Esiste nella Storia qualcosa peggiore
della damnatio memoriae ed è il tentativo di svincolare ciò che è positivo di
un’epoca damnata dalla damnatio generale della stessa, falsificando o ignorando
gli intrecci con quella parte di passato che si era condannato.
È questo il caso del Futurismo che,
dagli anni Ottanta del Novecento è stato oggetto di importanti studi e di altrettanto
fondamentali mostre a partire da quella importantissima Ricostruzione
futurista dell’universo curata da Enrico Crispolti e tenuta a Torino nel 1980,
fino a giungere a quella del 2014 Italian Futurism, 1909–1944: Reconstructing
the Universe, curata da Vivien Greene al Museo Guggenheim di New York, in
cui si tenta di sdoganare dal Fascismo il Futurismo successivo alla Prima
guerra mondiale.
La questione rilevante non è tanto
dimostrare fino a che punto il Futurismo sia stato o meno un movimento
artistico al servizio del regime, aspetto inequivocabile e innegabile nella sua
seconda fase, quanto capire come esso abbia nutrito in sé quel sostrato
culturale – la definizione di un rinnovato stile di vita, l’ossessione per
virilità e per la fisicità, l’insistenza sull’interventismo – che il regime
fascista condivise.
Lo storico inglese Adrian Lyttelton scrive
in un’opera fondamentale: “Il Fascismo non sarebbe potuto esistere senza
Futurismo o per lo meno sarebbe stato qualcosa di molto diverso”[1].
Consapevole del dubbio alla base di un ricongiungimento del Fascismo con l’arte
futurista, è doveroso non cadere nell’operazione disonesta di accantonare – con
una forma depotenziata di negazionismo – il ruolo che la politica ha giocato
nella sua costituzione, ma rintracciare l’energia che il Futurismo ha dato al
Fascismo.
Siccome il Futurismo ha avuto una
lunga parabola è opportuno individuarne le scansioni. Si può affermare che il
primo Futurismo entra in crisi quando Umberto Boccioni muore improvvisamente,
nel 1916, mentre Carlo Carrà e Gino Severini sono in una fase di evoluzione
verso il Cubismo, pertanto il gruppo milanese si scioglie ed il cuore pulsante
del movimento futurista diventa Roma, con la conseguente nascita
del Secondo Futurismo.
Il secondo Futurismo, si può suddividere in due fasi: la prima fase dal 1918 al 1928 è caratterizzata dallo scioglimento del gruppo di futuristi milanesi che si ricompattano a Roma intorno a Marinetti e in questa fase i pittori futuristi sono impegnati nel superamento del Divisionismo evolvendosi in forme astratto-geometriche, mediate dalla conoscenza del Cubismo, delle prime intuizioni post cubiste e costruttiviste Enrico Prampolini, Fortunato Depero, Francesco Cangiullo, Rougena Zatkova e ancora Giacomo Balla.
Il secondo Futurismo, si può suddividere in due fasi: la prima fase dal 1918 al 1928 è caratterizzata dallo scioglimento del gruppo di futuristi milanesi che si ricompattano a Roma intorno a Marinetti e in questa fase i pittori futuristi sono impegnati nel superamento del Divisionismo evolvendosi in forme astratto-geometriche, mediate dalla conoscenza del Cubismo, delle prime intuizioni post cubiste e costruttiviste Enrico Prampolini, Fortunato Depero, Francesco Cangiullo, Rougena Zatkova e ancora Giacomo Balla.
Nel 1929 i Futuristi entrarono nella seconda fase del secondo Futurismo
(1929-38) e firmarono il Manifesto della Aeropittura, che proponeva uno
stile pittorico capace di dare al pubblico sensazioni collegate al volo con il
risultato di avvicinare gli artisti alle idee suggerite dal surrealismo: fra
questi emerse l'attività del gruppo torinese (Luigi Colombo Fillia, Medardo
Rosso, Nicolay Diulgheroff, P. Oriani, Farfa e altri). Momenti di adesione alla
poetica futurista sono rilevabili nell'opera anche di altri artisti, come Mario
Sironi, Ardengo Soffici, Ottone Rosai, Arturo Martini, Giorgio Morandi, Achille
Funi, e altri.
