Il lavoro di Benedetta, o Beny, come amava
firmarsi, non è molto conosciuto ed il suo nome è poco menzionato
sui libri di storia dell'arte, il suo apporto al Movimento Futurista fu tuttavia considerevole. Eclettica e sperimentatrice, Benedetta riuscì ad
emergere all'interno di un gruppo, dichiaratamente maschilista,
grazie alle sue straordinarie capacità. Benedetta Cappa Marinetti giocò un ruolo centrale nel
movimento futurista italiano[1], ponendosi come una
fautrice della seconda generazione futurista. Artista e scrittrice
sperimentale, che si appropriò della retorica e delle immagini futuriste, per
creare una voce unica per se stessa, nonostante le difficoltà insite in questo
movimento prettamente maschile.
Sebbene oggi sia ancora virtualmente sconosciuta, la sua
opera, dai primi anni Venti in poi
contribuì in maniera significativa al Futurismo: la sua produzione
pittorica, esigua ma cruciale, è quasi un riassunto di ogni tappa delle
poetiche futuriste. La sua prima mostra personale, destinata a stimolare una discussione di
questo lavoro così come del rapporto tra Futurismo e donne è stato un
interessante tentativo di riportare alla luce un altro frammento del sommerso e
del dimenticato della Storia.
Benedetta Cappa nacque il 14 agosto del 1897, a Roma, da
famiglia piemontese ed ebbe un’educazione rigorosa ed un’adolescenza triste, sebbene
ricca di stimoli culturali: sua madre, Amalia Cipollini, di fede valdese, aveva
avuto, oltre a Benedetta altri quattro figli[2]; suo padre, Innocenzo era
funzionario del Ministero delle Ferrovie e poi ufficiale dell'Esercito e morì
prematuramente, ricoverato in un ospedale a seguito di un terribile esaurimento
nervoso manifestatosi al fronte.
La tragica morte del padre fu un evento che segnò
profondamente Benedetta e che riverberò i suoi effetti, anche
retrospettivamente, su tutte le altre esperienze e sulla visione del mondo. Vicino ai fratelli Cappa rimase suo cugino Innocenzo, il noto
avvocato che difese Marinetti nel 1910, nel processo intentato contro le accuse di pornografia infantile per
il suo romanzo Mafarka[3].
Probabilmente, attraverso
suo fratello Arturo, convivente della pittrice Rougena Zatkova, che aveva
studiato arte a Praga e che, dopo essersi spostata in Italia, si era avvicinata al movimento nel 1914,
Benedetta iniziò a frequentare gli ambienti futuristi.
Benedetta scoprì molto presto il suo interesse e la sua
attitudine per l’arte, tant’è che, dopo aver conseguito il diploma presso
l’istituto magistrale, si dedicò all’attività artistica presso l’atelier di Giacomo Balla. “Un giorno”, racconta in un’intervista
sua figlia Ala, “passeggiando per Villa
Borghese aveva incontrato Balla. Lui, col suo cavalletto, stava studiando le
rifrazioni della luce fra gli alberi... Si misero a parlare e Balla la invitò
al suo studio. Lei andò e divenne sua allieva. Poi, mio zio Alberto,
sostenitore della causa futurista, qualche tempo dopo le disse: ‘Se vieni alla
mostra di Balla, ti presento Marinetti’. Fu così che conobbe mio padre”.
Nonostante la differenza di età, Marinetti allora aveva già
passato la soglia dei 45 anni, l’incontro fu folgorante.
All'epoca dell'incontro con Marinetti, la fisionomia di
Benedetta, da poco diplomatasi alla Scuola Magistrale e apprendista
nell'atelier di Balla, sembra riflettere ancora qualcosa del dramma della morte
del padre: il volto, molto bello, appare, nelle foto, serio e intenso, i grandi
occhi che divorano un ovale perfetto. La fronte ampia, libera sotto una grande
massa di capelli scuri sempre raccolti, le conferisce già quell'aspetto un poco
altero che indurrà Farfa, nel 1931, a
far di lei la dedicataria di Regalità[4]. Così la conobbe
Marinetti, che da lei resterà subito preso, come testimoniano gli appunti presi
a caldo nei Taccuini[5] e le contemporanee
poesie A Beny:
O Beny
eau
bénite!
Aubepine
chère
a
l'oeillet rouge
sang de
bouge
et de
chaire en guerre
que je
suis!
...
Beny
eau bénite
qui
déborde
...
Lait
divin
dans
mon écorce rude
moi
noix
de ton
coco[6].
Je te
boude
o mavie
par qui
ma vie
fut
ravi...[7]
Je te
dédie ces quinze vers alexandrins
Tous
domptés par la loi et soumis au destin
Tu
préfères un vers libre aime-les néammoins
Et
n'oublie pas que ce vieux mot Fidelité
Est le
plus neuf de tous les mots en liberté[8].
Benedetta si dedicò con successo tanto all’arte
figurativa quanto alla letteratura: divenne
un membro del gruppo futurista nel 1917, mentre dipingeva a Roma sotto la guida
di Balla, aderendo consapevolmente al Futurismo.
Nel 1919 Benedetta iniziò la sua vera e propria attività
artistica, cimentandosi in una prima sintesi parolibera con un non ancora
dichiarato ritratto spirituale di Marinetti[9] e, nello stesso anno, Balla
la ritrasse nel quadro Compenetrazione-ritratto
di Benedetta[10].
Composta dopo il suo incontro con il leader, la sua unica
tavola parolibera, dal titolo Spicologia
di 1 uomo fu inviata da Benedetta a Marinetti per posta, come una lettera.
Imperturbabile, il caposcuola ne promosse la pubblicazione nel numero di
febbraio del 1919 della rivista Dinamo.
La tavola, basata sulla parole in libertà, un tipo di poesie
inventato da Marinetti come sperimentazione tipografica, come corrispondenze
visiva ed uditiva destinate a creare forti relazioni visive tra il significato
del testo e il suo rapporto con la pagina, è un vero e proprio rompicapo.
