martedì 20 novembre 2012

La morsa: dalla novella al dramma di Massimo Capuozzo


La morsa è un atto unico, scritto nel 1892: il tema del dramma fu ripreso nella novella La paura, una delle prime novelle di Pirandello, pubblicata per la prima volta su La domenica italiana il I agosto del 1897. Essa ricomparve solo nell’edizione postuma che la Mondadori fece delle opere complete di Pirandello, nella collana Omnibus.
La morsa è la prima opera teatrale di Pirandello e fu dapprima pubblicata nella rivista Ariel del 21 marzo del 1898 con il titolo di Epilogo, mentre la prima rappresentazione della commedia con il titolo La morsa, si ebbe a Roma, al Teatro Metastasio, il 9 dicembre 1910, insieme a Lumie di Sicilia, dalla compagnia del Teatro Minimo diretta da Nino Martoglio. Con il titolo definitivo di La morsa e con alcune sostanziali varianti fu poi pubblicato su Noi e il mondo del I marzo 1914 e su Scene e retroscena del I ottobre 1922, per essere infine definitivamente incluso nella raccolta Maschere Nude nell’edizione Bemporad del 1922.
Ci sono stati dei dubbi sull’attribuzione della primogenitura alla novella o all’atto unico, dubbi nati dal luogo comune dell’anteriorità delle novelle rispetto ai drammi: il ritrovamento di un manoscritto dell’atto, antecedente alla prima notizia che abbiamo della novella, caso unico nella storia pirandelliana, porta a dare la precedenza all’opera teatrale.
La storia riprende il topos del triangolo borghese lui – lei – l’altro, spesso ricorrente in Pirandello ed in genere in tutto il teatro naturalista.
La protagonista vede giungersi inaspettato a casa l’amante che ella sapeva in viaggio di lavoro col marito e dal colloquio con lui viene a conoscenza della possibilità che il marito li ha sorpresi in un gesto che rivela la loro relazione. L’amante continua, raccontando dello strano comportamento assunto dal marito durante il viaggio, fatto che lo ha indotto a temere e ad anticipare la partenza per avvertirla.
La donna, presa dalla paura, che è anche senso di colpa, congeda l’amante nell’angosciosa attesa del marito e delle possibili conseguenze.
Ecco il testo.

Si ritrasse dalla finestra con un atto e un’esclamazione di sorpresa; posò sul tavolinetto il lavoro a uncino che aveva in mano, e andò a chiudere, in fretta, ma cauta, l’uscio che metteva quella camera in comunicazione con le altre; poi attese mezzo nascosta dalla tenda dell’altro uscio su l’entrata.
- Già qui? - disse piano, contenta, levando le braccia al petto erculeo di Antonio Serra, lei gracile, piccola, col volto proteso per ricever subito il solito bacio furtivo.
Ma l’uomo si schermì, turbato.
- Non sei solo? - domandò, ricomponendosi a un tratto, Lillina Fabris. - Dov’hai lasciato Andrea?
- Son tornato prima, stanotte... - rispose con tono ruvido il Serra, e aggiunse, come per mitigar la prima espressione: - Con una scusa... Era vero, per altro: dovevo trovarmi qui di mattina, per affari...
- Non m’hai detto nulla... - lo rimproverò ella dolcemente. - Potevi avvisarmene... Che hai?
Il Serra la guardò quasi odiosamente negli occhi; poi, a bassa voce, ma vibrata, proruppe:
- Che? Temo che tuo marito sospetti di noi...
Ella restò, come se un fulmine le fosse caduto da presso; e, con stupore pieno di spavento:
- Andrea? Come lo sai? Ti sei tradito?
- No, tutti e due, se mai! - s’affrettò egli a rispondere. - La sera della partenza...
- Qui?
- Sì; mentr’egli scendeva... Andrea scendeva innanzi a me, te ne ricordi? con la valigia... Tu facevi lume dalla porta, è vero? e io nel passare...
Lillina Fabris si portò ambo le mani sul volto; poi le scosse in aria:
- Ci ha visti?
- M’è parso che si sia voltato, scendendo... - aggiunse egli con voce arida e cupa. - Non ti sei accorta di nulla tu?
- Io no, di nulla! Ma dov’è? Andrea dov’è?
Il Serra, come se non avesse udito la domanda angosciosa della piccola amante, di cui non aveva mai intuito la grandezza dell’animo e dell’amore, riprese cupamente: - Dimmi: m’ero messo a scendere, quand’egli ti chiamò?
- E mi salutò! - esclamò ella. - Anche con la mano... Fu dunque nello svoltare dal pianerottolo giù?
- No, prima... prima...
- Ma se ci avesse visti...
- Intravisti, se mai... Un attimo!
- E t’ha lasciato venir prima? - rispose ella con crescente angoscia... - Ma sei ben sicuro che non è partito?
- Sicurissimo! Di questo, sicurissimo... E prima delle undici non c’è altra corsa dalla città...
Guardò l’orologio, e si rabbuiò in volto.
- Sta per venire... E intanto noi... in questa incertezza... sospesi così in un abisso...
- Taci, taci, per carità! - pregò ella. - Calma... Dimmi tutto... Che hai fatto? Voglio saper tutto.
- Che vuoi che ti dica? In questo stato, le cose più insignificanti ti sembrano allusioni; ogni sguardo, un cenno...
- Calma... calma... - ripeté ella.
- Sì, calma: trovala!
E il Serra si mise a passeggiare per la stanza, storcendosi le mani. Poco dopo riprese, fermandosi:
- Qui, ti ricordi? prima di partire, discutevamo io e lui su la maledetta faccenda da sbrigare in città... Lui s’accalorava...
- Sì, ebbene?
- Appena in istrada, Andrea non parlò più: andava a capo chino; lo guardai, era turbato, le ciglia aggrottate... «S’è accorto!» pensai. E non parlavo: temevo che la voce mi tremasse; tremavo tutto... Ma, a un tratto, con aria semplice, naturale, nella fresca tranquillità della notte, per via: «Triste, è vero.», mi fa «viaggiar di sera, lasciar di sera la casa...»
- Così?
- Sì. Gli sembrava triste anche per chi resta... Poi, una frase... (sudai freddo!): «Licenziarsi a lume di candela su una scala...».
- Ah questo... come lo disse? - esclamò ella colpita.
- Con la stessa voce... - rispose il Serra - naturalmente... Io non so; lo faceva a posta! Mi parlò dei bambini che aveva lasciati a letto, addormentati; ma non con quella amorevolezza semplice che rassicura... - e di te.
- Di me?
- Sì, ma mi guardava.
- Che disse? - domandò ella tutta sospesa.
- Che tu ami molto i suoi bambini...
- Nient’altro?
- In treno, ripigliò il discorso sulla lite da trattare... Mi domandò dell’avocado Gorri, se lo conoscevo.
- Zitto! - lo interruppe ella, pronta.
Entrò la serva a domandar se era tempo d’andare pei bambini mandati quella mattina dai nonni paterni. Non doveva ritornare quel giorno il padrone? Le vetture erano già partite per la stazione.
Lillina, indecisa, rispose alla serva che attendesse ancora un poco, e che intanto finisse d’apparecchiare di là. Rimasti novamente soli, si guardarono smarriti; e lui ripeté:
- Sarà qui tra poco...
Ella gli strinse forte il braccio, rabbiosamente:
- Ma dimmi qualche cosa! Non hai saputo accertarti di nulla? È mai possibile che lui, così violento, col sospetto nell’anima, abbia saputo fingere in tal modo con te?
- Eppure... - fece egli battendo le mani. - Che la mia diffidenza m’abbia reso insensato fino a tal segno? Più volte, vedi, attraverso le sue parole m’è parso di legger qualcosa... Un momento dopo mi dicevo rinfrancandomi: «No, è la paura!».