Le responsabilità politiche del Futurismo
rispetto all’avanguardia sono legate all’esaltazione dell’avanguardia stessa,
non dei suoi temi: l’estetica del Futurismo dopo la Prima guerra mondiale fu un’estetica
dell’avanguardismo, più che un’avanguardia artistica. Quest’ideologia della
rottura fine a se stessa creò l’humus culturale perfetto per la diffusione del
Fascismo: basterebbe il solo famosissimo slogan sulla guerra, come sola
igiene del mondo, della guerra come unica forza generatrice. Per quanto
lo si voglia contestualizzare, calarlo nel suo tempo, non si può dimenticare
che questo slogan ha avuto delle responsabilità influenti sulle sorti della
gente, giustificando culturalmente una politica di morte. L’amore della morte
degli squadristi e tutte le altre simbologie macabre che hanno nutrito la
peggiore cultura fascista, non sono per nulla estranee a quegli atteggiamenti
del Futurismo.
* * *
Il Fascismo come sistema totalitario,
confrontato con il totalitarismo nazista e con quello sovietico, presenta moltissime
smagliature nel suo progetto – se ve ne fu uno – di una politicizzazione
dell’estetica a causa della sua imperfezione[2]
leggibile anche come una sua debolezza rispetto ad altri regimi totalitari.
Gerardo Dottori 1916 - Ritmi astrali |
Per comprendere l’atteggiamento del
Fascismo nei confronti dell’arte in generale, vanno innanzitutto differenziati
i periodi, distinguendo i due decenni l’uno dall’altro, e quindi ponendo
attenzione alla geografia dell’arte, della quale è ancora necessario parlare,
perché l’Italia – quell’Italietta da poco formata come entità nazionale –
nonostante le tendenze omogeneizzatrici espresse dal Fascismo, continuava a
mantenere fortissime eterogeneità e specifiche culturali.
Virgilio Marchi 1919 Edificio visto da un aeroplano virante |
Sul piano dell'immagine e della
retorica, Mussolini aveva fatto ampiamente tesoro della lezione del Futurismo e
continuò a farne uso parlando fino all'ultimo di Rivoluzione fascista,
reclamando i diritti dell'Italia proletaria e ostentando quel
giovanilismo e quello stile dinamico, sprezzante, fiero e spregiudicato,
quell’amore del rischio e della sfida che i futuristi avevano proposto fin da quando
il Fascismo ancora non esisteva.
Per questi motivi, nel tribolato
periodo dell’immediato primo dopoguerra, norme e metodi futuristi erano
travasati nel Fascismo, senza traumatici cambiamenti. Per una certa comunione
di intenti: le posizioni polemiche del Fascismo contro l’oscillante borghesia
liberale giolittiana, senz’altro traducibili in atteggiamenti anticapitalistici
– la demagogia populistica e l’azione sediziosa volevano significare coraggio
rivoluzionario – coincidevano con quelle dei futuristi, come la polemica
fascista agli estremi tentennamenti del vecchio liberalismo trasformista della
borghesia postrisorgimentale coincideva con la polemica futurista. In questi attacchi
si inseriva bene anche la battaglia estetica futurista contro la limitatezza e il
vecchiume dei gusti artistici borghesi.
