domenica 10 febbraio 2013

Il primo periodo siciliano di Sofonisba Anguissola. Di Massimo Capuozzo


Nel 1573 Sofonisba per il diretto intervento di Filippo II, fu fatta sposare a trentotto anni non per amore e per procura con il nobile siciliano don Fabrizio Moncada di Paternò, unione che portò a lei una dote di 12.000 scudi ed uno stipendio annuo di 1.000 ducati assegnatagli dal re di Spagna.
Iniziò così  il suo viaggio verso la Sicilia. In rispetto a quest'unione, la pittrice si trasferì dalla Corte spagnola a quella dei Moncada, costituita allora dai feudi di Paternò, Caltanissetta e Palermo. La coppia si stabilì nel palazzo dei Moncada a Paternò dove Sofonisba visse per cinque anni, soggiornando spesso anche a Palermo.
Poco è rimasto di questo primo periodo nell'isola, durante il quale Sofonisba dovette alternare ai soggiorni in città lunghe residenze nei possedimenti della famiglia del marito.
Durante questo primo periodo siciliano, con tutta probabilità produsse diverse opere, andate poi smarrite, tranne una, conservata nell’elegante chiesa seicentesca dell’ex Monastero delle Benedettine della SS. Annunziata, dove si può ammirare uno straordinario capolavoro, la Madonna dell’Itria, un grande olio su tavola collocato nell’atrio della stessa chiesa.
L’opera commemorava la grande disgrazia giunta nel 1578 quando, dopo soli cinque anni di matrimonio, Sofonisba rimase vedova e sola: il giovane Fabrizio Moncada, diretto in Spagna per rivendicare i diritti finanziari, maturati dalla moglie e i pagamenti che tardarono ad arrivare, rimase vittima di un misterioso incidente. Il veliero su cui viaggiava fu attaccato a largo di  Capri da pirati barbareschi, che Fabrizio combatté valorosamente e mise in fuga, ma ciò fu reso vano dalla sua morte avvenuta dopo essere annegato in mare. Sofonisba, rapidamente informata della morte del marito, si trovò a Paternò da sola, affranta dal dolore e volle onorare suo marito nel modo che meglio conosceva. Dipinse così la commovente pala d'altare della Madonna dell'Itria. Pochi anni fa nell'archivio storico di Catania fu rinvenuto un documento notarile del 25 giugno 1579 con il quale Sofonisba donava la grande tavola ai frati francescani di Paternò. La pittrice disponeva che la Pala, fosse collocata su un altare del convento che conteneva le sepolture dei parenti del marito, affinché questi fosse idealmente vicino ai propri familiari. Inoltre stabilì che sull'altare si celebrassero due Messe Solenni l'anno, relative rispettivamente alla data di nascita ed a quella di morte di Fabrizio. La devozione dei Moncada alla Madonna dell'Itria spiega la scelta del soggetto: la Vergine con il Bambino è collocata su una grande bara, inoltre sullo sfondo è individuabile il Simeto ed il suo territorio, che ad uno sguardo più attento, si rivela essere la rappresentazione territoriale del principato dei Moncada. La presenza angosciante ed enigmatica di questa cassa da morto, condotta a spalla da due monaci e sospinta ai lati da due angeli, fra un aggruppamento di figure religiose che fanno da sfondo sul lato destro è un chiaro riferimento alla bara del marito, le cui spoglie non furono mai recuperate. La cassa esprime quindi tutto il cordoglio di Sofonisba per non aver potuto dare una sepoltura, né un estremo saluto al proprio sposo.
Si sa poco dei rapporti fra Sofonisba e la famiglia Moncada. Secondo alcuni ella fu circondata dall’immediata ostilità della famiglia Moncada che sarebbe stata tenuta a restituirle la dote, data la premorienza di Fabrizio e descrivono questo soggiorno paternese di Sofonisba avvelenato dai cattivi rapporti coi Moncada, in riferimento al contenzioso per la restituzione della dote, nonché alla sua celere fuga. Attente ricerche tendono a ritenere questi elementi romanzeschi da sfatare. In effetti, all’epoca, il Principato di Paternò, insieme ad altri Feudi, costituivano la Corte dei Moncada, ed erano tutt’altro che luoghi periferici e marginali da cui fuggire. Inoltre, dal carteggio della famiglia Moncada, da fonti inedite, da biografie e specialmente dalla corrispondenza tra Sofonisba  e la cognata Aloisia de Luna e Moncada, nipote del potente conte Vega e moglie di Cesare Moncada, emerge un ottimo rapporto di amicizia tra le due donne, nonché con l’intera casata, tanto che, nell’arco della sua vita, Sofonisba si mosse in un contesto privilegiato, tra grossi finanzieri, ricchi commercianti, banchieri, nobili, la potente Corte di Filippo II in Spagna e quella più piccola dei Moncada di Paternò, luogo che lasciò nel 1579. Rimasta vedova quattro anni dopo, chiese al sovrano il permesso di compiere un viaggio nella natale Lombardia: sulla nave sposa il capitano Orazio Lomellino ed è finalmente libera di dipingere tra le mura della propria casa, senza l'obbligo di ritornare in Spagna.
Massimo Capuozzo

3 commenti:

  1. Sofonisba dimostra anche di essere una persona libera e, diremmo oggi, moderna frutto della cultura acquisita in famiglia.

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    1. sebbene io pensi che il primo a strumentalizzare sofonisba sia stato il padre

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