Raffigura quasi un gioco di fili tesi, trattenuti da spilli, quasi
la fase iniziale della costruzione di un merletto e insomma il generico
suggerimento grafico di un oggetto appartenente al repertorio dei manufatti
femminili, ma anche un sole, circondato da raggi fiammeggianti e, come è
scritto, vuoto. Alle non lusinghiere
parole catturate in questa ragnatela (materialismo,
orgoglio, sensualità, ambizioni) si
accompagna la parola ideali,
riconoscimento al quale viene riservato l’onore del tutto-maiuscolo. Il
capovolgimento delle due lettere iniziali del titolo, spicologia, rivela un
intento ironicamente polemico e lo conferma la firma, giocata sulle parole
dell’Ave Maria (Benedetta fra le donne),
evidenziando la volontà dell’autrice di schierarsi tra le compagne. Una sfida
all’uomo indicato nel titolo, al quale è assegnato il numero uno (1 uomo) che era stato attribuito da
Marietta Angelini allo stesso Marinetti. Un chiaro riferimento: la firma
dichiarazione, Benedetta fra le donne,
può essere vista come una dichiarazione di solidarietà femminista, nel
riferimento a Maria, la quintessenza di madre, Benedetta puntualizza
l'associazione tra la creazione (di poesia e arte) e la maternità (creazione di
vita) ad un concetto che avrebbe esplicitamente sostenuto nella sua opera e
nella sua estetica successive.
Fin qui il disegno potrebbe apparire come un documento
d’ispirazione femminista, inteso a ribaltare nel disprezzo per l’uomo il
marinettiano méprisez la femme del
manifesto di fondazione. Ma le dieci lettere che, una per ogni punta,
attorniano l’enigmatica stella, formano le parole uomini vita: una rivelazione che rovescia il senso dell’ardua
composizione. Non la bandiera di una denuncia femminile, ma il turbato invito
al dialogo, da parte di una donna che crede alla possibilità di un’unione
vitale, uomini vita, e confessa i
propri dubbi, chiedendo al destinatario di aiutarla a decifrarlo.
Sensibile, colta e al tempo stesso femminile, Benedetta
conquistò nel 1920 il cuore di Filippo Tommaso Marinetti, il padre del Futurismo.
Benedetta firmava le sue opere col solo nome, Benedetta o
Beny, per sfuggire alla notorietà del cognome maschile. Presto, Benedetta e
Marinetti, cominciarono a vivere insieme ad Antignano, a Capri, poi ad Oneglia.
Nel 1923 Benedetta e Marinetti si sposarono, a Villasanta di Monza, con una cerimonia
privata, testimone Umberto Notari[11], e, dopo pochi mesi a
Milano, si stabilirono definitivamente a Roma. “Ammiro il genio di Benedetta mia uguale non discepola”. Con queste
parole Filippo Tommaso Marinetti, sottolineava la differenza con la moglie
nella prefazione del romanzo cosmico per il teatro Viaggio di Gararà. Benedetta non era nata per
essere seconda a nessuno. La sua non
era una personalità adatta a rimanere nell’ombra, non della fama, che le
interessò poco, ma dell’insufficienza.
Nel 1924, Benedetta creò il suo primo olio futurista Luce + rumori di treno notturno, che
incorpora elementi del collage in una immagine astratta dominata da volute e da
colpi di vernice semicircolari. Nella sua scioltezza la manipolazione di
pittura astratta e gesti paralleli si spostano diagonalmente sulla tela,
Benedetta vividamente trasmette il senso di una accelerazione, offuscata in
quanto oggetto di giunchi, appena visibili in luce. Elementi triangolari appaiono
ancora una volta, qui in pezzi di rame, che sono apposti sulla tela, formano una
serie di sei piramidi che ricordano non solo geometriche componenti metalliche
di un treno, ma anche edifici e case di fretta nella notte. Si può vedere una
somiglianza con il primo Umberto Boccioni: Luce
+ rumori di treno notturno è più vicino al lavoro del suo maestro Balla,
che ha creato astrazioni raffigurante il dinamismo di automobili, utilizzando
immagini ripetute semicircolari per trasmettere il senso di movimento.
Vediamo di
nuovo l'influenza di Balla in Velocità di
motoscafo, del 1924 oggi nella Galleria
d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma, un altro dei primi dipinti di Benedetta.
Questa immagine di un motoscafo da corsa semplificata attraverso l'acqua è di
natura astratta. Ha scritto, "La mia arte, anche se inizia dalla realtà,
non è mai verista e si è ben lungi dall'essere in uno sforzo di sintesi, di
astrazione, la fantasia." Qui, l'acqua, tranciata a metà dalla barca, è
altamente stilizzata e composta da ripetute bande, di tanto in tanto rotto in forme
triangolari o a forma di diamante. La serie di Compenetrazioni iridescenti di Balla, un’incredibile sequenza di
colore studi (eseguito dal 1912 al 1914) che impiega ripetuti motivi triangolari,
ha avuto un profondo effetto su questo e su altri lavori di Benedetta, tra cui
alcuni delle sintesi grafiche. Benedetta, però adatta il gesto e gli studi di colore
di Balla, e le combina per creare opere risonanti lirica, uniche nel futurismo.
Nel 1924, con una relazione sulla pittura futurista,
Benedetta partecipò al Primo congresso
del movimento a Milano; sempre nello stesso anno, iniziò a collaborare a varie
riviste (la sua firma, nel corso degli anni, comparve su Rinascita, Vetrina futurista, Oggi e domani, Futurismo/Sant'Elia, Futurismo, Rassegna nazionale, Mediterraneo futurista, Origini e nel
Consiglio direttivo di Stile futurista e di Città nuova) ed inoltre
pubblicò Le forze umane. Romanzo astratto
con sintesi grafiche[12], che imperniò intorno
al lutto della morte del padre, tentando di armonizzare la forma del romanzo
tradizionale con le sue 19 sintesi grafiche, costituite da
disegni corredati da sottotitoli.
Con quest’opera, Benedetta, ormai legata da cinque anni a
Marinetti, tornò ad un’operazione di integrazione di linguaggio e immagine, con
le sintesi grafiche, come Benedetta
le definisce che accompagnano il testo del suo romanzo. Queste sintesi grafiche
non hanno un ruolo puramente illustrativo, non sono costruite con elementi
verbali, ma stabiliscono pur sempre un rapporto di complementarizzazione con le
pagine a cui si riferiscono. Ne costituiscono il senso, reso visivamente, di
una situazione narrata, sulla base delle realtà interiori e non della
raffigurazione esterna di un episodio. Precorrono l’astrattismo, ma con una
pienezza di contenuti, data dall’accompagnamento verbale, che le affida
all’ambito della visualizzazione grafico-poetica.
Nella sintesi grafica Contatto
di due nuclei potenti (femminile e maschile), il maschile è reso con linee
prorompenti, intersecate, ed il femminile, simulando la tridimensionalità, si
ripiega su se stesso come un cartoccio o come una grande onda. Insieme rendono
la differenza fra l’introverso e il proiettato, fra l’oggettuale e
l’ideografico, e, appunto, fra il femminile e il maschile.
Anche la femminilità, per l’autrice, ha due aspetti, come è
confessato nella sintesi grafica Spirale
di dolcezza e serpe di fascinazione.