- Paura, tu?
- Io, sì! Perché egli ha ragione... - dichiarò, nella sua grossezza, il Serra con la spontaneità del più naturale convincimento. - L’ho studiato, spiato tutti i momenti: come mi guardava, come mi parlava... Sai ch’egli non è solito di parlar molto... eppure, in questi tre giorni, avessi inteso! Spesso però si chiudeva a lungo in un silenzio inquieto; ma ne usciva, ogni volta, ripigliando il discorso sul suo affare. «Era preoccupato di questo?», allora mi domandavo, «o di ben altro? Forse ora mi parla per dissimularmi il sospetto...» Una volta mi parve finanche che non avesse voluto stringermi la mano... Bada, s’accorse che gliela porgevo: si finse distratto; era un po’ strano veramente - fu il domani della nostra partenza. Fatti due passi, mi richiamò. «S’è pentito!» notai subito. E infatti disse: «Oh, scusa... dimenticavo di salutarti! Fa lo stesso...». Mi parlò altre volte di te, della casa; ma senz’alcuna intenzione apparente... Mi pareva tuttavia che evitasse di guardarmi in faccia... Spesso ripeteva tre, quattro volte la stessa frase, senza senso comune... come se pensasse ad altro... E mentre parlava di cose aliene, a un tratto, trovava modo d’entrar bruscamente a riparlarmi di te o dei bambini, figgendomi gli occhi negli occhi, e mi faceva qualche interrogazione... Ad arte? chi sa! sperava di sorprendermi? Rideva; ma con una gaiezza brutta nello sguardo...
- E tu? - domandò ella pendendo dalle labbra di lui.
- Io? sempre sull’attenti... Lillina Fabris scosse il capo con sdegno iroso: - Si sarà accorto della tua diffidenza... - Se sospettava di già! - fece egli, scrollando le grosse spalle.
- Si sarà confermato nel sospetto! - rimbeccò lei. - Poi, null’altro?
- Sì... la prima notte, all’albergo... - riprese avvilito il Serra. - Ha voluto prendere una stanza in comune, con due letti. Eravamo coricati da un pezzo... s’accorse che non dormivo, cioè... s’accorse, no: eravamo al buio! - lo suppose. E bada... figurati! io non mi movevo - lì di notte... nella stessa camera con lui, e col sospetto ch’egli sapesse... - figurati! tenevo gli occhi sbarrati nel buio, in attesa... chi sa! per difendermi, se mai... A un menomo atto, sarei balzato dal letto... E allora... Ma, capisci? vita per vita, meglio la sua che la mia... A un tratto, nel silenzio, sento proferire queste precise parole: «Tu non dormi».
- E tu?
- Nulla. Non risposi. Finsi di dormire. Poco dopo egli ripeté: «Tu non dormi». Io allora lo chiamai. «Hai parlato?» gli domandai. E lui: «Sì, volevo sapere se dormissi». Ma non è vero, non interrogava sai, dicendo: «Tu non dormi», proferiva la frase con la certezza ch’io non dormivo, ch’io non potevo dormire... capisci? O almeno, m’è parso così...
- Null’altro? - ridomandò ella.
- Null’altro... Non ho chiuso occhio due notti.
- Poi, con te, sempre lo stesso?
- Sì, lo stesso...
Ella stette un po’ a pensare, con gli occhi appuntati nel vuoto; poi disse lentamente come a se stessa:
- Tutte queste finzioni... lui!... Se ci avesse visti...
- Eppure s’è voltato, scendendo... - obbiettò il Serra
Ella lo guardò negli occhi un tratto, come se non avesse inteso.
Sì, ma non si sarà accorto di nulla! Possibile? Nel dubbio... - fece egli.
- Anche nel dubbio! Non lo conosci... Dominarsi così lui, da non lasciare trapelar nulla... Che sai tu? - Nulla! Ammetti pure, che ci abbia visti, mentre tu passavi e ti chinavi verso me... Se fosse nato in lui il menomo sospetto... che mi avessi baciata... ma sarebbe risalito... oh, sì!, pensa, pensa come saremmo rimasti!... No, senti, no: non è possibile! Hai avuto paura, nient’altro! Paura, tu, Antonio!... No, no, egli non ha potuto pensar male... Non ha ragione di sospettar di noi: mi hai trattata sempre familiarmente innanzi a lui...
Rallegrato internamente dall’improvvisa fiducia concepita dall’amante, il Serra volle tuttavia insistere nel dubbio angoscioso per il piacere d’essere maggiormente rassicurato da lei:
- Sì; ma il sospetto può nascere da un momento all’altro. Allora, capisci?, mille altri fatti avvertiti appena, tenuti in nessun conto, si colorano improvvisamente; ogni accenno indeterminato diventa una prova; poi il dubbio, certezza: ecco il mio timore.. .
- Bisogna esser cauti... - rispose ella.
Deluso, il Serra provò un senso d’irritazione contro l’amante:
- Ora? Te l’ho sempre detto!
Ella lo guardò sdegnosa:
- Mi rinfacci adesso?
- Non rinfaccio nulla! - rispose egli vieppiù irritato. - Ma puoi negare che tante volte t’ho detto: Bada! E tu...
- Sì... Sì... - confermò ella, come nauseata.
- Non so che gusto ci sia - continuò egli - a lasciarsi scoprire così... per nulla... per una imprudenza da nulla... come tre sere fa... Sei stata tu...
- Sempre io, sì...
- Se non era per te!
- Sì, - fece ella alzandosi con un ghigno di scherno - la paura!
Sferzato, il Serra irruppe:
- Ma ti pare che ci sia da stare allegri, tu e io? tu, specialmente!
Si rimise a passeggiar per la stanza, fermandosi di tratto in tratto e parlando quasi tra sé:
- La paura... Credi che non pensi anche a te? La paura... Ci fidavamo troppo, ecco! Sì, e adesso tutte le nostre imprudenze, tutte le nostre pazzie mi saltano agli occhi, vedi, e mi domando, com’ha fatto a non sospettar di nulla finora...
Colpita dall’accusa dell’amante, ella si portò le mani al volto e confermò:
- È vero... è vero... lo abbiamo troppo ingannato...
Stettero un lungo tratto in silenzio; poi riaprendo il volto, ella riprese:
- Mi rimproveri adesso? È naturale! Sì, ho ingannato un uomo che si fidava di me, più che di se stesso. Sì, e la colpa è mia, infatti.
- Non ho voluto dir questo - diss’egli sordamente, continuando a passeggiare.
- Ma sì, ma sì... - riprese ella con febbre, andandogli incontro. - Lo so, e guarda, puoi anche aggiungere che con lui ero fuggita da casa mia, sì, e che lo spinsi io, quasi, a fuggire - io, perché lo amavo, sì - e poi l’ho tradito con te! È giusto che ora tu mi condanni, giustissimo! Ma io, senti, io ero fuggita con lui perché lo amavo, non per trovare qui tutta questa quiete, tutta questa agiatezza in una nuova casa: avevo la mia; non sarei andata via con lui... Ma egli si sa, doveva scusarsi innanzi agli altri della leggerezza a cui s’era lasciato andare, egli uomo serio, posato... Eh già! la follia era commessa: rimediarvi, adesso! riparare, e subito! Come? Col darsi tutto al lavoro, col rifarmi una casa ricca, piena d’ozio... Così, ha lavorato come un facchino; non ha pensato che a lavorare, sempre; senza desiderare mai altro da me che la lode per la sua operosità, per la sua onestà... e la mia gratitudine, anche! Già, perché sarei potuta capitar peggio!... Era un uomo onesto, lui; mi avrebbe rifatta ricca, lui, come prima, più di prima... A me, questo, a me che ogni sera lo aspettavo impaziente, felice del suo ritorno... Tornava a casa stanco, affranto, contento della sua giornata di lavoro, preoccupato già delle fatiche del domani... Ebbene, alla fine, mi sono stancata anch’io di dover quasi trascinar quest’uomo ad amarmi per forza, a rispondere per forza al mio amore. La stima, la fiducia, l’amicizia del marito pajono insulti alla natura in certi momenti... E tu te ne sei approfittato, tu che ora mi rinfacci l’amore e il tradimento, ora che il pericolo è venuto, e hai paura, lo vedo: hai paura! Ma tu che perdi? Mentre io...