Rougena Zatkova - 1920 - Ritratto di Marinetti |
Eppure, a ben guardare le dinamiche fra
i due movimenti ci si accorge che fin dal principio Mussolini era in ritardo
rispetto a Marinetti: nel 1918, immediatamente dopo la guerra quindi con un
anno di anticipo su Mussolini, Marinetti aveva organizzato con decisione un partito
politico futurista e aveva pubblicato su Lacerba il Manifesto del Partito
politico futurista che voleva essere nettamente, per quanto possibile a un
intellettuale come lui, distinto dal movimento artistico, ma più che un
programma di partito esso era lo specchio dello spirito vitalistico ed estetico
dell'avanguardia futurista.
Questo manifesto tuttavia alimentò per
molti aspetti il movimento fascista.
Subito dopo, nel 1919, Marinetti sostenne
la costituzione dei Fasci politici futuristi che nacquero in diverse città
italiane e, solo dopo quelli futuristi, Mussolini organizzò i suoi fasci per la
scalata al potere.
I futuristi, durante il periodo
antecedente la Prima guerra mondiale, erano stati espressione del malessere e della
contestazione intellettuale che erano tuttavia tipici della società, lo stesso
malessere che anche il Fascismo esprimeva. Da questo, dal dichiarato
interventismo di Marinetti e dal suo incitamento alla guerra come “unica igiene
del mondo”, nasce probabilmente l’equivoco di fondo dell’equivalenza delle due
posizioni.
Enrico Prampolini - 1921 - Forme architettoniche di un paesaggio futurista |
Per questo nel suo programma di critica
anti-istituzionale, anti-accademica, anti-passatista, il Futurismo riuscì a
trovare degli alleati anche nelle forze progressiste della sinistra, si pensi
al seguito che ebbe perfino nella Russia bolscevica. Gramsci, in un celebre
articolo su L’ordine nuovo, scrive: «I futuristi […] hanno avuto
fiducia in se stessi, nella foga delle energie giovani, hanno avuto la
concezione netta e chiara che l’epoca nostra, l’epoca della grande industria,
della grande città operaia, della vita intensa e tumultuosa, doveva avere nuove
forme, di arte, di filosofia, di costume, di linguaggio: hanno avuto questa
concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista, quando i
socialisti non si occupavano neppure lontanamente di simile questione, quando i
socialisti certamente non avevano una concezione altrettanto precisa nel campo
della politica e dell’economia, quando i socialisti si sarebbero spaventati (e
si vede dallo spavento attuale di molti di essi) al pensiero che bisognava
spezzare la macchina del potere borghese nello Stato e nella fabbrica. I
futuristi, nel loro campo, nel campo della cultura, sono rivoluzionari; in
questo campo, come opera creativa, è probabile che la classe operaia non
riuscirà per molto tempo a fare di più di quanto hanno fatto i futuristi:
quando sostenevano i futuristi, i gruppi operai dimostravano di non spaventarsi
della distruzione, sicuri di potere, essi operai, fare poesia, pittura, dramma,
come i futuristi, questi operai sostenevano la storicità, la possibilità di una
cultura proletaria, creata dagli operai stessi»[3].
Lo stesso Gramsci in una lettera a Trotzky ricordò anche che a Torino e a
Milano il Futurismo era stato talmente popolare tra i lavoratori che la rivista Lacerba, a prezzi ridotti, vendette quasi tutte le sue copie tra la
classe operaia.
Ivo Pannaggi -1922 - Treno in corsa Macerata - Fondazione Carima |
Enrico Prampolini - 1923 - A utoritratto simultaneo |
Il rapporto fra Futurismo e Fascismo
fu sempre un rapporto ambiguo e se ne osservino le ragioni. Il Futurismo
era nato come reazione al culto per l'antichità e per la tradizione e anche in
politica l’obiettivo futurista era rappresentato dalla critica alle istituzioni
più tradizionali: Monarchia e Chiesa. Con la stessa foga i futuristi si
opponevano però anche ai rivoluzionari socialisti o anarchici, che per loro erano colpevoli
di non aver voluto la guerra, sola igiene del mondo. A questo punto
l'alleanza politica con le organizzazioni di reduci come gli Arditi e
con gli ex esponenti del socialismo interventista come Mussolini era un
percorso obbligato.