Ne L’Io l’ottimista fra
le rotaie del pessimismo, l’essenza sottile dell’ottimismo disfa e
trasforma una delle spesse linee dell’irreggimentazione schematica che tende ad
imprigionarlo; l’immagine potrebbe tuttavia attribuirsi anche ad altri
significati, sempre legati al nesso tra libertà e condizionamento. Insomma, il
libro di Benedetta, come si può dedurre da questi esempi, è imperniato sul
concetto di dualismo; sui contrasti, appunto, delle forze umane.
Il testo allegato
riprende ripetutamente i titoli dei passaggi correlati. Le illustrazioni non mostrano né persone né
avvenimenti, ma offrono al lettore una
trascrizione dell’essenza delle
sensazioni e dei sentimenti. Tutta la bildung
della protagonista, la cui presa di coscienza coincide con l’esperienza
dolorosa e cruciale del dolore, con la perdita del primo referente affettivo e
psicologico, nucleo spezzato che da uomo severo e ardito
patriota si trasforma, smarrendo il senno, in una larva persa dietro i propri
fantasmi.
Nel 1926, considerata già fautrice del Futurismo, nel cui
ambito svolse un ruolo centrale, Benedetta partecipò all’edizione
della Biennale di Venezia ed accompagnò
Marinetti in un lungo viaggio in Brasile ed in Argentina.
Nel 1927 nacque la sua prima figlia Vittoria, nel 1928 la sua
seconda figlia Ala.
Nel 1929, firmò con Marinetti, Balla, Depero, Dottori,
Fillia, Prampolini, Somenzi, Tato, Il
manifesto dell'aeropittura[13], ambito nel quale si
distinse, accanto a Dottori, per la sua produzione lirica e trasfigurata di
paesaggi in volo. Sebbene il fascino futurista per il volo esistesse già da
molto prima, nel Manifesto della
Aeropittura si teorizzava la nuova visione spiralica del movimento. L’aeropittura
fu uno degli ultimi tentativi per tenere acceso il fuoco del Futurismo che
tuttavia nel corso degli anni Trenta cominciò a perdere progressivamente la sua
capacità creativa, dovuta soprattutto al progredire di una realtà tecnologica
più avanzata e più dura, che metteva l'utopia di fronte ad una realtà ben
diversa. Benedetta, firmataria del Manifesto, fu insieme a Dottori la maggiore
esponente dell’aeropittura: aveva volato
in aereo per molto tempo e ne fu chiaramente affascinata.
Nel 1930 Benedetta partecipò all’edizione della
Biennale di Venezia e fu la prima donna-artista ad avere un’opera
pubblicata nel catalogo della Biennale; nello stesso anno, accompagnò
Marinetti in Egitto.
Nel 1931 Prampolini la ritrasse nel celebre Ritratto di Benedetta, dove appare sullo
sfondo di un panorama fantastico e aereo, sempre in quell’anno Benedetta fu invitata
all’edizione della Quadriennale di Roma
e fu pubblicato Viaggio di Gararà:
romanzo cosmico per Teatro (Milano, Giuseppe Morreale Editore).
Il 1932 fu l’anno in cui nacque sua figlia Luce e quello in cui Benedetta cominciò ad elaborare
un suo più personale stile aereopittorico, come l’appiattimento delle
prospettive e l’appiattimento momentaneo delle vedute di paesaggi dall’alto.
Pur vantando la sua autonomia da protofemminista, Benedetta
riusciva comunque a conciliare del tutto il suo ruolo di moglie, di madre
e di artista: amò teneramente le sue figlie, che furono educate in scuole
tradizionali, tra l’altro al Sacro cuore di Roma.
Fra il 1932-33 Dottori la
ritrasse ne La famiglia Marinetti, con
al marito e alle figlie. Sempre nel 1932 Benedetta partecipò all’edizione della
Biennale di Venezia e, sulla rivista Futurismo, fu pubblicato il paradossale Progetto futurista di reclutamento per la prossima guerra, che prevedeva una leva
rovesciata.
Il Progetto futurista di reclutamento per la
prossima guerra uscì il 2 ottobre 1932 sul n. 4 del settimanale Futurismo. È un articolo molto futurista, molto provocatorio, per certi
versi decisamente paradossale. Benedetta sostiene, infatti, che sarebbe meglio
chiamare alle armi, in caso di guerra, prima i sessantenni e i cinquantenni,
poi i quarantenni e i trentenni. Nella replica, che scrive due mesi dopo per rispondere
alle lettere che il giornale aveva ricevuto, non esclude la possibilità di un
esercito femminile e dichiara la sua disponibilità a farne parte, gesto quanto
mai spavaldo da parte di un’abitante dell’Italia fascista, visto che il regime
era decisamente incline a riservare alle donne solo compiti molto tradizionali.
Fra il 1933 e il 1934 Benedetta realizzò per la Sala delle Conferenze del Palazzo delle
Poste di Palermo cinque grandi pannelli a tempera ed encausto sul tema
delle vie di comunicazione, esemplari
di tutta l'aeropittura futurista. I cinque pannelli si intitolano: Sintesi di mare, Radio, Aria, Ferrovie
e Telefono e Comunicazioni
telegrafiche.
Sintesi delle comunicazioni
Marittime,
uno dei cinque pannelli murali creati per l'ufficio postale di Palermo si
collega a Velocita dl motoscafo. In
questo, lo scafo di una nave di grandi dimensioni divide l'acqua, creando
ripetute striature o bande che periodicamente sono suddivisi in motivi triangolari, presumibilmente causati da risonati onde sonore. Il racconto di contenuti, tuttavia, è molto più forte e più didattico in questo lavoro, senza dubbio a causa della sua funzione come grande murale pubblico.
Nel 1934 Beny partecipò all’edizione della Biennale di Venezia.
Nel 1935-‘36 Benedetta sostituisce Marinetti in una rubrica
di conversazioni radiofoniche[14]. Nel 1935
Beny fu invitata all’edizione della Quadriennale di Roma e, finalmente, fu pubblicato Astra e il sottomarino. Vita trasognata [15], la cui singolare
orditura spinge alcuni critici ad occuparsi con più attenzione di lei. A
Milano, la festeggiarono Ada Negri e Paolo Buzzi[16] “Benedetta tre volte - le scrisse Ada Negri, in un messaggio
personale - [...] per la forza
eccezionale del Suo ingegno, per cui si è rivelata artista e scrittrice d'eccezione,
in un campo astratto e astrale assolutamente suo”.
