sabato 16 febbraio 2013

Il ritratto tardogotico di Pisanello a Lionello d'Este di Massimo Capuozzo


Durante il XV secolo nacque l’Umanesimo, che si affermò soprattutto nel Centro-Italia. Questo nuovo modo di pensare la vita riconosceva la centralità dell’uomo e la sua dignità. L’essere umano prendeva quindi un nuovo posto all’interno della natura e ne diveniva il centro ordinatore.
Nella parte settentrionale dell’Italia, che conservava spiccate connotazioni cortesi, questa corrente fu attenuata ed integrata con i modelli artistici già presenti. La posa di profilo, tipica del ritratto celebrativo, si diffuse, nel XV secolo, anche in relazione con lo studio della numismatica antica e con la ripresa dell’arte della medaglia. Le tendenze pittoriche del primo Quattrocento sono piuttosto uniformate da una consuetudine comune, da un’iconografia ancora legata ad una prospettiva bidimensionale, dovuta solo al fatto che i ritratti più importanti, eseguiti fino a quel tempo, erano stati quelli del verso delle monete o delle medaglie e perciò effigiati rigorosamente di profilo.

In questo campo va ricordato l’esemplare ritratto di Lionello d’Este di Antonio di Puccio Pisano, detto il Pisanello (1394 –1455), uno tra i maggiori esponenti del gotico internazionale in Italia, la cui formula fu seguita ancora da Piero della Francesca, Sandro Botticelli, Antonio del Pollaiolo.
Mentre Donatello riproponeva il tema classico ed eroico della statua equestre, Pisanello faceva rivivere il genere classico della medaglia: sono piccoli, perfetti componimenti di squisita fattura.
Quando arriva a Ferrara, questo maestro era noto soprattutto per splendidi affreschi di grandi dimensioni, sospesi tra realismo e mondo fantastico, popolati da innumerevoli figure, con colori brillanti e tratti precisi, purtroppo andati in massima parte distrutti. Lodato da molti poeti, soprattutto da Guarino da Verona, e dai letterati e umanisti del tempo, verso la metà del XV secolo la sua celebrità declinò però rapidamente, per via del diffondersi del più maturo linguaggio rinascimentale. Pisanello, nonostante l'accentuato decorativismo di gusto tardogotico, non fu immune alla novità dell'Umanesimo anche se la sua visione stilistica non riuscì mai ad adottare una spazialità razionale prospettica. Nessuno prima di lui era giunto a un'analisi del mondo naturale così accurata, come testimonia la sua vastissima produzione grafica. Famosi sono, infatti, i suoi studi dal vero di personaggi e animali su disegno, tra i migliori dell'epoca, superati solo sul finire del XV secolo dall'occhio indagatore di Leonardo da Vinci. Lavorò per il Doge di Venezia, per il Papa, per le corti di Verona, Ferrara, Mantova, Milano, Rimini e negli ultimi anni per il Re di Napoli. Si pensa che solo il 5-8% della produzione pittorica di Pisanello ci sia pervenuto: sebbene si tratti in maggioranza di disegni e medaglie, l'artista si considerò sempre, come traspare dalle sue firme, solo e soprattutto un pictor.
Il 21 novembre 1440, Pisanello, in seguito a dissapori con il Doge e con la Repubblica di Venezia, si recò a Ferrara, dove abitò in contrada Santa Maria in Vado. Durante questo soggiorno ferrarese, realizzò la tavola Madonna tra i santi Antonio Abate e Giorgio oggi alla National Gallery di Londra, coniò in questo periodo le sei medaglie per Lionello, le due per Sigismondo Pandolfo Malatesta e quella di Novello Malatesta, signore di Cesena e realizzò due splendidi ritratti uno per Lionello e l’altro per Ginevra d’Este, straordinari esempi di ritratto nello stile tardo gotico che influenzarono gran parte della ritrattistica europea, due opere di carattere encomiastico e celebrativo che vanno inquadrate in una corte che utilizzò le arti come strumento di propaganda politica e di legittimazione del proprio potere.
Il Ritratto di Lionello d’Este del 1441, oggi all’Accademia Carrara di Bergamo, tempera su tavola (28 cm×19 cm), è tra le opere più note della pittura rinascimentale italiana e raffigura Lionello, signore di Ferrara dal 1441 al 1450, erede, per travagliatissime vicende familiari, del marchesato di Ferrara.
Formato culturalmente dall’umanista Guarino da Verona, Lionello sposò Margherita Gonzaga. Con il sostegno del vescovo Giovanni Tavelli, fece erigere l'ospedale di Sant'Anna, il primo ospedale della città – noto a Tasso per esservi stato rinchiuso come furioso ed ancora oggi esistente.