Benedetta Cappa Marinetti - 1924 - Luce + rumori di treno notturno |
Nella fase che immediatamente precedeva la fondazione dei Fasci di combattimento, il Fascismo era ancora un vago movimento che assorbiva molto dal nazionalismo rivoluzionario di Marinetti per una notevole convergenza ideologica e politica con il Partito futurista. E il debito del Fascismo nei confronti del Futurismo non si esauriva soltanto nella risolutezza violenta di imporre coi cazzotti le proprie idee, ma si estendeva a diversi atteggiamenti ideologici: il combattentismo, l’interventismo, l’anti egualitarismo, il nazionalismo, l’antisocialismo, il disprezzo per la democrazia parlamentare, le idee repubblicane e l’attenzione per il rapporto con le piazze. In altre parole un miscuglio fra idee di sinistra e di destra. I due movimenti condividevano inoltre una simile concezione della vita e un simile sistema di valori: il culto della giovinezza e della forza, l'irrazionalismo e il primato dell’azione, l'esaltazione della modernità e del mito dell’italianità. Marinetti a buon diritto disse nel 1924 che il fascismo nato dall'interventismo e dal futurismo si nutrì di principi futuristi. E, in effetti, i fasci di combattimento, si rifecero ampiamente al nazionalismo rivoluzionario di Marinetti, non solo per la risolutezza nell’imporre le proprie idee, ma anche scendendo in piazza, e per le filosofie d’azione e i sistemi organizzativi, che Mussolini certamente mutuò dai futuristi. Benedetto Croce, sulle pagine de La Critica spiegò: “Veramente per chi abbia senso delle connessioni storiche, l’origine ideale del fascismo si ritrova nel futurismo: in quella risolutezza a scendere in piazza, a imporre il proprio sentire, a turare la bocca ai dissidenti, a non temere tumulti e parapiglia, in quella sete del nuovo, in quell’ardore a rompere ogni tradizione, in quella esaltazione della giovinezza, che fu propria del futurismo»[4].
Giuseppe Prezzolini, in un articolo
intitolato Fascismo e futurismo, pubblicato il 3 luglio del 1923, scrive: «Evidentemente nel Fascismo c'è stato del Futurismo e lo dico senza alcuna
intenzione. Il futurismo ha rispecchiato fedelmente certi bisogni contemporanei
e certo ambiente milanese. Il culto della velocità, l'amore per le soluzioni
violente, il disprezzo per le masse e nello stesso tempo l'appello fascinatore
alle medesime, la tendenza al dominio ipnotico delle folle, l'esaltazione di un
sentimento nazionale esclusivista, l'antipatia per la burocrazia, sono tutte
tendenze sentimentali passate senza tara nel fascismo dal futurismo".
Ugo Pozzo - 1926 - Cosmopolis |
Giacomo Balla - 1926 - Verginità |
Gerardo Dottori - 1927 - Trittico della velocità: Il via, la corsa, l'arrivo |
Gerardo Dottori - 1928 - Autoritratto |
Gerardo Dottori - 1930 - Torino |
Ttato - 1930 - Paesaggio in velocità |
Tato -1930 - Volando sul Colosseo |
In seguito all’accordo del 1919 e per poco
più di un anno Marinetti procedette al fianco di Mussolini, ma dopo il secondo
Congresso nazionale dei fasci di combattimento nel maggio 1920 uscì dai Fasci e
voltò le spalle alla politica: Mussolini mirava ad una rivoluzione possibile
mentre Marinetti insisteva sulla necessità di svaticanare l'Italia,
di abolire la monarchia e di appoggiare gli scioperi giusti, a
fronte di un Mussolini che, pur continuando a rivolgersi soprattutto ai ceti
popolari, attenuava il proprio anticlericalismo, tranquillizzava la borghesia e
si preparava a venire a patti con il re. Il poeta iniziò lentamente, ma
decisamente a divergere dal Fascismo. Anche il Fascismo agli occhi di Marinetti
aveva acquistato il sapore di passatismo e così insieme a tanti altri futuristi
si dimise dai fasci prima della fine del 1920, attestandosi su posizioni di
sinistra che gli valsero l’inimicizia del Fascismo ufficiale. Si racconta, infatti, che il duce in quell’occasione avrebbe affermato: «Marinetti è uno stravagante
buffone che vuol fare della politica e che nessuno, nemmeno io, prende sul
serio in Italia»[5]. In seguito al suo distacco dai Fasci, Marinetti
non prese parte alla marcia su Roma, pur essendo era nella redazione
del Popolo d'Italia, a Milano, quando Mussolini manteneva frenetici
contatti telefonici con Roma che portarono poi alla sua convocazione al
Quirinale, con il conseguente incarico di formare il Governo.
