoluogo lombardo, con Margherita Sarfatti che stava
dando vita al gruppo Novecento, due notevoli impegni attendevano Sironi:
la partecipazione alla Grande mostra futurista di Palazzo Cova,
l'ultima in chiave prettamente futurista, e la collaborazione ad Ardita,
il mensile del Popolo d'Italia.
Da
questo momento in poi Sironi tende a monumentalizzare la sua arte descrivendo,
con le grandi periferie urbane, il suo passaggio ad una nuova ispirazione.
Milano
lo affascinava per i suoi paesaggi urbani e per le sue periferie
industriali che analizzò acutamente e che presto cominciò a dipingere: in
queste opere permangono ancora, da una parte, temi di impostazione metafisica,
dall’altra, temi assolutamente brutali nel loro angoscioso realismo.
Queste
opere indicano l’originale impostazione della pittura di Sironi che esprime una
tragicità fino a quella momento ignorata dalla pittura del Novecento, il dramma
dell’uomo contemporaneo: un dramma fatto di tristi solitudini e di atmosfere
cupe, di città deserte cifrate dall’atmosfera desolata delle misere periferie,
dove domina il senso cupo ed oppressivo della dislocazione
urbanistico-ambientale del mondo operaio: una riflessione amara e angosciata
sul tema della nuova civiltà urbana e industriale, delle officine e delle
macchine.
In
queste opere Sironi raggiunse la compiutezza dell'opera d'arte: tutto è chiaro,
nessun elemento è lasciato al caso e nelle pennellate che danno luogo all’immagine
è individuabile finanche l’ora.
Sironi
seduce con dipinti come Sintesi di Paesaggio Urbano, un olio su tela del
1919.
I
paesaggi urbani, tra il 1919 ed il 1922, entrano duramente nell'ambito in cui
la città, divenuta metropoli, assume un’immagine sempre più potente, di ordine di dominio, ma astratta e priva
di ogni punto di riferimento.
Questa
visione della città porta Sironi su scenari di solitudine e di inquietudine che
riflettono e fanno riflettere sull’industrializzazione rozza e grezza
dell'Italia settentrionale. Il successo delle tele fu tale che più tardi Margherita
Sarfatti potette scrivere nella sua Storia
della pittura moderna del 1930: «Sempre
nitida e recisa nel segno, l'aristocratica pittura di Mario Sironi adombra
vaste immagini, figurazioni aduste e solenni, addolcite da giuochi di penombre
e profondi smalti traslucidi. Egli è uno fra i maggiori pittori di oggi e
sicuramente grandeggerà domani. È il pittore dei paesaggi urbani meccanici e
implacabili come la geometria delle vite rinchiuse nei cubi delle case, fra i
rettifili delle strade».
I
paesaggi urbani di Sironi sono uno degli eventi più straordinari del secolo.
Nell’asprezza dei colori lo spettatore è avvinto da una emozione suggestiva e ad
un tempo angosciante: le speranze di una vita migliore lasciano il posto alla
cruda realtà della solitudine e dell’impersonalità. Diversamente da Boccioni,
in particolare in La città che sale, nell’ambiente
urbano di Sironi non c'è più traccia di vitalità, di entusiasmo, di colore, di
ardimento e di sfolgorio.
Le
fabbriche sono al centro di una desolazione devastante. Esili e abbandonate
figure si perdono nella vastità silenziosa di un vivere assurdo, vuoto,
monotono, senza vie di uscita. Il cielo, la terra, i marciapiedi e le persone
sembrano essere una sola cosa, con lo stesso umore e con le stesse sensazioni
perse nel nulla.
Le
periferie urbane anticipano dunque il futuro, il senso compiuto dell'uomo di
fine millennio, in bilico tra un passato glorioso e tormentato e un futuro
troppo pieno di incertezze per essere affrontato serenamente. Sironi sembra percepire
tutto questo negli anni venti attraverso una lacerante conversione ed un'opera
affascinante e tragica, straordinariamente efficace e decisa, che assume,
all'interno dell'ambiente novecentista, un ruolo isolato ed unico, preferendo
un realismo sociale, malinconico e mistico diverso dai vari artisti che con il
tempo entrarono a far parte della grande famiglia voluta dalla Sarfatti, vera e
autentica ispiratrice di molti fermenti culturali.