Lionello fu un ottimo politico, brillante soprattutto nel campo della cultura ed intrattenne rapporti epistolari con tutti i massimi studiosi di quel tempo: su sua commissione Leon Battista Alberti compose il De re aedificatoria, dato alle stampe poco dopo la sua morte. Lionello diede inoltre un vigoroso impulso all’università di Ferrara, fondata dal marchese Alberto V d'Este, trasformandola in un centro culturale di rilevanza europea e la sua corte divenne un polo d’attrazione dei più grandi artisti, italiani e stranieri: alla corte di Ferrara lavorarono, infatti, importanti artisti dell’epoca come Jacopo Bellini, Mantegna, Piero della Francesca ed il fiammingo Rogier van der Weyden. Tra questi artisti è da annoverare anche il nostro Pisanello, appunto. Lionello morì nel 1450 a soli quarantatré anni, mentre si trovava nella delizia di Belriguardo, una delle diciannove attraenti residenze degli Este, chiamate delizie.
Agli inizi del 1441 nel palazzo dei marchesi di Ferrara, si svolse una competizione che fu celebrata a lungo, in prosa e in poesia. L’idea della gara, celebrata dai letterati del tempo, documenta l’alta considerazione raggiunta dalle arti figurative nell’ambiente delle corti italiane del Rinascimento. Per sei mesi Jacopo Bellini e Pisanello, si impegnarono, a gara, per ritrarre il giovane Lionello, destinato a diventare di lì a poco, il signore della città. Il ritratto a tempera su tavola fu l’opera con la quale il Pisanello e Jacopo Bellini concorrevano al titolo di summo pictore del marchesato. Vinse il ritratto di Jacopo Bellini, ma finì per andar perduto. Sopravvisse, invece, quello di Pisanello.
Con i suoi canoni da medaglista, il Pisanello ha immortalato i tratti del marchese Lionello, raffigurandolo di profilo, simile ai ritratti delle monete imperiali romane. Lionello si mostra con fierezza contro lo sfondo blu scuro del cielo, in uno spazio reso più profondo dalla siepe di rose che gioca in funzione di quinta ravvicinata. La spalla marca il primo piano con un ricco broccato a fili d’oro e bordure di velluto su cui spiccano grandi bottoni perlacei e denota le disponibilità finanziarie del committente. Il volto è contraddistinto dall’impasto prezioso del colore, accarezzato dalla luce che si dirama in sottilissime ombre per definire i tratti essenziali, quasi incisi, della fisionomia. Oltre che per i dipinti, Pisanello era celebre per l’attività di medaglista, infatti, si pensa che utilizzasse i suoi dipinti anche come studi per procedere, poi, alla modellazione degli stampi in cera per la produzione delle medaglie di bronzo per le quali divenne famoso, ma era anche celebre per i suoi disegni con studi dal vero di personaggi e animali, in cui eccelle per un senso di analisi e di curiosità naturalistica che sarà superata solo da Leonardo da Vinci.
Ci si può chiedere perché si desse tanta importanza ad un ritratto, occupando, per sei mesi, i due ritrattisti più noti d'Italia. Non era in gioco soltanto la vanità di un principe: la gara rappresentava un passaggio decisivo nella messa a punto di una strategia propagandistica. Gli Este si vantavano di essere una delle più nobili famiglie italiane, ma non erano né una potenza militare né finanziaria. Il piccolo marchesato, schiacciato tra gli Stati della Chiesa e la Repubblica di Venezia, era strategicamente importante, ma non ricco. Il suo territorio era paludoso e inadatto all'agricoltura; i maggiori introiti venivano dai dazi delle merci in transito. Insomma non poteva contare su molte risorse e aveva bisogno di visibilità. Trovare un posto nel firmamento delle dinastie europee significava concludere proficui accordi commerciali, acquisire alleanze politiche e militari e riuscire, perfino, a realizzare buoni matrimoni, utilissimi per aumentare la propria influenza. Per non essere confusi tra signorotti qualsiasi di provincia occorreva distinguersi con una gestione del potere, basata sulla magnificenza. Era necessario competere con il fasto delle corti europee, arrivare a imporre la moda e raggiungere una fama di preziosa raffinatezza. Il culto delle apparenze dominava la società delle corti. Lionello lo sapeva bene. Colto, educato nelle armi e nelle lettere, incarnava un nuovo modello di principe. Parlava benissimo il latino ed era un intenditore d'arte, tra i primi a collezionare la pittura fiamminga e capace di richiamare a Ferrara artisti del calibro di Leon Battista Alberti e Piero della Francesca.
Si era fatto costruire nel palazzo di Belfiore a Ferrara uno studiolo, un luogo prezioso, dove conservare la sua biblioteca ed esibire ai cortigiani e ai visitatori la cultura raffinata del principe la sua cultura: un luogo che diventò un modello per tutti i signori italiani. Per decorarlo l'umanista Guarino da Verona, precettore di Lionello, aveva riscoperto nei testi classici un soggetto fino allora mai trattato, quello delle Muse. La fama della sua cortesia e della sua eleganza era diffusa, ad arte, dai letterati di corte. Il palazzo ora è scomparso e le Muse disperse in vari musei europei.