Giacomo Balla - 1931 - Balbo la trasvolata sull'Atlantico |
Giacomo Balla - 1932 - La marcia su Roma |
Giacomo Balla - 1933 - Primo Carnara |
Gerardo Dottori - 1934 - polittico della rivoluzione fascista - |
Dopo la tiepida accoglienza che aveva
avuto Parigi con il Tattilismo nel 1924 – quando ormai non era più
considerato la caffeina d’Europa e il nuovo verbo delle avanguardie era
recitato dai dada – si era avvicinato di nuovo al Fascismo: Mussolini, che
ormai stava consolidando il suo potere e il regime, lo colmò di onorificenze, più
formali che sostanziali come le Onoranze a Marinetti il 23 novembre. Dal canto suo Marinetti col I Congresso
Nazionale futurista, tenuto a Milano nel pomeriggio della stessa giornata, portò
il movimento futurista di nuovo in seno al Fascismo, concedendo riconoscimenti
al Fascismo che contribuirono a connettere sempre più il Futurismo al P.N.F. Sempre
durante il congresso, Marinetti invitò Mussolini a tornare: «il Grande
Mussolini, capace di restituire al Fascismo e all’Italia la meravigliosa anima
diciannovista, disinteressata, ardita, antisocialista, anticlericale,
antimonarchica».
L’evento fu ripreso nelle numerose
cronache dell’epoca sia giornali sia volantini sia nella lucida analisi di
Piero Gobetti che nell’articolo Marinetti il precursore sostenne che
Marinetti aveva rinunciato alla politica solo per evitare lo sfascio del
movimento.
In ogni caso se c’era stato un periodo
in cui Marinetti aveva visto Mussolini come uno strumento positivo di
svecchiamento dei costumi, la sua delusione prese il posto dell’illusione: la
spinta dei futuristi alla rivoluzione creativa non poteva accordarsi con la
filosofia conservatrice verso cui si volgeva il Fascismo. D’altro canto però l’irrequietezza,
l’anarchismo, il ribellismo, le stesse polemiche dei futuristi non erano più
utili, anzi apparivano eccessi che cominciavano a trasmettere un certo senso di
disagio e di inquietudine.
Dopo il 1925, consolidata ormai la
propria posizione di governo e instaurato definitivamente il regime, il
Fascismo doveva presentarsi come il partito che avrebbe dovuto ricomporre
l’armonia lacerata dalla crisi che ne aveva consentito la sua stessa ascesa,
quindi era costretto ad elaborare una dottrina d’ordine che desse un’adeguata
risposta a tale esigenza in tutti i campi, anche in quello delle arti e per
questo continuò a guardare al Futurismo con perplessità, perché quell’audacia
sfrontata contrastava con il principio fascista di quel momento di dare
un’immagine di sé tranquilla e rassicurante. Il Futurismo, così irrequieto e
violento, poteva essere tornato comodo negli anni dello squadrismo, ma una
volta al potere Mussolini aveva certo bisogno di orientamenti sicuramente
moderni, ma più moderati, che s'intonassero al clima romano e alla piena
riconciliazione con la tradizione.