- Consigli a me la calma! - disse freddamente il Serra. - Ma se ho paura... è pure per te... pe’ tuoi figli...
- I miei figli, tu, non nominarli! - gli gridò ella ferita, con gli occhi lampeggianti d’odio. - Innocenti! - soggiunse poi, rompendo in lacrime.
Il Serra la guardò un pezzo, poi più urtato che turbato, disse:
- Adesso piangi... Me ne vado...
- Ora? ora? - singhiozzò ella. - Si sa, ora non hai più nulla da far qui...
- Sei ingiusta! - riprese egli pigiando su le parole. - T’ho amata, come tu mi hai amato, lo sai! T’ho consigliato prudenza: ho fatto male? Più per te, che per me: sì, perché io, nel caso, non perderei nulla - lo hai detto tu... Su, su, Lillina... rimettiti... È inutile adesso ogni recriminazione... Egli non saprà nulla; tu lo credi, e sarà così... Anche a me ora par difficile ch’egli si sia potuto dominare fino a tal segno... Non si sarà accorto... e così... su, su... nulla è finito... Noi saremo...
- Ah, no! - lo interruppe ella alteramente. - No! come vuoi, ormai? No, è meglio finirla...
- Come credi... - fece il Serra semplicemente.
- Ecco il tuo amore! - esclamò ella indignata.
Il Serra le venne incontro quasi minaccioso: - Ma vuoi farmi impazzire?
- No, è meglio veramente finirla... - riprese ella - e fin da ora; qualunque cosa sia per accadere. Tra noi tutto è finito. Senti, e sarebbe anche meglio, ch’egli sapesse ogni cosa... Meglio, meglio, sì! Che vita è la mia? Te la immagini? Non ho più diritto d’amar nessuno io! Neanche i figli miei... Se mi chino per dar loro un bacio, mi par che l’ombra della mia colpa si projetti su le loro fronti immacolate! No... no... Mi torrebbe di mezzo? Lo farei io, se non lo fa lui!
- Adesso non ragioni più... - disse egli placido e duro.
- Davvero! - continuò Lillina. - L’ho sempre detto! È troppo... è troppo... Non mi resta più nulla, ormai...
Poi, facendo forza a se stessa per rimettersi, soggiunse:
- Va’, va’ adesso... ch’egli non ti trovi qui...
- Come... debbo andare? - fece il Serra perplesso. - Lasciarti? Ero venuto a posta... Non è meglio che io...
- No, - lo interruppe ella - qui non deve trovarti. Torna però, quand’egli verrà, da qui a poco. La maschera dobbiamo portarla ancora insieme. Torna presto, e calmo, indifferente... non così! Parlami innanzi a lui, rivolgiti spesso a me... intendi? Io ti seconderò...
- Sì... sì...
- presto. Ma... se mai...
- Se mai?
Ella stette soprappensiero un tratto; poi, scrollando le spalle:
- Nulla, tanto...
- Che cosa? - domandò il Serra confuso.
- Nulla... nulla... Ti dico: addio!
- Ma dunque, davvero... - si provò egli a dire.
- Va’ via! - lo interruppe subito ella sprezzante.
E il Serra andò via promettendo:
- A tra poco.
Ella restò in mezzo alla stanza, con gli occhi appuntati biecamente, come in un pensiero truce, che assumesse forma d’immagine reale innanzi a lei. Poi scosse il capo ed esalò l’interna ambascia in un sospiro di stanchezza desolata. Si stropicciò forte la fronte, ma non riuscì a scacciare il pensiero dominante. Andò un po’, inquieta, per la stanza; si fermò innanzi a uno specchio a bilico in fondo, presso l’uscio; la propria immagine riflessa dallo specchio la distrasse, e si allontanò. Andò a sedere innanzi al tavolinetto da lavoro, e vi si piegò sopra, col volto nascosto tra le braccia; poco dopo rialzò il capo mormorando:
- Non avrebbe risalito la scala? con una scusa... Mi avrebbe trovata lì... dietro la finestra a guardare...
Scosse di nuovo la testa, atteggiando il volto a sprezzo e nausea, e aggiunse:
- Se non fu la paura... Ha tanta paura! Ah, ma ora è finita... È finita... Dio, ti ringrazio! I miei bambini.. i miei bambini... Povero Andrea!

Qui si conclude la novella.
L’atto unico prosegue invece, introducendo il personaggio del marito, il colloquio fra i due coniugi e la reazione finale della donna che, sentendosi imprigionata nella morsa strettale attorno dallo sposo, reagisce col gesto teatrale del suicidio, di cui il marito accusa l’amante che nel frattempo è sopraggiunto.
Ci troviamo, dunque di fronte ad una comunemente borghese storia di adulterio. Ma, raccontata da Pirandello, mira ad approfondire il contrasto tra i protagonisti: l’appassionata e spontanea Giulia a fronte del pavido amante Antonio e, nell’atto unico, del freddo e vendicativo marito Andrea.
La novella non presenta alcuno stacco tipografico come la trama non presenta nessun distacco di tipo temporale e d’azione, svolgendosi di seguito nel tempo reale del colloquio, in discorso diretto, fra i due protagonisti, Lillina Fabris ed Antonio Serra ed è appena accennato, e solo implicitamente, il personaggio del marito Andrea. Alla fine del dialogo, la novella si chiude con la paurosa attesa, che dà il titolo al racconto e che caratterizza la donna, tuttavia decisa a troncare la relazione con l’amante e dedicarsi interamente alla famiglia, tornando quella che era prima della colpa. Tutto resta possibile.
La pièce teatrale non è suddivisa in scene, al pari della novella non presenta stacchi e da essa si differenzia soltanto nel finale, che continua quello che nella novella era stato lasciato in sospeso: il drammatico colloquio fra i coniugi, qui Giulia, non più Lillina, ed Andrea Fabbri. La prima parte dell’atto riproduce quasi perfettamente le battute in discorso diretto della novella, inserendo nella didascalia quello che vi è di descrittivo di scena e gli atteggiamenti dei dialoganti. Nella seconda parte compare invece il marito Andrea, che con un discorso apparentemente estraneo alle preoccupazioni della moglie gradualmente cinge Giulia in una morsa, facendole ammettere la propria colpa, ma anche il proprio pentimento. Ma Pirandello non lascia possibilità di indulgenza: Andrea, infatti, non accetta compromessi, negandole finanche un ultimo saluto ai figli, costringendola indirettamente a fare ciò che ella poi farà: sparasi un colpo di pistola.
Qui il colpo di scena: sul palco sono marito e amante, quest’ultimo appena arrivato. Si ode il colpo di pistola. Poi, una sola battuta, quella dell’uomo amareggiato dal tradimento di quelle che credeva le persone a lui più vicine, la moglie ed il suo migliore amico: Tu l’hai uccisa. Cala il sipario, perché non c’è più niente da dire.

La morsa
PERSONAGGI
Andrea Fabbri
La signora Giulia
L'avvocato Antonio Serra
Anna, domestica
In un paese di provincia.
Oggi.
Una stanza in casa Fabbri. Uscio comune infondo.
Uscio laterale a sinistra. Due finestre laterali a destra.