Nell'estate del 1936, fra oleandri, begonie, carrubi e
gelsomini in fiore, si aggiravano, nel giardino di villa Hammeler-Mazza a Cavo nell’Isola d'Elba, Vittoria, Ala e Luce
Marinetti. La casa al mare, dove i
Marinetti erano ospiti, sorgeva sulle rovine di una villa romana del primo
secolo dopo Cristo e Capo Castello si chiamava quel promontorio da cui si
poteva vedere, sotto, il mare azzurro, trasparente e all'orizzonte il profilo
della costa toscana. Era la prima volta che i Marinetti decidevano di accettare
l'offerta della signora Mazza: gli anni precedenti avevano trascorso le loro
vacanze a Capri, la sedia a sdraio del
Mediterraneo, dove Marinetti aveva ricreato un nido futurista con Francesco
Cangiullo, Alfredo Casella e l'affascinante Benedetta. Nella villa sopra Marina
Piccola erano tornati con le bimbe, ma da quando erano diventate tre, la
mondanità dell’isola e tutti quegli scalini da scendere e salire li avevano
convinti a rinunciare, seppure a malincuore, alla Grotta Azzurra e ai
Faraglioni, per trascorrere l'estate a Villa Pellizzi, a Forte dei Marmi. Ma
anche a Forte, il pericolo di imbattersi continuamente in Eccellenze e Gerarchi
d'ogni calibro, al volante delle arroganti decappottabili o in ozio sulla
spiaggia, li aveva infine convinti a provare la villeggiatura nel piccolo e tranquillo
paesino dell’Elba, tra l'azzurro del mare e il verde della macchia. Non c'era
nemmeno un porticciolo, ma solo un moletto dove attraccava il barcone che
faceva la spola col piroscafo; poco più in là, case sparse tra orti e vigneti,
alcune belle ville della borghesia locale e dovunque il profumo e la dolcezza
dei fichi maturi. Ai piedi della casa che li ospitava, il dirupo roccioso che
precipitava in mare qua e là interrotto da cespugli di lentisco; dopo un tratto
di costa tormentato, a levante si apriva la deliziosa Caletta delle Alghe e a ponente la più selvaggia spiaggia del Frugoso; di fronte il mare
aperto del Canale di Piombino.
Era proprio quello che desiderava Marinetti: lontano dalla
folla, dai centri di potere, dall'intellighenzia
più o meno schierata col regime, avrebbe ritrovato i profumi del Mediterraneo,
il legame con l'Africa della sua infanzia ed curato quelle tre bambine che Beny
gli aveva regalato. Così si consolava, in quella per nulla tranquilla estate
del 1936,: la campagna d'Etiopia gli aveva, infatti, attirato le critiche degli
intellettuali francesi; la cultura fascista, fortemente condizionata dal
nazismo, aveva attaccato pesantemente l'arte
degenerata dell'avanguardia e gli
stava con gli occhi addosso; per niente apprezzati erano i suoi interventi
presso il duce in favore di Parri e di altri confinati, che gli attiravano però
le simpatie ed il consenso di Benedetto Croce.
In questo clima particolare nacque l’acquerello Incontro sull’isola che costituì lo studio preparatorio della più ampia
collezione del 1935–36 dallo stesso titolo, oggi presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, in cui Benedetta sviluppò una
propria interpretazione dell’aeropittura. L’isola d’Elba è rappresentata come
una formazione geologica, sebbene le vedute galleggino lontano al di sopra
della scena: l’isola è raffigurata contro un’ampia distesa dell’oceano che
piega attraverso il foglio ad imitazione della terra, come se l’isola fosse
immessa sulla cima del globo, quasi oscillante.
In queste opere, il colore è armonioso e lirico ed impartisce
veramente il senso del galleggiamento al di sopra della terra. La tavolozza
cromatica ormai addolcita della pittrice e le forme organiche nella sua
aeropittura sono piuttosto diverse rispetto ai precedenti pittorici Luce + rumori di treno notturno. La
visione meccanicistica del mondo, ricorrente nell’arte futurista, sono rare
nell’arte di Benedetta e praticamente inesistenti in questi ultimi lavori. Le
frenetiche e caricate composizioni sono sostituite da una creazione
contemplativa, sensitiva, quasi mistica.
Nell’espressione della voce femminile del movimento
futurista, molte donne non trovarono difficile essere coinvolte, o come una semplice
inversione dell’atteggiamento futurista verso le donne, secondo la
concezione di Valentine de Saint-Point[17], figura femminile di
inizio secolo, legata agli ambienti del Futurismo e protagonista di autentiche
battaglie culturali negli anni immediatamente precedenti lo scoppio della prima
guerra mondiale, con il Manifesto della
donna futurista, è un proclama sfrontatamente bellicista e antifemminista
che, aggirando la misoginia di Marinetti, cerca di assicurare alla donna un
ruolo adeguato nel movimento futurista proponendo l’immagine di una donna virile come Giovanna d’Arco. Così la de
Saint-Point smentisce ed allo stesso tempo partecipa alle strategie futuriste.
Benedetta, invece, particolarmente dagli anni trenta, adottò un’apparente retorica fascista in aggiunta alle influenze
futuriste.
In Spiritualità della donna italiana, ella
scrisse che la donna italiana non sarebbe mai stata concorrente dell’uomo,
perché ella è troppo sostanzialmente madre, un’idea esplicitamente Fascista.
Barbara Spackman osservò che le donne spesso erano estremi supporti del regime
fascista — paradossalmente, il Fascismo fu altamente restrittivo nei confronti
delle donne, scoraggiandole dal lavoro, escludendole da ogni tipo di lavoro, e
richiamandole al loro ruolo di madre. Ciò doveva essere enfatizzato: comunque, per
Benedetta, madre anche significava
creatrice di uomo, di emozioni, di passioni e di idee. La scrittrice Maria
Goretti, nel saggio del 1941, crea un’affilata divisione fra le filosofie della
de Saint-Point e di Benedetta, raffiguranti la prima come sensuale e la seconda
come spirituale. È comunque fuorviante rappresentare Benedetta come un’artista spirituale, completamente definita dal concetto di madre. Nello stesso riferimento a se stessa come Benedetta fra le donne, si riferisce,
ironicamente, alla maternità, visualizzando la sua ambivalenza di essere
definita biologicamente; ed, in
tali opere come Ironia, ella sfida che l'idea che l'intelletto e la
creazione sono opposte forze.
La visione teorica di Benedetta è strettamente legato alla
capacità della donna in cui è pari la creazione dell’arte alla sua capacità biologica
di creare figli, è stata questa sua
filosofia che ha adattato per soddisfare la propria posizione — proprio come lei ha assunto e personalizzato,
le influenze pittoriche futuriste, creando una voce che è stata unicamente sua.