Del Futurismo rimasero solo alcuni
motivi formali che però avevano già improntato non solo l'ideologia del regime,
ma soprattutto lo stile e il linguaggio della dirigenza fascista, come
l'estremismo verbale e il gusto per l'iperbole, la propensione per le imprese
temerarie, l'esibizione di uno spirito gladiatorio. Di fatto, altri erano i
cardini su cui il regime aveva edificato un nuovo ordine fascista.
L'organizzazione di un regime totalitario aveva comportato il ripudio sia di concezioni attivistiche elitarie, sia di atteggiamenti dissacranti, tipici del Futurismo e aveva imposto il controllo di un partito unico su ogni aspetto della vita individuale e collettiva.
L'organizzazione di un regime totalitario aveva comportato il ripudio sia di concezioni attivistiche elitarie, sia di atteggiamenti dissacranti, tipici del Futurismo e aveva imposto il controllo di un partito unico su ogni aspetto della vita individuale e collettiva.
I futuristi non presero più alcuna
posizione politica, avallando in questo modo l’ipotesi di una loro adesione al Fascismo
regime, ma non è facile stabilire se la
mancata dissociazione rappresenti una piena condivisione alla politica
fascista.
Quello che è certo è che il Futurismo
non fu proposto dal Fascismo come arte del regime e che fu, talvolta
vezzeggiato da alcuni gerarchi, ma più spesso apertamente attaccato da altri.
Al riguardo vale la pena ricordare l'episodio del 1924 quando i futuristi non erano
stati ammessi alla Biennale di Venezia e Marinetti aveva inscenato una protesta
all'inaugurazione della mostra alla presenza del re. Per i fascisti i futuristi
continuavano a rappresentare personaggi inquieti e quindi non del tutto
affidabili. Del resto il Fascismo non sviluppò una propria cultura, ma accettò
via via diversi stili artistici e un’ampia parte dei suoi aderenti mostrava
un'irriducibile avversione verso la modernità.
Nel 1925 Marinetti, pur dimostrando
scarsa simpatia verso alcuni gerarchi fascisti, per la sua amicizia con
Mussolini e, presumibilmente, per fornire supporti al movimento futurista appose
la sua firma al “Manifesto degli intellettuali fascisti”.
Fortunato Depero - 1935 - Esaltazione della bandiera nazionale |
Alessandro Bruschetti - 1935 - Sintesi fascista |
Tullio Crali - 1936 - Aerocaccia |
Corrado Forlin - 1938 - Nascita imperiale di Carbonia |
Tullio Crali - 1938 - Incuneandosi nell'abitato |
A fronte degli aspetti propagandistici,
in Italia la posizione del Fascismo nei confronti dell’avanguardia artistica fu
molto più morbida e questo soprattutto grazie a Marinetti che, occupando un
ruolo importante nella cultura italiana, fu costantemente in prima linea nel
difendere la libertà espressiva non solo dei futuristi, ma di tutti gli artisti
contemporanei.
Tullio Crali - 1939 - Prima che si apra il paracadute |
Il primo agosto 1937 dalle pagine del
periodico parigino Il merlo Marinetti attaccò duramente la politica culturale
di Hitler e precisò che in Italia Mussolini non seguiva la stessa linea e dava
spazio all’avanguardia futurista. Ma nel frattempo anche in Italia qualche
critico abbracciava posizioni simili a quelle hitleriane. È il caso di Telesio
Interlandi e di Roberto Farinacci, che attaccarono apertamente Marinetti e
il Futurismo.