Poco dopo alzata la tela, Giulia, che sta presso la finestra più in fondo, con le spalle al pubblico, a guardar fuori, fa un atto di sorpresa e si ritrae; posa su un tavolinetto il lavoro a uncino che ha in mano e va a chiudere l’uscio a sinistra, in fretta ma cauta, poi attende presso l’uscio comune.
Entra Antonio Serra.
Giulia: (buttandogli le braccia al collo, piano, contenta): Già qui?
Antonio: (schermendosi turbato): No, ti prego!
Giulia: Non sei solo? Dove hai lasciato Andrea?
Antonio: (sopra pensiero): Sono tornato prima: stanotte.
Giulia: Perché?
Antonio: (irritato della domanda): Con una scusa. Era vero per altro. Dovevo trovarmi qui di mattina, per affari.
Giulia: Non me n’hai detto nulla. Potevi avvisarmene.
Antonio: (la guarda e non risponde).
Giulia: Che è avvenuto?
Antonio: (a bassa voce, ma vibrata; quasi con rabbia): Che? Temo che Andrea sospetti di noi.
Giulia: (restando, con sorpresa piena di spavento): Andrea? Come lo sai? Ti sei tradito?
Antonio: No: tutti e due, se mai!
Giulia: (c.s.): Qui?
Antonio: Sì. Mentre scendeva... Andrea scendeva davanti a me, ti ricordi? con la valigia. Tu facevi lume dalla porta. E io nel passare... Dio, come s’è sciocchi talvolta!
Giulia: (c.s.): Ci ha visti?
Antonio: M’è parso che si sia voltato, scendendo.
Giulia: Dio, Dio.... e sei venuto a dirmelo... Così?
Antonio: Tu non ti sei accorta di nulla?
Giulia: Io no, di nulla! Ma dov’è Andrea? dov’è?
Antonio: Dimmi: m’ero già messo a scendere, quando lui ti chiamò?
Giulia: E mi salutò! Fu dunque nello svoltare dal pianerottolo giù?
Antonio: No, prima, prima.
Giulia: Ma se ci avesse visti...
Antonio: Intravisti, se mai. Un attimo!
Giulia: E ti ha lasciato venir prima? Possibile? Sei ben sicuro che non è partito?
Antonio: Sicurissimo, di questo, sicurissimo. E prima delle undici non c’è altra corsa dalla città.
Guarda l’orologio.
Sta per venire. Intanto in questa incertezza... sospesi così in un abisso... capisci?
Giulia: Zitto, zitto, per carità! Calma. Dimmi tutto. Che ha fatto? Voglio saper tutto.
Antonio: Che vuoi che ti dica? In questo stato, le parole più aliene ti pajono allusioni: ogni sguardo, un accenno; ogni tono di voce un...
Giulia: Calma... Calma...
Antonio: Sì, calma, calma, trovala! Breve pausa. Si rimette un po’; quindi: Qua, ti ricordi? prima di partire, discutevamo io e lui su la maledetta faccenda da sbrigare in città. Lui s’accalorava...
Giulia: Sì, ebbene?
Antonio: Appena in istrada, Andrea non parlò più, andava a capo chino; lo guardai, era turbato, le ciglia aggrottate... “S’è accorto!” pensai. Tremavo. Ma a un tratto con aria semplice, naturale: «Triste, è vero?» ‑ mi fa ‑ «viaggiare di sera... lasciar di sera la casa ... ».
Giulia: Così?
Antonio! Sì. Gli sembrava triste anche per chi resta. Poi, una frase... (sudai freddo!) «Licenziarsi a lume di candela, su una scala ... ».
Giulia: Ah questo... come lo disse?
Antonio: Con la stessa voce: naturalmente: io non so ... Lo faceva apposta! Mi parlò dei bambini che aveva lasciati a letto, addormentati; ma non con quella amorosità semplice che rassicura ‑ e di te.
Giulia: Di me?
Antonio: Sì, ma mi guardava.
Giulia: Che disse?
Antonio: Che tu ami tanto i tuoi bambini.
Giulia: Niente altro?
Antonio: In treno, ripigliò il discorso, sulla lite da trattare. Mi domandò dell’avvocato Gorri, se lo conoscevo: Ah, volle sapere tra l’altro se era ammogliato (rideva): Questo, per esempio, non c’entrava... O ero io che...
Giulia: (pronta): Zitto!
Anna (s’affaccia all’uscio comune in fondo): Scusi, signora. Non debbo andare a ripigliare i bambini?
Giulia: Sì... Ma aspetta ancora...
Anna: Non ritorna oggi il padrone? Le vetture sono già partite per la stazione.
Antonio: (guardando l’orologio): Sono già le undici, a momenti.
Giulia: Ah sì? Di già? Ad Anna: Aspetta ancora un po’... Te lo dirò io.
Anna (andando via): Sissignora. Intanto finisco d’apparecchiare.
Via.
Antonio: Sarà qui tra poco.
Giulia: E non sai dirmi nulla... non hai saputo accertarti di nulla...
Antonio: Sì! Sa fingere bene, se veramente ha il sospetto.
Giulia: Lui? Lui, così violento?
Antonio: Eppure! Che la mia diffidenza m’abbia reso insensato fino a tal segno? Possibile? Più volte, vedi, attraverso le sue parole, m’è parso di leggere qualcosa. Un momento dopo mi dicevo rinfrancandomi: «È la paura!». L’ho studiato, spiato tutti i momenti: come mi guardava, come mi parlava... Sai che non è solito di parlar molto... eppure, in questi tre giorni, avessi inteso! Spesso però si chiudeva a lungo in un silenzio inquieto, ma ne usciva ogni volta ripigliando il discorso sul suo affare... «Era in pensiero per questo?» allora mi domandavo, «o per ben altro?» «Forse ora parla per dissimularmi il sospetto ... » Una volta mi parve finanche che non avesse voluto stringermi la mano... Bada, si accorse che gliela porgevo! Si finse distratto; era un po’ strano veramente, il domani della nostra partenza. Fatti due passi mi richiamò. «S’è pentito!» pensai subito. E infatti disse: «Oh, scusa... Dimenticavo di salutarti... Fa lo stesso!». Mi parlò altre volte di te, della casa, ma senz’alcuna intenzione apparente; così... Mi pareva tuttavia che evitasse di guardarmi in faccia. Spesso ripeteva qualche frase tre, quattro volte, senza senso comune... come se pensasse ad altro... E mentre parlava di cose aliene, a un tratto trovava modo d’entrare bruscamente a riparlarmi di te o dei bambini, e mi faceva qualche interrogazione ‑ ad arte? ‑ chi sa! ‑ sperava di sorprendermi? ‑ rideva; ma con una gajezza brutta negli occhi...
Giulia: E tu?
Antonio: Oh, io stavo sempre in guardia.
Giulia: Si sarà accorto della tua diffidenza!
Antonio: Se sospettava di già!
Giulia: Si sarà confermato, nel sospetto. Poi, null’altro?
Antonio: Sì... La prima notte, all’albergo (ha voluto prendere una sola stanza a due letti), eravamo coricati da un pezzo, s’accorse che non dormivo, cioè... s’accorse no: eravamo al bujo! Lo suppose. E bada; figùrati, io non mi movevo, lì di notte... nella stessa camera con lui, e col sospetto che egli sapesse... figurati! tenevo gli occhi sbarrati nel bujo, in attesa... chi sa! per difendermi... A un tratto, nel silenzio, sento proferire queste precise parole: «Tu non dormi».
Giulia: E tu?
Antonio: Nulla. Non risposi. Finsi di dormire. Poco dopo, egli ripeté: «Tu non dormi». Io allora lo chiamai: «Hai parlato?», gli domandai. E lui: «Sì, volevo sapere se dormissi». Ma non interrogava dicendo: «Tu non dormi», proferiva la frase con certezza ch’io non dormivo, ch’io non potevo dormire, capisci? O almeno, m’è parso così.
