giovedì 28 febbraio 2013

Niccolò Machiavelli: nota bio-bibliografica di Massimo Capuozzo


Niccolò Machiavelli – Acuto testimone della storia del suo tempo e uno dei maggiori prosatori italiani, è il teorico di una politica rigorosamente razionale, come unica risposta possibile all'egoismo degli uomini.
Machiavelli nacque a Firenze nel 1469 quando la città di Lorenzo de' Medici era all'apice della potenza e del prestigio culturale, da una famiglia di nobili origini – i Machiavelli erano stati signori di Montespertoli trasferitisi a Firenze, sottomettendosi alla sua legge e dividendone le glorie – famiglia guelfa che diede alla città di Firenze ben tredici Gonfalonieri di giustizia e una cinquantina di Priori; la stirpe della madre originaria di Fucecchio era altresì di antica nobiltà e la famiglia diede a Firenze un Gonfaloniere e cinque priori.
La madre rimasta vedova con Niccolò in giovane età, si risposò con Francesco di Nello che era giureconsulto e tesoriere della Marca. Machiavelli ricevette un'educazione di tipo umanistico, inizialmente dalla madre che era anche poetessa.
La formazione di Machiavelli, come quella di tutti i giovani di buona famiglia del suo tempo, fu di tipo umanistico: studiò il latino e lesse i classici. Fin da allora, però, il suo interesse non era di natura estetico-letteraria, ma contenutistico; i classici lo interessavano non per il loro pregio artistico, ma nella misu­ra in cui trovava riflessi nelle loro opere i propri sentimenti e le proprie emozioni, e gli offrivano esperienze utili per la vita pratica. Questo spiega la sua predilezione per gli storici.
Nel 1494 fu allievo di Marcello Virgilio Adriani; la sua educazione fu caratterizzata dalla presenza del latino, ma non del greco antico. Va poi considerato che lesse opere come il De rerum natura di Lucrezio, allora quasi clandestine.
Interessato alla politica già nella giovinezza, approfittò della costituzione della Repubblica di Firenze per cercare di partecipare alla vita politica della sua città.
Nel 1498, dopo la cacciata dei Medici da Firenze e dopo il rogo di Savonarola, Niccolò Machiavelli fu eletto segretario della seconda cancelleria della repubblica fiorentina, assumendo importanti funzioni, tra cui quella di viaggiare all'estero per informare la città sui principali provvedimenti presi dai più importanti governi europei. L'entrare direttamente a contatto con le varie forme di governo, assieme alla sua passione per i classici, contribuirono alla formazione del suo pensiero.
Nel 1499 Machiavelli scrisse il Discorso fatto al magistrato de' Dieci sopra le cose di Pisa.
Dal 1500 al 1511 fu incaricato di svolgere diverse missioni diplomatiche per conto della Repubblica e del Papato. Negli anni passati al servizio della Repubblica partecipò a parecchie ambascerie: fra queste se ne ricordano due presso Cesare Borgia, due alla Corte papale, quattro presso Luigi XII re di Francia, una presso l’imperatore Massimiliano. Erano contatti che gli davano modo di osservare il comportamento, le astu­zie, le abilità di molti uomini politici e di acquisire quell’esperienza diretta della poli­tica che gli sarebbe stata preziosa poi nella composizione delle sue opere di teoria poli­tica.
Nel 1503, Machiavelli scrisse la Descrizione del modo tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il Signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini, una breve opera storica in cui sono ripercorse le vicende di Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, Paolo e Francesco Orsini, quarto duca di Gravina, che avevano partecipato ad una congiura contro Cesare Borgia, la cosiddetta congiura della Magione, nell’ottobre del 1502, e credendo di rappacificarsi con lui furono da questi catturati e uccisi mentre si trovavano a Senigallia e ne stavano assediando la cittadella difesa da Andrea Doria. In quest’opera è già visibile il suo interesse per Cesare Bor­gia che nel Principe sarà poi proposto come modello ai politici italiani.