A differenza di entrambe, la
de Saint-Point e la Stevens, che assunsero il fascino Futurismo con la
guerra ed il macchinismo, Benedetta
utilizzò un approccio molto diverso nella sua opera, fin da quando diventò
attiva nel movimento nei primi anni Venti. abbracciò, invece, una filosofia che posizionava la donna come
l'incarnazione di madre — che è
creatrice, nel vero senso della parola. Nel firmarsi Benedetta fra le donne, l’autrice
inaspettatamente usa un versetto della preghiere dell’Ave Maria: “Tu sei la benedetta fra le donne”. Mentre la firma
dichiarativa, “Benedetta fra le donne” può essere vista come una dichiarazione
di solidarietà femminista, il riferimento a Maria, la madre quintessenziale, punti di vista per Benedetta
nell’associacione fra donne e creazione
di poesia e di arte e quello di maternità intesa come creazione
di vita — un concetto che ella avrebbe
voluto esplicitare nelle sue opere successive.
Sempre nel 1936 Benedetta partecipò all’edizione
della Biennale di Venezia e comparve
la prima monografia su di lei ad opera di Francesco Orestano dal titolo Opera letteraria di Benedetta[18]. Per la famiglia,
tuttavia, iniziò un periodo di serie difficoltà: Marinetti, che aveva profuso
nel movimento buona parte delle sue sostanze, si trovava in ristrettezze
finanziarie e cominciava ad avere problemi di salute.
Nel 1938 sostenne poi Marinetti, quando, egli espresse
pubblicamente la sua condanna per l’infamia delle leggi razziali[19].
Nel 1939 Beny fu invitata all’edizione
della Quadriennale di Roma
dove presentò il Monte Tabor: in quest’olio le forme arrotondate, sono ripetute in una
serie di cerchi concentrici che si espandono fuori in un’atmosfera di crema
colorata, in cui il senso di veduta della terra dallo spazio è ancora più
apparente. Nello stesso anno uscì Benedetta,
aeropoetessa aeropittrice futurista[20] di Bruno Sanzin.
Nel 1942 esce L'opera
letteraria di Benedetta[21] di Laura Serra.
Alla fine del 1942 Marinetti rientrò, già accusando seri
disturbi di cuore.
Nell'ottobre del 1943, dopo l'armistizio, Marinetti e
Benedetta, lasciata la casa di Roma a Carlo e Nedda Grassi, ripararono con le
figlie a Venezia, poi, con l'avanzare degli alleati, si trasferirono sul Lago
di Garda, infine a Bellagio.
Nel 1944 Marinetti partì per la Russia, come il cognato
Alberto, che, pur essendo liberale, si era arruolato volontario negli alpini
della Cuneese, e che, proprio in Russia trovò una morte terribile.
Qui le condizioni di salute di Marinetti si aggravano e il
governo svizzero gli offrì la possibilità di farsi curare in una clinica. Non
ne ebbe il tempo: il 2 dicembre Marinetti morì in seguito ad una violenta crisi
cardiaca. Benedetta rievocò i suoi ultimi momenti in un intenso, commosso
scritto Agli amici futuristi.
Rimasta sola ad occuparsi delle figlie, erede di un lascito
morale e culturale assai gravoso da portare nei difficili frangenti successivi
alla Liberazione (sarà fermata, il 25 aprile, a Bellaggio, e trattenuta per
breve tempo) e anche negli anni dell'immediato dopoguerra, non scrisse più[22].
Nel 1944, dopo la morte di Marinetti, Benedetta dedicò tutte
le sue forze a valorizzare il movimento d’avanguardia, riunendo le opere, i
manoscritti e promuovendo mostre internazionali. Non scriveva testi critici, ma
forniva sempre il materiale ed elargiva generosamente testimonianze. Non
c’erano più tanti soldi: Marinetti aveva creduto nella rivoluzione dell’arte e
aveva speso molto per il Futurismo e Benedetta continuò per quella strada, non
sottraendosi al suo compito né lamentandosi mai.
Nel 1951, dietro una mostra importante come quella che si
tenne al Petit Palais di Parigi con
il critico e biografo di Picasso, Chinstian Zervos, c’era la sua regia segreta.
E fu sempre lei a chiudere ufficialmente il movimento militante futurista negli
anni 50.
Benedetta trascorse i suoi ultimi anni, assistita dalle
figlie, tra una clinica e l'altra.
Nel 1977 , dopo una lunga malattia, Benedetta morì a Venezia
il 15 maggio.
Benedetta fu insomma una sorta di coscienza parallela del Futurismo.
[1] Il Futurismo - I Futuristi italiani
furono attivi dal 1909 fino al 1944, anche se gli studiosi americani hanno
avuto la tendenza a concludere il Futurismo come un movimento vitale di arte
intormo al 1916, rimettendo efficacemente i più tardi membri del gruppo come
Benedetta Cappa Marinetti. La critica americana ha sottovalutato il Futurismo,
ritenendolo semplice emanazione del cubismo ed ha ignorato Futurismo successivo
alla la prima guerra mondiale, soprattutto a causa della sua associazione con
il fascismo. Tradizionalmente, il movimento è stato diviso dagli storici
dell'arte nella fase eroica – dal
1909 al 1916 – e il secondo Futurismo – che è la seconda ondata o generazione
del Futurismo a partire dal 1917.
Fondato nel 1909 da Filippo Tommaso Marinetti con la
pubblicazione del manifesto di fondazione del Futurismo italiano è nato
specificamente italiano. L'Italia era economicamente sottosviluppata e solo di
recente unificata, la sua scena culturale stagnante, in particolare nel
confronto con le avanguardie di Parigi, il Futurismo volse al ringiovanimento
della scena culturale del paese e ad agitare la borghesia italiana.
Paradossalmente, tuttavia, e per richiamare l'attenzione, il
Futurismo italiano è stato portato alla luce a Parigi – allora la sede del
radicalismo artistico – sulla prima pagina del giornale francese Le Figaro.
Il movimento futurista si delineò in una vasta serie di
manifesti, trasformando anche il manifesto in sé una forma d'arte.
Collettivamente, essi hanno una storia dello sviluppo dell’ arte e teoria
futurista.
Il Futurismo italiano abbracciò la velocità, la forza e la
potenza di tutti gli aspetti della moderna tecnologia. Condizionati dalla loro
volontà di andare oltre le passa la cultura del XIX secolo, il futurista
battuto per l'innovazione e la scoperta scientifica, esaltando la bellezza
dell'industria automobilistica, la ferrovia, e l'aereo. Concepito inizialmente
come un movimento letterario e culturale di ribellione, il Futurismo impegnò la
totalità della cultura, dalla poesia e la pittura di cucina e di politica,
tant'è che il gruppo sostenne attivamente una campagna per l'Italia
l'intervento nella Prima Guerra Mondiale.