Giulia: Nient’altro?
Antonio: Nient’altro. Non ho chiuso occhio due notti.
Giulia: Poi, con te, sempre lo stesso?
Antonio: Sì. Lo stesso.
Giulia: Tutte queste finzioni... lui! Se ci avesse visti...
Antonio: Eppure s’è voltato, scendendo...
Giulia: Ma non si sarà accorto di nulla! Possibile?
Antonio: Nel dubbio...
Giulia: Anche nel dubbio, tu non lo conosci! Dominarsi così, lui, da non lasciar trapelar nulla. Che sai tu? Nulla! Ammetto pure che ci abbia visti, mentre tu passavi e ti chinavi verso me... Se fosse nato in lui il minimo sospetto... che tu mi avessi baciata... ma sarebbe risalito... oh sì!... pensa, come saremmo rimasti! No, senti, no: non è possibile! Hai avuto paura, nient’altro! Andrea non ha ragione di sospettare di noi. M’hai trattata sempre familiarmente davanti a lui.
Antonio: Sì, ma il sospetto può nascere da un momento all’altro. Allora, capisci? mille altri fatti avvertiti appena, non tenuti in alcun conto, si colorano improvvisamente, ogni accenno indeterminato diventa una prova, e il dubbio, certezza: ecco il mio timore.
Giulia: Bisogna esser cauti...
Antonio: Ora? Te l’ho sempre detto!
Giulia: Mi rinfacci adesso?
Antonio: Non rinfaccio nulla. Non te l’ho detto mille volte? Bada... e tu...
Giulia: Sì... Sì...
Antonio: Non so che gusto ci sia, lasciarsi scoprire così... per nulla... per una imprudenza da nulla ... come tre sere fa... Sei stata tu...
Giulia: Sempre io, sì ...
Antonio: Se non era per te...
Giulia: Sì... la paura.
Antonio: Ma ti pare che ci sia da stare allegri, tu e io? tu specialmente!
Pausa. Passeggia per la stanza, poi fermandosi:
La paura! Credi che non pensi anche a te? La paura... Se pensi questo...
Pausa. Si rimette a passeggiare.
Ci fidavamo troppo, ecco! E adesso tutte le nostre imprudenze, tutte le nostre pazzie mi saltano agli occhi, e mi domando come ha fatto a non sospettare di nulla finora! E come no? Amarci qui... sotto gli occhi suoi, si può dire... traendo profitto di tutto, della minima occasione... anche se lui si allontanava un po’; ma anche lui presente, qui, coi gesti, con gli occhi... Pazzi!
Giulia: (dopo una lunga pausa): Mi rimproveri adesso? È naturale. Ho ingannato un uomo che si fidava di me più che di se stesso... Sì, la colpa è mia, infatti, principalmente mia...
Antonio: (la guarda, fermandosi, poi rimettendosi a passeggiare, dice brusco): Non ho voluto dir questo.
Giulia: Ma sì, ma sì, lo so io! E guarda, puoi anche aggiungere che con lui ero fuggita da casa mia, e che lo spinsi io, quasi, a fuggire, io, perché l’amavo, e poi l’ho tradito con te! È giusto che ora tu mi condanni, giustissimo!
Venendo a lui con febbre:
Ma io, senti, io ero fuggita con lui perché l’amavo, non per trovare qua tutta questa quiete... tutta questa agiatezza in una nuova casa. Avevo la mia; non sarei andata via con lui... Ma lui, si sa, doveva scusarsi davanti agli altri della leggerezza commessa, lui: uomo serio, posato... eh già! la follia era fatta, rimediarvi adesso! riparare, e subito! Come? Col darsi tutto al lavoro, col rifarmi una casa ricca, piena d’ozio... Così, ha lavorato come un facchino; non ha pensato che a lavorare, sempre, non desiderando altro da me che la lode per la sua operosità, per la sua onestà... e la mia gratitudine anche! Già, perché sarei potuta capitar peggio. Era un uomo onesto, lui, mi avrebbe rifatta ricca, lui, come prima, più di prima... A me, questo, a me che ogni sera lo aspettavo impaziente, felice del suo ritorno. Tornava a casa stanco, affranto, contento della sua giornata di lavoro, già in pensiero delle fatiche del domani... Ebbene, alla fine, mi sono stancata anch’io di dover quasi trascinare quest’uomo ad amarmi per forza, a rispondere per forza al mio amore... La stima, la fiducia, l’amicizia del marito pajono insulti alla natura in certi momenti... E tu te ne sei approfittato, tu che ora mi rinfacci l’amore e il tradimento, ora che il pericolo è venuto, e hai paura, lo vedo, hai paura! Ma che perdi tu? Nulla! Mentre io...
Si copre il volto con le mani.
Antonio: (dopo breve pausa): Consigli a me la calma... Ma se ho paura... ‑ è per te... per i tuoi figli.
Giulia: (fiera, pronta con un grido): No, tu non nominarli!
Poi, rompendo in lacrime:
Poveri innocenti!
Antonio: Adesso piangi, me ne vado...
Giulia: Eh, ora sì! ora non hai più nulla da fare qua.
Antonio: (pronto, grave): Sei ingiusta! T’ho amata, come tu m’hai amato ‑ lo sai! ‑ T’ho consigliato prudenza... Ho fatto male? Più per te che per me. Sì, perché io, nel caso, non perderei nulla ‑ l’hai detto tu.
Breve pausa, poi, pigiando su le parole:
Non t’ho mai rimproverato, né rinfacciato niente: non ne ho il diritto...
Si passa una mano sugli occhi, poi, cambiando tono di voce e atteggiamento:
Su, su... rimettiti... Andrea non saprà nulla... tu lo credi... e sarà così... Anche a me ora par difficile che si sia potuto dominare fino a tanto. Non si sarà accorto di nulla... E così... Su, su... nulla è finito... Noi saremo...
Giulia: No, no, non è più possibile! Come vorresti più ormai... No, è meglio, è meglio finirla.
Antonio: Come credi.
Giulia: Ecco il tuo amore.
Antonio: Vuoi farmi impazzire?
Giulia: No, è meglio veramente finirla, e fin d’ora; qualunque cosa sia per accadere. Tra noi tutto è finito. Senti, e sarebbe anche meglio, che lui sapesse ogni cosa.
Antonio: Sei pazza?
Giulia: Meglio, meglio, sì! Che vita è più la mia? Te l’immagini? Non ho più diritto d’amar nessuno, io! Neanche i miei figli! Se mi chino a dar loro un bacio, mi pare che l’ombra della mia colpa macchi le loro fronti immacolate! No... no... Mi torrebbe di mezzo? Lo farei io, se non lo facesse lui.
Antonio: Adesso non ragioni più!
Giulia: Davvero! L’ho sempre detto. Il troppo... è troppo... Non mi resta più nulla, ormai!
Facendo forza a se stessa per rimettersi:
Ah! Va’, va’, adesso: che lui non ti trovi qua.
Antonio: Debbo andare? lasciarti? Ero venuto apposta... Non è meglio che io...?
Giulia: No, qua non deve trovarti. Torna però, quando lui verrà. È necessario. Torna presto, e, calmo, indifferente, non così.... Parlami, davanti a lui, rivolgiti spesso a me. Io ti seconderò.
Antonio: Sì, sì.
Giulia: Presto. E se mai...
Antonio: Se mai?
Giulia: Nulla! Tanto...
Antonio: Che cosa?
Giulia: Nulla, nulla... Ti dico addio.
Antonio: Giulia!
Giulia: Va’ via!
Antonio: A tra poco!
Antonio, via per la comune.