Nel
1920, Sironi era diventato ormai un appassionato frequentatore dei mercoledì
culturali nel salotto cremisi di Margherita Sarfatti a Milano. Alla fine
dell’anno, prese parte, ancora da futurista, alla Mostra italiana
dell’Esposizione d’Arte Moderna di Ginevra, dove fu apprezzato come
una delle figure italiane più significative dell’intera rassegna ed in quella
circostanza firmò con Dudreville, Funi e Russolo il
manifesto Contro tutti i ritorni in pittura che contiene alcune delle
tesi fondamentali per la costituzione del gruppo Novecento,
successivamente fondato nel 1922.
Nel
frattempo le convinzioni politiche di Sironi che, al di sopra di ogni
avvenimento, attraverso la sua creatività, aveva sempre tentato di colpire duramente
la burocrazia dello Stato liberale, il consumismo e la società industrializzata
con ambientazioni scure, dure, gigantesche e spaventose che presto avrebbero
trovato felice realizzazione nella sua arte più conosciuta, lo attrassero verso
gli ideali rivoluzionari di Mussolini e del Fascismo cui aderì e, quando nel
1922 Mussolini giunse al potere con la marcia su Roma, Sironi diventò
impaginatore, illustratore e grafico del Popolo d’Italia, il quotidiano
milanese fondato dal futuro Duce, e della Rivista Illustrata del
Popolo d'Italia e collaborò anche al periodico Natura.
Nel
1922 si comincia a profilare il tempo di Novecento: intorno al
gallerista Lino Pesaro e con i favori della Sarfatti, si formò il Gruppo dei
sette pittori del Novecento, con altri sei pittori, Bucci, Dudreville,
Funi, Malerba, Marussig, Oppi, oltre naturalmente a Sironi.
Il Gruppo
dei sette pittori del Novecento espose per la prima volta il 27 marzo del
1923, alla Galleria Pesaro, punto di riferimento decisivo per il lancio
del Novecento in Italia, alla presenza del Capo dello Governo Benito
Mussolini alla serata inaugurale.
La
Sarfatti, ideologa, tecnica e, soprattutto, portatrice dell’impulso politico
proveniente da Mussolini, pose subito il gruppo in opposizione con Valori
Plastici. Sironi condivise Novecento non in modo subalterno, ma
ponendo in campo tutte le sue idee e tutte le sue precedenti sperimentazioni e soprattutto
portandovi dentro tutto il carico della sua complessa personalità artistica: in
sostanza Mario Sironi, per la coincidenza della sua inclinazione verso una
concezione monumentale dell’arte con i programmi di Margherita Sarfatti e con
quelli politici del Fascismo, risultò la figura preminente nell'ambito del Novecento
Italiano.
Egli
si proponeva di orientare la sua arte verso una rivisitazione, meditata ed
originale, del classicismo greco e romano, con un occhio alle ombre e ai
chiaroscuri di Caravaggio come si può osservare ne La modella dello scultore
del 1922.
Il
secondo importante momento del Gruppo dei sette pittori del Novecento fu
l'allestimento nel 1924 di una mostra alla XIV Biennale di Venezia, anno
in cui una parte della nuova corrente si spaccò. Sironi partecipò alla mostra,
presentandovi due opere, L’allieva e L’architetto che assimilano
tutta la poetica e l'interiorità del movimento, diventate delle vere e proprie immagini
della poetica novecentista.
All’indomani
della mostra, la Sarfatti giunse alla decisione di dare al gruppo valenze e
prerogative nazionali e a questo scopo decise di organizzare, per il 1926, la
prima grande mostra del Novecento
italiano da allestirsi a Milano di cui Sironi fu cofondatore e
rappresentante di punta del Comitato direttivo. Le adesioni piovvero alla
Sarfatti da tutta Italia e il 14 febbraio 1926 appunto, la prima mostra del Novecento
italiano fu ordinata da Sironi e fu inaugurata al Palazzo della
Permanente di Milano, con 110 artisti rappresentati e con la consueta
presenza di Mussolini al vernissage.
L’attività
di Sironi fu febbrile nel gruppo Novecento italiano, sostenendo
polemiche con il mondo dell'arte e promuovendo esposizioni in Italia e
all'estero.
Nel
maggio del 1926 Sironi partecipò ad una mostra di artisti novecentisti, presso
la Galleria Carminati a Parigi e ad un’altra mostra di pittori italiani
presentati a New York dalla Società
Italo-Americana.
Intanto,
all’attività pittorica di cavalletto, Sironi alternava quella di disegnatore e
di critico d’arte sul Popolo d’Italia dedicando anche molto impegno
all’antica tecnica dell’affresco, come pure ad interventi di progettazione
architettonica, alla scenografia e alla scultura.