Nel novembre del 1938 dalle pagine de Il Tevere, Telesio Interlandi accusò di internazionalismo il Futurismo e
Marinetti, ma il poeta non era disposto a subire l’affronto e con decisione
respinse colpo su colpo le critiche: il 3 dicembre 1938 organizzò con successo
una manifestazione di protesta al Teatro delle Arti di Roma nella quale
Marinetti fu il grande protagonista della serata memorabile. In sala c’erano i
rappresentanti di tutta l’arte moderna, futuristi, razionalisti come Giuseppe
Terragni, astrattisti come Osvaldo Licini. Marinetti si presentò in sala con
una mitragliatrice in spalla e pronunciò parole di fuoco contro Farinacci,
Interlandi e gli altri critici filotedeschi e in difesa del futurismo e
dell’arte moderna.
Gerardo Dottori - 1942 - Battaglia aerea sul golfo di Napoli |
Marinetti scrisse opere
dichiaratamente, sentitamente e spregiudicatamente fasciste, come Il poema africano della
divisione '28 Ottobre' del 1936, Canto uomini e macchine della
guerra mussoliniana del 1942 e Quarto d'ora di poesia della X Mas, in cui canta
le lodi della più scellerata delle Brigate Nere.
Quando Marinetti morì nel 1944 volle essere sepolto in camicia nera: il funerale solenne di Stato, voluto da Mussolini, fu celebrato a Milano simbolicamente nella chiesa di San Sepolcro proprio in quella piazza dove era nato il Fascismo.
Quasi
nessuno dei futuristi sopravvissuti a Marinetti è diventato antifascista.Quando Marinetti morì nel 1944 volle essere sepolto in camicia nera: il funerale solenne di Stato, voluto da Mussolini, fu celebrato a Milano simbolicamente nella chiesa di San Sepolcro proprio in quella piazza dove era nato il Fascismo.
In quanto artista e critico d'arte, Marinetti fu senza dubbio un grande innovatore, fondamentale per comprendere la letteratura e l’arte dell’Italia del Novecento, ma politicamente ebbe posizioni piuttosto discutibili: non solo perché s'illuse sull'effettiva carica rivoluzionaria del Fascismo, ma anche perché accettò di convivere pacificamente con il volto reazionario dello stesso Fascismo.
[2]
Sulle cause dell’imperfezione del fascismo come stato totalitari sono state,
come è noto, avanzate varie teorie, ad esempio, Hannah Arendt la riferisce alla
tradizionale bonarietà di fondo, per "struttura mentale" degli
italiani, Steinberg la attribuisce invece all'incapacità del Fascismo di darsi
regole ferree ed esecutori efficienti, altri ancora nella mai completa adesione
al Fascismo da parte degli italiani.
In ogni caso, si tratta di
semplificazioni e per lo più di luoghi comuni, perché se ci si addentra nello
studio dell'apparato fascista si rilevano piuttosto altri motivi della sua
mancata perfezione, a livello strutturale. La diarchia re-duce può essere prova
di imperfezione, certo vi furono segnali palesi del tentativo di accentrare
ulteriormente il potere nelle mani del Partito nazionale fascista e del suo
capo. Incompleta fu l'influenza del Fascismo nell'economia, la cui gestione fu
affidata ad enti parastatali, in cui la presenza dei privati rimase massiccia.
La componente cattolica fu troppo moralmente potente perché il Fascismo potesse
perfezionarsi come totalitarismo.
[3] Antonio Gramsci,
Socialismo e fascismo, in L’Ordine Nuovo. 1921-1922, Einaudi,
Torino, 1966.
[6] Mussolini nel frattempo aveva ottenuto di fatto l'uscita dal movimento dei
socialisti, dei comunisti, degli anarchici e di tutti gli altri antifascisti
che vi avevano militato fino a quel momento.
[7] Aeropoema futurista dei legionari in
Spagna
(1941), Carlinga di aeropoeti futuristi
di guerra (1941), Canzoniere
futurista amoroso guerriero (1943)
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