Giulia: (resta in mezzo alla stanza, con gli occhi fissi biecamente in un pensiero truce; poi alza il capo con un sospiro di stanchezza desolata, e si preme forte le mani su la faccia; ma non riesce a scacciar via il pensiero dominante; va un po’ inquieta per la stanza, si ferma davanti a uno specchio a bilico in fondo, presso l’uscio comune; è distratta dalla sua figura riflessa dallo specchio e se ne allontana; allora viene a sedere presso il tavolino — a destra, sul davanti — e vi si piega con la testa nascosta tra le braccia — sta un po’ così, quindi alza il capo e sta a pensare) Non avrebbe risalito la scala? con una scusa... Mi avrebbe trovata lì... dietro la finestra... a guardare...
Pausa.
Se non fu la paura... Ha tanta paura!
Scuote la testa, atteggiando il viso di sprezzo e nausea, — altra pausa — si alza, va ancora per la stanza, ritorna presso il tavolino, è indecisa, alla fine batte fortemente due volte il campanello.
Anna: (entra per la comune) Ha sonato?
Giulia: (ancora in pensiero) Sì, bisogna che tutto sia pronto, mi raccomando, Anna.
Anna: È tutto pronto, signora.
Giulia: (c.s. dopo una pausa) La tavola?
Anna: Apparecchiata.
Giulia: La camera del signore?
Anna: In ordine... tutto...
Giulia: Senti. Va’ pei bambini.
Anna: Subito!
Fa per andare.
Giulia: Anna!
Anna: Comanda altro?
Giulia: (indecisa; poi, dopo aver pensato un po’) Lasciali stare ancora. Ci andrai quando il padrone sarà arrivato.
Anna: Sarà meglio. Faccia conto che è qui. Anzi, se vuole che scenda giù ad aspettare le carrozze di ritorno dalla stazione, per portar su la valigia..?
Giulia: No... aspetta, aspetta...
Anna: Sono così contenti i bambini, che oggi ritorni il babbo. Ha promesso di portar loro i regali: a Carluccio un cavallino alto così... Ma Ninetto lo vuole lui. Litigavano stamani, andando dalla nonna. «Papà vuole più bene a me che a te!» diceva Carluccio: «Sì, e a me la mamma!» rispondeva Ninetto.
Giulia: Caro!
Anna: Spiccica appena le parole!
Giulia: Va’ a ripigliarli!
Anna: (ascoltando) Aspetti... le carrozze... S’affaccia alla finestra. Tornano le carrozze... Scendo giù al portone?
Giulia: Sì... sì... va’...
Anna: (via)
Giulia: (in preda a una grande inquietudine va per la stanza, si ferma, tende l’orecchio, si reca presso il tavolino, toglie in mano quasi macchinalmente il lavoro a uncino e dice) Lo saprò subito. Tende di nuovo l’orecchio, poi si rimette a lavorare febbrilmente, ma quasi senza saperlo, s’arresta a un tratto, ascolta.
Anna: (dall’interno) Ecco il padrone!
Entrando con una valigia che deporrà su una seggiola presso l’uscio comune:
Il padrone!
Giulia: (si alza col lavoro in mano ostentando indifferenza, e si avvia verso l’uscio).
Andrea: (entra).
Giulia: (tendendogli la mano): T’aspettavo.
Ad Anna:
Va’ per i bambini.
Anna (esitando): Il padrone ha detto...
Andrea: Sono dalla mamma? Lasciali stare. Voglio disfare prima la valigia. Così troveranno i regalucci.
Giulia: Come vuoi.
Anna (via).
Andrea: Sono così stanco... Ho mal di capo.
Giulia: Avrai tenuti aperti gli sportelli in vettura?
Andrea: No, tutto chiuso. Ma... il rumore... non ho potuto chiudere occhio.
Giulia: Eravate in molti?
Andrea: Sì, in molti.
Giulia: Il mio guancialetto di piume?
Andrea: Oh guarda! Non c’è? L’avrò lasciato in treno! Senza dubbio... Peccato! Che vuoi farci? Basta... Sei stata bene? I bambini?
Giulia: (rimettendosi al lavoro): Bene tutti.
Andrea: E... m’aspettavi, hai detto? Te l’avrà detto Serra.
Giulia: Sì, è passato di qui poco fa. Tu non m’hai scritto neppure una volta.
Andrea: È vero, ma per tre giorni... Serra è tornato jersera...
Giulia: Me l’ha detto; verrà a trovarti.
Andrea: Ah, verrà? Bene... Hai fatto bene a mandare i bambini dalla mamma. Lei ci tiene. Tu non sei stata da lei?
Giulia: No, sai che ci vado solo con te.
Andrea: Sì, ma ormai...
Giulia: (per cambiar discorso): Il tuo affare?
Andrea: Serra non te n’ha parlato?
Giulia: Sì, m’ha accennato... ma s’è trattenuto così poco...
Andrea: Oh, l’affare pare bene avviato... almeno... Però il nostro signor Antonio: m’ha lasciato in asso, là... Oh... sai! l’avvocato Gorri m’ha parlato di lui, facendone un mondo di elogi! Sì, sì. Ha ingegno, ha ingegno, quel tipo lì... Ha condotto l’affare come meglio non si poteva... Ah, per questo, come meglio...
S’interrompe e attacca con altro tono:
e se riesce tutto come dico io, come dovrebbe, del resto... indovina che penso? Detto fatto, liquiderei qua ogni cosa, guarda! senza pensarci due volte... pst! e via! Ah, non voglio più grattacapi, niente più lavoro! Fagotto, e via! in città! Che ne dici? Andremo a stabilirci in città. Che ne dici?
Giulia: In città?
Andrea: Toh, guarda! le dispiace...
Giulia: No.
Andrea: Ah! In città, in città! Voglio un po’ anch’io far la vita del signore, adesso! Godermela!
Giulia: Com’hai presa questa risoluzione?
Andrea: Risoluzione ancora no... Se mi riesce... Ma senti, oh! qua non rimarrò di certo. Ah, sono stufo! Dopo quello che m’hanno fatto! E poi, va’ là, anche per te.
Giulia: Oh, per me lo sai, dovunque...
Andrea: Eh via adesso! Avresti qualche distrazione che la campagna non può darti... Ne hai bisogno anche tu. Non foss’altro, l’aria della città... il rumore. Poi, qua, c’è mia madre, e tu con lei...
Giulia: Non sarà per questo, spero, che vuoi andar via.
Andrea: No, non dico per questo.
Giulia: Sai bene, che è lei, tua madre, che non ha per me...
Andrea: Lo so, lo so, e sarebbe infatti anche questa una ragione. Ma ce ne sono altre.
Breve pausa.
Sai, in città ho incontrato due volte i tuoi fratelli e tutt’e due le volte...
Giulia: Che hanno fatto?
Andrea: A me? Niente! Che vuoi che mi facciano? Vorrei vedere che per giunta... Niente. Ma, al solito, hanno fatto le viste di non conoscermi... Eh, già!
Canterellando:
È inutile! non la mandano giù! ‑ Che superbia! Ma anche la rabbia, adesso. Sì, perché ora io non sono più lo spiantato di una volta, capisci? Così, è mancata loro la soddisfazione di vederti afflitta, pentita d’aver lasciata la loro casa per venire con me... Non la mandano giù! E io, guarda, vado a stabilirmi in città, per loro! Così godranno! Per loro! Anche Serra se ne verrebbe volentieri, credo... Che fa qui?
Giulia: I suoi affari...
Andrea: Sì. Grandi affari! Sì trattano in città... Se qua non c’è nessuno; una mandra di bestie, andando via noi! Oh, a proposito: bisognerà pensare adesso a ricompensarlo. Favori glien’ho fatti, parecchi, ma questo non conta.
Giulia: Per lui forse conteranno.