Nel
febbraio del 1927, alla Galleria Scopinich di Milano, Sironi espose
insieme con altri 15 artisti del Novecento; a marzo Sironi partecipò
alla mostra Italianische Maler, presso il Kunsthaus di Zurigo,
per la quale realizzò anche il manifesto. Intanto Sironi era entrato a far
parte del Comitato artistico direttivo della Biennale monzese
che, nel 1927, tenne la sua terza edizione. In quella sede espose caricature ed
illustrazioni realizzate per Il Popolo d’Italia, incontrando grande
fortuna critica. Nell’ottobre dello stesso anno, Sironi partecipò ad un’altra
mostra di artisti italiani, Campigli, De Chirico, Tozzi, De Pisis ed altri
allestita presso lo Stedelijk Museum di Amsterdam e alla fine dell’anno
realizzò il manifesto del Crepuscolo degli dei di Wagner, rappresentato
alla Scala di Milano.
Nel
1928, Sironi assunse il ruolo di critico d’arte nel Popolo d’Italia e
partecipò con nove opere alla XVI Biennale di Venezia e ad una mostra di Sette
pittori moderni tenuta nelle sale della Galleria Milano. Sironi
iniziò ad interessarsi anche di architettura collaborando con l’architetto
Muzio con il quale curò la sistemazione del Padiglione della Stampa italiana
alla mostra Pressa di Colonia e del Padiglione del Popolo d’Italia
alla Fiera di Milano.
Nel
1929, fra marzo ed aprile, Sironi partecipò ad altre mostre: la rassegna di
novecentisti italiani organizzata dalla Société des Beaux-Arts di Nizza,
poi alla mostra presso la Galleria Milano dove esponevano gli stessi
artisti dell’anno precedente ed infine, alla II Mostra del Novecento
italiano, sempre tenuta al Palazzo della Permanente di Milano.
Anche
in questa seconda edizione non mancarono polemiche di artisti e di critici: il
tentativo della Sarfatti di aprire ad altre tendenze artistiche non raccolse i
frutti sperati come il rifiuto dei futuristi a parteciparvi.
Nel
maggio del 1929 Sironi e Muzio misero a punto il Padiglione della Stampa
italiana all’Esposizione internazionale di Barcellona.
Dopo
la prima personale a Milano nel 1929, Sironi cominciò a conseguire premi anche
internazionali e diventò uno dei più quotati elaboratori dell’estetica
fascista.
Con
la collaborazione di architetti dell’ala razionalista, diventò uno dei maggiori
protagonisti del tentativo di formulare un’estetica del regime fascista,
animato da un principio di volontà e ordine rispecchiante il suo orientamento
psicologico e la sua ideologia politica.
Anche
i1 1930 fu per Sironi un anno denso di avvenimenti, come l’inserimento di
Sironi nel collegio direttivo della IV Triennale di Milano, in
cui, sempre con Muzio, realizzò una mostra delle arti grafiche. Poi partecipò
alla XVII Biennale di Venezia e alla Mostra del Novecento Italiano
a Buenos Aires e realizzò le scene teatrali per L’isola misteriosa di
Ugo Betti, rappresentata al Teatro
Manzoni di Milano.
Con
la partecipazione di Sironi, sempre in ambito collettivo, alle mostre della Kunsthalle
di Basilea e di Berna e con la Mostra del Novecento Italiano a Buenos
Aires, la Sarfatti ed il Comitato direttivo di Novecento, cercavano di
dare respiro e legittimazione internazionale al Movimento, ma la polemica
interna non sembrava sopirsi, rinfocolata com’era soprattutto dal movimento di Strapaese
di Soffici e da Valori Plastici di Broglio.
Anche
nella vita sentimentale di Sironi il 1930 fu un anno di svolta: l’artista
incontrò Maria Alessandra Costa, una giovanissima ed attraente modella. Fu un
grande amore a prima vista. L’ormai quarantacinquenne artista, immalinconito in
una routine anche burocratica, tutt’altro che esaltante, si separò dalla
moglie e decise di vivere con la sua giovane amante. Questo grande amore lo
scosse profondamente, lo fece ringiovanire di colpo, diede nuova linfa alla sua
pittura.
Negli anni immediatamente seguenti si assiste ad un
evento magico per pochi artisti: l’ingresso nell’arte della gioia di vivere. La
serie di tempere e tecniche miste dipinte per integrare i progetti di interni
di palazzi e motonavi presentati dall’architetto Pulitzer, ne sono una
splendido prova. In esse Sironi creò, ideò, lavorò in una gradazioni cromatiche
quanto mai diversificate, brillanti, vivaci, in strutture compositive sempre
inedite, autonome, estranei alla tradizione che spesso lambiscono l’informale.
Massimo Capuozzo
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