Nel Ritratto di principessa estense tempera su tavola (43x30 cm) conservato nel Museo del Louvre a Parigi, il personaggio raffigurato è Ginevra d'Este. Inizialmente l'opera era ritenuta il quadro di fidanzamento della moglie di Lionello, quel ritratto cioè inviato nelle corti per siglare i patti di matrimonio, facendo conoscere l'aspetto degli interessati. Nella botanica rappresentata, però non è presente alcun simbolo di casa Gonzaga, mentre è raffigurato invece il vaso simbolo della casata d'Este, inoltre la presenza dell'aquilegia (simbolo del matrimonio, dell'amore e soprattutto della morte) fa pensare a una persona deceduta nell'età ritratta, mentre la Gonzaga era vissuta fino a quasi cent'anni di età.
Dopo vari studi si riuscì a capire che molto probabilmente si trattava di Ginevra d'Este (1419 – 1440), figlia di Niccolò III d'Este e della seconda moglie Parisina Malatesta, che aveva una sorella gemella, Lucia, morta nel 1437. Sua madre Parisina, accusata di infedeltà con Ugo d'Este, fratellastro di Ginevra, fu condannata a morte dal marito insieme all'amante quando Ginevra aveva appena sei anni. Appena quindicenne fu data in sposa a Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini e le nozze furono celebrate a Rimini nel febbraio 1434 Ginevra morì nel 1440 ad appena ventunenne e due anni dopo il marito si risposò con Polissena Sforza, figlia del futuro duca di Milano Francesco Sforza. Ginevra, e più tardi anche Polissena, fu sepolta nel Tempio Malatestiano.
Il Ritratto di principessa estense è uno dei primi ritratti singoli dipinti in Italia, che sono sopravvissuti questa tavola, si riferisce alla tradizione del ritratto di profilo su fondo neutro, immerso in una luce uguale, popolare nei circoli di corte primi del Quattrocento in Europa.
Considerati i presagi di morte ravvisabili nell'opera, si intende come Pisanello volesse far capire che l'opera sia stata realizzata dopo la morte di Ginevra, avvenuta nel 1440, e coincide con un soggiorno dell'artista a Ferrara.
La Ginevra è ritratta di profilo, un profilo purissimo, stagliato contro un cespuglio animato di fiori e di farfalle; come nelle medaglie celebrative che si rifacevano alla tradizione imperiale romana, con una figura allungata che richiama la moda dell'epoca, culminate nell'elaborata acconciatura con nastro bianco. È vestita con un tessuto pregiato per l'epoca, di colore rosso e bianco, integrato da un mantello, dove si trova il simbolo della casata degli Este impreziosito da perle e ricami preziosi.
La minuzia nella resa dei dettagli floreali dello sfondo e la serena atmosfera cortese sono elementi tipici dello stile tardogotico, del quale Pisanello fu il più grande maestro del nord-Italia.
Come si è detto, in quest'opera Pisanello annuncia i presagi di morte, riscontrabili in ciò che è rappresentato sullo sfondo. La delicatezza di questa linea ondulata cara al gotico internazionale, carezzevole morbidezza dei modelli contribuisce all’espressione di sogno che emana dal modello.

Nel 1461 Sigismondo Pandolfo fu accusato dal Papa Pio II Piccolomini di aver ucciso sia Ginevra, avvelenata, che aveva capito di essere tradito dalla moglie, sia Polissena, soffocata con un asciugamano e, accusato anche di altri crimini, fu scomunicato.
Massimo Capuozzo

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