Andrea: Nient’affatto! Gli affari sono affari, i favori non c’entrano: si compra l’amicizia! Lo merita, del resto. Se sapessi che ragioni ha saputo trovare a sostegno delle mie pretese: giuste, per altro! A momenti qua mi negano anche il merito d’aver fatto del bene al paese... Ma se la gratitudine... basta! Non dico di averlo arricchito ‑ e me ne potrei vantare ‑ ma il merito, se non altro, d’averlo liberato dalla peste, dalla malaria... Neppure questo?
Giulia: Non capiscono.
Andrea: Eh già! Quando si tratta di restar grati a qualcuno, non si capisce mai. ‑ M’avevano ceduto una palude, tu lo sai, com’era, lo sai, quando siamo venuti qua, lo ricorderai... scappati dalla città... Non produceva che un po’ di càrice acerba, che finanche le pecore rifiutavano. Vi rischio su tutta la mia sostanza, cioè la tua, a essiccarla, a concimarla, a bonificarla; la rendo il campo più ubertoso della contrada, e va bene! Scade il contratto d’affitto e non solo m’oppugnano le pretese sui benefizii; ma anche l’onore d’aver fatto risorgere il comune... «Vi siete arricchito!» Grazie! Chi s’è cimentato? Per giunta, guarda, dovevamo impoverirci per loro... Eh via! Poi, il danaro era tuo.
Giulia: Che vai a pensare adesso?
Andrea: No, era tuo. E se mi son fatto ricco, il merito è tuo.
Giulia: Io non ho lavorato.
Andrea: Ho lavorato io, questo sì, e coraggio ne ho avuto. Passando, in treno, guardavo. ‑ Ammiravano tutti adesso l’opera mia. Allora mi davan del matto. Una palude! Sì, per voi. Per me, la California! Era stata la mia idea fissa fin da quando ero ragazzo. Pensare che prima qua si moriva come le mosche di malaria. C’era giusto il vecchio Mantegna, con noi, in vettura, lo conosci? Gli sono morte due figlie. Lo raccontava, piangendo. Anche la moglie gli morì di malaria.
Giulia: (sempre lavorando): Non stava più con lui.
Andrea: Eh sfido! Volevi che stessero ancora insieme, dopo che...
Ride. Ma lui la piangeva più delle figlie. E tutti noi, naturalmente, ridevamo. ‑ S’è mezzo rimbecillito, ormai, poveretto! In paese lo canzonano per questo. Sai che lo bastonarono?
Giulia: Davvero?
Andrea: Eh sì! Non ora... L’amante della moglie lo bastonò. ‑ Ce lo raccontava lui stesso, in treno, tutto per filo e per segno, tranquillamente. ‑ Immagina le nostre risate. ‑ «E mettetevi un po’ nei panni miei!» diceva. Poi s’è rivolto al signor Sportini (c’era anche lui! vicino a me... quello del dazio, sai?) «Ah signor Francesco» diceva, «lei solo qua mi può compatire!» Quel che successe! Per fortuna, c’era con noi un giovanotto di questi, sai?, ultima moda... pieno di mondo... Non mi ascolti?
Giulia: Sì volevo domandarti...
Andrea: D’andar di là? È pronto? Adesso andiamo. Dunque senti: questo giovanotto prende la parola: «Sorprendere», dice. «Dio mio! Roba preistorica... Che sugo c’è? Il signore qua si è fatto bastonare. Il solito viaggio improvviso... la solita corsa sbagliata... mezzucci da’ mariti vecchi che vogliono dare a vedere d’aver perduto l’orario della ferrovia, mentre han perduto invece la testa... Non c’è psi‑co‑lo‑gia! Mi spiego: avete il sospetto, e volete la prova? E che bisogno c’è del fatto? E per di più ridicolo. Disturbare due persone, che se ne stanno insieme così felicemente ... » ‑ Spiritoso, non ti pare? ‑ «Se io», diceva, «avessi moglie, Dio me ne scampi! e sospettassi di lei» (aveva l’aria di canzonar Mantegna) «io farei le viste di non accorgermi affatto di nulla. Non cercherei prove, non la disturberei prematuramente. Farei soltanto in modo ‑ e qui sta l’abilità! ‑ che lei, tutta lei, divenisse, davanti a me, una prova vivente, la più lampante, fino al momento opportuno.» È interessante...
S’accosta più a lei, con la sedia.
Senti ciò che diceva. ‑ «Venuto questo momento, mi rivolgerei a mia moglie, la inviterei a sedere, e poi, come se nulla fosse, così a discorso, le racconterei con bella maniera una storiella di questi amori... interessanti, ma "cittadina", mi spiego? e che s’aggirasse intorno alla colpa di lei, stringendola in cerchi più sottili, sempre più sottili... finché, a un certo punto
prende dal cestino del lavoro uno specchietto a mano e lo mette davanti alla moglie
là, le si mette sotto il naso uno specchietto a mano, e le si domanda con bel garbo: "Mia cara, perché impallidite così?»
Si mette a ridere con certa stranezza.
Ah, ah, ah... è graziosissimo!... «Vedete bene, vedete bene che so tutto ... »
Giulia: (scarta con la mano lo specchietto, sorridendo a fior di labbra, e si alza affettando indifferenza): Sciocchezze!
Andrea (strano): T’ho annojata, di’ la verità? Non t’interessa?
Giulia: Che vuoi mi interessi ... la moglie del Mantegna?
Fa per andarsene.
Andrea (c.s.): E allora Serra ...
Giulia: (si volge appena, pallidissima, a guardarlo di su la spalla).
Andrea (dominandosi, cangiando tono): Sì, gli dirò: senti, caro, con te, non so veramente come regolarmi... Senza cerimonie... siamo amici... dunque, dimmi, dimmi quel che debbo darti e te lo darò. ‑ Eh eh eh... come ti pare?
Giulia: Fa’ come credi.
Andrea: Soltanto, sai? ho paura, che dicendogli così...
Giulia: Rifiuti?
Andrea (alzandosi, con un sospiro): Eh, la coscienza, mia cara, ha curiosi pudori! Avendomi rubato l’onore, rifiuterà il danaro.
Giulia: Che dici?
Andrea (accigliandosi, ma contenendosi ancora, e quasi ridendo): Non è la verità?
Giulia: Sei pazzo?
Andrea: Non è vero? Guarda! Lo nega.
Giulia: Sei pazzo?
Andrea: Io sono pazzo? Ah, non è vero?
Giulia: Credi di farmi paura? Come puoi dirlo? Chi ti dà il diritto d’insultarmi così?
Andrea (afferrandola): Io t’insulto? Se tremi!
Giulia: Non è vero! Che prove...
Andrea: Prove! Diritto! Sono uno sciocco? un pazzo? E tu innocente... una vittima. Ma se ho veduto: io, io, capisci? Io, con questi occhi, mi sono accorto...
Giulia: Non è vero! Sei pazzo.
Andrea: Ah sì? Tanto sciocco? Ho veduto, ti dico, con questi occhi, e hai il coraggio di negare? Spudorata! Se hai tremato, alle mie parole... come lui... come lui ... là... tre giorni l’ho torturato! è scappato alla fine... non ne ha potuto più ... È venuto a dirtelo, è vero? è venuto a dirtelo? Io, l’ho lasciato venir prima! Perché non sei andata via con lui? Nega, negalo ancora, se puoi!
Giulia: Andrea... Andrea...
Andrea: Non neghi più, lo vedi?
Giulia: Per pietà!
Andrea: Pietà?
Giulia: Uccidimi! fa’ di me quel che vuoi...
Andrea (afferrandola di nuovo, furibondo): Lo meriteresti, infame! Lo meriteresti! sì, sì... non so chi mi trattenga... Ma no, guarda,
la lascia
non voglio sporcarmi le mani... pe’ miei figli! non voglio sporcarmele! Non hai pensato a loro? Neanche a loro! Vile! Vile!