Il Manifesto tecnico
della pittura futurista, nel 1910, ha gettato le basi per un valore
estetico che era ancora nella sua fase nascente. Influenzato soprattutto da
opere dei divisionisti italiani e dal filosofo Henri Bergson, la pittura
futurista tentò di rappresentare un mondo in costante mutamento.
Il Futurismo è stato di natura interdisciplinare, e spesso
futurista pittori operanti in altri tipi di produzione. Balla futurista
progettata abbigliamento e mobili, Boccioni creato misti di media di scultura,
e tutti gli artisti hanno partecipato a Serate futurista, o serate-una prima
forma di prestazione d'arte.
Molte donne aderenti al gruppo, tra cui Benedetta Cappa
Marinetti, analogamente crearono opere in una varietà di mezzi di informazione.
Ancora, le donne occuparono un ruolo ambivalente, spostando posizione
all'interno del movimento futurista. Dal primo, Filippo Tommaso Marinetti, fondatore
nel manifesto, professi disprezzo per le donne e il desiderio di distruggere
moralismo e il femminismo in tutte le sue forme.
In Contro l'amore e il
parlamentarismo, Marinetti espresse la sua avversione: "Noi scorn
donna concepita come l'unico ideale, il divino serbatoio di Amore, la
donna-veleno, la donna tragica trinket, la fragile donna, obsessing e mortali.
"Questo tono misogina, oltre ai nazionalisti del Futurismo, proto-fascista
tendenze, ha incoraggiato al massimo caratterizzazioni del movimento di
apologeti e detrattori simili. Ma, come lo studioso Cinzia Blum ha giustamente
osservato, Futurismo è diffusa con paradosso e deve essere considerato in tutte
le sue contraddizioni. L'origine di queste contraddizioni possono essere
rintracciati a Futurismo inizio all'inizio di questo secolo- un tempo segnato
da traumatico cambiamento: un grande storico turni in economia e politica, una
ripartizione dei comuni ideologie e le convinzioni strutture, e l'erosione
delle tradizionali divisioni di genere.
[2] I fratelli di Benedetta - Il maggiore,
Arturo, militante del Partito Socialista, collaboratore de L'Ordine nuovo e de Il
Comunista, e, in contatto con i futuristi russi, fu per molti anni il
compagno della pittrice boema Rougena Zatkova.
Aurelio morì giovane, ma Alberto, il fratello forse più caro,
giovanissimo tra i futuristi, amico di Debenedetti, dei Levi, di Gobetti (che
collaborò in quegli anni a Roma futurista), poi, come storico e
saggista, pubblicò, per le edizioni gobettiane, gli studi su Pareto ed un
saggio su Cavour per Laterza.
Infine l’ultimo fratello, Arnaldo, laureato in agraria,
simpatizzante dei popolari.
[3] Mafarca il futurista - Questo libro,
pubblicato in francese, a Parigi, e nel 1910, in italiano nella traduzione di
Decio Cinti, narra le avventure di un eroe africano, il giovane re Mafarka el
Bar che, dopo aver sbaragliato in battaglia gli eserciti che assaltavano la sua
città, per consolare il dolore della madre che nell’Ipogeo piangeva la morte in
battaglia dell’altro figlio Magamal, lottando contro le leggi naturali, genera,
senza il concorso della donna, il figlio Gazurmah, eroe alato, in cui trasfonde
la sua vita e il suo slancio verso la libertà senza limiti. Il romanzo, il
primo di Marinetti, considerato la sua migliore opera in prosa ed anche quella
che, nell’esaltazione della sensualità dilatata fino all’eroismo e rivestita di
volontà di potenza, mostra più scopertamente la filiazione del Futurismo dal dannunzianesimo, di cui è a un tempo il
prolungamento e il rovesciamento. (Cfr. E Settimelli, I processi al Futurismo per oltraggio al pudore, con arringhe di
S.Barzilai, L.Capuana, I. Cappa, ecc. Rocca San Casciano, Cappelli, 1918.
Cfr. inoltre Maria Antonietta Stecchi de Bellis: In difesa di Filippo
Tommaso Marinetti, imputato di oltraggio al pudore.) Marinetti fu difeso da
Cesare Sarfatti e da Salvatore Barzilai che sostennero, in tesi subordinata, la
mancanza dell’estremo che la legge richiede della offerta in vendita del libro,
capace, nella sua esteriorità, di produrre offesa al pudore pubblico.
[4] Si tratta di un poema-affiche,
pubblicato, s.i., nel 1931.
[5] F. T. Marinetti, Taccuini 1915-1921, a c.
di A. Bertoni, Bologna, Il Mulino, 1987, pp. 461 sgg.
[6] F. T. Marinetti: Poesie a Beny, Torino, Einaudi, 1991, pp.7-9.
[7] Poesie
a Bény, cit., p. 25
[8] Poesie
a Bény, cit., p. 23.
[9] Spicologia
di un uomo, in Dinamo, I, 1,
Roma, febbraio 1919, p.24)
[10] Il quadro fu iniziato, sembra, nel 1919
ma venne terminato e regalato da Balla a Benedetta solo nel 1950.
[11] Umberto Notari - Dotato sin dagli anni
giovanili di una vivace capacità letteraria, si trasferisce a Milano dove
pubblica alcuni articoli che denunciano episodi di corruzione e di malgoverno
che attirano l'attenzione di Filippo
Tommaso Marinetti, che lo invita a collaborare alla sua rivista Poesia. Notari condividerà con Marinetti
fin dai primi tempi la militanza nel Movimento Futurista, e lo stesso
Marinetti firmerà la sua biografia, uscita nel 1938 con il titolo Notari,
scrittore nuovo.
Fonda e dirige la casa editrice Società Anonima Notari, con sede in Villa San Fiorano, che in seguito cambia ragione sociale in Istituto Editoriale Italiano, e pubblica
nel 1904 il romanzo Quelle Signore, che suscitò scalpore e
scandalo in quanto trattava apertamente dello scabroso argomento della prostituzione, e per questo fu
accusato di offesa al pudore
e processato. I processi terminarono entrambi con sentenza assolutoria per
l’autore.
