Nel
1573 Sofonisba per il diretto intervento di Filippo II, fu fatta sposare a
trentotto anni non per amore e per procura con il nobile siciliano don Fabrizio Moncada di Paternò, unione
che portò a lei una dote di 12.000 scudi ed uno stipendio annuo di 1.000 ducati
assegnatagli dal re di Spagna.
Iniziò
così il suo viaggio verso la Sicilia. In rispetto
a quest'unione, la pittrice si trasferì dalla Corte spagnola a quella dei
Moncada, costituita allora dai feudi di Paternò, Caltanissetta e Palermo. La coppia
si stabilì nel palazzo dei
Moncada a Paternò dove Sofonisba visse per cinque anni, soggiornando spesso anche a Palermo.
Poco è rimasto di questo primo periodo nell'isola, durante il
quale Sofonisba dovette alternare ai soggiorni in città lunghe residenze nei
possedimenti della famiglia del marito.
Durante questo primo periodo siciliano, con tutta probabilità
produsse diverse opere, andate poi smarrite, tranne una, conservata nell’elegante chiesa
seicentesca dell’ex Monastero delle Benedettine della SS. Annunziata, dove
si può ammirare uno straordinario capolavoro, la Madonna dell’Itria, un grande olio su tavola collocato
nell’atrio della stessa chiesa.
L’opera
commemorava la grande disgrazia giunta nel 1578 quando, dopo soli cinque anni di matrimonio, Sofonisba rimase
vedova e sola: il giovane Fabrizio Moncada, diretto in Spagna per rivendicare i diritti finanziari,
maturati dalla moglie e i pagamenti che tardarono ad arrivare, rimase vittima
di un misterioso incidente. Il veliero su
cui viaggiava fu attaccato a largo di Capri da pirati barbareschi, che Fabrizio combatté
valorosamente e mise in fuga, ma ciò fu reso vano dalla sua morte avvenuta dopo
essere annegato in mare. Sofonisba, rapidamente
informata della morte del marito, si trovò a Paternò da sola, affranta dal
dolore e volle onorare suo marito nel modo che meglio conosceva. Dipinse così
la commovente pala d'altare della Madonna
dell'Itria. Pochi anni fa nell'archivio storico di Catania fu rinvenuto un
documento notarile del 25 giugno 1579 con il quale Sofonisba donava la grande
tavola ai frati francescani di Paternò. La pittrice disponeva che la Pala,
fosse collocata su un altare del convento che conteneva le sepolture dei
parenti del marito, affinché questi fosse idealmente vicino ai propri
familiari. Inoltre stabilì che sull'altare si celebrassero due Messe Solenni
l'anno, relative rispettivamente alla data di nascita ed a quella di morte di
Fabrizio. La devozione dei Moncada alla Madonna dell'Itria spiega la scelta del
soggetto: la Vergine con il Bambino è collocata su una grande bara, inoltre
sullo sfondo è individuabile il Simeto ed il suo territorio, che ad uno sguardo
più attento, si rivela essere la rappresentazione territoriale del principato
dei Moncada. La presenza angosciante ed enigmatica di questa cassa da morto,
condotta a spalla da due monaci e sospinta ai lati da due angeli, fra un
aggruppamento di figure religiose che fanno da sfondo sul lato destro è un
chiaro riferimento alla bara del marito, le cui spoglie non furono mai
recuperate. La cassa esprime quindi tutto il cordoglio di Sofonisba per non
aver potuto dare una sepoltura, né un estremo saluto al proprio sposo.
Si
sa poco dei rapporti fra Sofonisba e la famiglia Moncada. Secondo alcuni ella fu
circondata dall’immediata ostilità della famiglia Moncada che sarebbe stata
tenuta a restituirle la dote, data la premorienza di Fabrizio e descrivono questo soggiorno paternese
di Sofonisba avvelenato dai cattivi
rapporti coi Moncada, in riferimento al contenzioso per la restituzione della
dote, nonché alla sua celere fuga. Attente
ricerche tendono a ritenere questi elementi romanzeschi da sfatare. In effetti,
all’epoca, il Principato di Paternò, insieme ad altri Feudi, costituivano la
Corte dei Moncada, ed erano tutt’altro che luoghi periferici e marginali da cui
fuggire. Inoltre, dal carteggio della famiglia Moncada, da fonti inedite, da
biografie e specialmente dalla corrispondenza tra Sofonisba e la cognata Aloisia de Luna e Moncada, nipote
del potente conte Vega e moglie di Cesare Moncada, emerge un ottimo rapporto di
amicizia tra le due donne, nonché con l’intera casata, tanto che, nell’arco
della sua vita, Sofonisba si mosse in un contesto privilegiato, tra grossi
finanzieri, ricchi commercianti, banchieri, nobili, la potente Corte di Filippo
II in Spagna e quella più piccola dei Moncada di Paternò, luogo che lasciò
nel 1579. Rimasta vedova quattro anni dopo, chiese
al sovrano il permesso di compiere un viaggio nella natale Lombardia: sulla
nave sposa il capitano Orazio Lomellino ed è finalmente libera di dipingere tra
le mura della propria casa, senza l'obbligo di ritornare in Spagna.
Massimo Capuozzo
Sofonisba dimostra anche di essere una persona libera e, diremmo oggi, moderna frutto della cultura acquisita in famiglia.
RispondiEliminasebbene io pensi che il primo a strumentalizzare sofonisba sia stato il padre
Eliminasi, è vero
RispondiEliminamassimo capuozzo