La riafferra e spingendola violentemente verso la comune:
Va’ via, via! fuori di casa mia! via! subito! via!
Giulia: (con disperazione): Dove vuoi che vada?
Andrea: Lo domandi a me? Dal tuo amante! Hai tradito anche i tuoi fratelli, per venire con me, per fuggire con me... con me! Se ora ti chiudono la porta in faccia, fanno bene... Va’ dal tuo amante... Ti darò tutto, tutto... Ci andrai col tuo danaro! Credi che voglia tenermi il tuo danaro? M’insozzerebbe le mani, ora! Comincerò daccapo, pe’ miei figli! Va’ via!
Giulia: Andrea, uccidimi piuttosto! non parlarmi così! Ti chiedo perdono, per loro; ti prometto che non ardirò più di guardarti in faccia... Per loro...
Andrea: No.
Giulia: Lasciami in casa per loro...
Andrea: No!
Giulia: Sarò la tua schiava!
Andrea: No!
Giulia: Te ne scongiuro...
Andrea: No, no, no. Non li vedrai più.
Giulia: Fa’ di me quel che vuoi...
Andrea: No!
Giulia: Ma sono pur miei!
Andrea: Ci pensi ora? Ora? Ci pensa ora!
Giulia: Sono stata pazza...
Andrea: Anch’io!
Giulia: Sono stata pazza; la mia colpa non ha scusa, lo so! Io non accuso che me... Ma fu un momento di pazzia, credimi. Ti amavo, sì! Mi sono sentita trascurata da te... Non accuso nessuno, me soltanto... Lo so, lo so... ero fuggita con te... Ma, vedi che ti amavo?
Andrea: Per tradirmi! Di’ che fui il primo che ti venne davanti: avresti fatto lo stesso con tutti.
Giulia: No! Ma io non voglio scusarmi...
Andrea: Va’ via dunque!
Giulia: Aspetta! Non so più che debba dirti... Sono colpevole verso di te, verso i miei figli... sì... sì... è vero... ma se per te non posso fare più nulla, lasciami almeno espiare per i miei figli la colpa che ho verso di loro... A questo non puoi negarti... Non puoi strapparmi a loro...
Andrea: Ah, ti strappo io? ‑ Ma via! Vuoi che mi confonda a raccogliere le tue parole? Non li vedrai più!
Giulia: No! No! Andrea! te lo chiedo per l’ultima volta, te ne scongiuro, guarda... così...
Gli s’inginocchia davanti.
Andrea (violento): No! ti ho detto no! Basta! Non voglio più sentirti, non voglio più vederti. I figli sono miei unicamente, e restano con me... Tu, via!
Giulia: E allora, tanto... uccidimi!
Andrea (scrollando una spalla, con indifferenza): Ucciditi.
Va presso la finestra a guardar fuori.
Giulia: (rimane come schiacciata da una condanna; lentamente reclina il capo, gli occhi le si riempiono di lagrime, quindi scoppia in singhiozzi).
Andrea (si volge un po’ a guardarla, poi si rimette a guardar fuori senza muoversi).
Giulia: (finisce a poco a poco di piangere, breve pausa, quindi si alza, pallidissima, e, col petto rotto a tratti da singhiozzi, si avvicina al marito): Allora senti...
Andrea (si volge novamente a guardarla),
Giulia: (scoppia di nuovo in pianto).
Andrea (voltandole le spalle): Scene!
Giulia: No! Senti. Se non debbo più vederli... neanche per un’ultima volta... ora... Te ne supplico! te ne supplico!
Andrea: No, no, ti ho detto no!
Giulia: Un’ultima volta... il tempo di dar loro un bacio... di stringermeli tra le braccia... e poi basta!
Andrea: No!
Giulia: Ah, come sei crudele! Ebbene... e allora... promettimi almeno che ... quando verranno... e poi in seguito mai ... mai non dirai loro... male di me ... promettimelo! ‑ Non sappiano mai nulla ... E quando...
Andrea (con voce strana, volgendosi a Giulia: e invitandola col gesto): Vieni ... vieni... qua... qua...
Giulia: (esitante, atterrita): Perché? (Poi ilarandosi:) Ah! Sono loro!
Andrea (l’afferra e la spinge a guardar fuori): No, no... guarda... guarda ... là... lo vedi?
Giulia: (aggrappandosi a lui): Andrea! Andrea! Per pietà!
Andrea (respingendola verso l’uscio a destra): Va’ di là! Per chi temi?
Giulia: (c.s.): Te ne scongiuro, Andrea!
Andrea (c.s.): Di là! Di là! Temi per lui?
Giulia: (c.s.): No! no! è un vigliacco...
Andrea (c.s.) Aspettalo di là... è come te!
Giulia: (con le spalle all’uscio): No! No!... Addio, Andrea! Addio.
Gli dà un rapido bacio in faccia e si precipita dentro, richiudendo l’uscio.
Andrea (resta perplesso, smarrito, dietro l’uscio, con le mani sulla faccia.Entra nel frattempo Antonio Serra; il quale, vedendo Andrea in quell’atteggiamento, si tratterrà esitante sulla soglia. Si ode dall’interno un colpo di rivoltella.
Antonio: (dà un grido).
Andrea (volgendosi di scatto): Tu l’hai uccisa!
Tela

Oltre alle differenze già evidenziate nel corso dell’esposizione di novella e atto unico, restano da segnalare quelle relative alla “serva” che nella novella – tendente ad assolutizzare personaggi e stati d’animo dei protagonisti, facendo loro il vuoto attorno – parla attraverso il discorso indiretto del narratore, mentre nell’atto acquista parola propria, come anche un nome: Anna; senza però modifiche di quanto da lei manifestato. Nell’atto unico inoltre assistiamo ad un’evoluzione tanto del personaggio femminile quanto della storia stessa, che non si conclude più con la semplice e frustrante attesa che resta insoddisfatta.
Soltanto dalla collaborazione con Angelo Musco, Pirandello avverte la necessità scenica di un tale epilogo tragico: Giulia che cerca di muovere il marito alla compassione, dicendosi pazza o servendosi dell’amore dei figli, scongiurando infine che il marito stesso la uccida (si macchi cioè egli stesso, che è il vendicatore, di una colpa) con un estremo desiderio di catarsi, nell’illusione di passare dallo parte di Colpevole a quello di Vittima, o almeno di trovare in lui un Complice almeno in quest’atto estremo. Questi invece resta fermo nel suo cinico distacco di uomo tradito, ma è giustificato per la vendetta che sta per compiere, spingendo appunto non espressamente la moglie al suicidio. All’amante di lei nel frattempo sopraggiunto, ma quando ormai è troppo tardi, rivolge un’unica frase, che il pubblico valuta come appropriata: «Tu l’hai uccisa». Non si tratta di una semplice accusa c’è una motivazione, perché la colpa di tutto è nell’altro che ha fatto scordare alla donna i propri doveri coniugali e familiari.
Resta da dire che in questo primo caso di messa in scena la novella supera la commedia per il suo quasi atteggiamento psicoanalitico, con il metodo narrativo del racconto nel racconto. Si sviluppa anche, maggiormente nella commedia, l’idea del contrasto vita e forma: l’adulterio costringe, infatti, Giulia ad uscire dalla Forma di Madre-Moglie, venendo quindi chiusa in una morsa.
La morsa – dice Maria Argenziano Maggi – è solitamente classificata nell’ambito della commedia borghese, ma già tutto pirandelliano è il puntuale sviluppo psicologico dei personaggi, come pirandelliana è la morale che se ne deduce: al di là delle leggi sociali, Giulia, l’adultera, è intimamente più buona ed umana dell’uomo che ha tradito.

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