L'eco di questa vicenda giudiziaria si rivelò un potente
veicolo pubblicitario per il romanzo, le cui edizioni successive al 1906 riportavano in appendice i
verbali di entrambi i processi con le arringhe degli avvocati ed i dispositivi
delle sentenze, e anche per il suo seguito Femmina,
pubblicato nel 1906 e ristampato
nel 1920 con il nuovo titolo Treno di lusso, nonché per un'altra
opera di Notari dal tono fortemente anticlericale intitolata Dio contro Dio. Grazie a queste
polemiche Quelle Signore divenne in
poco tempo un best seller ante
litteram raggiungendo con successive edizioni oltre 350.000 copie, e
continuando ad essere ristampato fino ai giorni nostri.
Nel frattempo Notari continuava la sua proficua attività di
giornalista e di editore, fondando nel 1903
il settimanale satirico Verde e azzurro,
che però cesserà le pubblicazioni l'anno seguente.
Lo spirito imprenditoriale di Notari fu anche alla base della
fondazione dell’agenzia Le Tre I, una
delle prime società italiane di pubblicità, che commissionò manifesti
pubblicitari a noti pittori futuristi tra cui Mario Sironi e Fortunato
Depero.
L’attività di Notari al fianco del futurismo continuò a
concretizzarsi con la nascita, nell’aprile del 1909, della rivista La
Giovane Italia, denominata Settimanale
d’avanguardia. Rivista di combattimento
sociale-politico-letterario.
Nel 1910 fu
tra i fondatori della Associazione Italiana
di Avanguardia, per la quale scrisse il saggio Noi.
L’adesione al Fascismo,
nel quale confluirono gli avanguardisti, fu la naturale conseguenza ed
evoluzione del pensiero politico di Notari, che vi contribuì con la sua
attività di editore fondando il quotidiano L’Ambrosiano,
che fu un organo di stampa apertamente fiancheggiatore del regime (ponendosi
come contraltare al Corriere della sera) ma anche uno
dei primi giornali quotidiani illustrati che, oltre alle notizie di cronaca,
dava ampio spazio ad articoli di critica d'arte, cultura e di divulgazione
scientifica annoverando tra le sue firme nomi famosi come Carlo Carrà come
critico d'arte e anche Carlo Emilio Gadda e Salvatore
Quasimodo, ed ospitò inoltre sulle sue colonne gli articoli
d'esordio di giornalisti divenuti in seguito molto famosi quali Gaetano Afeltra e Camilla Cederna. Il primo numero del
quotidiano uscì il 7 dicembre
del 1922, ed il giornale cessò
le pubblicazioni il 19 gennaio
del 1944.
Altra attività rilevante di Notari fu la pubblicazione di
saggi di teoria economica e sociale, pubblicati in una collana intitolata Idee, Costumi, Passioni del XX Secolo,
tra i quali si distingue La donna “Tipo
Tre”, uscito nel 1929, in
cui Notari osserva acutamente l’emergere di una nuova categoria di personaggio
femminile diversa dalle figure tradizionali della moglie/madre e della
seduttrice/maliarda, che con l'emancipazione e la maggiore consapevolezza della
sua condizione contende all'uomo le sue tradizionali prerogative sociali.
Un'altra iniziativa editoriale di successo, suggerita a
Notari dalla moglie Delia, fu la pubblicazione della rivista La Cucina Italiana, il cui primo numero
uscì nelle edicole il 15 dicembre
del 1929. Scopo della rivista
era non solo quello di divulgare le ricette tradizionali dell'arte culinaria
del nostro Paese, ma altresì di incoraggiare cambiamenti dietetici
nell'alimentazione popolare proponendo soluzioni gastronomiche molto innovative
ma anche economiche, in linea con il regime del tempo. In ogni numero vi erano
decine di ricette, proposte per la tavola, regole di galateo vecchie e nuove,
nonché ricette personali di scrittori ed artisti intercalate da racconti ed
anche poesie.
La rivista interruppe le pubblicazioni nel 1943, riprendendole nel 1952, ed è tuttora una delle più
autorevoli e diffuse del settore.
Nel 1939 Notari fu tra i firmatari del Manifesto della razza,
preludio all'emanazione delle leggi razziali, e nello stesso anno firma un
saggio intitolato "Panegirico della
razza italiana.
Sopravvissuto alla II guerra mondiale, fu sottoposto a
procedimento di epurazione, e si spense nel 1950 nella sua abitazione di Perledo Varsina.
[12] per i tipi della Franco Campitelli
Editore, di Foligno Nella letteratura
la rottura con la tradizione si produce, inizialmente, nei contenuti. Gli
esempi qui selezionati si distinguono
in particolare per le loro
straordinarie illustrazioni le quali
sono in parte opera degli autori stessi, mentre le restanti un contributo di artisti amici.
[13] Manifesto dell’aeropittura - Fu
pubblicato nella "Gazzetta del Popolo di Torino, il 22
settembre 1929.
"Agli artisti giovani
d'Italia"!
Il grido di ribellione che
noi lanciamo, associando i nostri ideali a quelli di poeti futuristi, non parte
già da una chiesucola estetica, ma esprime il violento desiderio che ribolle
oggi nelle vene di ogni artista creatore.
Noi vogliamo combattere
accanitamente la religione fanatica, incosciente e snobbistica del passato,
alimentata dall'esistenza nefasta dei musei. Ci ribelliamo alla suprema
ammirazione delle vecchie tele, delle vecchie statue, degli oggetti vecchi e
dell'entusiasmo per tutto ciò che è tarlato, sudicio, corroso dal tempo, e
giudichiamo ingiusto, delittuoso, l'abituale disdegno per tutto ciò che è
giovane, nuovo e palpitante di vita.
Volendo noi contribuire al
necessario rinnovamento di tutte le espressioni d'arte, dichiariamo guerra
risolutamente, a tutti quegli artisti e a tutte quelle istituzioni che, pur
cammuffandosi di una veste di falsa modernità, rimangono invischiati nella
tradizione, nell'accadentismo e soprattutto in una ripugnante pigrizia
cerebrale.
Hanno ben altri interessi da
difendere i critici pagati! Le esposizioni, i concorsi, la critica superficiale
e non mai disinteressata condannano l'arte italiana all'ignominia di una vera
prostituzione!
Ecco le nostre conclusioni recise:
1- Distruggere il culto del
passato, l'ossessione dell'antico, il pedantismo ed il formalismo accademico.
2- Disprezzare profondamente ogni forma d'imitazione.
2- Disprezzare profondamente ogni forma d'imitazione.
3- Esaltare ogni forma di
originalità anche se temeraria, anche se violentissima.
4- Trarre coraggio ed
orgoglio dalla facile traccia di pazzia con cui si sferzano e s'imbavagliano
gl'innovatori.
5- Considerare i critici
d'arte come inutili e dannosi.