Nel 1510, Machiavelli scrisse il Ritratto delle cose di Francia in cui rileva che la corona di Francia è molto potente. Il primo luogo per l’ereditarietà della corona, le migliori terre di Francia sono in mano alla corona, in secondo luogo perché c'è un potere monarchico personalizzato: le terre appartengono alla corona ed essendo un’istituzione passano ai singoli re, che le trasmettono ai successori. In terzo luogo perché la corona francese mise fine alle autonomie e alle guerre feudali (accadevano quando il barone pensava di essere un piccolo monarca). Adesso c'è solo un re e i baroni ubbidiscono e lo difendono. In quarto luogo per il principio del maggiorascato: solo il figlio maschio maggiore eredità le proprietà di famiglia.
Nel 1512, con la caduta della Repubblica fiorentina e con il ritorno dei Medici a Firenze, le cariche tenute da Machiavelli nell’amministrazione repubblicana gli suscitarono contro i sospetti del nuovo governo e fu allontanato dal suo ufficio; in questo stesso anno scrisse il Ritratto delle cose della Magna in cui rileva il particolarismo e l'inesistenza di un potere centrale. C'erano conflitti tra Imperatore contro principi e città, fra Principi contro città. Questi conflitti, più il desiderio di indipendenza e lo spirito anti nobiliare portò la Germania a una situazione esattamente contraria da quella francese. Lo stato tedesco infatti non riesce ad emergere dalla frammentazione feudale.
Nel 1513, con il ritorno dei Medici a Firenze in seguito ad accordi presi con il re di Spagna, Machiavelli fu sospettato di aver partecipato ad una congiura antimedicea, incarcerato e sottoposto a tortura e nuovamente condannato al confino. Fu amnistiato poco dopo con l'elezione di papa Leone X dei Medici. Nello stesso anno si ritirò in completo isolamento nelle sue proprietà a San Casciano in Val di Pesa e qui, nell’ozio forzato, facendo tesoro delle esperienze acquisite e degli am­maestramenti che gli venivano dalle amate letture degli storici latini, i compose le sue maggiori opere di riflessione politica, il Principe e i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio.
Nel 1513, Machiavelli scrisse Il Principe, scritto di getto nel 1513, interrompendo la stesura dei Discorsi, in cui si propone di mettere al servizio di un principe che abbia la ca­pacità di creare a un vasto e forte stato in Italia, la propria esperienza politica e di illustrargli le leggi che devono guidare la sua azione. L'opera nasce come approfondimento delle riflessioni su quell’esperienza e sul suo fallimento, riflessioni che andavano trovando, nei diciotto capitoli già stesi dei Discorsi, il filo di una problematica incentrata sui principi che reggono le repubbliche e le cause per cui esse cedono e volgono a un ordinamento monarchico. L'interruzione di questo lavoro, ancora improntato dall'apparato della tradizionale etica politica, è segnato dalla necessità che spinge Machiavelli a volgersi verso le immediate esigenze della politica attuale, a sollecitarne le forze in gestazione affrontando direttamente il grande problema del suo tempo: quello del principato. Il 10 dicembre del 1513 Machiavelli dà all'amico Vettori notizia del compimento dell'opera, iniziata probabilmente nel luglio dello stesso anno. Machiavelli sembra muovere, infatti, da una classificazione puramente scientifica, distinguendo le monarchie in tre specie: quelle ereditarie, quelle nuove e quelle miste. Ma subito la trattazione si focalizza sul nucleo di problemi che si va ponendo; cioè come si formano, al di fuori di ogni tradizione di prestigio e dignità, i principati nuovi; come si conquistano, o con armi proprie o con truppe mercenarie, con la fortuna o con la virtù; come, comunque conquistati, possano essere conservati. Più che i modelli canonici degli antichi fondatori di Stati, da Mosè a Romolo, a Machiavelli interessa però chiamare in causa quei particolari protagonisti di capitali vicende politico-militari che erano stati i capitani di ventura, dal vittorioso Francesco Sforza fino al più recente Cesare Borgia, quel Valentino che gli appare meglio incarnare l'ideale figura del principe:
«... io non saprei quali precetti mi dare migliori a uno principe nuovo, che lo esemplo delle azioni sua; e se li ordini suoi non profittorno, non fu sua colpa, perché nacque da una estraordinaria ed estrema malignità di fortuna».
Il limite permanente dell'azione individuale è, infatti, la necessità dell'ordine delle cose, ordine naturale e non più trascendente e provvidenziale: la “virtù” del principe non riveste quindi caratteri etici, ma piuttosto psicologici, e si sostanzia di abilità, potenza individuale, fiuto delle situazioni e misura delle proprie possibilità. Al principe si richiede la virtù congiunta della volpe e del leone, intelligenza delle situazioni e istintività di intuito ferino che solo può indicargli le vie della “fortuna”; la sua natura deve quindi essere duplice come quella del centauro, metà uomo e metà bestia. Esistono però alcuni principi generali nell'organizzazione degli Stati, e a questi fondamenti, “le buone leggi e le buone armi”, il principe deve anzitutto attenersi. È per averli trascurati, quindi per la loro “ignavia”, che i principi italiani, privi di eserciti cittadini fidati da contrapporre ai nemici, hanno dovuto pensare “a fuggirsi, e non a difendersi”: poiché “non può essere buone leggi dove non sono buone arme, e dove sono buone arme conviene che sieno buone leggi”. Due anni più tardi Machiavelli indirizzò l'operetta a Lorenzo de' Medici, duca di Urbino, aggiungendo un XXVI capitolo di esortazione al Medici a farsi “principe nuovo”, a intraprendere l'opera di unificazione delle province italiane e “liberarle dai barbari”. Si sarebbe così realizzato quel disegno monarchico-unitario che Machiavelli aveva ben individuato come moderno orientamento della politica europea. Al carattere politico-militare di questo scritto corrisponde la precisa invenzione di uno stile enunciativo, sciolto dalle forme scolastiche del sillogismo, ma che procede invece per interne concatenazioni con andamento analogo a quello che sarà proprio di tutta la prosa scientifica moderna.
Negli anni di isolamento si dedica anche alla stesura di opere letterarie e filosofiche.
Il successo ottenuto in una rappresentazione della sua commedia La Mandragola, scritta nel 1518, gli consentì di smussare il clima di sospetto nei suoi confronti. La visione pessimistica del comportamento umano, che si acuì nel periodo in cui non partecipò alla vita politica e si manifestò nella Mandragola, tagliente e amara satira della corruzione dei costumi contemporanei, dove l'essere umano è rappresentato come incapace di andare oltre il meschino interesse personale. Racconta la beffa, di sapore boccaccesco, giocata dal giovane Callimaco e dal suo servo Ligurio al vecchio e balordo messer Nicia, sposo della bella Lucrezia e desideroso di avere a ogni costo da lei un figlio. Fingendosi esperto di medicina, Callimaco gli fa credere che, per vincere la sterilità della moglie, è necessaria una pozione di mandragola, i cui effetti però sono letali per chi, per primo, si congiunge con colei che l'ha bevuta: occorre pertanto trovare una persona che per una notte sostituisca il marito. L'inganno sarà effettuato grazie alla complicità di Sostrata, madre della giovane, e dell'avido e cinico fra' Timoteo, suo confessore, che mettono a tacere gli scrupoli dell'onesta Lucrezia, la quale, arrendendosi all'immoralità altrui, finirà con il diventare l'amante di Callimaco. Capolavoro del teatro italiano del Rinascimento, La Mandragola rispecchia un'umanità negata a ogni trascendenza ed esclusivamente volta a soddisfare i propri istinti, contemplata con spietata e impassibile ironia da Machiavelli, che in quell'inganno amoroso, comico risvolto degli inganni politici de Il Principe, trova la conferma della sua pessimistica massima secondo cui “nel mondo non è se non vulgo”.La protagonista femminile della commedia, Lucrezia, è ingannata al fine di essere conquistata, è vittima di intrighi, ma poi riesce a cogliere un'occasione fortunata ed a diventare artefice del proprio destino.