6- Ribellarci contro la
tirannia delle parole: ARMONIA E BUON GUSTO, espressioni troppo elastiche.
7- Spazzar via dal campo
ideale dell'arte tutti i motivi, tutti i soggetti già sfruttati.
8- Rendere e magnificare la
vita odierna, incessante e tumultuosamente trasformata dalla scienza
vittoriosa.
Siano sepolti i morti dalle
più profonde viscere della terra! Sia sgombra di mummie la soglia del futuro!
Largo ai giovani, ai violenti, ai temerari!
[14] Così testimonia Pino Masnata, in una
lettera a Benedetta, s.d. (ma 1935), conservata nel Fondo Marinetti della Beinecke Library, Università di Yale (b.13,
f. 708).
[15] Napoli, Gaspare Casella editore.
[16] Cfr. Nenè Centonze (Antonietta Drago), La pittrice futurista Benedetta, in
"Stile futurista", a.II,
n.10, giugno 1935- XIII, pp.10-11.
[17] Valentine de Saint-Point - Valentine de
Saint-Point, quando diventò l'amante di Marinetti, a Parigi, nel 1909, dove lui
era andato per lanciare il suo manifesto futurista, si scoprì futurista. E
allora, per non essere da meno di Marinetti, per controbattergli, o per
appoggiarlo, scrisse, nel marzo 1912, il Manifesto
della donna futurista e, affinché non ci fossero equivoci, l'anno dopo
aggiunse il Manifesto futurista della Lussuria.
Marinetti, così, poté cercare di dimostrare l'indimostrabile, cioè che il
futurismo non fosse misogino; mentre Valentine de Saint-Point credette di
essere riuscita a conquistare a sé e alle donne, all'ombra della rivoluzione
futurista, uno spicchio di futuro non immaginando invece che, ancora prima
della sua morte, sarebbe caduta nel silenzio dell'oblio.
Donna futuristicamente bellissima, incapace di non sedurre e
di non farsi sedurre ogni volta che la sua forza vitale la portava da un punto
all'altro della fantastica tempesta culturale d'inizio Novecento, nata bene in
una famiglia della borghesia provinciale francese illuminata dalla parentela
con Alphonse de Lamartine, la vita almeno di Valentine de Saint-Point, se non
la sua opera, è una compiuta realizzazione del futurismo: sposata a diciotto
anni con un oscuro professore di paese, vedova sei anni dopo, poi un nuovo
matrimonio con un politico di provincia che solo la sua spinta porterà a
diventare ministro fino a quando, stanca della sua mediocrità, per liberarsene
accetta, nel 1904, di far scandalo con un divorzio per colpa, e s'innamora
dell'arte, diventando modella e amante di Mucha e di Rodin, e scopre la
scrittura, con una serie di romanzi e di poesie che magari non avranno lasciato
tracce nella letteratura francese, però, con titoli come La trilogia dell'amore e della morte, Una femmina e il desiderio, e soprattutto L'incesto, riuscivano a far parlare ed a scandalizzare.
Quindi, l'incontro scontro con Marinetti e il Manifesto della Donna futurista come La Metacorìa che è la teorizzazione di
una danza «cerebrale», «al di là del coro», cioè «al di là della danza», da cui
discende buona parte della danza moderna e che lei stessa, con sprezzo del
ridicolo, portò nelle scene all'epoca dominata da personaggi come Isadora
Duncan. «L'Umanità è mediocre. La maggioranza delle donne non è né superiore né
inferiore alla maggioranza degli uomini. Sono uguali. Meritano entrambe lo
stesso disprezzo»: così, più nietzschianamente che futuristicamente inizia il Manifesto
ed è chiaro il tentativo di mettersi al passo con gli uomini nella corsa verso
la modernità che il futurismo imponeva ma, a scanso di equivoci, precisa: «Ma
niente femminismo. Il femminismo è un errore politico. Il femminismo è un
errore cerebrale della donna, un errore che il suo istinto riconoscerà. Non
bisogna dare alla donna nessuno dei diritti reclamati dalle femministe». E
continua con l'esaltazione della lussuria, «la lussuria è una forza, perché
distrugge i deboli ed eccita i forti (...) Ogni popolo eroico è sensuale. La
donna è per lui il più esaltante dei trofei», ancora una volta più all'ombra di
Nietzsche che di Marinetti, sublimata nel Manifesto della Lussuria che attacca
«il sinistro ciarpame romantico» e nel suo delirio post-romantico giunge a
cantare lo «stupro per ricreare la vita».
Dopo lo scandalo, il futurismo femminile di Valentine de
Saint-Point avrà vita breve. Più lunga e ricca la vita di Valentine.
Nel 1913 incontra e seduce un altro italiano e un altro
straordinario personaggio, Ricciotto Canudo, colui che battezzò il cinema come
«settima arte». Intanto Valentine inizia a viaggiare, va in Marocco, scopre
l'Islam e si converte prendendo il nome di Rawhiya Nour el dine, che vuole dire
Luce spirituale della religione, e, soprattutto dopo la morte «alla
Apollinaire» di Canudo, per i postumi di una ferita di guerra, scopre la
politica e anticipa generazioni intere di antiimperialisti sostenendo il
nazionalismo arabo. Ma la sua luce è ormai sempre più fioca e si spegne in un
lento silenzio quando, dopo l'incontro con René Guenon, sprofonda in un
misticismo esoterico.
Muore, dimenticata da tutti, a tutti sopravvissuta, nel 1953
a Il Cairo.
[18] Roma, Edizioni futuriste di Poesia, 1936.
[19] Sull’argomento cfr. fra l’altro: Renzo
De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi,
1971-1972 e Milano, Mondadori, 1977, in due voll. (Vol. I, pp. 370-374); Fausto
Coen, Italiani ed ebrei, come eravamo (le leggi razziali del 1938), Genova,
Marietti, 1988, p. 127; Klaus Voigt, Il rifugio precario (gli esuli in Italia
dal 1933 al 1945), Firenze, La Nuova Italia, 1993, p. 487 n. e 489; Claudia
Salaris, Marinetti, arte e vita futurista, Roma, Editori Riuniti, 1997, pp.
308-315.
[20] Roma, "Rassegna nazionale",
1939
[21] In "Autori e Scrittori, Mensile
del Sindacato Nazionale", 2, anno settimo, Roma, febbraio 1942 - XX.
[22] Salvo l'intervento riepilogativo Le
futurisme, nel Catalogo della Mostra di Parigi -la prima del dopoguerra
dedicata all'arte italiana del XX secolo (Paris, Editions "Cahiers
d'art", 1954).
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