Fra il 1513 e il 1519, Machiavelli scrisse i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, in cui, com­mentando i primi dieci libri delle Storie di Livio, trae da esse riflessioni che reputa ancora attuali e valide per i suoi tempi. L'opera, concepita come una serie di considerazioni in margine al testo liviano (la prima decade dei libri Ab urbe condita, dall'origine di Roma all'anno 293 a. C.), è ordinata senza sistematico rigore in tre libri: il primo tratta dell'origine e della costituzione interna dello Stato, il secondo della sua struttura militare e delle conquiste per l'espansione del dominio, il terzo delle cause che ne determinano la stabilità o la decadenza.
Nel 1516, Machiavelli iniziò a frequentare le riunioni nei giardini del Palazzo Rucellai – gli Orti Oricellari – dove discuteva di argomenti letterari, filosofici e politici.
Fra il 1516 e il 1520, Machiavelli scrisse Dell'arte della guerra, dove sono trattati pro­blemi di tecnica militare, ed è ribadita la superiorità delle milizie cittadine su quelle mercenarie.
Nel 1520, Machiavelli scrisse la Vita di Castruccio Castracani da Lucca è un'operetta letteraria ispirata alla vita dell'uomo d'arme lucchese Castruccio Antelminelli, condottiero ghibellino del Trecento. Machiavelli. Riprende il modello delle biografie di stampo classico e umanistico dei cosiddetti uomini Illustri, descrizione dell'aspetto fisico e del carattere, discorsi e aneddoti. Il Personaggio in sé assume rilievo di tono narrativo e drammatico ma comunque di forte stampo politico, L'autore riflette nel condottiero del '300 l'ideale del Principe virtuoso. Riacquistata la fiducia dei Medici, ebbe da loro qualche piccolo inca­rico pubblico.
Fra il 1520 e il 1525 scrisse su commissione del cardinale Giulio dei Medici le Istorie fiorentine che espongono la storia di Firenze fino alla morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492.
Nel 1521 a Carpi conosce personalmente Francesco Guicciardini con cui stringe un'amicizia testimoniata da molte lettere.
Nel 1525, Machiavelli portò in scena a Firenze la commedia grottesca Clizia. Nello stesso anno ottenne la revoca dall'interdizione agli incarichi pubblici e tornò a svolgere un'attività politico-diplomatica al servizio dei Medici nella lega anti imperiale, formata da Firenze, il Papato e la Francia.
Nel 1527, la discesa in Italia dell'esercito imperiale di Carlo V travolse la lega e la stessa città di Firenze, dove fu restaurata la repubblica democratica in seguito alla gravissima crisi sorta nei rapporti tra Papa Clemente VII de' Medici) e Carlo V, conclusasi con il Sacco di Roma. Il popolo fiorentino credette che fosse venuto il momento opportuno per cacciare i Medici e restaurare la Repubblica da esponenti savonaroliani e la famiglia dei Medici fu costretta alla fuga: la presenza di Machiavelli fu sgradita al nuovo governo repubblicano che guardava con sospetto al suo passato svolto dapprima al servizio della Repubblica fiorentina e successivamente della famiglia dei Medici e per tali motivi fu allontanato nuovamente da ogni incarico pubblico.
Tra il 1518 e il 1527 Machiavelli scrisse la novella Belfagor arcidiavolo
Fra il 1497 – 1527 scrisse un Epistolario.
Nel 1527, Niccolò Machiavelli morì improvvisamente a Firenze a cinquantotto anni in condizioni di povertà.

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